sabato 27 novembre 2010

CFC, BUCO NELL'OZONO, EFFETTO SERRA: DIVAGAZIONI SU FISICA E CHIMICA

Le relazioni che intercorrono tra fisica e chimica sono innumerevoli: si può affermare che queste 2 discipline rappresentino le basi su cui poggia l'intera scienza moderna, espressa poi con il linguaggio universale della matematica.
In tale contesto, andremo ad analizzare i rapporti tra fisica e chimica inerenti l'ambiente e l'atmosfera terrestre, studiati principalmente dalle scienze dell'atmosfera.
Partiamo, a questo punto, da un gruppo di sostanze chimiche che hanno comportato notevoli effetti nocivi proprio a scapito della nostra atmosfera: i CFC.

CFC (CLOROFLUOROCARBURI)


I CFC (clorofluorocarburi) sono sostanze divenute famose, in quanto a esse viene imputata la causa del cosidetto "buco nell'ozono".
Prima di trattare in maniera specifica gli effetti negativi dei CFC, dobbiamo soffermarci sul ruolo assunto da tali composti, fin quando non si svelò il loro "lato oscuro".
Furono introdotti negli anni '30 del XX secolo dall'ingegnere meccanico Thomas Midgley jr. e dal chimico Albert Henne come sostanze refrigeranti ideali.
La molecola refrigerante perfetta deve possedere alcuni requisiti fondamentali:

1) deve passare allo stato gassoso nel giusto intervallo di temperature;
2) deve liquefarsi (liquefazione = passaggio dallo stato aeriforme a quello liquido) per compressione, sempre all'interno dell'intervallo di temperature richiesto;
3) infine, deve assorbire quantità di calore relativamente grandi nel momento in cui passa allo stato di vapore.

Alcune sostanze, tra cui l'ammoniaca, l'etere, il cloruro di metile, il diossido di zolfo, ecc., rispondevano a questi prerequisiti che dovevano avere le sostanze per essere considerate buoni refrigeranti.
Purtroppo, tali composti possedevano aspetti negativi, come il fatto di decomporsi, oppure di essere infiammabili, velenosi o maleodoranti, o a volte anche più di uno.
Proprio per cercare di ridurre i rischi di tossicità e di esplosioni, i 2 scienziati sopracitati cominciarono a esaminare vari composti, con la speranza di trovarne alcuni con punti di ebollizione all'interno dell'ambito definito del ciclo di refrigerazione.
Tuttavia, la maggior parte delle sostanze che soddisfacevano tale richiesta erano già in uso, oppure era state scartate, in quanto poco pratiche.
Ma rimaneva una speranza: non erano ancora stati presi in considerazione i composti del fluoro.
Il fluoro, preso come singolo elemento, è un gas altamente tossico e corrosivo.
Inoltre, fino ad allora, erano stati preparati pochissimi composti organici contenenti fluoro.
Midgley e Henne elaborarono così un certa quantità di molecole diverse, contenenti 1 o 2 atomi di carbonio e un numero variabile di atomi di fluoro e cloro, in sostituzione degli atomi di idrogeno.
Si ottennero in questo modo i clorofluorocarburi (CFC), i quali rispondevano in maniera esemplare ai vari prerequisiti sopraelencati ed erano, inoltre, anche molto stabili, non infiammabili, non tossici, poco costosi per l'azienda produttrice e quasi inodori.
Addirittura Midgley, durante un convegno dell'American Chemical Society ad Atlanta (Georgia), per dimostrare il loro carattere del tutto innocuo, si sottopose ad un esperimento molto singolare: versò un po' di CFC liquido in un recipiente aperto e, mentre il refrigerante bolliva, avvicinò il viso al vapore, aprì la bocca e aspirò profondamente.
Dopodiché si voltò verso una candela accessa ed esalò lentamente i CFC, spegnendo in questo modo la fiamma: è sicuramente una dimostrazione esemplare del fatto che tali sostanze non sono assolutamente tossiche, tantomeno esplosive.
Da allora, varie molecole di CFC furono utilizzate come refrigeranti, tra cui:

- il diclorodifluorometano (Freon 12);
- il triclorotrifluorometano (Freon 11);
- l'1,2-dicloro-1,1,2,2-tetrafluoroetano (Freon 114).



Freon-114


L'entusiasmo nei confronti dei CFC iniziò a vacillare a partire dal 1974, quando i ricercatori Sherwood Rowland e Mario Molina annunciarono risultati preoccupanti.
I 2 scienziati avevano trovato che la stessa stabilità tanto apprezzata dei CFC comportava un problema del tutto inatteso ed estremamente allarmante.
Diversamente da composti meno stabili, i clorofluorocarburi non vengono scomposti da comuni reazioni chimiche.
Proprio a causa di ciò, i CFC liberati nell'atmosfera inferiore (troposfera) vi vagano per anni o addirittura decenni, fino a quando non salgono nella stratosfera, in cui vengono scomposti dalla radiazione solare.
Proprio nella stratosfera c'è uno strato di ozono (ozonosfera) che si estende da 15 a 30 km circa al di sopra della superficie terrestre.
L'ozono è una forma particolare di ossigeno composta, non come avviene solitamente, da 2 atomi di tale elemento (O2) bensì da 3 (O3).
Le 2 molecole in questione possiedono proprietà ben diverse.
Al di sopra dell'ozonosfera, l'intensa radiazione solare rompe il legame sussistente tra i 2 atomi in una molecola di ossigeno, producendo così 2 atomi di ossigeno indipendenti.
Questi ultimi ridiscendono nello strato d'ozono, nel quale ognuno di loro reagisce con un'altra molecola di ossigeno, formando una molecola di ozono.
Poi, all'interno dell'ozonosfera, le molecole (di ozono) vengono scomposte dalla radiazione UV ad alta energia, generando una molecola di ossigeno e un atomo di ossigeno.
Dopodiché 2 atomi di ossigeno si ricombinano formando la molecola O2.
In questo modo, nello strato di ozono, quest'ultimo viene costantemente prodotto e scomposto.
Nel corso dei millenni si è raggiunta una situazione di equilibrio: dunque la concentrazione di ozono nell'atmosfera terrestre rimane per lo più costante.
Tale fatto comporta conseguenze importanti per la vita sulla Terra: l'ozonosfera assorbe la parte della radiazione UV solare più dannosa per gli organismi viventi, funzionando alla stregua di un ombrello sotto cui noi ci ripariamo.
Dettò ciò, le ricerche di Rowland e Molina hanno dimostrato che gli atomi di cloro incrementavano il tasso di decomposizione delle molecole di O3.
Si veniva così a inceppare quell'equilibrio tra molecole di ozono e molecole di ossigeno, in quanto gli atomi di cloro rendono più rapida la scomposizione di O3, ma non hanno alcun effetto sulla sua produzione.
L'aspetto più allarmante di questo fenomeno sta nel fatto che non solo le molecole di ozono sono distrutte dal cloro, ma addirittura quest'ultimo agisce da catalizzatore, ossia aumenta il ritmo della reazione senza consumarsi.
Si stima che ogni atomi di cloro che riesca a giungere nell'atmosfera superiore mediante una molecola di CFC, prima di essere disattivato, distruggerà centinaia di migliaia di molecole di ozono!
Inoltre, per ogni 1% di diminuzione dello strato di O3, potrebbe penetrare nell'atmosfera terrestre un 2% addizionale della dannosa radiazione ultravioletta.
Dettò questo, il lato oscuro dei CFC si mostrò in maniera evidente con il celebre "buco nell'ozono".
Infatti, studi compiuti nel 1985 mostrarono che lo strato d'ozono presente al di sopra dell'Antartide si stava "svuotando", generando un gigantesco "buco".
Tutto ciò diede una dimostrazione del fatto che le conseguenze dei CFC erano globali, visto che nel Polo Sud, essendo una zona per lo più disabitata, non c'era una grande richiesta di frigoriferi o di lacche spray per capelli (dunque era veramente esiguo l'utilizzo di CFC).
La scoperta mise in allerta la comunità scientifica internazionale.
Nel 1987 fu approvato il Protocollo di Montreal (aggiornato nel 1990 e nel 1992), in seguito al quale l'impiego su scala mondiale dei più nocivi CFC diminuì del 40% in 5 anni.
Ciò nonostante, a partire dal 1994, l'onozo stratosferico al di sopra dell'Antartide risultava ormai completamente distrutto.
Oggi si usano come refrigerenti, al posto dei clorofluorocarburi, gli idrofluorocarburi e gli idrofluoroclorocarburi.
Tali sostanze, da una parte non danno vita agli effetti nocivi generati dai CFC, ma dall'altra non sono altrettanto efficaci come refrigeranti, e richiedono un 3% aggiuntivo di energia per il ciclo di refrigerazione.
Nell'atmosfera, comunque, vi sono ancora miliardi di molecole di CFC e inoltre, non tutti i paesi hanno firmato il Protocollo di Montreal.
Ad aggravare la situazione concorre il fatto che persino nei Paesi che lo hanno firmato, sono ancora in uso milioni di frigoriferi che li contengono.
Riassumendo, ci troviamo pertanto di fronte a delle molecole che per qualche decennio sono state giudicate in maniera assolutamente positiva, ma che, a partire dagli anni 70', sono divenute un vero e proprio problema globale: esse potrebbero continuare a fare danni per secoli.
Specifichiamo che la quantità di ozono nell'atmosfera si misura in Dobson (DU), unità di misura che prende il nome da Gordon Miller Bourne Dobson, uno dei primissimi studiosi dell'ozono atmosferico, che aveva progettato anche un particolare strumento per misurare l'O3, lo spettrometro Dobson.
Molto spesso si è soliti collegare il buco nell'ozono ad un altro celebre fenomeno: l'effetto serra.
È necessario affermare che un vero e proprio rapporto stretto di causa-effetto tra di essi non c'è.
Tuttavia, sussistono legami indiretti, primo fra tutti il fatto che i CFC, oltre a provocare il buco nell'ozono, sono anche gas serra, ossia vanno ad incrementare e potenziare l'effetto serra.

EFFETTO SERRA

Prima di tutto, specifichiamo che in assenza dell'effetto serra non potremmo vivere.
Questa sembrerà un'affermazione scellerata agli occhi di coloro che quando sentono nominare il termine "effetto serra", subito gli assegnano una connotazione del tutto negativa.
Non è così: tale effetto riscalda la superficie del nostro pianeta, mantenendo così una temperatura che permette la nascita e lo sviluppo della vita.
Se non ci fosse l'effetto serra, la Terra sarebbe una grande palla (se vogliamo essere puntigliosi un "geoide") gelata.
Essa sarebbe infatti circa 30 gradi più fredda, con una temperatura media del globo di -18 °C (l'acqua, la molecola basilare della vita, allo stato liquido sarebbe sostituita dal ghiaccio: fatto problematico allo sviluppo della vita stessa).



Dunque dobbiamo ringraziare l'effetto serra: thank you very much!!
Il "lato oscuro di questo fenomeno" esce quando ci si intromette l'uomo.
Ma prima di arrivare a tutto questo, andiamo ad analizzare come funziona l'effetto serra.
L'atmosfera riduce la quantità di radiazione solare che raggiunge il suolo terrestre.
Le nubi riflettono circa il 30% della luce solare che le colpisce e assorbono il 15% di quella che le attraversa.
Un'atmosfera limpida e senza nuvole riesce ad assorbire soltanto il 17% della luce solare che la attraversa.
Anche il suolo terrestre fa la sua parte: la neve fresca riflette fino al 90% della radiazione solare, la sabbia dei deserti il 30% circa, mentre oceani e foresti pluviali ne assorbono oltre il 90%.
In generale la superficie terrestre assorbe una parte della radiazione solare e poi la riemette sotto forma di radiazione infrarossa.
L'atmosfera è costituita principalmente da azoto (78%) e ossigeno (21%), i quali risultano pressocché trasparenti alla radiazione termica infrarossa, e la lasciano sfuggire verso lo spazio.
Ma (adesso arriva il punto cruciale) esistono alcune tipologie di gas che assorbono e rimandano la radiazione infrarossa verso la terra: ecco l'effetto serra.
Quindi, come abbiamo detto, l'effetto serra riscalda il nostro pianeta e permette la vita: il problema però si crea quando l'uomo ci mette lo zampino!
Intanto, possiamo stilare una lista dei fondamentali gas serra:

1) anidride carbonica o diossido di carbonio (CO2);
2) vapore acqueo;
3) metano;
4) ossido di azoto;
5) CFC;
6) idroclorofluorocarburi (HCFC);
7) idrofluorocarburi (HFC), ecc.

La combustione di petrolio e carbone da parte dell'uomo concorre ad incrementare la concentrazione di gas serra nell'atmosfera, i quali a loro volta vanno ad amplificare l'effetto serra naturale: è un circolo vizioso.
Dunque è il nostro uso smodato di sostanze inquinanti a determinare il surriscaldamento globale: una piccola prova: basta guardare il nostro "pianeta gemello" Venere.
Venere ha un'atmosfera ricchissima di CO2: tutto ciò determina un effetto serra così forte che la sua temperatura in superficie può oltrepassare i 460 °C, ossia superare anche la temperatura del pianeta più vicino al Sole: Mercurio!
L'auspicio sarebbe dunque quello di ridurre la produzione di gas serra, sostituendoli con fonti di energia rinnovabili e non inquinanti: energia solare, eolica, da fissione nucleare (anche se in questo ultimo caso bisogna stare comunque attenti al problema scorie radiattive) o addirittura, in futuro, da fusione nucleare (non è certa la realizzazione: riprodurre il processo di fusione nucleare (processo tipico delle stelle) sulla Terra non è cosa facile), ecc.
Dato che abbiamo trattato l'effetto serra, possiamo andare anche ad analizzare il fenomeno di propagazione di calore che lo contraddistingue: l'irraggiamento.
L'irraggiamento è uno dei principali metodi di trasmissione del calore.
Ma vi sono altre 2 tipologie fondamentali:

1) conduzione: meccanismo di propagazione del calore con trasporto di energia ma senza alcuno spostamento di materia, da un corpo caldo a uno più freddo (2° principio della termodinamica). Risponde alla legge: Q/Δt = λSΔT/d, dove:

- Q/Δt è il calore trasferito (Q) in un intervallo di tempo (Δt);
- λ è il coefficiente di conducibilità termica, il quale dipende dalla sostanza di cui è fatta la regione di materia considerata. Inoltre si misura in (W/m · K);
- S = l'area dello strato di materia dove avviene il passaggio di calore
- ΔT è la differenza di temperatura sussistente tra i 2 corpi considerati;
- d = spessore

2) convezione: trasferimento di energia con trasporto di materia, dovuto alla presenza di correnti nei fluidi. Per capire meglio come funziona, consideriamo una pentola colma d'acqua posta su un fornello. L'acqua che è direttamente a contatto con il fondo della pentola si dilata, diventando meno densa di prima. A causa della famosa spinta di Archimede tale acqua tende a salire, generando così una corrente convettiva ascendente. L'acqua che sale viene, nel frattempo, sostituita da altra acqua più fredda, che scendendo verso il basso, crea una corrente convettiva discendente. In questo modo anche quest'acqua più fredda giunge vicino alla fonte di calore e si scalda, per poi risalire a portare calore in altre zone della pentola.

Ritornando al tema chiave, l'irraggiamento, invece, è descritto dalla legge di Stefan-Boltzmann:

I = εσST4, dove:

- ε = coefficiente di emissione (o di assorbimento). Il coefficiente è sempre compreso tra 0 e 1. Nel caso in cui ε=1, il corpo emittente considerato è un corpo nero;
- σ = costante di Stefan-Boltzmann che è pari a 5,6703 · 10-8 W/(m² · K4);
- S = superficie del corpo interessata alla radiazione;
- T = sua temperatura.

Andiamo brevemente ad analizzare il caso del corpo nero.
Il corpo nero è un sistema fisico costituito da una cavità con un piccolissimo foro, tale che la radiazione che vi entra ha una bassissima probabilità di uscire.
Esso dunque riesce ad assorbire perfettamente e totalmente la radiazione entrante.
Nel 1860, il fisico tedesco Kirchhoff dimostrò che una cavità si comporta alla stregua di un corpo nero se:

- le pareti della cavità si trovano a temperatura T costante (temperatura del corpo nero);
- nella cavità è praticato un foro le cui dimensioni sono trascurabili rispetto a quelle del corpo stesso.

Questa cavità si comporta altrettanto bene come corpo nero nel caso in cui vengano scaldate le pareti: esse infatti rispondono emettendo radiazione, comportandosi così da perfetto radiatore.
La frazione di energia che fuoriesce dal minuscolo foro contiene tutte le frequenze della radiazione causata dal riscaldamento delle pareti.
Essa prende, non a caso, il nome di radiazione di corpo nero: dipende esclusivamente dalla temperatura delle pareti.
Un forno a pareti isolanti, dotato di un piccolo foro, si può considerare a tutti gli effetti un corpo nero.
Il corpo nero ha una particolare importanza perché sta alla base della nascita della meccanica quantistica.
Infatti, numerose erano le difficoltà che aveva la fisica classica (termodinamica ed elettromagnetismo) nello spiegare l'effettivo comportamento di questo sistema termico-radiativo, in quanto le previsioni classiche erano sì in accordo con i dati sperimentali, ma solamente nella regione della radiazione elettromagnetica a piccole lunghezze d'onda (ossia a bassa frequenza).
Fu il noto Max Planck, in una sua pubblicazione del 1900, a risolvere il problema del corpo nero, mostrando che le onde elettromagnetiche non assorbono energia in maniera continua, ma discreta e dando vita al concetto di quanto di energia.
Da quel momento in poi, si svilupperà la meccanica quantistica, che eliminerà qualsiasi certezza raggiunta dalla fisica classica.
In questo contesto, è necessario sottolineare l'importanza che ha avuto tale teoria (uno dei capisaldi della fisica del XX secolo) nello sviluppo della chimica.
Quest'ultima si è potuta implementare solo grazie al miglioramento del modello dell'atomo, all'introduzione degli orbitali, all'equazione di Schrödinger, al principio di esclusione di Pauli, rappresentanti solo alcuni dei principi base della teoria quantistica.
Tutta la chimica moderna, compresa l'importantissima chimica organica (o chimica del carbonio) si basa sulle leggi "bizzarre" della meccanica quantistica.
Solo per fare un esempio, la straordinaria capacità dell'atomo di carbonio di legarsi a se stesso mediante legami semplici, doppi o tripli si può spiegare solo facendo riferimento agli orbitali ibridi, concetti assolutamente non presenti nella fisica classica.
Si definisce semplicemente orbitale, la regione di spazio dove c'è oltre il 90% di probabilità di scovare l'elettrone, ma non c'è la certezza di trovarlo (100%).
Ecco la crisi di tutte le certezze, di tutte le convinzioni: il mondo della chimica (quello degli atomi, delle molecole, dei legami chimici, ecc.) è probabilistico e non deterministico.
Una vera e propria "Rivoluzione Copernicana" direbbe Kant!
Abbiamo quindi osservato come lo stesso progredire della chimica sia dipeso dalla fisica: tali discipline sono come 2 facce della stessa medaglia: non possiamo considerare una materia scientifica completamente staccata da un'altra: questo è il bello della scienza: essa è allo stesso tempo "infinita" nelle sue sfaccettature e "unica" in quanto onnicomprensiva.
Dopo questo excursus sulla meccanica quantistica, ritorniamo all'effetto serra e specialmente agli effetti che si porta dietro: il cambiamento climatico.
Come abbiamo notato in precedcenza, l'effetto serra, coadiuvato dall'inquinamento prodotto dall'uomo, incrementa la temperatura del nostro pianeta in maniera troppo eccessiva e in questo modo, si alimentano eventi estremi e catastrofici.
Primi tra tutti gli uragani: basti pensare che questi ultimi si nutrono del calore latente degli oceani.
Se noi andiamo ad aumentare le temperature degli oceani, il risultato sarà inevitabilmente uragani più forti (ricordiamo che i cicloni tropicali si misurano con la scala Saffir-Simpson) e anche più frequenti.
Esistono inoltre previsioni alquanto catastrofiche riguardo gli effetti della combinazione tra effetto serra naturale e inquinamento artificiale: lo scenario peggiore fa riferimento addirittura a una nuova piccola era glaciale.
Questa potrebbe essere causata dal suo fenomeno antitetico, ossia lo scioglimento dei ghiacci.
Partiamo da questo punto: più si incrementa la temperatura e più i ghiacciai si sciolgono.
Inoltre, questi ultimi, essendo una sorta di specchio riflettente delle radiazioni solari, nel caso iniziassero a sciogliersi, la nostra "barriera riflettente" sarebbe sempre meno efficiente, e così il ritmo di scioglimento si velocizzerebbe sempre più: una sorta di circolo vizioso.
Alcuni climatologi affermano che se si sciogliesse gran parte del Polo Nord, le acque fredde e dolci andrebbero a disturbare l'equilibrio oceanico, arrivando persino a bloccare la Corrente del Golfo, il cosiddetto "nastro trasportatore" del Nord Atlantico.
Con l'arresto di quest'ultima, si assisterebbe al fenomeno inverso rispetto al surriscaldamento globale: una sorta di piccola era glaciale nel Nord Europa.
Tirando le fila del discorso, giocare con i gas serra potrebbe portare alla rovina dell'uomo.
In altre parole, giocare (in maniera sconsiderata) con la chimica portebbe effetti, sulle dinamiche fisiche della nostra atmosfera e del nostro ambiente, inarrestabili e devastanti: nature always wins!



CONCLUSIONE

Abbiamo analizzato alcuni fenomeni riguardanti l'ambiente e in particolare l'atmosfera, riscontrando in essi particolari rapporti e legami tra fisica e chimica: forse, però, la più importante constatazione da fare è questa: fisica e chimica sono 2 figli di una disciplina senza la quale esse non potrebbero esistere, o quantomeno, esprimersi, ossia la matematica, che, a detta di Galileo, è il linguaggio con cui si presenta l'intero Universo.
In conclusione, ricordiamo che il 2011 sarà l'Anno Internazionale della Chimica, celebrativo delle importanti conquiste di tale disciplina e dei suoi innumerevoli contributi al benessere dell'umanità e all'evoluzione della scienza moderna.