lunedì 25 novembre 2013

CARNEVALE DELLA CHIMICA N.34 - 1ª CALL FOR PAPERS

Sono passati solo 2 giorni dalla pubblicazione del meraviglioso Carnevale della Chimica n.33, sul blog unpodichimica, da parte di Margherita Spanedda.
Un'edizione imperdibile, con un'introduzione a dir poco spettacolare susseguita da ottimi e variegati contributi su un tema splendido e dal carattere multidisciplinare: "La Chimica e le Muse".
Ora è tempo però di pensare anche all'edizione successiva, la numero 34.
Ebbene, con gran piacere vi annuncio che l'edizione di dicembre (precisamente il 23 dicembre) del Carnevale della Chimica sarà ospitata dal sottoscritto qui su Scienza e Musica.











Che tema avrò scelto questa volta?
In genere i temi scelti per i Carnevali su Scienza e Musica sono vastissimi.
Anche quello di questa edizione non sarà da meno.
La tematica portante (ma, come sempre, non vincolante) del Carnevale sarà infatti "Atomi, ioni e particelle".
È un tema amplissimo e alla portata di tutti.
Vi fornisco alcune tra le numerosissime interpretazioni possibili.

martedì 19 novembre 2013

IL PIOMBO: UN ELEMENTO CHIMICO TRA CREATIVITÀ E DISTRUTTIVITÀ

Il piombo (Pb) rappresenta l'elemento n.82 della tavola periodica.
Esso fa peraltro parte del gruppo 14 della stessa, gruppo che comprende, oltre al piombo, nientemeno che il carbonio, il silicio, il germanio e lo stagno.




















Il suo nome deriva dal latino plumbum, che presumibilmente proviene dal greco pélios, ossia "blu-nerastro", oppure dal sanscrito bahu-mala ("molto sporco").
Il piombo è un metallo tenero, denso, duttile e malleabile, che, appena tagliato, si presenta di colore bianco azzurognolo, mentre, esposto all'aria, tende ad assumere una colorazione grigio scuro.
La cosa interessante del piombo è che esso abbraccia l'intero spettro della creatività e della distruttività umane.
Che significa?
Lo scopo di questo articolo è proprio quello di illustrare brevemente le peculiarità e gli usi di questo importante elemento, analizzandolo a 360°, ovvero osservando sia i suoi aspetti positivi che quelli negativi.
La prima cosa che si può dire sul piombo è che esso viene visto come la gravità (sia fisica che intellettuale) fatta ad oggetto concreto ed è l'elemento chimico maggiormente associato alla morte.
Non a caso esso viene preso come riferimento in elementari interrogativi a trabocchetto relativi al peso, come "pesa più un chilo di piombo o un chilo di piume?" et similia.
Oppure si parla spesso di cielo plumbeo riferendosi non unicamente al suo colore.
L'immagine del cielo plumbeo, inconcepibile dal punto di vista gravitazionale, fa presagire qualcosa di peggio della semplice pioggia, richiamando alla mente il tragico destino di un mondo messo sottosopra.














Il legame del piombo con la morte è ben evidenziato dal fatto che, nella tradizione, per preservare i corpi dei papi e dei re, e assicurarsi che l'anima non fuggisse, venivano utilizzati sarcofagi di piombo.
Ad esempio, il cuore del re Roberto I di Scozia giace in uno scrigno di piombo nell'abbazia di Melrose, così come le membra del suo acerrimo nemico, re Edoardo I di Inghilterra, "riposano" a Westminster Abbey.
Non corrodendosi, il piombo protegge ciò che contiene in quanto crea uno strato superficiale che blocca gli attacchi chimici.
Ed è proprio tale sottile strato, sostanza peraltro usata dagli artisti con la denominazione "piombo bianco", che preserva i tetti di numerose chiese e cattedrali d'Europa.
Il "piombo bianco", chiamato anche biacca o cerussa, è in particolare un pigmento costituito da carbonato basico di piombo.
La sua formula bruta è: (PbCO3)2 · Pb(OH)2.
La biacca si presenta come una polvere bianca pesante, che unita con olio di lino cotto (100 parti di pigmento e 30 di olio) fornisce una pittura di ottimo potere ricoprente e di lunga durata.
Il bianco di piombo è stato utilizzato sin dai tempi antichi ed è stato addirittura l’unico bianco disponibile insieme al "bianco San Giovanni" (carbonato di calcio) fino al XIX secolo.
Plinio il Vecchio ne ha descritto non solo le proprietà ma anche il metodo di fabbricazione che sembra molto simile a quello usato dagli Arabi e dai Giapponesi.
Nel Medioevo la produzione di biacca, la quale veniva sfruttata anche come medicamento, era monopolizzata dagli Olandesi e dai Veneziani.
Nella seconda metà del XVIII secolo il chimico e mineralogista svedese Torbern Olof Bergman stabilì la vera composizione del pigmento e da allora si studiarono svariati metodi razionali per la fabbricazione industriale.
Successivamente, con l’inserimento in commercio del "bianco di zinco" (nel 1840 circa) e, nel XX secolo (1930 circa), del "bianco di titanio", il suo impiego è parecchio diminuito fino quasi a scomparire del tutto
Oggi viene usato esclusivamente da alcuni pittori particolarmente legati alla tradizione e, davvero raramente, in lavori di restauro.
Lo scarso utilizzo della biacca è dovuto specialmente alla sua elevata tossicità.
Ebbene sì, il piombo e tutti i suoi composti risultano estremamente tossici.
A dir la verità, esso è il prototipo del metallo pesante velenoso e, come il mercurio (suo vicino nella tavola periodica, che abbiamo analizzato qui), è stato responsabile di alcune tra le peggiori contaminazioni ambientali dell'era moderna (fino a pochi anni fa veniva tra l'altro utilizzato per migliorare le prestazioni della benzina).
Il piombo e i suoi composti presentano effetti tossici da accumulo, soprattutto nei bambini.
Nel sangue, livelli di 50 ppb (parti per miliardo) determinano un aumento della pressione sanguigna.
A 100 ppb si hanno già danni cerebrali e ai reni; a livelli maggiori di 800 ppb si può arrivare persino al coma e alla morte.
Il piombo interferisce infatti con la biochimica dell'eme nell'emoglobina del sangue (di emoglobina abbiamo parlato qui).
Si calcola che circa 200.000 bambini all'anno si ammalino per avvelenamento da piombo.
Tale problema è provocato fondamentalmente dall'ingestione da parte dei bambini di vernici contenenti pigmenti al piombo.
Le case maggiormente vecchie possono infatti contenere pitture a base di piombo bianco.
I sali di piombo presentano un gusto dolce, cosa che potrebbe spingere i bambini a succhiare gli oggetti verniciati.
Piombo e Saturnismo
Molti pittori, quali Van Gogh e Goya, erano soliti usare colori a base di piombo per la realizzazione delle loro opere.
La pazzia, la schizofrenia ed i disturbi mentali e psicologici degli stessi venivano attribuiti all'intossicazione da piombo, causata appunto dall'inalazione e dall'ingestione dei colori (sembra che Goya avesse persino l'abitudine di bagnare la punta del pennello con la saliva, non con l'acqua, ingerendo notevoli quantità di piombo che si accumulavano nell'organismo).
Dagli antichi romani fino quasi ai tempi odierni, il piombo è stato inoltre usato nelle tubazioni, incluse quelle atte al trasporto di acqua.
L'esposizione al piombo avveniva anche attraverso gli utensili da cucina e le pentole.
Nel periodo coloniale della storia degli Stati Uniti l'avvelenamento da piombo veniva diagnosticato come la causa del "mal di pancia secco" di cui soffrivano gli abitanti della Nuova Carolina, i quali erano soliti consumare il rum prodotto nel New England.
L'apparecchiatura per la distillazione aveva infatti componenti di piombo.
L'intossicazione da piombo dovuta all'esposizione professionale o accidentale assume peraltro una denominazione molto particolare, ossia saturnismo.
Il nome della malattia deriva dal dio romano Saturno, l'equivalente di Crono, dio del tempo, per i greci.
Gli alchimisti ritenevano infatti che il dio Saturno avesse come elemento associato proprio il piombo.
I sintomi classici del saturnismo sono nausea, vomito, dolori addominali, irritabilità, mal di testa, iperattività e altri ancora.
Probabilmente pochi lo sanno, ma questi sono alcuni sintomi della grave malattia (oltre alla sordità) che afflisse nientemeno che Ludwig van Beethoven.

lunedì 11 novembre 2013

GEORGE BOOLE E LA SUA ALGEBRA DELLA LOGICA

"Algebra" è una parola che è già apparsa numerose volte all'interno di questo blog.
C'è stato persino, proprio qui su Scienza e Musica, un Carnevale della Matematica, il n.56, incentrato su "algebra, algebre e storia dell'algebra".
In quella occasione avevamo puntualizzato sul fatto che esistono, oltre alla nota "algebra elementare", tantissime algebre differenti.
Alcune di queste algebre portano peraltro i cognomi dei loro geniali ideatori.
Tra queste la più famosa è certamente l'algebra di Boole.
In questo post andremo a scoprire la non facile vita del matematico George Boole (1815-1864) e ad introdurre, nel modo più semplice possibile, le basi essenziali della sua algebra, un'algebra che, come vedremo, risulterà strettamente legata alla logica.






 













George Boole nacque il 2 novembre 1815 a Lincoln, nell'Inghilterra orientale.
George era il primo dei 4 figli (George, Mary Ann, William e Charles) di John Boole e Mary Ann Joyce.
John era un semplice bottegaio, ma nutriva un grosso interesse nei confronti delle scienze e in particolare verso le applicazioni della matematica agli strumenti scientifici.
Mary Ann era invece una cameriera, la quale sposò John Boole il 14 settembre 1806.
Dopo il matrimonio, i 2 sposini si trasferirono appunto a Lincoln, ove John aprì un negozio per esercitare la professione di calzolaio.
Tuttavia, egli non si dedicò con il massimo impegno al suddetto lavoro, in quanto era distratto dai suoi interessi scientifici.
Basti pensare che nella vetrina della sua bottega era esposto con orgoglio un telescopio che lui stesso aveva costruito.
C'è dunque da sottolineare che George nacque in una situazione non particolarmente agiata.
Gli scrittori del tempo evidenziavano sempre che essere figlio di un piccolo commerciante significava essere predestinato a un'umile e difficile vita.
La classe sociale alla quale apparteneva il padre di George veniva trattata con un disprezzo ancora maggiore di quello riservato alle sguattere o ai lacché.
Le "classi infime" praticamente non esistevano agli occhi delle "classi superiori".
Ergo, si dava per scontato che George si sarebbe limitato ad apprendere le nozioni fondamentali e non trasgredire i rigidi vincoli imposti da tale disprezzo classista.
Le fatiche e le sofferenze che dovette passare George per cercare di istruirsi adeguatamente e ottenere una posizione migliore di quella a cui risultava predestinato sono paragonabili a un percorso di espiazione dei peccati nel Purgatorio dantesco.
George innanzitutto, quando aveva meno di 2 anni, frequentò una scuola a Lincoln per i neonati dei commercianti.
Dopo un anno venne spostato a una scuola commerciale guidata da Mr Gibson, un amico di John Boole, dove rimase fino ai 7 anni d'età.
I primi rudimenti di matematica gli vennero tuttavia impartiti dal padre stesso.
Superati i 7 anni d'età, il piccolo George poté frequentare una scuola elementare e i suoi interessi confluirono verso le lingue.
C'è però da dire che le scuole dove i giovani signori imparavano a spingersi l'uno contro l'altro per prepararsi ai loro futuri ruoli di direttori delle organizzazioni industriali non accettavano ragazzi come Boole.
La sua scuola nazionale era incaricata di mantenere il povero al suo vero posto, al suo misero livello di istruzione.
A quei tempi una leggera conoscenza del latino e del greco rappresentava un segno distintivo dei "gentleman".
In verità, davvero pochi di questi cosiddetti gentleman conoscevano abbastanza il latino per saperlo leggere senza traduzione affiancata.
Tuttavia, la proclamata, seppur inesistente, conoscenza della grammatica latina designava un segno di distinzione, mentre la sintassi imparata a memoria veniva ritenuta alla stregua di una disciplina mentale della massima utilità per prepararsi al possesso e all'amministrazione dei beni fondiari.
Ovviamente, nella scuola elementare in cui Boole fu ammesso, il latino non era previsto.
Pensando, ingenuamente, che la sola non conoscenza del latino e del greco fossero la causa delle sue difficoltà, egli si adoperò per imparare tali 2 lingue antiche.
In un primo momento, lo studio del latino venne effettuato da autodidatta, accompagnato dall'incoraggiamento del padre, il quale, però, non poteva fornire al figlio un aiuto concreto in quanto non conosceva il latino.
Fondamentale in tal direzione fu la conoscenza di un modesto librario, amico del padre, che insegnò al giovane Boole i primi elementi di grammatica latina.
Le difficoltà non erano poche; non è per niente facile, per un ragazzo di 12 anni, assimilare i Commentari di Cesare.
Comunque, vennero raggiunti risultati notevoli: a 12 anni Boole fu in grado di tradurre un'ode di Orazio in inglese e in versi, cosa che spinse il padre a far stampare la traduzione nel giornale locale.
La suddetta pubblicazione fu una lama a doppio taglio per il piccolo George.
Se da una parte tale pubblicazione fece rumore nell'ambito della scuola, dall'altra parte scatenò le perplessità di un professore di studi classici, il quale negò con convinzione che un ragazzo di quell'età fosse capace di effettuare una simile traduzione.
Peraltro, Boole si sentì ulteriormente umiliato quando vennero fatti notare errori nella sua traduzione.
Tutto questo, tuttavia, lo spinse ancor più a perfezionare la sua istruzione.
Aveva infatti cominciato, sempre da autodidatta, lo studio del greco e da allora decise che o sarebbe pervenuto alla perfezione, oppure avrebbe lasciato perdere le lingue antiche.
Si mise dunque a studiare, da solo, instancabilmente per 2 anni, il greco e il latino, giungendo ad un ottimo livello di preparazione.
Dopodiché dal 10 settembre 1828 iniziò a frequentare l'istituto commerciale Bainbridge.
Anche questa scuola non forniva corsi che il giovane avrebbe sperato di seguire.
Ancora spinto dalla passione per le lingue, Boole approfondì, a parte, lo studio del francese e del tedesco, lingue in cui, molti anni dopo, avrebbe redatto importanti lavori matematici di ricerca.
A 16 anni si promise di aiutare in qualche modo i suoi poveri genitori - il padre aveva dovuto chiudere la bottega e la sua famiglia si ritrovava in precarie condizioni economiche - e capì che l'insegnamento rappresentava il modo più rapido e sicuro per ottenere un salario fisso.
In primo luogo, per 2 anni, insegnò presso la piccola Heigham's School di Doncaster, a circa 65 chilometri da casa.
Probabilmente venne licenziato per il suo comportamento un tantino irreligioso: studiava matematica anche di domenica, e persino dentro la cappella!
Va sottolineato che Boole non appartenne mai a una vera e propria confessione religiosa, ritenendo impossibile l'accettazione della divinità di Cristo, tuttavia, a modo suo, aveva una forte religiosità.
Per un certo periodo aveva nutrito perfino l'idea di diventare pastore anglicano, ma la abbandonò in parte per le sue convinzioni, ma soprattutto per sostenere la famiglia travolta dalle difficoltà economiche.
Tuttavia, i 4 anni durante i quali si era preparato privatamente, con dure privazioni, alla carriera ecclesiastica a cui aspirava, non furono interamente spesi vanamente, in quanto gli dettero l'assoluta padronanza del francese, del tedesco e dell'italiano.
Oltre a ciò, l'altro interesse che man mano si stava insinuando sempre di più nella sua mente era la matematica.
Il primo libro di matematica avanzata che Boole lesse fu il Traité élémentaire de calcul differéntiel et du calcul intégral (1797-98) di Sylvestre François Lacroix.
Diversi anni dopo, ricordando quella stagione della sua vita, spiegò che per chi, come lui, aveva pochissimi soldi da spendere in libri, quelli di matematica erano l'investimento migliore, poiché duravano più degli altri.
Era solito inoltre raccontare di come, all'epoca della scuola, gli fosse venuta un'ispirazione: mentre camminava in un prato, gli era balenata l'idea che doveva essere possibile esprimere le relazioni logiche in forma algebrica.
Una sorta di "illuminazione sulla via di Damasco", scriverà il suo biografo MacHale, i cui frutti si sarebbero avuti solo molti anni dopo.