domenica 27 novembre 2011

IL CAMPO GRAVITAZIONALE: IL TEOREMA DI GAUSS

Andiamo ad analizzare un importante teorema concernente il campo gravitazionale: il teorema di Gauss.
In realtà, avevo già trattato il teorema di Gauss in precedenza (nell'articolo "Il campo elettrico: il teorema di Gauss"), ma quello inerente l'elettromagnetismo.
I 2 teoremi non sono così dissimili, infatti entrambi ci forniscono la descrizione del flusso, rispettivamente del campo gravitazionale e del campo elettrico, ed entrambi sono stati formulati dal grande matematico Carl Friedrich Gauss.
In questa sede, come anticipato, ci occuperemo del teorema relativo al campo gravitazionale, ma andremo anche ad analizzare più in generale il concetto di campo in fisica.
Pertanto, che cos'è in generale un campo?
Una risposta estremamente chiara e semplice la fornisce Frank Close nel libro Nulla:

"L'idea di campo pervade la coscienza collettiva con i campi gravitazionali, e anche la fantascienza parla di "campi di curvatura nel continuum spazio-temporale". Il gergo suggerisce che in quel presunto vuoto succedano un bel po' di cose...Una mappa della pressione dell'aria è un esempio di quello che i matematici conoscono come "campo", una raccolta di numeri che variano da un punto all'altro; in questo caso i numeri indicano la pressione barometrica in ciascun punto del paese. Come una mappa delle curve di livello, i punti di uguale pressione possono essere uniti da linee isobare: isos ("uguale") e baros ("peso" o "pressione"). Se tutto quello che occorre a definire il campo è una collezione di numeri, come in questo caso, si ha un CAMPO SCALARE. Il tasso di cambiamento nella pressione dà origine ai venti. Quando le isobare sono lontane il vento è lieve e gentile, mentre quando sono strettamente compresse, perché il mutamento di pressione è rapido, i venti sono più impetuosi. Una mappa della velocità dei venti è un esempio di quello che viene chiamato CAMPO VETTORIALE. Questo tipo di campo prevede per ciascun punto un numero e anche una direzione, per esempio la velocità e la direzione dei venti. Nel caso della pressione atmosferica e dei venti abbiamo un mezzo fisico, l'aria, la cui densità variabile determina i campi, e possiamo immaginarci la versione reale del modello teorico. Il concetto di campo è valido anche quando non c'è un mezzo materiale. È questa l'idea che sta dietro i campi gravitazionali e i campi elettrici, che danno l'intensità e la direzione delle rispettive forze in tutto lo spazio. Se siete degli appassionati di montagna, vi sarete fatti un'idea del campo gravitazionale. Più salite in alto, più rovinosa sarebbe un'eventuale caduta. Questo è un buon esempio pratico, mentre la mappa delle curve di livello che mostra l'altezza sul livello del mare ne è uno teorico".

Riassumendo, un campo è un oggetto teorico costituito da numeri che rappresentano una certa grandezza.
Se il campo è formato da soli numeri puri ci troviamo di fronte ad un campo scalare; se invece, come nel caso dei venti, le grandezze considerate hanno una lunghezza, detta intensità o modulo, una direzione e un verso (ossia sono vettori), si ha a che fare con un campo vettoriale.
Vi fornisco rispettivamente le immagini di un campo scalare (rappresentato dalle isobare) e di un campo vettoriale (quello dei vettori descriventi i venti):



































In Fisica, generalmente, un campo vettoriale può essere definito anche campo di forze, in quanto i più importanti campi (gravitazionale, elettrico, magnetico) sono legati alle rispettive forze e le forze sono grandezze vettoriali.
Vi do adesso una definizione un po' più rigorosa di campo vettoriale e campo scalare.
Consideriamo lo spazio euclideo tridimensionale R³ e l'insieme di tutti i vettori definiti in tale spazio V₃.
Indichiamo con M un opportuno sottoinsieme di R³ (M ⊆ R³).
Un campo vettoriale è allora un'applicazione f : P → v che ha l'insieme M come dominio e V₃ come codominio: l'applicazione f associa ad ogni punto P appartenente a (∈) M uno e uno solo vettore v ∈ V₃.
Un campo scalare è invece più semplicemente un'applicazione s tra un opportuno sottoinsieme M di R³ e l'insieme dei numeri reali R.
Ora passiamo a definire cos'è il flusso di un campo vettoriale.
Consideriamo pertanto un campo vettoriale V(r) = V(x,y,z), ovvero un vettore V espresso in funzione della posizione r.
Consideriamo poi una superficie geometrica S all'interno del suddetto campo vettoriale.
Considerata pure una porzione dS della superficie S, possiamo definire un vettore che ha come modulo l'area dS della porzione di superficie e come direzione quella del versore normale (perpendicolare) n alla superficie infinitesima dS:



Il verso del versore (versore = vettore avente modulo pari a 1) normale viene scelto in maniera convenzionale, assegnando una faccia positiva (cioè un verso convenzionale) alla superficie S.
A questo punto non abbiamo problemi a definire il flusso elementare (o infinitesimo) dΦ del vettore V attraverso la porzione di superficie dS:



Osservate adesso la seguente immagine illustrativa della situazione che stiamo analizzando:


Come si può constatare, tra il vettore V (nella figura chiamato A) e il versore normale n sussiste un certo angolo α.
Ergo, l'equazione precedente che definisce il flusso elementare si può riscrivere, in quanto prodotto scalare fra 2 vettori, come:



Questa è la definizione di flusso elementare; tuttavia noi, partendo da tali nozioni, vogliamo definire matematicamente il flusso, cioè la quantità della grandezza considerata che attraversa una data superficie.
Prendiamo ora una superficie chiusa S e suddividiamola in tante piccole porzioni dS.
Il flusso del vettore V attraverso la superficie S non è altro che la somma dei vari flussi elementari attraverso le porzioni di superficie dS in cui S è stata suddivisa, quando l'area dS di ciascun elemento tende a zero.
In simboli:





Il limite di questa sommatoria, però, può essere indicato in modo ancora più rigoroso mediante il cosiddetto integrale di superficie:






Abbiamo quindi la definizione di flusso per quanto concerne un generico campo vettoriale.
Prima di pervenire al teorema di Gauss inerente il campo gravitazionale, vorrei compiere un breve excursus sulla gravitazione.
La gravità è un concetto abbastanza intuitivo: sin da piccoli comprendiamo che se lasciamo cadere un oggetto, quello giungerà a terra.
La causa di ciò è appunto la gravità esercitata dalla Terra sull'oggetto.
Fra le 4 interazioni fondamentali della natura, essa ha sicuramente il privilegio di essere la più nota al grande pubblico.
Tutti, appassionati di scienza o meno, conoscono il famoso aneddoto della mela che cadde in testa a Isaac Newton, spingendolo a investigare sulla forza gravitazionale.
Newton riuscì a comprendere che la forza che attrae la mela a terra è la stessa che fa ruotare il nostro satellite, la Luna, attorno alla Terra: appunto la gravità.
Egli arrivò alla formulazione di una celebre legge, stabilente che la forza di attrazione gravitazionale fra 2 corpi diminuisce all'aumentare del quadrato della distanza sussistente tra essi, alla stregua della legge di Coulomb inerente la forza elettrica.
Stiamo parlando della legge di Gravitazione Universale:





Tale legge riesce anche a dare una spiegazione rigorosa alle 3 leggi che Keplero aveva formulato meno di un secolo prima che Newton arrivasse alla sua equazione universale.
Ecco le leggi di Keplero:

1) le orbite dei pianeti sono ellissi, di cui uno dei fuochi è rappresentato dal Sole;
2) la velocità areolare inerente il moto dei pianeti è costante: ciò significa che il raggio vettore Sole-pianeta spazza aree uguali in tempi uguali;
3) per quanto concerne i diversi pianeti, sussiste un rapporto costante fra il cubo del semiasse maggiore dell'orbita (a³) e il periodo di rivoluzione attorno al Sole elevato al quadrato (T²). In simboli:

a³/T² = costante eguale per tutti i pianeti.

Nonostante sia la più conosciuta e quella relativamente più semplice da capire, l'interazione gravitazionale è quella generante maggiori problematiche ai fisici moderni, poiché rappresenta la forza che non si accorda con la teoria quantistica, a differenza delle altre 3.
Gli scienziati sono quindi alla ricerca di modelli di gravità quantistica, come la teoria delle stringhe e la gravità quantistica a loop.
Ritorniamo però ad ambiti meno complessi, tenendo a mente la legge di gravitazione universale: spingiamoci al nocciolo della questione, ovvero definire cos'è un campo gravitazionale.
Consideriamo una massa puntiforme m che si trova in presenza di una seconda massa puntiforme M.
Un campo gravitazionale è un campo prodotto dalla massa M, rappresentante la forza che M esercita su m.
Il valore del suddetto campo dipende dalla posizione r in cui è situata la massa m.
Essendo la forza gravitazionale attrattiva, la direzione del vettore g simbolizzante il campo gravitazionale è uguale e di verso opposto rispetto al vettore posizione r.
Per quanto concerne il modulo di g, possiamo affermare che esso risulta direttamente proporzionale a M e inversamente proporzionale al quadrato della distanza r sussistente tra le 2 masse.
Risponde dunque alla seguente equazione: 





dove ȓ indica il versore del vettore posizione r e G è la costante di gravitazione universale, presente anche nella legge di Newton.
Stabilito ciò, proviamo a calcolare il flusso del campo gravitazionale g attraverso una superficie chiusa S, con la massa M al suo interno, e orientata positivamente verso l'esterno.
A causa di questa convenzione sull'orientamento di S, il flusso viene anche chiamato flusso uscente da S.
Come procediamo allora?
Vi ricordate l'equazione che descrive il flusso di un generico campo vettoriale, quella in cui è presente l'integrale di superficie?
Per calcolare il flusso del campo gravitazionale non bisogna fare altro che inserire al posto del vettore V, rappresentante un generico campo di forze, il vettore g, l'emblema del campo gravitazionale:





Ora, guardate attentamente la seguente immagine:


Anche in questo caso, come in quello del flusso di un generico campo vettoriale, possiamo riscrivere l'equazione esplicitando il prodotto scalare, sfruttando l'angolo θ che si forma tra il vettore g e il versore normale n:





Ora compiamo un ulteriore passaggio: sfruttiamo la formula descrivente il campo gravitazionale





per riscrivere l'espressione del flusso in tale forma:





Per semplicità, d'ora in poi indichiamo la quantità "dS cosθ" con dSn.
Dal punto di vista prettamente geometrico dSn rappresenta la proiezione della porzione di superficie dS sulla sfera di raggio r.
Analogamente, dSn è anche la porzione di superficie della sfera intercettata da un cono elementare che ha il centro fissato in M.
Preso un determinato cono, il rapporto dSn/r², ovvero tra la porzione di superficie sferica dSn e il quadrato del raggio r, rappresenta una quantità denominata angolo solido del cono (dΩ), totalmente indipendente dal raggio r della sfera!









Possiamo dunque scrivere che:





Adesso possiamo pertanto riscrivere il flusso in questa maniera:





Non è finita qui: l'integrale dell'angolo solido su tutta la sfera è pari a 4π, in quanto rappresenta il rapporto tra la superficie totale di una sfera (Sn = 4πr²) e il raggio della sfera stessa al quadrato (r²).
In conclusione, tutte queste elaborazioni concernenti il flusso del campo gravitazionale restituiscono la semplice e lineare formula:




Ecco finalmente la forma finale del teorema di Gauss: la sopracitata formula ci dice che il flusso di un campo gravitazionale dipende unicamente dal valore della massa M, indipendentemente dalla sua posizione.
Infatti, oltre la quantità M rappresentante la massa, nell'equazione sono presenti solamente costanti numeriche (G,4,π).
In realtà, questa formula si può generalizzare nel caso sussistano più masse puntiformi M all'interno della superficie S o ci sia una massa non puntiforme ma estesa, che però si può comunque considerare come l'insieme di tante piccole masse puntiformi.
Ecco l'equazione che vale in questi particolari casi:





Come potete notare, la sola differenza rispetto alla formula precedente sta nel fatto che al posto della singola massa M, ci sia la sommatoria ∑ di tutte le diverse masse puntiformi mk.
Vi propongo infine 2 interessantissimi video relativi alla spiegazione della forza gravitazionale:



domenica 20 novembre 2011

MARIE CURIE: L'UNICA DONNA AD AGGIUDICARSI BEN 2 PREMI NOBEL

Marie Curie è sicuramente una delle personalità scientifiche più importanti della prima metà del XX secolo, assieme ad Einstein, Planck, Bohr, Heisenberg e numerosi altri.
La sua figura ha numerose caratteristiche che la distinguono dagli altri citati: innanzitutto è una donna, e sicuramente, soprattutto in passato, per le donne non era molto facile venir riconosciute in ambito scientifico.
Se infatti andiamo a vedere la lista dei più importanti scienziati a partire dalla nascita della scienza moderna, quasi tutti sono uomini, anche se si riscontrano personalità femminili eminenti ma poco conosciute al grande pubblico, come la matematica Sophie Germain, l'astrofisica Henrietta Leavitt, la matematica Maria Agnesi, la moglie del chimico Antonie Lavoisier, ovvero Madame Lavoisier, la matematica Sof'ja Kovalevskaja, la fisica Émilie Du Châtelet, la quale tradusse i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687) di Newton in francese, la matematica Emmy Noether, la fisica Lise Meitner e così via.
Marie Curie non ha solo, all'interno della storia della scienza, il privilegio di essere la più conosciuta fra le scienziate di tutti i tempi, ma è anche l'unica donna ad essere stata insignita di ben 2 premi Nobel nel corso della sua carriera.
Anzi, detiene un ulteriore record, è l'unico scienziato ad aver vinto 2 Nobel in 2 discipline scientifiche differenti, ovvero la Fisica e la Chimica.
Inoltre, è stata l'unica donna che ha partecipato ai primi Congressi Solvay, ossia importanti incontri che si sono tenuti a partire dal 1911, a cui prendevano parte i più illustri scienziati del tempo.
Vi mostro la foto del 1° congresso Solvay (Bruxelles, 30 ottobre - 3 novembre 1911):

















Vi cito alcuni nomi presenti nella suddetta foto: Hendrik Lorentz, Henri Poncairé, Max Planck, Arnold Sommerfeld, Ernest Rutherford, Albert Einstein e ovviamente Marie Curie.
Vi faccio anche vedere la foto del 5° congresso Solvay (Bruxelles, 24-29 ottobre 1927), nella quale troverete aggiunti i più importanti esponenti della teoria quantistica, cioè Niels Bohr, Werner Heisenberg, Wolfgang Pauli, Erwin Schrödinger, Max Born, Paul Dirac, Arthur Compton, Louis de Broglie ed altri ancora:

















Addentriamoci dunque brevemente nella vita di Marie Curie: nata Maria Sklodowska il 7 novembre del 1867 a Varsavia, era figlia di una famiglia di piccoli nobili.
Il padre, uomo di gran cultura, insegnava scienze e possedeva buone nozioni di fisica.
Anche la madre era una docente, la quale impartiva lezioni in un collegio scolastico del tutto femminile.
La madre era inoltre una fervente cattolica, ma quando ella morì, probabilmente a causa della tubercolosi, la giovane Maria abbandonò la fede religiosa scegliendo la via dell'agnosticismo per tutta la vita.
Purtroppo, il professor Sklodowski e famiglia si ritrovarono in seria ristrettezza economica.
Per tali ragioni Maria, all'età di 16 anni, fu costretta ad interrompere gli studi e per 5 anni lavorò come governante.
Tuttavia, aveva fatto un patto con la sorella Bronia: le avrebbe inviato tutti i suoi risparmi affinché ella potesse studiare medicina a Parigi, e appena Bronia fosse stata in condizioni di guadagnare, avrebbe, ricambiando il favore, provveduto a mantenere gli studi di Maria.
In questa vicenda si può già notare l'indole ferrea della futura scienziata.
Infatti, nel 1891 Maria salì su un vagone di quarta classe (una sorta di carro bestiame utilizzato allora per il trasporto dei passeggeri), con 40 rubli in tasca (una somma con la quale forse si sarebbe potuta mantenere un mese, con la massima economia possibile), diretta a Parigi, allo scopo di studiare Fisica.
Giunta a Parigi, si presentò al cospetto del prof. Gabriel Lippmann, premio Nobel per la Fisica (1908), noto per il suo trattato di meccanica razionale e per le fotografie a colori che aveva realizzato per mezzo di frange di interferenza che portano il suo nome.
Maria lavorava instancabilmente, cercava di risparmiare il più possibile e studiava fanaticamente.
Nel 1893 ottenne una piccola borsa di studio Alexandrovic di 600 rubli, che le fu di grande aiuto, ma il suo carattere già sottolineato in precedenza, la portò a restituire il denaro appena poté, senza avere alcun obbligo.
Nel 1894 fece la conoscenza del francese Pierre Curie, il quale aveva 8 anni più di lei.
Pierre era un fisico estremamente originale: i suoi primi lavori sul magnetismo sono di rara profondità.
A conferma di ciò, in essi si riscontrano le idee della simmetria in maniera esplicita, tanto che possiamo affermare che Pierre Curie fu un precursore dell'applicazione della teoria dei gruppi alla Fisica.
Poco tempo dopo aver incontrato Maria Sklodowska, in casa di emigrati polacchi, decise di sposarla.
Si manifestarono però delle difficoltà: se Maria avesse sposato un francese, il matrimonio avrebbe segnato un addio finale all'amatissima Polonia.
Ella decise di andare in vacanza proprio in Polonia e lì Pierre la tempestò di lettere che, alla fine, riuscirono a persuaderla.
Infatti, al suo ritorno dalla Polonia, nel luglio 1895, si celebrarono le nozze.
Intanto Marie Curie aveva già terminato i suoi esami e stava cercando il soggetto per una tesi di laurea.
In realtà, aveva già redatto una lunga dissertazione sul magnetismo, ma questa era servita per un Concours d'agrégation.
Pertanto, ella desiderava scrivere qualcos'altro per la tesi di dottorato.
Un giorno chiese consiglio a Pierre e questi le disse: "Perché non lavorare sulle ultime scoperte di Becquerel?".
Sorge quindi una domanda: cosa aveva scoperto di così strabiliante Becquerel?
Risposta: la radioattività.
La radioattività fu infatti scoperta per puro caso da Henri Becquerel nel 1896, circa 2 mesi dopo che il tedesco Wilhelm Röntgen scoprisse i raggi X.
Mentre stava studiando il fenomeno della fluorescenza, Becquerel si rese conto che alcune lastre fotografiche erano state esposte ad una radiazione inspiegabile in presenza di un minerale grezzo.
Ciò accadeva pure quando le lastre erano avvolte in un foglio di carta nero.
Come era possibile che sussistessero radiazioni in assenza di luce?
Sicuramente, si trattava di radiazioni inusuali per gli scienziati dell'epoca.
Becquerel si accorse che quel minerale, contenente Uranio, emetteva una radiazione estremamente energetica (molto vicina all'energia dei raggi X) in modo completamente spontaneo e senza che fosse necessario un qualsiasi imput energetico proveniente dall'esterno.
Ci doveva essere dunque un qualche tipo di processo naturale che innescasse tale strano e singolare fenomeno.
In primo luogo Marie Curie ripeté gli esperimenti di Becquerel.
In seguito si mise a cercare se esistevano altre sostanze, oltre l'uranio, capaci di emettere raggi Becquerel o che fossero radioattive, come si incominciò a definirle da allora.
In natura, oltre l'uranio e i suoi derivati, vi sono infatti diversi altri elementi radioattivi, tra cui:
  • torio: la sua radioattività fu osservata dal chimico Gerhard Carl Schmidt (e dai Curie) nel 1898;
  • potassio.
Madame Curie aveva implementato un efficace metodo per misurare la radioattività, le cui basi risiedono in alcune scoperte anteriori di Pierre e del suo fratello maggiore Jacques: un elettroscopio che sfruttava la la proprietà piezoelettrica (la piezoelettricità è la proprietà caratteristica di alcuni cristalli consistente nel generare una differenza di potenziale se essi sono soggetti ad una deformazione meccanica) del quarzo.
Con il suddetto metodo i Curie verificarono le osservazioni già compiute da Becquerel, ovvero che la radioattività risultava proporzionale alla quantità di uranio e non aveva perciò nulla a che spartire con lo stato di combinazione chimica nel quale tale elemento si trovava.
Ergo, la radioattività era una proprietà atomica, o meglio, nucleare; tuttavia, a quell'epoca si ignorava il fatto che l'atomo fosse costituito da un nucleo.
Ad un certo punto Marie Curie ebbe un vero e proprio lampo di genio.
Dopo aver analizzato l'uranio contenuto nelle bottiglie dei composti, ora desiderava poter osservare anche l'uranio in natura, nei minerali.
Per tali ragioni, si recò al Musée d'Historie Naturelle e in diversi Istituti parigini, facendosi prestare dei campioni minerali di uranio.
Li studiò a fondo e riscontrò un dato sconcertante: la loro radioattività era di gran lunga superiore a quanto potesse esser dovuto al contenuto di uranio, noto sulla base delle analisi chimiche.
Nei minerali dovevano perciò esserci una o più sostanze assai radioattive rispetto all'uranio
A quei tempi l'analisi chimica restituiva risultati aventi una precisione dell'ordine dell'1%.
Anche la migliore analisi lasciava sempre dei grossi dubbi.
Tralasciando questo particolare, emerge comunque un fatto importante: il metodo consistente nel svolgere l'analisi chimica del minerale e osservare in quale frazione andava la radioattività è oggi uno dei cardini della moderna radiochimica.
Per essere assolutamente sicura di non essere caduta in qualche sciocco errore, Marie Curie preparò anche un minerale (la calcolite) sintetico utilizzando l'uranio preso da una bottiglia in laboratorio.
La scienziata verificò che in questo caso la radioattività era quella che corrispondeva all'uranio e non maggiore, come riscontrato nei campioni naturali.
La conclusione fu che i minerali contenevano sicuramente qualche sconosciuto elemento radioattivo.
Maria si mise allora alla ricerca dei misteriosi elementi e dopo 2 anni di duro lavoro ottenne un campione che conteneva un nuovo elemento radioattivo.
Nell'aprile 1898 fece presentare dal suo amico Lippmann una nota all'Accademia delle Scienze di Parigi annunciante la scoperta del polonio.
Il polonio era stato isolato dalla parte dei minerali che seguiva la reazione del gruppo dei solfuri insolubili in soluzione acida e possedeva delle caratteristiche simili al bismuto e al tellurio.
I Curie riscontrarono anche che, con il passare del tempo, la sostanza perdeva la sua radioattività seguendo la seguente legge esponenziale



dove N rappresenta l'attività radioattiva e λ è una costante caratteristica della sostanza.
Marie Curie, proprio a causa di queste sensazionali scoperte, fu insignita, assieme al marito e a Becquerel, nel 1903 del premio Nobel per la Fisica, con la seguente motivazione: "In riconoscimento dei servizi straordinari che essi hanno reso nella loro ricerca sui fenomeni radioattivi".
Ma come già detto, ella vinse anche il premio Nobel per la Chimica nel 1911, con la motivazione: "In riconoscimento dei suoi servizi all'avanzamento della chimica tramite la scoperta del radio e del polonio, dall'isolamento del radio e dallo studio della natura e dei componenti di questo notevole elemento".

Marie Curie morì a 67 anni a causa di una grave forma di anemia aplastica, dovuta probabilmente alle intense radiazioni alle quali era stata esposta continuamente per un periodo di tempo assai lungo.
Ha dato la sua vita per la scienza e per la ricerca.
La sua figura ci fa comprendere che la scienza è un attività che può essere svolta da tutti coloro che ne sono capaci e appassionati, senza distinzione di sesso, razza, cultura, etnia o qualunque altra cosa.
La scienza è un qualcosa di universale, che trascende qualsiasi pregiudizio: è lo studio disinteressato della natura, che non dovrebbe essere condizionata da futili opinioni culturali.
Non importa chi compie la ricerca (sia essa teorica o sperimentale), la cosa importante è che essa sia condotta sulla base del metodo scientifico, i cui principi fondamentali sono stati introdotti da Galileo, e che sia rigorosamente verificata. 
Marie Curie rappresenta l'emblema del fatto che le donne possono fare scienza, allo stesso modo in cui lo fanno gli uomini.
Per concludere, un altro esempio significativo di questa tematica lo troviamo nel rapporto fra Einstein e Arthur Eddington negli anni '10 del XX secolo: i 2, pur appertenendo a nazioni differenti (uno è tedesco, l'altro è inglese), le quali, come ben noto, in quel periodo si trovavano contrapposte nella Prima guerra mondiale, sono riusciti a collaborare, a trascendere i rancori fra le nazioni e a trovare le prove dimostranti la veridicità della Relatività Generale, un modello che descrive l'Universo ancora meglio della meccanica newtoniana!
Cliccando qui troverete lo splendido film "Il mio amico Einstein", basato appunto sul rapporto fra il rivoluzionario fisico tedesco e l'astronomo inglese.
Per quanto concerne invece Marie Curie vi propongo i seguenti video:



giovedì 10 novembre 2011

METODO DI GAUSS-JORDAN E SUE ORIGINI ANTICHE

La geometria è sempre stata e rimane una delle discipline più importanti all'interno della Matematica.
La geometria che si studia a scuola è basata sul sistema assiomatico di Euclide, nella conformazione moderna fornitagli, al termine del XIX secolo, nell'opera Fondamenti della Geometria, da David Hilbert, il quale, per chi non lo sapesse, è colui che nel 1900, ad una conferenza tenutasi a Parigi, stabilì una lista di 23 importantissimi problemi matematici da risolvere (alcuni dei quali effettivamenti dipanati).
La geometria, come sappiamo, prende come riferimento alcuni enti primitivi (punto, retta, piano) e alcuni assiomi fondamentali su cui basare tutti i teoremi e le nozioni geometriche che conosciamo.
Bisogna riconoscere ad Euclide il merito di aver introdotto (in geometria) un sistema deduttivo e rigoroso, il quale consente a un teorema (matematico appartenente a qualsiasi branca) di essere valido per sempre, a condizione che venga dimostrato.
Questa è la base dello sviluppo matematico: considerare un certo enunciato (ipotesi, congettura, ecc.) e fornirne una dimostrazione che non lasci spazio a discussioni!
Tale procedimento è valido dalle questioni più "stupide", come accertarsi che 1 è maggiore di 0, fino alle questioni più complesse, spinose e importanti dell'intero universo matematico, come, ad esempio, la dimostrazione dell'ipotesi di Riemann concernente i numeri primi.
Risulta pertanto necessario affermare che la geometria euclidea, seppur antica di millenni, rimane sempre valida e riesce a spiegare in maniera molto accurata la realtà quotidiana che ci circonda.
Nella descrizione delle strutture del nostro Universo servono invece le cosiddette geometrie non euclidee, per la cui trattazione vi rimando all'articolo "Geometria euclidea: no, geometrie non euclidee!" .
Ora però spalanchiamo le porte ad un mondo più astratto, quello dell'algebra lineare, che sta alla base della moderna geometria analitica, sviluppatasi alla fine del XIX secolo.
La suddetta geometria si fonda sul concetto di vettore.
Il vettore, nel modo più semplice possibile, si può definire un segmento orientato avente 3 caratteristiche fondamentali:

1) modulo o intensità: equivale alla lunghezza del segmento, cioè al valore numerico che esprime;
2) direzione;
3) verso.















Se 2 vettori possiedono la stessa direzione, lunghezza e verso, si dicono equipollenti.
Se vogliamo essere più pignoli, "equipollenti" significa che tali segmenti orientati giacciono su rette parallele (eventualmente coincidenti) e si possono sovrapporre in modo che i loro punti iniziali e finali coincidano perfettamente.
















Una delle motivazioni principali della scelta dei vettori come base su cui fondare la geometria risiedeva nella necessità di esprimere le leggi dell'elettromagnetismo in modo indipendente dalle coordinate.
Non a caso, fra i creatori della teoria c'è persino Maxwell, il padre dell'elettromagnetismo, assieme al fisico matematico Josiah Willard Gibbs e al fisico e ingegnere Oliver Heaviside, noto soprattutto per la funzione a gradino che prende il suo nome:
















A detta dello storico della matematica Morris Kline, Heaviside riteneva l'analisi vettoriale "una forma abbreviata dell'ordinaria geometria analitica cartesiana".
Precisiamo che la scuola di pensiero fondata negli anni '40 dell'Ottocento da Gibbs e Heaviside, a differenza di quella sviluppata da William Hamilton (per maggiori informazioni vi rimando all'articolo "2 termini celebri in matematica: indeterminato e impossibile"), separava le componenti scalare (lo scalare è un numero puro) e vettoriale del quaternione (a + bi + cj + dk) e le considerava entità indipendenti fra loro.
Gibbs e Heaviside aprirono la strada alla moderna analisi vettoriale non per ragioni di pura matematica, bensì per ragioni relative alla fisica: cercavano infatti un'algebra che facesse al caso loro, e se questo voleva dire fare a pezzi i quaternioni di Hamilton, non si ponevano nessuno scrupolo.
Adesso, per proseguire nella trattazione, dobbiamo introdurre un concetto molto importante in geometria, ovvero quello di campo.
Un campo è una terna (K, +, ∙) formata da:
  • un insieme non vuoto K;
  • 2 operazioni binarie su K, ossia 2 applicazioni:
1) +:K×K→K                       (dove ":" significa "tale che")
2) ∙:K×K→K

denominate rispettivamente "somma" e "prodotto", che associano ad ogni coppia di elementi (a,b) appartenenti (∈) a K×K rispettivamente un elemento:

- a + b ∈ K ("somma di a più b");
- ab ("prodotto di a per b"),

in modo tale che risultino soddisfatti i seguenti assiomi:

K1) Commutatività della somma: a + b = b + a         per ogni (∀) a,b ∈ K;
K2) Associatività della somma: a + (b + c) = (a + b) + c         ∀a,b,c ∈ K;
K3) Esistenza dello zero: esiste (∃) un elemento 0∈K tale che (⎮) a + 0 = 0 + a = a        ∀a ∈ K;
K4) Esistenza dell'opposto: ∀a ∈ K   ∃a' ∈ K ⎮a + a' = 0;
K5) Commutatività del prodotto: ab = ba            ∀a,b ∈ K;
K6) Associatività del prodotto: a(bc) = (ab)c          ∀a,b,c ∈ K;
K7) Esistenza dell'unità: ∃1∈K ⎮a1 = 1a = a          ∀a ∈ K;
K8) Esistenza dell'inverso: ∀a ∈ K, a ≠ 0, ∃a∗ ∈ K ⎮aa∗ = 1;
K9) Distributività della somma rispetto al prodotto: a(b + c) = ab + ac            ∀a,b,c ∈ K;
K10) Non-esistenza di divisori dello zero: se ab = 0 e b ≠ 0, allora a = 0.

Se la terna (K, +, ∙) soddisfa gli assiomi K1,...,K7,K9,K10, ma non necessariamente K8, essa è detta: dominio (o dominio d'integrità).
Con le tradizionali operazioni l'insieme Z dei numeri interi relativi è un dominio.
Invece, gli insiemi Q (numeri razionali), R (numeri reali), C (numeri complessi), assieme alle loro operazioni sono campi.
Una piccola divagazione a proposito degli insiemi numerici fondamentali: alcuni matematici hanno ideato un modo simpatico e bizzarro per farli ricordare: basta tenere a mente la frase senza senso "Nine Zulu Queens Ruled China" (Nove regine zulù governavano la Cina) ed il gioco è fatto!
Infatti, ciascuna iniziale delle parole contenute nella frase sopracitata rappresenta un insieme numerico fondamentale: N,Z,Q,R,C!
Ora, ritornando seri, andiamo a vedere cos'è una matrice.
Una matrice A di tipo (m,n) (possiamo anche chiamarla matrice m × n) con m,n interi positivi, a elementi in un campo K è una tabella rettangolare di numeri








disposti in m righe e n colonne.
aij è il numero che si trova sulla i-esima riga e sulla j-esima colonna di A.
In termini più rigorosi si dice che aij è l'elemento di posto (i, j) della matrice A.
Di seguito alcuni semplici esempi di matrici:





















In particolare, nel secondo caso abbiamo di fronte una matrice quadrata (presenta lo stesso numero di righe e colonne), nel terzo caso abbiamo una matrice unità (o matrice identità o matrice identica) e nel quarto caso una matrice nulla (o matrice zero).
Consideriamo ulteriori 2 esempi:










La prima matrice, costituita da 3 righe e da una sola colonna, è un esempio di vettore colonna, mentre la seconda matrice, formata da 3 colonne e una riga, rappresenta un caso di vettore riga.
Detto ciò, sorge una domanda, che cos'è il metodo di Gauss-Jordan a cui allude il titolo dell'articolo e cosa ha a che spartire con tutto ciò descritto in precedenza?
Il metodo (di eliminazione) di Gauss-Jordan non è altro che un importante metodo (dell'algebra lineare) di risoluzione dei sistemi di equazioni, il quale sfrutta pure le sopracitate matrici!
Consideriamo quindi un generico sistema di equazioni lineari:








Esso è un sistema di m equazioni lineari nelle n incognite X1,...,Xn.
Il sistema viene definito omogeneo se b1 = b2 = ... = bm = 0.
In caso contrario, il sistema è ovviamente detto non omogeneo.
Dal sistema possiamo ricavare una particolare matrice, denominata matrice dei coefficienti A:








Adesso raggruppiamo le incognite per formare il vettore x delle incognite:







e pure i termini noti per costituire il vettore b dei termini noti:







Si può inoltre definire la matrice completa (o orlata), ottenuta aggiungendo ad A il vettore colonna b:

 





Per indicare in maniera semplice il sistema possiamo pertanto utilizzare l'espressione Ax = b.
Ad esempio, prendendo il sistema:







Otteniamo la matrice completa:







Abbiamo dunque visto che qualunque sistema di equazioni lineari può essere trascritto in una matrice orlata (e viceversa).
Ma come si risolve un sistema?
Un procedimento di risoluzione è appunto l'algoritmo di Gauss-Jordan.
Il suddetto metodo consente infatti di stabilire se il sistema risulta compatibile (ovvero se ammette soluzioni) oppure no, e nel caso sussistano soluzioni, permette di trovarle tutte.
Il procedimento consiste nel sostituire il sistema dato con un sistema "triangolare" ad esso equivalente, ottenuto tramite una serie di passaggi chiamati "operazioni elementari sulle equazioni del sistema".
Tali operazioni corrispondono ad altrettante operazioni sulle righe della matrice completa.
Ergo, osserviamo quali sono le operazioni elementari che si possono attuare sulle equazioni di un sistema:

1) scambiare fra loro 2 equazioni del sistema;
2) moltiplicare (primo e secondo membro) di un'equazione per uno stesso scalare non nullo;
3) sostituire un'equazione con quella ottenuta sommando ad essa un multiplo di un'altra equazione.

Queste operazioni si possono tradurre, nell'ambito delle matrici, come operazioni sulle righe di una matrice:

1) scambiare tra loro 2 righe della matrice;
2) moltiplicare una riga della matrice per uno scalare non nullo;
3) sostituire una riga della matrice con quella ottenuta sommando ad essa un multiplo di un'altra riga.

Pertanto, trattasi di operazioni veramente semplici da comprendere e da attuare.
Ora mettiamo in pratica il metodo di Gauss-Jordan: riprendiamo il sistema precedente:







Dobbiamo ottenere, mediante le operazioni elementari elencate sopra, un sistema che permetta una "sostituzione all'indietro", cioè un sistema che nella prima equazione presenti tutte e 3 le incognite (x,y,z), nella seconda equazione 2 incognite (y,z) e nella terza un'incognita (z).
È sicuramente più facile capire il concetto risolvendo esplicitamente il sistema: procediamo!
Abbiamo il sistema; il nostro primo obiettivo è quello di eliminare x dalla seconda e terza equazione.
Come facciamo?
Semplice: utilizziamo le operazioni elementari.
Dunque, sottraiamo 2 volte la prima equazione dalla seconda e sottraiamo -1 volte la prima equazione dalla terza.
Otteniamo così il sistema equivalente:










Il coefficiente 2 della prima equazione si dice primo pivot.
Abbiamo eliminato la x dalla seconda e terza equazione: adesso dobbiamo eliminare la y dalla terza equazione.
A tal scopo sottraiamo -1 volte la seconda equazione dalla terza:







Il coefficiente -8 della seconda equazione è chiamato secondo pivot, mentre il coefficiente 1 della terza equazione è detto terzo pivot.
Finalmente siamo giunti ad un sistema equivalente (in una forma "triangolare) che ci permette di trovare le soluzioni sostituendo all'indietro.
Alla fine le soluzioni sono: z = 2, y = 1, x = 1.
Lo stesso però si può fare in maniera molto più rapida sfruttando le matrici.
Riprendiamo la matrice completa associata al sistema di partenza:







Il nostro obiettivo sarà rendere 0 il primo valore della seconda riga, e rendere 0 i primi 2 valori della terza riga, ovviamente attraverso le operazioni elementari sulle righe.





Non abbiamo fatto altro che lo stesso procedimento di prima, questa volta, tuttavia, con le matrici, ottenendo una matrice a gradini (o a scala).
Se volete la conferma che il risultato è lo stesso, riscrivete l'ultima matrice sotto forma di sistema e vedrete che è esattamente uguale a quello da cui abbiamo ricavato le soluzioni (z = 2, y = 1, x = 1) in precedenza.
Facciamo un ulteriore esempio, questa volta con un sistema avente 4 equazioni e 4 incognite:








Procediamo direttamente con il metodo di Gauss-Jordan per le matrici; ergo, scriviamo la matrice completa:








La prima cosa da fare è far diventare 0 il primo termine della seconda riga: addizioniamo la seconda riga con la prima riga moltiplicata per -1:









Ora, cerchiamo di far diventare 0 il primo elemento della terza riga, sommando -1 volte la prima riga alla terza riga:








Adesso possiamo fare una bella e assai conveniente cosa: scambiamo fra loro la seconda e la terza riga:









Ora dobbiamo solamente sistemare l'ultima riga: innanzitutto sommiamo -2 volte la prima riga alla quarta riga:








Dopodiché, sommiamo -1 volte la seconda riga alla quarta:









Infine, sommiamo 4 volte la terza riga alla quarta riga:








Finalmente abbiamo una matrice a gradini!
Scrivendo il sistema associato e risolvendo con sostituzione all'indietro otteniamo i risultati:
  • w = 3;
  • z = -1;
  • y = 2;
  • x = 1
Riassumendo, come abbiamo potuto constatare, il metodo di Gauss-Jordan è sicuramente molto utile nella risoluzione di sistemi di equazioni, anche se, come tutti i metodi, ha i suoi pro e contra!
A proposito di tale metodo, Gauss scrisse che “grandemente riduce il tedio dei calcoli meccanici, successo avrà chi lo utilizza”.
Ma qual è esattamente la storia del metodo di Gauss-Jordan? 
Forse non ci crederete, ma per risalire alle origini del suddetto metodo dobbiamo fare un pazzesco salto temporale all'indietro, verso l'antica Cina
Gli antichi cinesi furono i primi ad utilizzare un sistema di numerazione posizionale, un migliaio di anni prima degli occidentali, per fare i calcoli con delle bacchette di legno.
Per i cinesi i numeri assunsero da sempre un ruolo di primo piano nella loro vita: si narra addirittura che fu l'Imperatore Giallo (Huang Di), intorno al 2400 a.C. circa, a chiedere alle divinità di creare la Matematica.
La Matematica era di importanza vitale per il buon funzionamento del regno, un regno gigantesco e in continua espansione.
L'Impero necessitava di abili amministratori, competenti appunto in Matematica.
Per istruire i funzionari veniva quindi utilizzato un manuale denominato "Nove capitoli sulle arti matematiche" (Jiuzhang Suanshu).
Da prove interne all'opera e da alcuni commenti apportati dai curatori delle ultime versioni, possiamo datare il libro originale dei Nove capitoli al tempo della dinastia degli Han "anteriori", la quale regnò dal 202 a.C. al 9 d.C.
Questo fu uno dei periodi di massimo splendore nella storia cinese, il primo nel quale l'Impero raggiunse un'estensione paragonabile alla Cina moderna.
Il testo, rappresentante il più autorevole trattato matematico antico cinese, è una raccolta di 246 problemi, inerenti questioni relative al commercio e al pagamento delle tasse.
Nel 263 d.C., il matematico Liu Hui scrisse e pubblicò un libro con le soluzioni ai problemi presenti nei Nove capitoli.
Si ritiene che proprio Lui Hui sia colui che ha ideato un metodo precursore del moderno algoritmo di Gauss-Jordan.
Infatti, nell'ottavo capitolo del noto testo antico cinese, è presente un problema sulla misura del grano.
L'enunciato del problema è questo:

"Ci sono 3 tipi di grano. 3 cesti del primo tipo, 2 del secondo e uno del terzo pesano complessivamente 39 misure. 2 cesti del primo, 3 del secondo e uno del terzo pesano 34 misure. E un cesto del primo, 2 del secondo e 3 del terzo pesano 26 misure. Quante misure di grano sono contenute in un cesto di ogni tipo?"

Possiamo riscrivere il problema in forma moderna, mediante un sistema di equazioni lineari:






Ovviamente, per quanto ci riguarda, la risoluzione del sistema non crea particolari difficoltà, ma come lo ha risolto Liu Hui?
Innanzitutto, moltiplica la seconda equazione per 3 (ottenendo così 6x + 9y + 3z = 102); poi sottrae la prima equazione da questa 2 volte.
In maniera analoga, moltiplica la terza equazione per 3 (ottenendo 3x + 6y + 3z = 78) e sottrae la prima equazione da questa una sola volta.
In tal modo, ottiene il sistema:






Egli moltiplica a questo punto la terza equazione per 5 (ottenendo 20y + 40z = 195) e sottrae dal risultato la seconda equazione 4 volte.
La terza equazione diviene allora: 36z = 99, ossia z = 11/4.
Sostituendo questo valore nella seconda equazione si ricava y = 17/4 e poi x = 37/4.
MA QUESTO NON È APPUNTO IL METODO DI GAUSS-JORDAN?
Esattamente: poniamo di nuovo in rilievo che un metodo di risoluzione di sistemi dell'algebra lineare, sviluppato nel XIX secolo, in realtà risale a quasi 2000 anni prima!
Una sola parola: INCREDIBILE!
Dopo tali informazioni sbalorditive, ci proponiamo di far luce su altri 2 interrogativi finali:

1) in che occasione il celebre "princeps mathematicorum" Carl Friedrich Gauss introdusse il metodo?
2) chi è Jordan?

Gauss, fra il 1803 e il 1809, compì alcune osservazioni sull'asteroide Pallade e ne calcolò l'orbita.
Per riuscire nell'impresa, era necessario risolvere un sistema di 6 equazioni lineari in 6 incognite.
Mise dunque a punto il metodo di cui abbiamo parlato fino ad adesso.
E Jordan?
Wilhelm Jordan (1842-1899), nacque a Ellwangen, una piccola città nel sud della Germania.
Egli studiò all'instituto politecnico di Stoccarda.
Successivamente al lavoro, della durata di 2 anni, in veste di assistente ingegnere alle fasi preliminari della costruzione delle ferrovie, ritornò nel 1865 a Stoccarda come assistente in geodesia.
Dal 1881 fino alla sua morte fu professore di geodesia e geometria pratica all'università di Hannover.
Scrisse un manuale di geodesia (Handbuch der Vermessungskunde), rappresentante la sua opera più famosa.
L'algoritmo di Gauss-Jordan apparve nel 1888 nella terza edizione del suo manuale di geodesia.
Qual è il miglioramento apportato da Jordan al metodo tradizionale di Gauss?
Ebbene, Jordan ha fatto sì che il procedimento consenta di calcolare anche l'inversa di una matrice.
Aggiungo solo che una matrice quadrata A si dice invertibile se esiste una matrice M tale che AM = MA = I, dove I è la matrice identità.
Se esiste, M è unica ed è chiamata inversa di A, denotandola con la notazione A − 1.
Vorrei concludere con alcune considerazioni: siamo entrati nel mondo della geometria e abbiamo scoperto alcuni strumenti dell'algebra lineare.
Poi ci siamo soffermati sulle matrici e sul metodo di Gauss-Jordan.
La cosa che mi preme sottolineare nuovamente e maggiormente è però che tale procedimento, studiato oggi al liceo scientifico (forse) e in corsi universitari scientifici, risale a oltre 2000 anni fa.
Ciò è un piccolo ma significativo esempio del fatto che le civiltà antiche, a differenza di come comunemente ritenuto, erano veramente avanti in campo matematico e scientifico; dobbiamo a loro le fondamenta, le radici della nostra moderna cultura scientifica.