domenica 9 maggio 2021

DIRICHLET E IL PRINCIPIO DELLA PICCIONAIA

Il tema portante del prossimo Carnevale della Matematica, l’edizione n.150, che sarà ospitata da Paolo Alessandrini sul blog Mr. Palomar, è “animali”.
Abbiamo già avuto modo di vedere, qui su Scienza e Musica, alcuni collegamenti del mondo animale con la matematica, come per esempio i famosi conigli di Fibonacci (cliccate qui), e sul Tamburo Riparato avevo parlato di “cavallucci marini in geometria”, ovvero degli spidron (cliccate qui).
Oggi parleremo di piccioni e, in particolare, del cosiddetto principio della piccionaia.
Prima di scoprire cosa diavolo sia tal principio, vorrei introdurre l’importante personaggio matematico che, nel 1834, si occupò di questo singolare concetto: Dirichlet.
Johann Peter Gustav Lejeune Dirichlet nacque il 13 febbraio 1805 a Düren, in Germania, un luogo tranquillo sulle rive del fiume Ruhr, ove il padre dirigeva l’ufficio postale.

La sua famiglia paterna proveniva in particolare dal villaggio di Richelle, presso Liegi, in Belgio, da cui derivò il cognome "Lejeune Dirichlet" ("le jeune de Richelle" = "il ragazzo di Richelle”).
Quando la famiglia cominciò a crescere di numero divenne infatti necessario distinguere alcune generazioni di Dirichlet dalle altre.
Si incominciarono ad usare appellativi come il sopracitato per indicare i nuovi membri e distinguerli dal nonno, il vecchio Dirichlet.
Nonostante al momento della nascita di Peter Gustav esistesse ancora il vecchio Sacro Romano Impero Germanico, la città di Düren risultava occupata dal 1794 dalle truppe rivoluzionarie francesi, che l’avevano convertita in una delle principali città francesi della zona, sino alla loro espulsione definitiva nel 1814.
Dopo la vittoria degli alleati, durante il Congresso di Vienna (1814-1815), venne stabilito che Düren, come il resto del territorio di lingua tedesca ubicato sulla sponda sinistra del Reno, fosse ceduta al regno di Prussia.
In tal modo gli abitanti di questa città (e quindi anche la famiglia Dirichlet) e di altre importanti città vicine, come Bonn e Colonia, smisero di essere francesi e diventarono prussiani.
La famiglia di Johann Peter Gustav era colta e abbastanza benestante, aspetto che consentì al giovane di avere accesso, anche se con qualche sacrificio, ad una formazione di certo non alla portata di tutti in quell’epoca.
La scuola primaria prussiana si mostrò insufficiente per le necessità del bambino, che venne iscritto dai genitori ad una scuola privata ove potette ricevere una certa istruzione anche in latino, che risultava fondamentale come preparazione per la scuola secondaria, il Gymnasium.
Tuttavia il suo rapporto con la lingua latina, all’epoca la lingua fondamentale per le pubblicazioni scientifiche, non era (e non sarà mai) dei migliori e ciò rappresentò la sua più grande debolezza in ambito scientifico. Se il latino gli risultava noioso, lo stesso non si poteva dire della matematica, per la quale Dirichlet sviluppò ben presto una grandissima passione.
Nemmeno 12enne spendeva già le mance ricevute nell’acquisto di testi di matematica.
Questo comportamento risultava così poco diffuso tra i ragazzi della sua età da risultare strano e ritenuto quasi nocivo da qualcuno, al punto che alcune persone tentarono di spiegargli che si trattava di acquisti assurdi e al di fuori della sua portata, in quanto non avrebbe potuto mai comprendere quei libri e sarebbe stato meglio conservare il denaro per altre spese.
Il caparbio bambino rispose che avrebbe letto i libri sino a quando non sarebbe stato capace di comprenderli.
Di fronte ai buoni risultati che Dirichlet otteneva nei suoi studi e al potenziale mostrato dalle sue capacità, i genitori decisero, nel 1817, di iscriverlo al Beethoven Gymnasium di Bonn.
I Dirichlet si trasferirono per un breve periodo col figlio a Bonn, dove contattarono un conoscente di famiglia, il teologo e filosofo Peter Joseph Elvenich (1796-1886), allora un brillante studente di filosofia e lingue antiche, cattolico come loro, al quale affidarono la supervisione del loro figlio minore.
Una volta risolte le questioni di vitto e alloggio, i genitori fecero ritorno alla loro casa, lasciando che il figlio si incamminasse per la sua strada da solo.
È vero, Bonn si trova a poche decine di chilometri da Düren, ma dovete tuttavia pensare al fatto che a quei tempi non vi erano treni che collegassero le 2 città e dunque l’impatto psicologico della separazione dai genitori per un bambino di 12 anni fu enorme in un contesto simile.
Nonostante tutto, il soggiorno a Bonn fu davvero piacevole e proficuo. In tale ambiente il ragazzo poté sviluppare, oltre alla propria cultura, una personalità gentile ed educata, che gli consentì di legare facilmente con le altre persone e guadagnarsi rapidamente il loro favore.
Nel 1820 Dirichlet entrò nel Gymnasium gesuita della vicina città di Colonia, dove coltivò i suoi interessi per la matematica e per la storia, con particolare riferimento al periodo della Rivoluzione Francese.
A Colonia ebbe inoltre la fortuna di incontrare Georg Simon Ohm (1789-1854), all’epoca professore al Gymnasium, ma che sarebbe diventato celebre per le leggi che portano il suo nome inerenti alla corrente elettrica.

Grazie alla spinta intellettuale di Ohm e al suo talento, Dirichlet, nonostante la sua giovane età, arrivò a conseguire un bagaglio di conoscenze matematiche incredibilmente ampio.
Rimase un solo anno nel Gymnasium di Colonia, dopo il quale ottenne il suo diploma e smise di frequentare le lezioni.
Di ritorno a casa a Düren, i genitori cercarono di convincerlo affinché i suoi studi si indirizzassero verso il diritto, studi che gli avrebbero garantito una professione redditizia e una elevata posizione sociale, a differenza della matematica, che lo avrebbe condotto con maggiore probabilità ad attraversare difficoltà economiche e a non avere un lavoro stabile.
Dirichlet comprendeva bene il punto di vista dei suoi genitori, ma non riusciva a separarsi dalla matematica.
Acconsentì dunque di incominciare gli studi di diritto, ma lasciò intendere loro che l’avvocatura sarebbe stata solo un mezzo per guadagnarsi il suo sostentamento e che avrebbe in ogni caso continuato anche i suoi studi di natura matematica.
Va messo in evidenza che studiare matematica in Germania in quel periodo non era affatto semplice.
L’unico matematico tedesco di fama mondiale era il mitico Carl Friedrich Gauss (1777-1855), ma nel 1807 costui aveva accettato il posto di professore di astronomia nell’Osservatorio di Gottinga, ove rimase tutta la sua vita, dedicandosi fondamentalmente a studi di astronomia, geodesia e matematica applicata.
Per di più a Gauss non piaceva insegnare; in questa fase della sua vita riteneva che il livello dei suoi alunni fosse eccessivamente basso, pensiero critico che non faceva nulla per nascondere.
In Francia l’ambiente matematico risultava di livello assai superiore: all’Università di Parigi tenevano corsi alcuni tra i migliori matematici di sempre: Laplace, Legendre, Fourier, Poisson e Cauchy, solo per citarne qualcuno.
Non a caso Parigi era considerata la capitale mondiale della matematica in quel periodo.
Alla fine i genitori di Dirichlet si convinsero a supportare pienamente la passione per la matematica del figlio, ma la Prussia non poteva appunto offrire le condizioni ottimali che servivano al giovane.
Presero pertanto la decisione di mandarlo a Parigi; nel maggio 1822 il matematico si trasferì nella Ville Lumière e portò avanti i suoi studi nel Collège de France e nella Facoltà delle Scienze, ove ebbe la possibilità di assistere alle conferenze di personalità del calibro di Sylvestre-François Lacroix, Jean-Baptiste Biot, Jean Nicolas Pierre Hachette e Louis-Benjamin Francoeur.
Non si conoscono troppi dettagli sul soggiorno di Dirichlet a Parigi, ma è ben noto che oltre ad assistere alle lezioni e a prepararsi sulle materie ordinarie, si focalizzò in uno studio sistematico della famosa opera Disquisitiones arithmeticae (pubblicata nel 1801) di Gauss, grazie alla copia che sua madre gli aveva fatto recapitare a Parigi nel novembre del 1822.

Questo testo rappresentava per Dirichlet quasi un’ossessione, tanto che si dice lo tenesse permanentemente sulla sua scrivania.
Addirittura, secondo il geologo tedesco Wolfgang Sartorius von Waltershausen (1809-1876), Dirichlet portava con sé la sua copia delle Disquisitiones arithmeticae in tutti i suoi viaggi, così come i sacerdoti portavano con loro il libro di preghiere!
Ironia (o forse no!) della sorte è che lui stesso sarebbe diventato il vero successore di Gauss, anche se inizialmente non si poteva immaginare un successo di tal portata.
Infaticabile, Dirichlet lesse e rilesse il libro svariate volte durante la sua vita, sino a quando non riuscì ad assimilarlo totalmente, apprezzandone ogni minima sfumatura, un po’ come una persona “normale” è sovente fare con il proprio libro/film/serie preferita, con la differenza che qui si tratta di un’opera matematica di altissimo livello.
Mettiamola così, Dirichlet arrivò a conoscere quest’opera di Gauss meglio di casa sua!
Scherzi a parte, finalmente nell’estate del 1823 gli venne offerta un’opportunità di lavoro che gli avrebbe permesso di smettere di dipendere dall’appoggio economico dei genitori.
Infatti il noto generale francese Maximilien Sébastien Foy (1775-1825), eroe delle Guerre Napoleoniche, stava cercando un professore in grado di impartire lezioni di lingua e letteratura tedesca ai suoi figli.
Dirichlet fu raccomandato alla famiglia Foy da un amico comune, conoscente dei suoi genitori e vecchio compagno d’armi del generale.
Il nuovo incarico implicava un carico di lavoro piuttosto modesto, che gli liberò del tempo utile da dedicare agli studi.
Dirichlet si sentì presto a suo agio nell’ambiente accademico parigino e cominciò a collaborare con alcuni dei suoi professori.
La sua prima vera opera di natura accademica fu una traduzione in francese di un articolo inerente all’idrodinamica scritto da Johann Albert Eytelwein (1764-1849), un ingegnere specializzato in idraulica, oltre che professore universitario a Berlino.
Anche se si trattava di un’impresa meno rilevante rispetto a pubblicare un proprio lavoro originale, Dirichlet si sentì molto orgoglioso di tale traduzione e questa rappresentò il primo piccolo ma importante passo che lo trasformerà man mano in un gigante della matematica.