Il nome stesso fa capire che non rappresentano la solita (seppur sempre importante e valida) geometria (euclidea) che si studia a scuola.
Esse includono numerose e importanti modificazioni rispetto alla geometria "tradizionale", e stanno alla base della Relatività Generale di Einstein.
Ma perché e quando sono nate le geometrie non euclidee?
Per rispondere a tali interrogativi, però, è necessario partire da un celebre postulato della geometria euclidea: il V postulato di Euclide o Postulato delle parallele!
Tutti sapranno che il suddetto postulato, presente negli Elementi di Euclide, afferma (in maniera semplice) che "data una retta e un punto esterno ad essa, passerà una e una sola retta per quel punto che risulti parallela alla retta di partenza".
Riporto un passo tratto dal libro C'è spazio per tutti di Piergiorgio Odifreddi inerente il postulato delle parallele:
"Le parallele sono "rette che stanno su uno stesso piano, e non si incontrano in nessuna direzione". Il che giustifica il loro nome, che deriva dal greco para, "presso", e allelon, "tra loro", e significa dunque "l'una affiancata all'altra". L'ultimo dei 5 postulati riguarda le parallele, e stabilisce una condizione per accorgersi che 2 rette non lo sono:
"Se 2 rette tagliate da una trasversale formano, da una sua stessa parte, 2 angoli interni che sommano a meno di un angolo piatto, allora le 2 rette si incontrano da quella stessa parte".
Si vede anche a occhio, dalla lunghezza dell'enunciato, che il V postulato è di natura diversa dagli altri 4. Euclide ne era conscio, e non lo usò finché poté: cioè, fino alla Proposizione I.29, che dimostra l'uguaglianza degli angoli corrispondenti, e degli angoli alterni interni, di 2 rette parallele tagliate da una trasversale. Tramite quella proposizione, il V postulato viene poi usato a cascata per dimostrare le proprietà dei parallelogrammi. Ad esempio, il fatto che in un parallelogramma i lati corrispondenti sono uguali: basta infatti dividere il parallelogramma in 2 con una diagonale, e notare che i 2 triangoli che si ottengono sono uguali per il criterio ALA (Angolo-Lato-Angolo), avendo un lato (la diagonale) e i 2 angoli adiacenti (2 coppie di angoli alterni interni) uguali. Dalle proprietà dei parallelogrammi si deducono poi, sempre a cascata, anche quelle dei triangoli. Ad esempio, poiché i 2 triangoli in cui si divide il parallelogramma sono uguali, l'area di un triangolo è meta di quella del parallelogramma con la stessa base e la stessa altezza. Ci si accorge, cioè, che tutta la geometria elementare riposa sul postulato delle parallele. Molti matematici greci dopo Euclide si dedicarono allora a cercare di dimostrare il V postulato sulla base degli altri 4. Con l'obiettivo, ovviamente, di ridurre la fondazione degli Elementi ai soli primi 4 postulati, che sembravano più intuitivi ed elementari del quinto."
Per completezza, riporto gli altri 4 postulati di Euclide:
1) 2 punti si possono congiungere con un segmento rettilineo;
2) Ogni segmento rettilineo si può estendere indefinitivamente;
3) Dato un punto e un segmento, si può tracciare il cerchio avente quel punto come centro e quel segmento come raggio;
4) Tutti gli angoli retti sono uguali fra loro.
Il V postulato, nella sua formulazione originaria, appare pertanto molto più lungo, complicato e difficile da comprendere rispetto agli altri 4.
Inoltre, il fatto che esso fosse enunciato con una proposizione del tipo se.......allora, lo faceva rassomigliare più ad un teorema che a un postulato.
Ma in che modo entra in gioco la definizione, una riformulazione estremamente più semplice del V postulato, che ho riportato all'inizio della trattazione?
Come ci illustra sempre Odifreddi:
"La prima riformulazione si trova nel Commento al Primo Libro degli Elementi di Euclide di Proclo. La si usa giustamente ancor oggi, al posto di quella più macchinosa di Euclide, ma la si fa erroneamente risalire a John Playfair, che si limitò a divulgarla nel 1795 nei suoi Elementi di geometria."
Dal Commento al I libro degli Elementi di Euclide di Proclo (V secolo d.C.) risulta che ben presto venne riconosciuta una minore evidenza del V postulato in confronto a tutti gli altri, soprattutto in relazione al fatto che non può essere verificato.
Un'argomentazione, riferita da Proclo stesso, mediante la quale si cercava di dimostrare la non validità del V postulato, si connetteva direttamente a tematiche quali quelle dei noti paradossi di Zenone!
Davanti agli assillanti dubbi che il suddetto postulato sollevava, si delinearono 3 direzioni principali verso le quali i tentativi per eliminare tale imperfezione all'interno degli Elementi tendevano:
1) fornire una nuova definizione di rette parallele. Lo stesso Proclo ci ragguaglia al riguardo di un tentativo di Posidonio (circa 135-circa 50 a.C.), ma tale proposta fu scartata poiché con questa definizione non si arrivava a una vera soluzione del problema, ma solamente a spostare la questione in un'altra direzione;
2) sostituire al V postulato altre formulazioni equivalenti, ma di contenuto maggiormente intuitivo. Ad esempio, John Wallis (1616-1703) propose il seguente assioma:
"Di ogni figura ne esiste una simile di grandezza arbitraria".
Nel proporlo, Wallis faceva notare che esso non risultava molto dissimile dal III postulato di Euclide;
3) dedurre il V postulato dai precedenti, mutando il postulato in proposizione.
Proprio a partire da tali tentativi si giunse a dimostrare l'indipendenza del V postulato dai restanti 4: ergo, ciò portò alla nascita delle GEOMETRIE NON EUCLIDEE.
Rimanendo in tale prospettiva, possiamo inoltre dire che nel 1763, Georg Simon Klügel, nella sua tesi di laurea, esaminò 30 tentativi di provare il V postulato concludendo che risultavano alla fine tutti falsi o inesaurienti.
Ma fra le svariate dimostrazioni, è necessario far menzione di una, quella del padre gesuita Girolamo Saccheri (1667-1733), perché fu estremamente innovativa e aprì le porte alle geometrie non euclidee.
Infatti, come ci racconta Carl B. Boyer nella sua nota opera Storia della Matematica:
"I matematici italiani non fecero quasi nessuna scoperta fondamentale nel corso del XVIII secolo. Colui che più ci si avvicinò fu senza dubbio Girolamo Saccheri. Nell'anno stesso della sua morte pubblicò un libro intitolato Euclides ab omni naevo vindicatus (Euclide liberato da ogni macchia) in cui si sforzava con un procedimento molto elaborato di dimostrare il postulato delle parallele. Saccheri era venuto a conoscenza degli sforzi di Nasir Eddin per dimostrare il postulato quasi mezzo millennio prima, e decise di applicare a tale problema il metodo della reductio ad absurdum. Egli partiva, perciò, da un quadrilatero isoscele birettangolare, oggi noto come il "quadrilatero di Saccheri", avente i lati AD e BC uguali tra loro ed entrambi perpendicolari alla base AB. Senza usare il postulato delle parallele dimostrava facilmente che gli angoli alla "sommità" C e D erano uguali e che per essi si potevano avanzare esattamente 3 ipotesi, descritte da Saccheri come:
1) l'ipotesi dell'angolo acuto;
2) l'ipotesi dell'angolo retto;
3) l'ipotesi dell'angolo ottuso.
Mostrando che le ipotesi 1) e 3) conducevano a soluzioni assurde, egli riteneva con un ragionamento indiretto di avere dimostrato l'ipotesi 2) come conseguenza necessaria dei postulati di Euclide diversi dal postulato delle parallele. Saccheri non incontrò molta difficoltà a eliminare l'ipotesi 3), poiché assumeva implicitamente che una retta fosse di lunghezza infinita. Dall'ipotesi 1) dedusse numerosi teoremi senza incontrare alcuna apparente difficoltà. Sappiamo oggi che egli aveva inconsapevolmente costruito una geometria non-euclidea perfettamente coerente; ma Saccheri era così profondamente convinto che la geometria euclidea fosse l'unica valida da consentire che questo suo preconcetto interferisse nella logica dei suoi ragionamenti. Sebbene non vi fosse nessuna contraddizione nell'assunzione dell'ipotesi 1), egli attraverso un ragionamento contorto giunse a credere che tale ipotesi portasse a una soluzione assurda. Pertanto perdette il diritto di rivendicare a sé quella che sarebbe indubbiamente stata la più significativa scoperta del XVIII secolo: la geometria non-euclidea."
Specifichiamo che ovviamente:
1) l'ipotesi dell'angolo acuto sostiene che:
2) l'ipotesi dell'angolo retto sostiene che:
3) l'ipotesi dell'angolo ottuso sostiene che:
Dunque Saccheri:
- da un lato: riuscì a dimostrare che l'ipotesi dell'angolo ottuso, assumendo la falsità del V postulato, genera una contraddizione. Ciò sta a significare che tale ipotesi è in contrasto con altre parti della geometria euclidea e quindi non può essere sfruttata come sostituto del V postulato;
- dall'altro lato: non riuscì a dimostrare che l'ipotesi dell'angolo acuto è altrettanto falsa. Ciò poteva far ipotizzare che sarebbe stato possibile sostituirla al V postulato senza dar vita a una contraddizione logica con gli altri 4.
Per tutto il XVIII secolo la geometria euclidea, assieme alla teoria della dinamica di Newton, veniva considerata quanto di più saldo e certo vi potesse essere nella conoscenza scientifica.
Addirittura, il filosofo Immanuel Kant (1724-1804), nel tentativo di fondare su basi certe la nostra conoscenza del mondo fenomenico, aveva individuato proprio in questi 2 pilastri la base per attribuire allo spazio e al tempo il carattere di forme a priori del sapere e aveva sostenuto che la geometria euclidea fosse "incisa nell'uomo".
Il tutto lasciava presagire il fatto che la nascita delle geometrie euclidee non sarebbe stata vista di buon occhio, tanto che uno dei più grandi matematici di sempre, se non il più grande, Karl Friedrich Gauss (1777-1855), nonostante avesse appurato che risultava possibile formulare geometrie alternative, non si azzardò a pubblicare i risultati al fine di evitare di ascoltare "le strida dei beoti", come aveva comunicato in una lettera del 1829 all'amico Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846)!
Gauss, comunque, aveva posto la sua attenzione specialmente su una delle più note e significative conseguenze del V postulato: la somma degli angoli interni di un triangolo è pari a un angolo piatto (180°).
Il matematico sosteneva (giustamente) che la conoscenza dello spazio fisico circostante fosse così limitata da non consentire di poter affermare, con assoluta certezza, che, preso in tale spazio un generico triangolo, con lati di qualsivoglia dimensione, la somma delle ampiezze dei suoi angoli interni fosse sempre uguale a 180°.
Nella prima metà dell'Ottocento toccò a 2 matematici poco noti, operanti al di fuori degli ambienti maggiormente accreditati, sviluppare ed esplicitare la possibilità di dar vita a una geometria non euclidea:
1) l'ungherese Janos Bolyai (1802-1860);
2) il russo Nikolaj Ivanovič Lobačevskij (1792-1856).
A proposito di Bolyai, sempre Boyer ci racconta che:
"L'amico ungherese di Gauss, Farkas Bolyai, aveva dedicato gran parte della sua vita ai tentativi di dimostrare il postulato delle parallele. Quando venne a sapere che il proprio figlio, Janos Bolyai, si era immerso nello studio del problema delle parallele, il padre, insegnante di matematica in una città di provincia, scrisse al figlio, brillante ufficiale dell'esercito:
Per amor del cielo, ti imploro di desistere dal tentativo. Il problema delle parallele è una cosa da temere ed evitare non meno delle passioni dei sensi, poiché anch'esso può rubarti tutto il tuo tempo e privarti della salute, della serenità di spirito, e della felicità.
Il figlio, lungi dal lasciarsi dissuadere, continuò nei suoi tentativi fino a che, verso il 1829, giunse alla medesima conclusione raggiunta da Lobačevskij solo pochi anni prima. Invece di tentare di dimostrare l'impossibile, il giovane Bolyai sviluppò quella che egli chiamava "Scienza assoluta dello spazio" partendo dall'ipotesi che per un punto esterno a una retta si possono tracciare, nello stesso piano, infinite rette parallele alla retta data. Janos inviò i risultati delle proprie riflessioni al padre, che li pubblicò in forma di appendice a un proprio trattato dal lungo titolo latino Tentamen juventutem studiosam in elementa matheseos purae etc., conosciuto semplicemente con il nome di Tentamen."
Introduciamo, invece, la figura di Lobačevski con la splendida descrizione compiuta da Eric T. Bell in I grandi matematici:
"Se si ammette che il giudizio comunemente accettato sull'importanza dell'opera di Copernico sia esatto, bisogna riconoscere che, chiamando qualcuno il "Copernico" di qualsiasi disciplina, gli si fa il più bell'elogio o si pronuncia contro di lui la più severa condanna. Se si arriva a concepire quello che ha fatto Lobatchewsky creando la geometria non euclidea e se ne considera l'importanza per il pensiero umano, di cui la matematica non è che una piccola sebbene importante parte, si deve onestamente riconoscere che Clifford (1845-1879), grande geometra lui stesso e molto al di sopra di un semplice matematico, non esagerava chiamando il suo eroe Lobatchewsky, "il Copernico della geometria".
Ora, sia Lobačevskij nel suo trattato Nuovi principi della geometria con una teoria completa delle parallele del 1835, sia Bolyai, con l'appendice del sopracitato Tentamen, hanno sviluppato, in maniera indipendente, la cosiddetta GEOMETRIA IPERBOLICA.
Essa è stata così denominata prendendo spunto da una classificazione introdotta dal matematico tedesco Felix Klein (1849-1925), in cui la geometria euclidea è detta PARABOLICA.
Le conseguenze fondamentali della geometria iperbolica sono:
- data una retta e un punto esterno ad essa non passa una e una sola parallela ad essa, bensì infinite;
- la somma degli angoli interni di un triangolo non è 180°, ma minore di 180°;
- 2 triangoli che hanno angoli interni congruenti sono necessariamente congruenti.
Il modello di spazio più rappresentativo della geometria iperbolica è sicuramente quello a forma di sella di cavallo.
Quando apparve, la geometria di Lobačevskij e Bolyai fu guardata con sospetto e molti sostennero che al suo interno vi fosse qualche contraddizione che prima o poi sarebbe emersa.
Dopo qualche decennio, i matematici riconobbero la piena legittimità di tale teoria e l'assenza di contraddizioni interne.
Un ruolo cruciale che concorse a far raggiungere questo risultato provenne dalla costruzione di modelli euclidei della geometria iperbolica.
Il termine "modello" denota una traduzione (o interpretazione) con cui i termini e i postulati di una teoria vengono riferiti a un determinato universo di oggetti.
Il modello è quindi un insieme di enti tratti da un'altra teoria, che soddisfano tutti gli assiomi della teoria data.
La prova dell'esistenza di un modello di geometria non euclidea avrebbe pertanto assicurato la non contraddittorietà di quest'ultima rispetto alla geometria euclidea.
Tutto ciò sta a significare che se si fosse riusciti a trovare il modo di realizzare uno stratagemma in grado di tradurre i concetti non euclidei in concetti euclidei, allora la geometria di Lobačevskij-Bolyai sarebbe stata rispettata alla stregua di quella di Euclide.
Fra tutti i matematici dell'Ottocento che cercarono di generare tali modelli coerenti, i più importanti sono sicuramente Eugenio Beltrami (1835-1900), Felix Klein e Henri Poincaré (1854-1912), noto per la congettura che prende il suo nome, risolta nel 2002 dal matematico russo Grigori Perelman, il quale decise di non riscuotere il premio in denaro di 1 milione di dollari messo in palio per la dimostrazione della suddetta congettura (uno dei 7 Problemi del Millennio)!
Ma la geometria iperbolica non rappresenta l'unica geometria non euclidea.
Infatti, Bernhard Riemann (1826-1866), estremamente noto per l'ipotesi che prende il suo nome, inerente la distribuzione dei numeri primi, elaborò la GEOMETRIA ELLITTICA.
Le caratteristiche principali di tale geometria sono:
- data una retta e un punto esterno ad essa, non passa nessuna parallela alla retta data;
- la somma degli angoli interni di un triangolo è maggiore di 180°;
- i triangoli che hanno angoli uguali sono tutti congruenti fra loro.
Nella geometria ellittica, la distanza tra 2 punti è la lunghezza del più corto dei 2 archi di cerchio massimo che uniscono i 2 punti.
Come per Lobačevskij, riporto per Riemann un frammento del ritratto che ne fa Bell in I grandi matematici:
"È stato detto di Coleridge che scrisse solo poche opere di altissima poesia, ma che queste avrebbero dovuto essere incorniciate d'oro; si potrebbe dire altrettanto di Bernhard Riemann, i cui lavori basterebbero appena a riempire un volume in ottavo. Si può aggiungere che Riemann ha rivoluzionato tutto ciò che ha trattato; fu uno dei matematici più originali dei tempi moderni, ma disgraziatamente era di costituzione fisica debole e scomparve prima di aver raccolto i frutti della preziosa produzione della sua mente; se fosse nato un secolo più tardi, la scienza medica gli avrebbe probabilmente prolungato la vita di 20 o 30 anni e la matematica non attenderebbe oggi il suo successore."
A questo punto però sorge una domanda: queste geometrie non euclidee servono veramente a qualcosa o sono solo splendidi modelli matematici fini a se stessi?
Fin da piccoli siamo abituati alle nozioni di geometria euclidea, alle figure da essa rappresentate, alle loro caratteristiche.
Tali figure (cerchio, quadrato, triangolo, ecc.) e proprietà si presentano spessissimo nella realtà quotidiana.
Tuttavia, se andiamo a considerare il mondo da una prospettiva più alta, cioé spostandoci a prendere come riferimento l'intero nostro Universo, la geometria euclidea certamemente perderebbe gran parte del suo valore.
In tal contesto, infatti, intervengono appunto le geometrie non euclidee.
Basti ricordare Einstein e la Relatività Generale, con lo spazio-tempo che si curva.
Beh, per descrivere questi particolari spazi abbiamo bisogno di geometrie dove la somma degli angoli interni di un triangolo non sia necessariamente pari a quella di 2 angoli retti, abbiamo bisogno di geometrie dove per una retta e un punto esterno ad essa non passi una e una sola parallela; dobbiamo perciò ricondurci alle geometrie non euclidee.
Forse Einstein non avrebbe potuto nemmeno elaborare la sua Relatività Generale, se un gruppo di matematici dell'Ottocento e alcuni pionieri dei secoli precedenti, non avessero implementato, andando contro tutto e tutti, le suddette geometrie.
A tal proposito, riporto un'interessante descrizione presente nel libro L'equazione di Dio di Amir D. Aczel:
"Qual è la geometria generale dell'Universo? Sappiamo che localmente, vicino a una stella o a un altro oggetto di grande massa, lo spazio s'incurva: intorno all'oggetto acquista una curvatura sferica, come hanno dimostrato gli esperimenti sulle eclissi....La geometria è direttamente legata a certe equazioni matematiche....La geometria dell'Universo contribuisce a determinare il suo destino ultimo; i matematici ne distinguono 3 possibili varianti. La prima è quella piatta, o euclidea; in un universo euclideo la curvatura è per definizione nulla. La nozione di "curvatura" (per la quale si usa in genere la lettera k) nasce con Gauss; qui partiamo dall'ipotesi che l'Universo abbia dovunque una curvatura costante. Se l'Universo è piatto si dice che la sua curvatura è k = 0. Gli spazi di curvatura costante non nulla si dividono in 2 categorie: o la curvatura è positiva, nel qual caso diciamo che k = + 1, o è negativa, e allora scriviamo k = - 1. Uno spazio con curvatura k = + 1 è "chiuso": in 2 dimensioni è di questo tipo una superficie sferica. Se invece k = - 1 lo spazio è "aperto" e la geometria è iperbolica, come nei modelli di Gauss, Lobačevskij e Bolyai. In 2 dimensioni, ha curvatura negativa costante la superficie esterna di una pseudosfera...I cosmologi usano un simbolo speciale per il rapporto fra 2 densità, la densità di massa reale ρ dell'Universo in un istante dato e la densità critica. Questo rapporto fra densità reale e densità critica è detto Ω. La chiave della geometria dell'Universo sta proprio in Ω. Se supponiamo che non esista costante cosmologica, vale quanto segue: se Ω è uguale a 1 la densità reale è uguale a quella critica e l'Universo è piatto, quindi si espanderà per sempre ma la velocità di espansione continuerà a diminuire. Quando Ω è maggiore di 1 la densità di massa dell'Universo supera la densità critica, che rappresenta un punto d'equilibrio cosmico: in questo caso non solo l'espansione rallenta, ma poiché c'è più massa di quella indispensabile per un semplice rallentamento, verrà un giorno in cui l'universo smetterà di espandersi e comincerà a contrarsi fino all'inevitabile "grande schiacciata", che divorerà tutto. A quel punto forse potrà esserci una rinascita con una nuova grande esplosione, e in questo continuo succedersi di grandi esplosioni e grandi schiacciate ogni nuovo universo nascerà dalle ceneri del precedente. Nel caso di Ω minore di 1 la densità di massa dell'Universo è inferiore a quella critica: non c'è massa sufficiente a fermare l'espansione e produrre un collasso, e l'universo continuerà a espandersi per sempre; la sua geometria è iperbolica. Se invece la costante cosmologica non è nulla, l'universo può avere un destino diverso in tutti e 3 i casi; questo destino dipenderà dai valori di entrambi i parametri, Ω e la costante cosmologica λ."
Specifichiamo che la densità critica è:
dove H è la costante di Hubble e G è la costante di gravitazione universale.
Vorrei concludere la trattazione riportando una poesia (in inglese) su Euclide, intitolata Euclid Alone Has Looked on Beauty Bare (Solo Euclide ha contemplato la nuda bellezza) composta nel 1923 dalla poetessa Edna St. Vincent Millay:
Euclid alone has looked on Beauty bare.
Let all who prate of Beauty hold their peace,
And lay them prone upon the earth and cease
To ponder on themselves, the while they stare
At nothing, intricately drawn nowhere
In shapes of shifting lineage; let geese
Gabble and hiss, but heroes seek release
From dusty bondage into luminous air.
O blinding hour, O holy, terrible day,
When first the shaft into his vision shone
Of light anatomized! Euclid alone
Has looked on Beauty bare. Fortunate they
Who, though once only and then but far away,
Have heard her massive sandal set on stone.
Splendido articolo!! Complimenti, Leonardo!
RispondiEliminaGran bel lavoro!
RispondiEliminaGrazie!!! :)
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