martedì 8 novembre 2022

LA SCOPERTA DEL POSITRONE

Oggi ci soffermeremo nel dettaglio su un'importantissima scoperta nella storia della fisica moderna, ovvero quella del positrone, l'antiparticella dell'elettrone.
Partiremo con una breve premessa un po' tecnica, dopodiché prometto che la narrazione diventerà molto più fruibile anche per il lettore non avvezzo al formalismo matematico della meccanica quantistica e della relatività ristretta.
È ben noto che l'equazione fondamentale alla base della meccanica quantistica è l'equazione di Schrödinger (ne abbiamo parlato qui e qui)





qui scritta per particella libera (ossia in assenza di potenziale) e assumendo l'uso di unità naturali, cioè ponendo $\hbar = 1$.
Ovviamente più in generale possiamo scriverla come

$i \frac{\partial}{\partial t} | \psi (t) \rangle = H | \psi(t) \rangle$,

ove $H$ denota l'hamiltoniana di una particella libera non relativistica, ovvero

$H = \frac{\mathbf{p}^2}{2m}$.

Detto ciò, una domanda lecita sarebbe chiedersi come sia possibile estendere l'equazione di Schrödinger al caso di una particella relativistica.
Ciò che immediatamente si può fare è scrivere l'hamiltoniana grazie alla relazione di dispersione relativistica

$H = \sqrt{\mathbf{p}^2 + m^2}$,

dove abbiamo imposto, per via delle unità naturali, la velocità della luce $c = 1$ (non utilizzando le unità naturali la relazione sarebbe stata $H = \sqrt{c^2 \mathbf{p}^2 + c^4 m^2}$).
Se si andasse ad utilizzare questa nuova $H$ all'interno dell'equazione di Schrödinger si otterrebbe:






Trattasi di un'espressione problematica per essere una relazione relativistica dato che le derivate spaziali e temporali sono di ordine diverso e ciò non la rende invariante di Lorentz.
Per cercare di risolvere il problema, ossia cercare di rendere quantomeno uguale l'ordine delle derivate temporale e spaziale, possiamo provare ad applicare il termine $i \frac{\partial}{\partial t}$ a tutta l'equazione precedente, il che conduce all'espressione


 



Trattasi della cosiddetta equazione di Klein-Gordon (proposta da Oskar Klein e Walter Gordon nel 1926) per la funzione d'onda $\psi(\mathbf{x},t)$, equazione che risulta consistente con la relazione di dispersione relativistica se compiamo le seguenti identificazioni:





in cui ovviamente $H$ e $\mathbf{p}$ sono rispettivamente l'operatore hamiltoniano e l'operatore momento.
Un ultimo piccolo importante step da compiere è usare le seguenti relazioni





le quali ci permettono di scrivere l'equazione di Klein-Gordon nella sua forma covariante (per i pignoli, abbiamo assunto la convenzione "mostly minus" del tensore metrico $\eta^{\mu \nu}$ dello spazio-tempo di Minkowski):





L'equazione così scritta è invariante di Lorentz in modo esplicito, dato che $\psi(\mathbf{x},t)$ ed $m$ sono scalari, mentre $\partial_{\mu} \partial^{\mu} = \frac{\partial^2}{\partial t^2} - \nabla^2 \equiv \partial^2 \equiv \Box$, cioè l'operatore dalembertiano, è uno scalare di Lorentz in quanto prodotto scalare di quadrivettori.
Detto ciò, l'equazione di Klein-Gordon continua ad avere dei problemi.
Innanzitutto $|\psi(\mathbf{x},t)|^2$, ovvero la densità di probabilità in meccanica quantistica, non è conservata (cioè non è indipendente dal tempo) giacché abbiamo ben 2 derivate temporali nell'equazione di Klein-Gordon.
L'equazione di Klein-Gordon non può oltretutto descrivere particelle aventi spin e presenta anche stati ad energia negativa come soluzioni, il che implicherebbe densità di probabilità negative, assolutamente non consistenti con l'interpretazione probabilistica tipica della meccanica quantistica non relativistica.
Insomma, sarebbe decisamente sbagliato considerare l'equazione di Klein-Gordon come un'equazione di Schrödinger relativistica; quella di Klein-Gordon è semplicemente un'equazione d'onda relativistica!
Tale problematica venne affrontata nientemeno che dal mitico Paul Adrien Maurice Dirac (1902-1984), il quale riuscì nell'impresa di pervenire, nel 1928, ad un'equazione, la famosa equazione di Dirac (di seguito scritta in forma covariante)

$(i\!\!\not\! \partial - m) \psi(\mathbf{x},t) = 0$,

che presenta derivata spaziale e temporale entrambe del 1° ordine.
Tale equazione è tuttavia valida per gli spinori, non per funzioni d'onda scalari e, in particolare, serve a descrivere le particelle con spin semi-intero chiamate fermioni (tra cui troviamo anche l'elettrone e il positrone).
Non entreremo nel dettaglio della spiegazione di tale equazione, che andrebbe ben al di là degli scopi di questo post (gli interessati possono trovare una spiegazione già in alcuni testi della bibliografia in fondo al post).
Prima però di capire come tutto questo si ricolleghi alla scoperta del positrone voglio sottolineare il fatto che negli ultimi anni sia uscita una certa moda che consiste nel tatuarsi sul corpo l'equazione di Dirac e denominarla come "formula dell'amore".
Il problema sta nel fatto che non solo la suddetta equazione non ha nulla a che vedere con l'amore (magari già il bizzarro concetto quantistico di entanglement avrebbe leggermente più senso in tal direzione), ma spesso viene pure scritta in modo totalmente sbagliato, cioè per esempio come segue.

 

 













In questo caso non solo è chiaramente sbagliato l'utilizzo del segno +, ma c'è pure un dettaglio non da poco che manca: la slash notation
Quella barretta che risulta inserita nella vera equazione di Dirac non è infatti messa lì a caso, come fosse una trollata da parte dei fisici per complicare la vita dei poveri mortali, ma ha un significato ben preciso che coinvolge le cosiddette matrici gamma
Insomma, se proprio volete tatuarvela, vi consiglio di tatuarvi quella giusta per non farvi prendere in giro da coloro (seppur pochi 😉) che conoscono davvero l'equazione di Dirac.
Tornando alle cose serie, vi starete giustamente chiedendo a cosa sia servita tutta questa piuttosto pesante premessa.
Essa è servita in primis per farvi capire come non sia banale considerare assieme la meccanica quantistica e la relatività speciale (non mettiamo poi nel calderone la relatività generale, la cui unificazione con la meccanica quantistica è un problema ancora apertissimo in fisica).
Infatti spesso quando si parla di meccanica quantistica + relatività speciale ci si riferisce ad una teoria nota come teoria quantistica dei campi o, in inglese, quantum field theory (abbreviata QFT).
Ecco, se pensate che la meccanica quantistica sia qualcosa di molto complesso, la QFT rappresenta un netto ulteriore step in complessità, oltre a costituire un vero e proprio framework per la fisica moderna ed essere la base teorica della fisica delle particelle.
La premessa è servita poi per farvi quantomeno comprendere perché, nella storia della fisica moderna, non è stata sufficiente l'introduzione dell'equazione di Klein-Gordon e fu necessario il geniale contributo di Dirac per poter compiere giganteschi passi avanti nel tentativo di fusione tra meccanica quantistica e relatività ristretta.
Il nocciolo della questione viene in particolare dal fatto che, così come l'equazione di Klein-Gordon, pure quella di Dirac ammette soluzioni con energie negative!
Ciò implicherebbe la non esistenza di uno stato fondamentale (ground state) del sistema, poiché le particelle tenderebbero sempre a preferire di dirigersi verso stati ad energia negativa.
Oltretutto, tenendo conto che l'equazione di Dirac descrive i fermioni, e i fermioni sono quelle particelle che debbono obbedire al noto principio di esclusione di Pauli (leggete qui), si potrebbe supporre (come fece Dirac) che tutti gli stati ad energia negativa siano occupati, ossia che sussista il cosiddetto "mare di Dirac" inaccessibile alle particelle con energia positiva a causa del principio di Pauli.
Ecco un'immagine illustrativa della situazione tratta dal testo Particle Physics di Martin e Shaw.


  
 

 














Sarebbe tuttavia chiaramente possibile eccitare (in qualche modo) una particella situata nel mare infinito di Dirac delle energie negative verso la regione delle energie positive, totalmente vuota.
Il risultato sarebbe avere una buca nel mare di Dirac, tecnicamente (nel linguaggio tipico della fisica dei semiconduttori) una lacuna (in inglese hole), come ben mostra la seguente immagine.

Fonte: https://oer.physics.manchester.ac.uk/NP/Notes/Notes/Notesse28.xht














Tale lacuna (il pallino bianco della figura) è sostanzialmente un'antiparticella, cioè, in parole povere, una particella che presenta la medesima massa (ed altre proprietà) della particella originaria ma carica elettrica opposta.
Quando una particella e un'antiparticella interagiscono avviene il fenomeno dell'annichilazione, che dà luogo a particelle più leggere con rilascio di energia.
L'antiparticella dell'elettrone $e^-$ è proprio il positrone $e^+$; le 2 particelle interagiscono nello specifico a bassa energia secondo questa relazione:
 



L'introduzione del concetto di antiparticella rimase un puro risultato teorico proprio sino alla scoperta sperimentale del positrone. Entriamo ora finalmente nei meandri dell'interessante storia inerente alla suddetta scoperta. 

sabato 8 ottobre 2022

L'EQUAZIONE DI LANE-EMDEN

Il presente post è dedicato a un'equazione rilevante in ambito astrofisico: l'equazione di Lane-Emden.
L'ispirazione nel voler approfondire tale tematica è venuta tempo fa leggendo su Twitter uno splendido thread di Nereide, alias la Prof.ssa Annarita Ruberto, che riguardava l'affascinante nebulosa oscura Barnard 68.
Infatti, nel thread (che potete leggere cliccando qui) ho trovato il riferimento ad un paper di ricerca astrofisica, di Burkert ed Alves, nella cui appendice si discute brevemente di una forma speciale della sopracitata equazione utile in quel contesto specifico.
Cerchiamo dunque di scoprire il più dolcemente possibile (maggiori dettagli possono essere reperiti nella bibliografia in fondo al post) l'interessante equazione di Lane-Emden.
Per cominciare dobbiamo fare alcune considerazioni di natura idrostatica.
Agli inizi del XX secolo il problema della struttura interna e dell'evoluzione futura del Sole costituiva un vasto ambito di ricerca.
Tuttavia, nonostante non fossero ben chiare le origini del "potere radiativo" della nostra stella (fondamentale fu il contributo, nel contesto della fusione nucleare, di Hans Bethe, nel 1939, con l'introduzione della famosa catena protone-protone), questo non impedì di risolvere equazioni inerenti alla sua struttura interna.
Infatti, il primo contributo in tal direzione giunse da parte dell'astronomo statunitense Jonathan Homer Lane (1819-1880).
Le sue ricerche (condensate nell'articolo "On the theoretical temperature of the Sun, under the hypothesis of a gaseous mass maintaining its volume by its internal heat, and depending on the laws of gases as known to terrestrial experiment", datato 1869) hanno infatti dimostrato le relazioni termodinamiche tra pressione, temperatura e densità del gas all'interno del Sole.
Il punto essenziale della questione risiede nel fatto che la configurazione statica di una sfera gassosa (come il Sole o una qualsivoglia generica stella), tenuta insieme dall'autogravità, deve soddisfare la condizione di equilibrio idrostatico:

$\nabla p = - \rho g$,

dove $p$ è la pressione (che ricordiamo essere una quantità scalare), $\rho$ è la densità, $g$ è l'accelerazione di gravità e $\nabla$ è, come sempre, l'operatore nabla che applicato a $p$ fornisce il gradiente di pressione $\nabla p$.
In pratica tale equazione ci dice che la pressione ad ogni punto nell'interno di una stella è sufficiente per bilanciare il peso degli strati sovrastanti. 
Tenendo ora conto della legge di gravitazione universale possiamo scrivere che

$g = G \frac{M_r}{r^2}$,

in cui $G$ è la costante di gravitazione universale ed $M_r$ è la massa contenuta entro la sfera avente raggio $r$.
Tale massa è in particolare fornita da:

$M_r = \int_0^r 4 \pi \, r^{'2} \rho(r') \,  \mathrm{d}r'$.

L'equilibrio meccanico di una stella può pertanto essere riassunto nelle seguenti 2 equazioni differenziali:

$\nabla p = - G \frac{\rho M_r}{r^2}$

$\frac{\mathrm{d}M_r}{\mathrm{d}r} = 4 \pi \, r^2 \rho$. 

Esse si possono condensare nell'unica equazione:

$\rho = - \frac{1}{4 \pi G r^2} \frac{\mathrm{d}}{\mathrm{d}r} \left ( \frac{r^2}{\rho} \frac{\mathrm{d}p}{\mathrm{d}r} \right )$.

La suddetta equazione differenziale contiene entrambe le variabili fisiche $p$ e $\rho$, per tal ragione non è sufficiente a risolvere il problema del modello dell'interno di una stella.
Soltanto attraverso l'utilizzo di una relazione funzionale tra le 2 variabili, relazione per forza approssimata, si può ricavare una soluzione del problema.
Un tipico esempio di questo modo di procedere è proprio dato dalla soluzione di Lane-Emden, la quale si ottiene supponendo che l'equazione di stato barotropica (ovvero la relazione $p$-$\rho$) sia una relazione politropica del tipo

$p = K \, \rho^{1+ \frac{1}{n}}$,

ove $K$ è una costante di proporzionalità (dipendente dalla natura del fluido politropico), mentre $n $ denota il cosiddetto indice politropico.
Come spiegò il famoso fisico indiano (premio Nobel nel 1983) Subrahmanyan Chandrasekhar (1910-1995) nel suo brillante testo, datato 1939, Introduction to the Study of Stellar Structure, "Le trasformazioni politropiche furono inizialmente introdotte in termodinamica da G. Zeuner e sono state ampiamente utilizzate da Helmholtz e, in particolare, da Emden".
Un'interessante curiosità: l'astrofisico svizzero Jacob Robert Emden (1862-1940), tra i fondatori nel 1930 e redattore della rivista Zeitschrift fur Astrophysik, fu il marito di Klara Schwarzschild, sorella del celebre fisico tedesco Karl Schwarzschild (1873-1916), noto per i suoi fondamentali contributi inerenti alla relatività generale e, in particolare, per il concetto di raggio di Schwarzschild nello studio dei buchi neri.
Tornando al nocciolo della narrazione, dato che la trasformazione politropica (il suddetto termine tecnico venne utilizzato per la prima volta proprio da Emden nella sua opera Gaskugeln del 1907) deve essere in equilibrio idrostatico, ne consegue che la distribuzione di pressione e densità deve essere consistente con l'equazione dell'equilibrio idrostatico e con la legge di conservazione della massa.
Nel dettaglio, se riprendiamo la nostra equazione dell'equilibrio idrostatico (esplicitando $\nabla p$ come $\mathrm{d}p/\mathrm{d}r$)

$\frac{\mathrm{d}p}{\mathrm{d}r} = - \rho g = - \rho G \frac{M_r}{r^2}$

e adesso dividiamo tutto per $\rho$, moltiplichiamo tutto per $r^2$ e consideriamo la derivata rispetto ad $r$ in entrambi i membri dell'equazione, otteniamo la seguente formula:

$\frac{\mathrm{d}}{\mathrm{d}r} \left ( \frac{r^2}{\rho} \frac{\mathrm{d}p}{\mathrm{d}r} \right ) = - G \frac{\mathrm{d}M_r}{\mathrm{d}r} = - 4 \pi G r^2 \rho$.

Essa può essere riscritta come

$\frac{1}{r^2} \frac{\mathrm{d}}{\mathrm{d}r} \left ( \frac{r^2}{\rho} \frac{\mathrm{d}p}{\mathrm{d}r} \right ) = - 4 \pi G \rho$.

Questa è l'equazione di Poisson per il potenziale gravitazionale!
Per convincersene, è sufficiente ricordare che

$g = \frac{\mathrm{d} \Phi}{\mathrm{d}r} = G \frac{M_r}{r^2}$,

ove $\Phi$ denota il potenziale gravitazionale, e far riferimento al fatto che

$\frac{\mathrm{d}p}{\mathrm{d}r} = - \frac{G M_r}{r^2} \rho$.

Infatti, con pochi semplici passaggi si arriva alla celebre formula

$\nabla^2 \Phi = 4 \pi G \rho$,

ossia l'equazione di Poisson per il potenziale gravitazionale nell'usuale formalismo con il laplaciano del potenziale $\nabla^2 \Phi$.
Per capire l'origine storica e matematica del concetto di potenziale vi consiglio di leggere un post d'archivio cliccando qui
Se avete visionato il link appena fornito vi sarete resi conto come l'equazione di Poisson non sia altro che una generalizzazione dell'equazione di Laplace.
Vorrei aggiungere qui che l'equazione di Poisson, specialmente nell'ambito dell'elettrostatica, cioè $\nabla^2 \phi = - \frac{\rho}{\varepsilon}$ (ove $\phi$ è il potenziale elettrico, $\rho$ è la densità di carica ed $\varepsilon$ è la permittività elettrica), ha un'importanza cruciale.
Il suo ruolo è per esempio essenziale quando vogliamo studiare strutture formate da semiconduttori (alla base dei moderni dispositivi elettronici a stato solido), come la nota giunzione p-n (ma anche strutture più complesse), e arrivare a determinare il campo elettrico ed il potenziale elettrico ivi presente.

venerdì 10 giugno 2022

STEFAN BANACH: IL FONDATORE DELL'ANALISI FUNZIONALE

Il presente post è dedicato a ricordare uno straordinario matematico polacco, Stefan Banach (1892-1945), considerato non solo il padre della moderna analisi funzionale, ma anche uno dei matematici più influenti del XX secolo (nonostante fosse praticamente autodidatta!).
Ma partiamo dalle origini.

Stefan Banach nacque il 30 marzo 1892 al St. Lazarus General Hospital, presso Cracovia, da Stefan Greczek e Katarzyna Banach.
Il lettore attento avrà immediatamente notato che egli ereditò il nome dal padre ma il cognome dalla madre, madre che lo abbandonò appena dopo il battesimo, ovvero quando aveva solo 4 giorni di vita!
Il padre mantenne sempre il segreto sull'identità della madre, nonostante il desiderio del figlio di saperne di più.
Il bambino venne portato a Ostrowsko (piccolo villaggio situato circa 50 km al di sotto di Cracovia), paese di origine del padre, ed affidato, quantomeno per il primo periodo, alla nonna.
Tuttavia dopo pochi anni la nonna si ammalò e, di conseguenza, Greczek decise di affidare suo figlio a Franciszka Plowa, la quale viveva a Cracovia assieme a sua figlia Maria.
Interessante dettaglio sta nel fatto che il tutore di Maria fosse un intellettuale francese, Juliusz Mien, il quale percepì immediatamente il grande potenziale del giovane Banach e decise di istruirlo riguardo alla lingua francese, oltre a spingerlo probabilmente verso la matematica.
Banach frequentò la scuola primaria a Cracovia, dopodiché, all'età di 10 anni, ossia nel 1902, si iscrisse al IV Ginnasio.
Sebbene si trattasse di una scuola indirizzata fortemente verso un'educazione di tipo umanistico, il giovane ebbe la fortuna di avere come compagno di classe (e suo migliore amico) Witold Wiłkosz (1891-1941), anch'egli futuro matematico!
Durante le pause e nei dopo scuola i 2 ragazzi trascorrevano gran parte del tempo a divertirsi nel risolvere problemi matematici.
Tale scuola non si dimostrò però particolarmente stimolante al punto che Wiłkosz decise di abbandonarla nel 1906 per iscriversi ad un miglior Ginnasio; Banach invece resto lì ma si mantenne in stretto contatto con l'amico.
In ogni caso l'interesse del giovane studente era totalmente rivolto alla matematica; le altre discipline non lo interessavano affatto, al contrario di Wiłkosz che mostrava passione e talento anche per la fisica.
Banach superò l'esame finale di Ginnasio nel 1910, ma non con la lode, dato che i suoi voti erano man mano calati durante il suddetto percorso scolastico secondario.
Si potrebbe ora pensare che l'ovvia scelta nel proseguimento degli studi di Banach e di Wiłkosz fosse la matematica universitaria.
In realtà il corso degli eventi non fu così banale; infatti, i 2 amici, seppur appassionati di matematica, ritenevano che nulla di nuovo potesse essere scoperto in quel settore e dunque Banach si incamminò verso l'ingegneria (nello specifico alla Lemberg Technical University, nell'attuale Leopoli in Ucraina), mentre Wiłkosz verso le lingue orientali.
Probabilmente tale scelta controversa si dovette anche al fatto che non ci fu la presenza di particolari figure di supporto e di sprone nei confronti della loro vera passione, qualcuno magari in grado di renderli consci del fatto che, in verità, la matematica costituiva ancora un "mondo intero" da esplorare e rinnovare.
Al giorno d'oggi siamo infatti ancora pieni di rilevanti problemi irrisolti in matematica (come i noti "Problemi del millennio") e l'espansione della matematica in svariate branche, alcune totalmente nuove, ha fatto sì che ormai sia difficile parlare di persone che possano vantare una conoscenza a tutto tondo della matematica (l'ultimo matematico a cui spesso si attribuisce una "conoscenza matematica universale" fu Poincaré e talvolta anche von Neumann, due veri giganti della disciplina).
Con buona probabilità, dato che non poteva contare su un solido sostegno economico, Banach dovette mantenersi facendo del tutoraggio, cosa che gli comportò una grossa perdita di tempo, portandolo a laurearsi un po' in ritardo nel 1914.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Banach venne esonerato dal servizio militare poiché era mancino e la sua vista non risultava molto buona.
Quando poi l'esercito russo occupò Leopoli, Banach si trasferì a Cracovia, ove rimase per tutto il periodo restante della guerra e ivi riuscì a frequentare anche delle lezioni di matematica alla Jagiellonian University.
Se per Einstein, come ben noto, il 1905 fu l'annus mirabilis, l'anno in cui la sua figura divenne leggendaria grazie a ben 4 straordinari articoli pubblicati sulla rivista Annalen der Physik, l'anno in cui la vita e la carriera di Banach svoltarono fu sicuramente il 1916, in particolare la primavera.
Quello che leggerete ora potrebbe sembrare un aneddoto di fantasia ma è ciò che accadde realmente.
Il grande matematico polacco Hugo Steinhaus (1887-1972) viveva proprio a Cracovia in quel periodo.
Una sera, camminando per le strade della città polacca, si ritrovò ad ascoltare per puro caso, al Planty Park, le parole "misura di Lebesgue".

Planty Park (immagine presa da Wikipedia)
















Incuriosito (visto che a quei tempi tale concetto risultava piuttosto nuovo ed originale), Steinhaus si avvicinò alla panchina del parco e si presentò a 2 giovani che discutevano di matematica: erano Banach e Otto Nikodym.
Il suddetto incontro fortuito portò alla creazione (il 2 aprile 1919) di un'importante società matematica, la Polish Mathematical Society.
Oltre a ciò, Steinhaus sottopose all'attenzione di Banach un problema a cui non riusciva a trovare una soluzione.
La mente geniale di Banach gli consentì di pervenire alla soluzione in una settimana! Il risultato finale di quel proficuo scambio culturale fu un articolo congiunto di Steinhaus e Banach intitolato Sur la convergence en moyenne de séries de Fourier (ovvero "Sulla convergenza in media della serie di Fourier"), sottoposto all'attenzione di Stanisław Zaremba per la pubblicazione (avvenuta nel 1918).
Anche per quanto concerneva l'aspetto sentimentale della sua vita Banach doveva molto a Steinhaus; infatti tramite il collega conobbe quella che sarebbe stata la sua futura moglie, ossia Łucja Braus, con cui convolò a nozze nel 1920.
La produzione di articoli matematici di Banach dal momento del sodalizio con l'altro grande matematico polacco crebbe in maniera assai celere.
Il suo appoggio gli consentì persino di ricevere un dottorato in matematica (ricordiamo infatti che Banach non era laureato in matematica bensì in ingegneria!).
La sua tesi di dottorato, accettata da quella che è l'attuale Università di Leopoli (fondata nel 1661 da Giovanni II Casimiro di Polonia) nel 1920 e pubblicata nel 1922, poneva le basi di una nuova branca della matematica: l'analisi funzionale.
Per correttezza è necessario specificare che ricerche in tal ambito vennero compiute anche qualche anno prima del fatidico contributo di Banach.
Infatti, già a partire dal 1906, il matematico statunitense E.H. Moore (1862-1932) tentò di dar luce ad una teoria astratta dei funzionali (abbiamo parlato di tal concetto un po' qui) e degli operatori lineari.
Altri contributi in tal direzione giunsero in particolare da Erhard Schmidt, Maurice Fréchet, Frigyes Riesz, Hans Hahn, Eduard Helly e Norbert Wiener.
Ma perché tra tutti questi nomi rilevanti spicca proprio quello di Banach, ritenuto ufficialmente il fondatore dell'analisi funzionale?
Innanzitutto Banach desiderava stabilire una generalizzazione delle equazioni integrali, nello specifico il suo obiettivo era costruire una teoria astratta in grado di fornire un'alternativa valida e migliore rispetto al calcolo delle variazioni.
Per pervenire a tal obiettivo Banach introdusse uno spazio dotato di una norma, ma che non fosse definita facendo riferimento al prodotto scalare.
Cerchiamo di capire un pochino meglio almeno gli aspetti basilari della questione.
Prendiamo un generico spazio lineare (cioè spazio vettoriale) $L$ di elementi $x, y, z, ...$
Possiamo chiamare norma (denotata mediante il tipico simbolo $\left \|  \right \|$) in $L$ un funzionale che soddisfa 4 condizioni essenziali:

1) $\left \| x \right \| \geq 0$;

2) $\left \| x \right \| = 0$ se e solo se $x = 0$;

3) omogeneità: $\left \| ax \right \| = |a| \cdot \left \| x \right \|  $, ove $a$ è uno scalare;

4) disuguaglianza triangolare: $\left \| x + y \right \| \leq \left \| x \right \| +  \left \| y \right \| $.

Naturalmente uno spazio lineare $L$ in cui è definita una norma viene anche detto spazio normato.
Ogni spazio normato può esser visto come uno spazio metrico (ne parlammo, tra le altre cose, qui) se definiamo la distanza come $\rho(x,y) = \left \| x - y \right \| $.
Per arrivare tuttavia alla definizione vera e propria di spazio di Banach, concetto a dir poco fondamentale nell'ambito dell'analisi funzionale, manca un piccolo tassello nel nostro puzzle: la completezza!
A tal proposito abbiamo bisogno di introdurre la nozione di successione di Cauchy (o successione fondamentale).
Dato un generico spazio metrico $R$, una successione $\left \{ x_n \right \}$ è detta di Cauchy se, $\forall \varepsilon > 0$, esiste un numero $N_{\varepsilon}$ tale che la distanza $\rho(x_{n'}, x_{n''}) < \varepsilon$   $\forall n' > N_{\varepsilon}$ e $\forall n'' > N_{\varepsilon}$.
Ora aggiungiamo che se ogni successione di Cauchy risulta convergente in $R$, allora questo spazio metrico è completo.
Giacché le proprietà degli spazi metrici si possono estendere anche agli spazi normati, la conclusione di questo importante discorso è che uno spazio di Banach non è altro che uno spazio normato completo!
Un'importantissima osservazione che possiamo compiere relativamente agli spazi di Banach sta nel fatto che uno spazio di Banach rappresenta un concetto più generale rispetto ad uno spazio di Hilbert (nozione su cui si poggia, tra le altre cose, in maniera massiva la meccanica quantistica), proprio perché abbiamo constatato che per definire una norma non abbiamo necessariamente bisogno di un prodotto scalare, cosa di cui invece abbiamo certamente bisogno quando parliamo di spazi di Hilbert.
In altri termini, ogni spazio di Hilbert è sicuramente uno spazio di Banach. Viceversa, uno spazio di Banach è anche uno spazio di Hilbert se, e solo se, la sua norma è indotta da un prodotto scalare!
Se considerassimo uno spazio di Banach che non sia anche di Hilbert esso perderebbe sostanzialmente il concetto essenziale di ortogonalità di 2 elementi.
A seguito di questo doveroso excursus, facciamo ora ritorno all'ultima parte della biografia di Banach.
La poderosa tesi inerente all'analisi funzionale venne discussa all'interno dei circoli accademici e rappresentò la spinta definitiva utile al matematico per venir nominato professore presso il Politecnico di Leopoli.
Allo stesso tempo, ottenne pure la la seconda Cattedra di Matematica dell'Università di Leopoli.
Il periodo di mezzo tra le 2 guerre mondiali fu estremamente impegnativo per Banach: oltre a continuare nella produzione continua di paper di ricerca, si dedicò alla scrittura di manuali scolastici di aritmetica, geometria ed algebra.
Nel 1929, assieme a Steinhaus, fondò una nuova rivista matematica, Studia Mathematica, dedicata principalmente alla ricerca nel campo dell'analisi funzionale ed argomenti affini.
Sempre in quel periodo Banach incominciò a produrre quella che è considerata la sua opera più famosa, la prima monografia concernente la teoria generale dello spazio lineare-metrico, intitolata Teoria operacji liniowych (pubblicata nel 1931).
L'opera venne tradotta l'anno dopo in francese, traduzione che contribuì a farle ottenere un più ampio riconoscimento da parte dei circoli accademici europei.
Essa costituì peraltro la prima di una corposa serie di monografie a cura di Banach e della sua cerchia di matematici, la cosiddetta "Scuola di Leopoli", i quali erano soliti riunirsi al Caffè Scozzese nel centro storico di Leopoli.
Vediamone la magnifica immagine tratta da Wikipedia.




















Purtroppo sappiamo bene che nel 1939 scoppiò la Seconda guerra mondiale e Leopoli finì sotto il controllo dell'Unione Sovietica per quasi 2 anni.
Intanto Banach divenne membro corrispondente dell'Accademia delle scienze dell'Ucraina e, in buoni rapporti con i matematici sovietici, si trovò costretto a promettere di imparare l'ucraino per poter mantenere la sua cattedra e continuare le sue attività accademiche.
Ma la situazione non restò così a lungo. Infatti, per via dell'Operazione Barbarossa, nel giugno 1941 i tedeschi conquistarono Leopoli e tutte le università vennero di conseguenza chiuse.
Banach fu arrestato con l'accusa di traffico di valuta tedesca ma rilasciato dopo poche settimane. Sopravvisse a un periodo in cui vennero assassinati accademici polacchi e il suo supervisore di dottorato Lomnicki morì nella tragica notte del 3 luglio 1941 quando si verificarono molti massacri.
Verso la fine del 1941 Banach lavorò (assieme a diversi colleghi e a suo figlio) come "alimentatore di pidocchi" nell'istituto tedesco che si occupava di malattie infettive (in particolare era in corso una ricerca sul tifo epidemico). Nutrire i pidocchi rappresentò sostanzialmente la sua vita durante il resto dell'occupazione nazista di Leopoli fino al luglio 1944.
Non appena le truppe sovietiche presero nuovamente possesso di Leopoli (nella cosiddetta "Offensiva Leopoli-Sandomierz"), Banach rinnovò i suoi contatti all'Università.
Tuttavia, poiché i sovietici stavano rimuovendo i polacchi dai territori annessi precedentemente della Polonia, Banach cominciò a prepararsi a lasciare la città e a stabilirsi a Cracovia, dove gli era stata promessa una cattedra all'Università Jagellonica. 
Fu anche considerato come candidato alla carica di ministro dell'Istruzione della Polonia. 
Nel gennaio 1945 gli fu però diagnosticato un cancro ai polmoni e gli venne concesso di rimanere a Leopoli. 
Banach esalò l'ultimo respiro il 31 agosto 1945, all'età di 53 anni. Al suo funerale, al cimitero di Lychakiv, parteciparono centinaia di persone.
Concludiamo ricordando che, oltre all'introduzione del fondamentale concetto di spazio di Banach e ai suoi lavori pionieristici nell'ambito dell'analisi funzionale, Banach diede anche importanti contributi alla teoria degli spazi vettoriali topologici, alla teoria della misura, alla teoria degli insiemi e alla teoria dei polinomi ortogonali, e il suo nome è associato anche alla cosiddetta algebra di Banach e al celebre paradosso di Banach-Tarski relativo alla decomposizione di una singola sfera in 2 sfere.

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Fonti essenziali:



- Storia del pensiero matematico (II. Dal Settecento a oggi) di Morris Kline

giovedì 10 marzo 2022

UN GIGANTE DELLA FISICA MATEMATICA MODERNA: LUDVIG FADDEEV

In questi giorni l'argomento al centro delle discussioni è ovviamente l'orrore della guerra in Ucraina, che si spera termini al più presto. 
Nel XXI secolo l'uomo dovrebbe aver imparato dal passato che le guerre portano solo morti, dolore e distruzioni specialmente a scapito delle persone più deboli, di coloro, persino tanti bambini, che si ritrovano da un giorno all'altro catapultati da una vita regolare (già di per sé con le sue problematiche) in uno scenario terrificante.
Va però anche detto che ci sono stati degli episodi agli onori delle cronache in cui si è preso tutto ciò come pretesto per denigrare la cultura russa in generale, che nulla ha a che vedere con quello che sta accadendo.















Non è disprezzando/censurando improvvisamente la musica di Tchaikovsky e Shostakovich, la letteratura di Dostoevskij e Tolstòj, l'arte di Kandinskij e Brjullov e così via che la guerra magicamente finirà e/o si diventerà persone umanamente migliori.
La cultura (nel senso più ampio del termine) non è mai un male, è l'assenza di cultura ad esserlo!
Questa breve premessa ci fornisce l'input per estendere il discorso anche al mondo scientifico.
A tal proposito, questo post sarà dedicato ad un'analisi biografica di un grandissimo fisico e matematico russo, Ludvig Dmitrievich Faddeev (1934-2017), il cui nome viene talvolta scritto anche come Ludwig Dmitriyevich.
Ludvig Dmitrievich Faddeev nacque il 23 marzo 1934 a Leningrado (l'attuale San Pietroburgo), in Russia, da Dmitrii Konstantinovich Faddeev (1907-1989) e Vera Nikolaevna Zamyatina, anche nota come Vera Fadeeva (1906-1983), entrambi famosi matematici.














Nello specifico, il padre era un celebre algebrista, professore all'Università di Leningrado e membro dell'Accademia russa delle scienze, la madre era conosciuta tra gli addetti ai lavori per i suoi lavori nel settore dell'algebra lineare numerica.
Ludvig trascorse i suoi primi anni di vita a Leningrado, ma ben presto dovette fuggire dalla città durante la Seconda guerra mondiale, quando la città venne assediata dagli eserciti tedeschi.
Nel settembre 1939, la Russia, alleata con la Germania (si legga a tal proposito, cliccando qui, circa il patto Molotov-Ribbentrop), invase la Polonia da est. Ciò ha avuto scarso effetto sulla vita a Leningrado, almeno per un po' di tempo. 
Nel giugno 1941, tuttavia, il corso della guerra mutò radicalmente per coloro che vivevano in Russia da quando la Germania invase il loro paese. Entro il mese successivo Hitler aveva in programma di conquistare sia Leningrado che Mosca. 
Mentre gli eserciti tedeschi avanzavano rapidamente verso Leningrado nell'agosto 1941, molte persone furono evacuate dalla città, inclusa la famiglia Faddeev. 
Per tutta la durata dell'assedio di Leningrado, la famiglia Faddeev visse a Kazan, che si trova a circa 800 km a est di Mosca e considerata al sicuro dall'invasione tedesca.
Per molto tempo non ci fu possibilità di tornare a Leningrado, che fu liberata dall'assedio solo nel gennaio 1944. 
Anche dopo la fine dell'assedio, l'accesso alla città devastata fu per molto tempo possibile solo con un permesso speciale. La famiglia Faddeev, insieme ad altri colleghi, ottenne tali permessi e Ludwig vi poté tornare con i suoi genitori.
Finito l'incubo della guerra, il giovane Faddeev dovette compiere un'ardua scelta tra perseguire una carriera nella musica oppure nel mondo accademico. 
I suoi genitori lo incoraggiarono ad intraprendere una carriera musicale poiché suonava il piano ad un livello tecnicamente molto elevato. Un tempo pensava infatti che avrebbe studiato musica al Conservatorio di Leningrado piuttosto che andare all'università. 
Terminò la scuola media n. 155 nel distretto Smolninskiy di Leningrado. 
Al liceo ebbe molti interessi diversi tra cui la modellazione radiofonica, lo sci di fondo e la fotografia. Una volta affermò di apprezzare l'algebra molto più della geometria e quando fu guidato su come risolvere i problemi trigonometrici con i metodi della geometria analitica si sentì eccitato.
Dopo il diploma di scuola superiore, ottenuto nel 1951, alla fine Faddeev scelse il percorso universitario e, in particolare, la facoltà di Fisica dell'Università statale di Leningrado.
Quando Faddeev incominciò i suoi studi universitari Joseph Stalin era Premier dell'Unione Sovietica e ben presto il giovane scienziato fu obbligato a comparire davanti al Comitato Comsomol (Gioventù Comunista) locale. Gli fu chiesto se gli piacesse leggere i romanzi di Knut Hamsun, uno scrittore norvegese che vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1920.
D'altronde Hamsun aveva sostenuto la Germania durante la Seconda guerra mondiale e i suoi romanzi, pertanto, erano considerati da Stalin inaccettabili.
Fortunatamente per Faddeev, Stalin morì (precisamente il 5 marzo 1953) poco tempo dopo l'evento e quindi la rognosa controversia non ebbe un seguito. 

mercoledì 2 febbraio 2022

1 LITRE OF TEARS: UNA SERIE CHE SCAVA NEL PROFONDO DI UNA MALATTIA TREMENDA

Continuiamo con la serie di post dedicati alle recensioni/analisi di grandi serie tv o anime.
Oggi parliamo di 1 Litre of Tears (il titolo originale è 1 Litre no namida), una serie giapponese (nello specifico un dorama) di 11 puntate andata in onda nel 2005 su Fuji TV e che potete trovare anche su YouTube con sottotitoli in inglese (riporto il video del primo episodio di seguito).
 

In verità sono stati realizzati anche altri adattamenti della medesima storia, ma qui ci riferiremo alla serie capolavoro appena menzionata.
Partiamo subito con una premessa. Se vi aspettate di guardare un'opera di intrattenimento leggero e da binge watching, 1 Litre of Tears è ciò che vi è di più distante dalle tipiche produzioni cinematografiche e televisive che vanno di moda.
Questo discorso lo avevamo già fatto nella recensione su Navillera (cliccate qui per leggerla).
In 1 Litre of Tears il discorso è portato agli estremi; l'intera opera non è mai caratterizzata da momenti banali, ogni singolo secondo della serie ha una sua importanza e un significato profondo. Alcune scene sono proprio toste da digerire e non perché siano banalmente spaventose come quelle di un film horror, ma perché riportano momenti di cruda e dura realtà, che purtroppo non è sempre costituita dal cliché dell'happy ending.
Anche il titolo non è un'esagerazione; le lacrime scorrono a fiumi sia all'interno della serie, ma sono con elevata probabilità tantissime anche le lacrime che la vicenda, la recitazione perfetta e le magnifiche musiche di accompagnamento vanno a suscitare nello spettatore sin dalla primissima puntata.
Attenzione però a non manifestare subito il pregiudizio che siccome sia una serie indubbiamente molto triste non valga la pena di essere guardata.
Il probabile pianto che suscita una vicenda del genere non è solo di tristezza di fronte a una storia così intensa da colpire nel profondo di chiunque possieda almeno un briciolo di sensibilità, ma è spesso un pianto di forte commozione di fronte all'incredibile forza di volontà e spirito dimostrati dalla protagonista.
Evidenziamo sin da ora che pur essendo un adattamento romanzato (diciamo una versione più "allegra" della ancora più cruda realtà dei fatti), la serie è basata su una storia vera narrata nell'omonimo diario di memorie di Aya Kitō (1962-1988) 1 Litre no namida, pubblicato nel 1986 e che è arrivato a vendere ben 18 milioni di copie in Giappone.
A seguito di questa doverosa premessa, andiamo finalmente a capire di cosa tratta nello specifico l'opera.
Trattasi della storia di una ragazza di 15 anni, Aya Ikeuchi (interpretata da Erika Sawajiri), cioè la versione romanzata di Aya Kitō, la quale improvvisamente viene colpita da una malattia terribile.
I primi segni della malattia iniziano a manifestarsi con strane perdite di equilibrio e relative cadute, che vengono in un primo momento ignorate dalla ragazza e scambiate per sintomi di forte stress.
Aya è una ragazza allegra, solare e molto portata per lo sport, in particolare per il basket.
Nessuno poteva immaginare che di lì a poco la sua vita sarebbe cambiata radicalmente, non permettendole di condurre la "normale" vita di una studentessa di scuola superiore.
La famiglia di Aya è composta, oltre che dalla stessa Aya, dal padre Mizuo, il quale gestisce un'attività di vendita di tofu, dalla madre Shioka, dal fratello più piccolo Hiroki e da 2 sorelle, Ako e Rika.




















Un giorno, dopo una brutta caduta che fa finire Aya in ospedale, la visita di un medico specializzato in neurologia, Hiroshi Mizuno, porta alla tragica scoperta: Aya è affetta da atassia spinocerebellare (abbreviata SCA).

Immagine tratta da Wikipedia




















È una malattia neurologica di origine genetica che si può manifestare in svariate tipologie differenti, ma purtroppo molte di queste sono a dir poco nefaste per l'individuo che le sviluppa.
È in particolare una malattia degenerativa, il che significa che progredisce nel tempo, portando alla manifestazione di sintomi sempre più gravi, sino a condurre alla morte.
La serie tv è esplicita sin dalla prima puntata sull'infernale percorso che Aya si troverà man mano ad affrontare per via della suddetta malattia.
Inizialmente, come detto, la patologia si manifesta con perdite improvvise nell'equilibrio, tuttavia man mano comporta una vera difficoltà nel camminare (costringendo alla fine all'utilizzo di una sedia a rotelle) e addirittura nel parlare.
Nelle fasi finali della malattia l'individuo si ritrova praticamente allettato, incapace di comunicare verbalmente e con alta possibilità di strozzarsi e soffocare persino mangiando!
Ma l'aspetto più triste di tutto questo è che non esiste alcuna cura per tale malattia, non esisteva ai tempi della produzione della serie e non esiste tuttora oggi.
Insomma la SCA si abbatte come un tornado nella vita di una 15enne fino a quel momento spensierata e che si avviava a conseguire le prime esperienze sentimentali e a cominciare a pensare a cosa avrebbe fatto una volta terminati gli studi scolastici.
Inizialmente solo la madre apprende che la figlia è malata, cercando disperatamente di consultare tutti i medici possibili alla ricerca di una cura per la figlia.
La risposta di qualunque esperto è sempre la stessa: la patologia è incurabile e c'è solo la minima speranza che in futuro la medicina riesca a fare progressi significativi.
Il consiglio che viene subito dato alla madre è di riferire ad Aya della sua condizione, in maniera tale che possa ottimizzare il tempo a lei rimanente prima che i sintomi diventino gravi ed implacabili.
La madre ed il padre decidono tuttavia di mantenere per un po' il segreto, ma questo diventa ben presto un "segreto di Pulcinella" poiché Aya non è una ragazza stupida e capisce dopo poco che c'è qualcosa che non va nel suo corpo.
Nel frattempo la giovane studentessa fa la sua conoscenza con un ragazzo singolare, apparentemente freddo e distaccato di nome Haruto Aso.
Questi aveva perso da poco tempo il fratello maggiore, il quale avrebbe potuto continuare la tradizione di famiglia di studiare medicina e poter aiutare le altre persone.
Nonostante il suo carattere glaciale, Haruto si trova ad aiutare in diverse situazioni iniziali Aya e sviluppa man mano un certo interesse per la stessa.
Haruto sarà una figura fondamentale nel tormentato percorso di vita di Aya, anche se è opportuno specificare che questo ragazzo è frutto di un puro artifizio letterario, giacché nella storia di vita reale, quella di Aya Kitō (le cui foto e citazioni vengono riportate nei titoli di coda di ogni puntata), non è presente alcun ragazzo ed Aya appare molto più sola di quanto non lo è nella serie tv.
Insomma il mondo reale è talvolta più duro e crudele delle storie di fantasia.


In ogni caso la serie fa riflettere perché lo spettatore può ad ogni passo tentare di immedesimarsi nella ragazza e nella sua famiglia e cercare di comprendere cosa si possa provare in una situazione del genere, quali scelte appaiono più sensate e si giunge alla fine a sviluppare una totale ammirazione per la forza mostrata da Aya, una forza commemorata anche nell'ultima toccante puntata con una scena che ricorda un'altrettanta commovente scena del film Schindler's List
L'analogia con il film capolavoro di Steven Spielberg datato 1993 non si limita secondo me a questo.
Schindler's List è la storia della durissima persecuzione subita dagli ebrei per via delle atrocità nei loro confronti pensate dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, ma è, allo stesso tempo, la storia di un uomo, Oskar Schindler (interpretato magistralmente da Liam Neeson) che, inizialmente interessato solo ai soldi e alla bella vita, arriva infine a rendersi conto, osservando gli orrori presenti nei campi di concentramento, dell'importanza della vita umana e a compiere un gesto che nessuno si aspetterebbe da qualcuno legato al filone nazista.
A proposito di Schindler's List, riporto di seguito la splendida esecuzione al sassofono da parte di Dave Koz del Main Theme.

venerdì 14 gennaio 2022

CARNEVALE DELLA MATEMATICA #156: MATEMATICA DELLA VITA E VITA NELLA MATEMATICA


"La vita non si misura attraverso il numero di respiri che facciamo, ma attraverso i momenti che ci lasciano senza respiro." Maya Angelou





Benvenuti alla 156ª edizione del Carnevale della Matematica, la quarta che ha l'onore di ospitare il blog Scienza e Musica!
Tale edizione ha nome in codice (come ormai ben noto dovuto a Popinga) "canta il merlo, canta allegro" e cellula melodica (grazie a Dioniso Dionisi, cioè Flavio Ubaldini) seguente. 

La tematica selezionata come filo conduttore del presente evento è, come tradizione, ricchissima di spunti di riflessione: "Matematica della vita e vita nella matematica"
Prima di aprire la passerella ai vari interessanti contributi inviati dai carnevalisti per questa edizione, immancabile è un'introduzione dedicata al tema dell'edizione.
Come avevo già segnalato nella 1ª call for papers, il tema si presta ad una doppia lettura.
Da una parte abbiamo la matematica della vita e quindi inerente agli esseri viventi in generale, essere umano compreso. 
È un tema che apre spiragli verso l'attualità, dato che anche la matematica ha avuto e sta avendo un ruolo di analisi ed aiuto relativamente alla pandemia da Covid19 che sta creando grossi disagi (e purtroppo pure molti morti) sin dall'inizio del 2020 (si veda a tal proposito, ad esempio, l'articolo, pubblicato su Infectious Disease Modelling, Volume 6, 2021, di Gumel, Iboi, Ngonghala ed Elbasha cliccando qui). 

Illustrazione di Eunice Dhivya
















Dall'altra parte abbiamo la vita nella matematica, cioè, in generale, la nostra personale esperienza (e tempo trascorso) con la matematica o quella di coloro che in passato e nel presente hanno dedicato/dedicano la loro esistenza a contribuire allo sviluppo (più o meno grande) di tale meravigliosa disciplina. È pertanto un tema assai variegato e dalle mille sfaccettature, come avrete modo di scoprire nella sezione ad esso dedicata del Carnevale.
In questa introduzione ci focalizzeremo sulla prima grossa tematica, dato che si presta molto meglio ad essere analizzata in tal contesto, mentre lasceremo la seconda unicamente alla libera interpretazione (e anche alle esperienze e contributi personali) dei partecipanti.
Non c'è forse modo migliore di incominciare che riportare un estratto dalla Prefazione del libro (datato 2010) La matematica della vita del professore emerito di matematica all'Università di Warwick (e grande divulgatore scientifico) Ian Stewart:

"Nel vasto campo della matematica, la teoria e le applicazioni pratiche si sono storicamente sviluppate in parallelo, dal momento in cui i primi uomini hanno inciso tacche su pezzi di ossa per registrare il succedersi delle fasi della Luna fino alle recenti indagini sul bosone di Higgs condotte con il Large Hadron Collider. I calcoli di Isaac Newton ci hanno fornito precise informazioni sugli spazi dell'universo e le forze che vi interagiscono, e durante gli ultimi tre secoli i suoi successori hanno scoperto e imparato a trattare tutti i fenomeni della fisica, utilizzando gli strumenti della matematica: il calore (nella disciplina detta termodinamica), la luce (nell'ottica), il suono (nell'acustica), la meccanica dei fluidi e, più tardi, la relatività e la meccanica quantistica. Il pensiero matematico è diventato il paradigma (cioè l'insieme degli strumenti d'indagine e di argomentazione descrittiva) essenziale delle scienze fisiche. 
Fino a tempi relativamente recenti, per le scienze della vita la situazione era diversa. In questo settore la matematica era, nel migliore dei casi, una sorta di servo tuttofare: aveva, come si dice, un ruolo ancillare. Veniva utilizzata per eseguire calcoli di tipo tradizionale e per valutare l'attendibilità degli schemi statistici rilevabili nei dati sperimentali ottenuti. La matematica non forniva contributi importanti per formulare nuove ipotesi teoriche o semplicemente per concorrere alla comprensione dei fenomeni. Non era fonte d'ispirazione per grandi teorie o grandi esperimenti. In effetti, per un lungo periodo della storia della scienza la matematica avrebbe potuto semplicemente non esistere. Oggi la situazione sta cambiando. Recenti scoperte nel campo della biologia hanno dato il via alla formulazione di una quantità di importanti problemi, ed è improbabile che molti di questi possano essere risolti senza massicci contributi forniti dalla matematica. La varietà delle ipotesi matematiche oggi utilizzate nelle scienze della vita è enorme e le richieste che vengono dai vari settori della biologia stimolano lo sviluppo di procedure di calcolo e analisi del tutto nuove, specificamente adatte a descrivere i processi degli esseri viventi. I matematici e i biologi del nostro tempo lavorano insieme su alcuni temi, estremamente complessi, che la specie umana non aveva mai affrontato in precedenza: tra questi la natura e l'origine del fenomeno vita.
La biologia è destinata a diventare il grande territorio di frontiera per la matematica del XXI secolo."

È proprio così, la matematica si sta man mano prefigurando come linguaggio della scienza a 360°, mantenendo però contemporaneamente e chiaramente anche l'aspetto di disciplina a se stante, la cosiddetta matematica pura, in cui la ricerca non è puntata esplicitamente a trovare nuove applicazioni "concrete", bensì alla curiosità matematica in sé, che spinse e continua a spingere generazioni di matematici a "poggiarsi sulle spalle dei giganti" del passato e ampliare la nostra visione globale della matematica.
Recentemente, il 5 ottobre 2021, uno dei premi Nobel assegnati per la Fisica è andato ad un grande fisico teorico italiano, il Prof. Giorgio Parisi dell'Università "La Sapienza" di Roma, per i suoi studi inerenti ai sistemi complessi.
Tra i rilevanti sistemi complessi studiati da Parisi risultano anche le incredibili coreografie effettuate dagli storni nel cielo. Di seguito uno splendido video illustrativo con sottofondo musicale fornito dal meraviglioso Canone di Pachelbel.

Questo tipo di problemi viene affrontato, tra le altre cose, grazie alla meccanica statistica.




















Tornando seri, il lettore non addetto ai lavori potrebbe chiedersi cos'è nello specifico la meccanica statistica e perché ha avuto un ruolo rilevante negli studi compiuti da Parisi.
Per cercare di rispondere a tali interrogativi, partiamo dal fatto che anche coloro che hanno avuto esperienze scolastiche minime di fisica avranno magari nei loro ricordi i problemi che vanno ad analizzare un singolo corpo (il famoso punto materiale) o comunque situazioni in cui compare un numero relativamente basso di oggetti e vincoli.
Pure coloro più appassionati e/o coraggiosi che approcciano per la prima volta la meccanica quantistica (abbreviata MQ) in modo serio (per "serio" intendo con tutto il formalismo matematico associato e non solo raccontata come favoletta o romanzo in cui il gatto di Schrödinger è praticamente sempre protagonista!), in verità, si trovano ad affrontare quella che è una versione semplificata della MQ, ovvero la MQ degli stati puri.
La MQ degli stati puri va benissimo come base di partenza per svariati aspetti della fisica, ma se si volesse per esempio capire un po' nel dettaglio il singolare fenomeno dell'entanglement quantistico, allora questa non sarebbe sufficiente e infatti occorre introdurre il concetto di matrice o operatore densità, il quale si fonda a sua volta sul fatto che lo stato di un sistema fisico in MQ non è in generale totalmente determinato.
Potremmo conoscere alcune caratteristiche di quel sistema, ma è impossibile descrivere tutte le sue proprietà.
In termini tecnici, ciò che noi sicuramente conosciamo (a meno che il sistema non sia uno stato puro, il quale è completamente noto) è che il sistema si trova in uno stato appartenente ad un certo ensemble statistico $\left \{ | \psi_1 \rangle, | \psi_2 \rangle, ..., | \psi_l \rangle  \right \}$, con probabilità $\left \{p_1, p_2, ..., p_l  \right \}$, e che si verifichi l'ovvia condizione $\sum_{i = 1}^{l} p_i = 1$. 
Si parla nello specifico, in tal caso, di miscela statistica di stati $| \psi_k \rangle$ con peso $p_k$.
Tornando ad un livello di narrazione alla portata di chiunque e generalizzando il discorso, come ben riassume Wikipedia, "la meccanica statistica è la branca della fisica che utilizza la statistica e la teoria della probabilità per lo studio del comportamento meccanico e termodinamico di sistemi composti da un gran numero di particelle".
Nel caso vogliate approfondire, abbiamo incominciato, qui su Scienza e Musica, ad introdurre i primissimi elementi fondamentali della meccanica statistica qui, qui e qui.
Riporto ora un breve stralcio dall'ultimo libro dello stesso Giorgio Parisi, In un volo di storni, ove viene illustrata in sintesi la sua ricerca (compiuta assieme al suo team) a cavallo tra la fisica e la biologia:

"Anche se studiare il comportamento degli storni è ovviamente materia da biologo, lo studio quantitativo dei movimenti tridimensionali degli individui richiede un'analisi che può essere fatta solo da fisici. L'analisi contemporanea di migliaia di uccelli su centinaia di foto per ricostruire le traiettorie dei singoli esemplari nello spazio e nel tempo è un'attività tipica del nostro mestiere. Le tecniche adatte a queste analisi hanno molto in comune con quelle che abbiamo sviluppato per risolvere i problemi di fisica statistica o per analizzare quantità massicce di dati sperimentali. 
Dopo quasi due anni di lavoro eravamo gli unici al mondo a possedere le immagini tridimensionali di gruppi di storni...Quando guardiamo gli stormi a occhio nudo da terra, una delle caratteristiche più impressionanti è vedere come la loro forma cambi molto velocemente; è difficile descriverlo a qualcuno che non l'abbia mai visto: in cielo si muovono oggetti di forma variegata che all'improvviso diventano più piccoli, più schiacciati, poi si riallargano, cambiano, diventano quasi invisibili, poi più scuri. C'è un'enorme variazione nella loro forma e nella loro densità.
Molte simulazioni del volo, in cui si cercava di riprodurre al computer questo comportamento, partivano da stormi che erano sostanzialmente di forma sferica. Le prime foto tridimensionali ci hanno mostrato però che uno stormo assomiglia piuttosto a un disco. Proprio per questo motivo vediamo la forma variare rapidamente: un oggetto a forma di disco, a seconda della direzione da cui è osservato, può diventare molto grande e tondo se visto di piatto o decisamente più stretto se visto di taglio. L'enorme e velocissima variazione di forma e densità risulta quindi essere l'effetto tridimensionale del cambiamento dell'orientazione dello stormo rispetto a noi (spiegazione che era stata avanzata da Nicola Cabibbo prima di fare l'esperimento, ma senza i dati osservativi non potevamo dimostrare che l'intuizione era corretta). Siamo stati invece estremamente sorpresi nello scoprire che la densità al bordo rispetto alla densità al centro è maggiore di quasi il 30%." 

Questo piccolo assaggio dell'imponente lavoro dello straordinario fisico teorico italiano mostra pertanto come sia possibile andare a implementare nuovi standard, derivati dalla fisica (e quindi con alla base un massiccio uso di matematica), per indagare problemi estremamente complicati in ambito biologico e che con la sola biologia non sarebbero risolvibili.
Restiamo nell'ambito della ricerca italiana, segnalando pure il poderoso lavoro, pubblicato il 28 luglio 2021 sulla rivista Cerebral Cortex, effettuato dal noto neuroscienziato Prof. Giorgio Vallortigara (e colleghi) circa il senso del numero (o "numerosità") riscontrato in un'area del cervello dei pesci zebra: cliccate qui per leggere l'articolo di ricerca.
Riporto di seguito la mia traduzione libera dell'abstract:

"Abbiamo trovato una regione del pallio del pesce zebra che mostra un'attivazione selettiva al cambiamento nella numerosità degli stimoli visivi. I pesci zebra erano abituati ad insiemi di piccoli punti che cambiavano in dimensione, posizione e densità individuali, mantenendo al contempo la loro numerosità e la superficie complessiva. Durante i test di disabituazione, il pesce zebra ha affrontato un cambiamento nel numero (con la stessa superficie complessiva), nella forma (con la stessa superficie e numero complessivi), o nella dimensione (con la stessa forma e numero) dei punti, mentre, in un gruppo di controllo, il pesce zebra ha affrontato i medesimi stimoli incontrati durante l'assuefazione. La modulazione dell'espressione dei geni immediati precoci c-fos ed egr-1 e l'ibridazione in situ hanno rivelato un'attivazione selettiva della parte caudale della divisione dorso-centrale del pallio del pesce zebra al variare della numerosità. Tali risultati supportano l'esistenza di un meccanismo evolutivamente conservato per la grandezza approssimativa e forniscono un modo per comprendere i suoi correlati molecolari sottostanti." 

Immagine tratta dal paper di G. Vallortigara




















Compiendo un viaggio nel passato, è interessante notare come il geniale Galileo Galilei (1564-1642) abbia cercato di comprendere come fosse possibile l'esistenza di animali di grossa stazza, tra cui le balene.
A tal proposito riporto un significativo frammento tratto dal saggio Sorella Scimmia, Fratello Verme del ben conosciuto matematico, logico e divulgatore scientifico Prof. Piergiorgio Odifreddi

"Galileo le tira [le balene] doverosamente in ballo nella discussione dei Discorsi, notando che “sono grandi quanto dieci elefanti, eppure si sostengono”, e propone la seguente soluzione

Un animale gigante con la stessa struttura ossea di uno minore potrebbe esistere e muoversi allo stesso modo, o addirittura più agevolmente, se si diminuisse in maniera inversamente proporzionale il peso delle sue ossa e della sua carne. E questo è il trucco che la Natura ha usato nella creazione dei pesci, nei quali le ossa e la carne non sono soltanto molto leggere, ma non hanno alcun peso...
Il fatto che i pesci possano mantenersi immobili in immersione è una prova evidente che il loro peso uguaglia la spinta dell'acqua. Se dunque in essi ci sono parti più pesanti dell'acqua, allora ce ne devono essere altre meno pesanti, così da poter mantenere l'equilibrio. Se le ossa fossero più pesanti, la carne sarebbe più leggera, e si opporrebbe al peso delle ossa. Negli animali acquatici accadrebbe allora l'opposto che negli animali terrestri: in questi sono le ossa a sostenere il peso di sé stesse e della carne, e in quelli sarebbe la carne a sostenere il peso di sé stessa e delle ossa.

In ogni caso, lo scheletro delle balene è molto diverso da quello degli animali terrestri...Uno scheletro umano vestito assomiglia molto a un uomo, ma uno scheletro di balena rivestito non assomiglia affatto a una balena. Quest'osservazione di Melville [in Moby Dick] era puramente qualitativa, come d'altronde lo erano quelle di Galileo, ma tra l'uno e l'altro Leonhard Euler effettuò un'analisi quantitativa in tre storici articoli: La forza delle colonne (1759), L'altezza delle colonne sottoposte al proprio peso (1778) e I carichi che una colonna può sopportare (1780), nel primo dei quali stabilì una famosa formula per calcolare il carico critico che porta una colonna a inflettersi, con il rischio di spezzarsi e collassare."

Un'illustrazione di Moby Dick
























Nello specifico, la formula di Eulero a cui si fa riferimento è la seguente (ne riportiamo il caso più generale):





ove:
  • $P$ denota il carico critico che non deve essere superato affinché non subentri la flessione laterale;
  • $E$ è il modulo di elasticità;
  • $J$ indica il momento quadratico assiale minimo della sezione del solido;
  • $l$ rappresenta la lunghezza libera di inflessione dipendente dai vincoli. 

Restando nel mondo degli animali, molto celebre è l'associazione tra i conigli e la matematica.
Come ho accennato in un post relativo alla sezione aurea (cliccate qui), sussiste un famoso problema che mette in relazione la riproduzione dei conigli con la successione di Fibonacci.

Illustrazione dei "conigli di Fibonacci"

 


    


  


      






Tuttavia la presenza della successione di Fibonacci nel mondo degli esseri viventi va ben oltre l'esempio dei simpatici "divoratori di carote".
  

Anche le piante presentano eccezionali esempi di manifestazione spontanea di questa "magica" sequenza numerica.
A tal proposito vi segnalo un brillante contributo didattico della Prof.ssa Annarita Ruberto (nota su Twitter con lo pseudonimo di Nereide), che non solo può vantare una laurea magistrale in fisica e un numero impressionante di esperienze e ricerche originali in campo didattico (tra cui la collaborazione con la rivista Scuola e Didattica), ma pure svariati talenti in ambito artistico, letterario e della cultura in generale. 
L'articolo in questione sul blog Scientificando (cliccate qui per leggerlo) va ad illustrare un'attività laboratoriale per studenti di scuola media volta a verificare che la disposizione delle foglie sul fusto di una pianta (la cosiddetta fillotassi) non è lasciata al caso, ma conduce proprio alla successione di Fibonacci.  
Questo a dimostrazione che non è necessario far riferimento unicamente alla fantascienza per poter rimanere stupiti di fronte ad un fenomeno: la natura già mostra eventi straordinari e sbalorditivi di per sé. Con il giusto approccio didattico, si può sempre mostrare che la matematica e la scienza sono tutt'altro che discipline aride e noiose!
Come ulteriore intermezzo musicale, ascoltiamo l'esecuzione, da parte del pianista David Macdonald (anche noto come aSongScout), di un brano composto, a partire dalla sequenza di Fibonacci, assegnando numeri alla scala di Mi maggiore. 

Abbiamo compiuto una panoramica di vari interessanti collegamenti tra la matematica e la vita.
Una domanda che potrebbe sorgere spontanea è se la matematica possa avere un ruolo rilevante anche nello studio del corpo umano e in medicina (al di là dell'attuale questione pandemia).
La risposta è affermativa. Poniamo la nostra attenzione sul cuore
Alcuni dei problemi di ricerca di maggior rilevanza nell'ambito della cardiologia matematica hanno a che fare con la propagazione di onde elettriche nel tessuto cardiaco; si parla a tal proposito di elettrofisiologia.
Lo studio quantitativo dell'elettrofisiologia ha una storia decisamente affascinante, ricca di trionfi ma anche di tragedie.
Per esempio, il fisiologo inglese George Ralph Mines (1886-1914) sembrerebbe essere morto prematuramente a causa di esperimenti di stimolazione elettrica compiuti sul proprio stesso corpo.
Quasi mezzo secolo dopo la scomparsa di Mines, i fisiologi britannici Alan Hodgkin (1914-1998) ed Andrew Huxley (1917-2012) introdussero un modello di propagazione elettrica nell'assone gigante di calamaro.
È incredibile pensare come i due scienziati siano riusciti a sviluppare un modello matematico così sofisticato senza poter contare sull'ausilio dei moderni computer.
Il poderoso lavoro svolto valse loro il premio Nobel per la Fisiologia nel 1963.
Il concetto fondamentale alla base della suddetta ricerca è quello di potenziale d'azione, evento di breve durata in cui l'energia di una cellula si innalza rapidamente per poi decrescere, seguendo una traiettoria coerente.
Riporto da Wikipedia un'ottima immagine in cui, nella parte in alto (denotata con A), viene fornita una rappresentazione schematica del potenziale d'azione mentre, nella parte B, vediamo la registrazione effettiva di un potenziale d'azione in un neurone piramidale della corteccia dell'ippocampo di ratto.






 
 

















Tornando al caso specifico del cuore, l'idea fondamentale per uno studio di carattere matematico è quella di modellizzare la membrana cellulare cardiaca alla stregua di un circuito elettrico RC.
La membrana agisce sia come condensatore (giacché supporta un differenziale di carica) sia come resistore variabile (poiché può aprire e chiudere i canali ionici per regolare il flusso di corrente verso l'interno e verso l'esterno).
Sia $C_m$ la capacità elettrica di una membrana cellulare cardiaca e $v$ la tensione attraverso la membrana; la corrente capacitiva $C_m \frac{\mathrm{d}v}{dt}$ deve dunque bilanciare la corrente ionica totale $I_{\mathrm{ion}}$.
Deve pertanto valere l'equazione




Il ruolo della ricerca matematica è quello di cercare di determinare una forma specifica di $I_{\mathrm{ion}}$ al fine di pervenire ad un modello realistico, che poggi le sue fondamenta naturalmente sull'originale formalismo di Hodgkin-Huxley, e che si manifesta sotto forma di sistemi di equazioni differenziali ordinarie.
Si può citare, a titolo di esempio, la riduzione FitzHugh-Nagumo (descritta nell'articolo del 1961 di R. FitzHugh Impulses and physiological states in theoretical models of nerve membrane) del modello di Hodgkin-Huxley, che consiste nel sistema di 2 variabili







ove $\epsilon, A, \alpha, \beta $ sono parametri positivi e, in particolare, $0 < \alpha < 1$.
Per maggiori dettagli si legga (cliccando qui) l'articolo Taking Math to Heart: Mathematical Challenges in Cardiac Electrophysiology (datato aprile 2011) di John W. Cain.
Di seguito un video illustrativo molto carino che fornisce altri collegamenti tra matematica e medicina.

Naturalmente il tema portante del Carnevale potrebbe teoricamente estendersi anche a possibile vita al di fuori della Terra.
A tal proposito, famosissima è l'equazione (con ben 7 variabili) formulata nel 1961 dall'astrofisico Frank Drake, la quale va a fornire una stima del numero $N$ di civiltà extraterrestri intelligenti che potrebbero abitare la nostra galassia:



dove:
  • $R^*$ è il tasso medio annuo di formazione stellare nella Via Lattea;
  • $f_p$ è la frazione di stelle che possiedono pianeti;
  • $n_e$ è il numero medio di pianeti per sistema planetario che possiedono le condizione adatte ad ospitare forme di vita;
  • $f_l$ è la frazione dei pianeti $n_e$ su cui si è effettivamente sviluppata la vita;
  • $f_i$ è la frazione dei pianeti $f_l$ su cui si sono evoluti esseri intelligenti;
  • $f_c$ è la frazione di civiltà extraterrestri in grado di comunicare;
  • $L$ è la stima della durata di tali civiltà evolute.



Vorrei concludere questa introduzione al tema "Matematica della vita" segnalandovi innanzitutto un articolo recentissimo (cliccate qui), scritto da Carrie Arnold su Quanta Magazine ed intitolato Evolution ‘Landscapes’ Predict What's Next for COVID Virus, e poi una breve panoramica degli articoli che ho avuto modo di scrivere in passato su altre interessanti sfaccettature della suddetta tematica:
  • "Il principio antropico", in cui, tra le altre cose, viene descritta la relazione tra il principio antropico debole e il teorema di Bayes inerente al calcolo delle probabilità;
  • "La fisica e le rane: Luigi Galvani", in cui, oltre a venir tracciata una biografia dello scienziato italiano, si analizza la celebre disputa Galvani-Volta circa l'elettricità animale, la quale ha avuto un risultato piuttosto sorprendente;
  • "Il gioco della vita", in cui si parla di un noto automa cellulare sviluppato dal matematico inglese John Horton Conway (1937-2020).

Questo non sarebbe un vero Carnevale della Matematica se non introducessimo come si deve il numero dell'edizione: il 156.