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lunedì 10 marzo 2025

GIFTED - IL DONO DEL TALENTO

Dopo Il teorema di Margherita (cliccate qui per la recensione), proseguiamo sul filone delle recensioni dei film con protagonista la matematica.
Oggi infatti parliamo di Gifted - Il dono del talento, un film del 2017 diretto da Marc Webb, con l'ormai ex Captain America, ovvero Chris Evans.

Di film sui bambini prodigio ne sono stati realizzati tanti, ma questo è sicuramente sopra la media per le tematiche trattate e le emozioni in grado di suscitare.
Portando al minimo gli spoiler, la trama è infatti incentrata attorno al talento e alla particolare condizione familiare di una bambina di 7 anni, Mary Adler, interpretata da Mckenna Grace, che si ritrova a passare i primi anni della propria esistenza con lo zio Frank (il già citato Chris Evans) a seguito del suicidio da parte di sua madre, ovvero la sorella di Frank. 
Il talento matematico di Mary è motivo di forte preoccupazione per lo zio, che vorrebbe farle vivere una vita il più possibile simile a quella tipica dei bambini della sua età nel tentativo di non portarla nelle stesse condizioni soffocanti a cui è stata sottoposta la sorella fino al momento del gesto estremo.
La madre della bambina infatti era una matematica di straordinario talento, concentrata nel tentativo per niente banale di trovare una risoluzione ad uno dei famosi 7 problemi del millennio!
Sappiamo bene (e ciò viene evidenziato pure nel film) che si tratta di una lista di problemi matematici di grande importanza ancora irrisolti, tranne uno, la congettura di Poincaré, dimostrata da Perel'man nel 2002.
A chi fosse in grado di risolverne uno viene assegnato un premio in denaro di 1 milione di dollari (che Perel'man rifiutò), ma ovviamente ciò che davvero si va a conquistare è la fama immortale all'interno della storia della matematica.
Nel film il talento di Mary non si limita alla solita classica bravura nel compiere per esempio moltiplicazioni, divisioni o estrazioni di radici quadrate di grandi cifre a mente, ma c'è proprio, sulle orme della madre, una comprensione profonda di quella che è la vera matematica a livelli avanzati, quella fatta di teoremi e dimostrazioni, che abbiamo potuto osservare anche ne Il teorema di Margherita.
E tutto gira nello specifico intorno ad uno dei problemi del millennio particolarmente legato anche alla fisica: l'esistenza e regolarità delle soluzioni delle equazioni di Navier-Stokes.
Trattasi di equazioni alle derivate parziali fondamentali nell'ambito della meccanica dei fluidi, di cui però abbiamo una comprensione teorica assolutamente incompleta riguardo alle soluzioni.
Per esempio i matematici non sono mai riusciti sinora a dimostrare che, date delle condizioni iniziali generiche, esistano SEMPRE soluzioni lisce al sistema tridimensionale, appunto il sopracitato problema dell'esistenza e regolarità delle soluzioni delle equazioni di Navier-Stokes.
Se volete saperne di più sulla difficoltà legata alla soluzione di tali equazioni, vi consiglio di guardare questo splendido video tratto dal canale YouTube Aleph 0:

Ora magari qualcuno si starà domandando perché dovrebbero essere in teoria dei matematici a tentare di risolvere il problema quando stiamo parlando di equazioni della fisica.
Beh, spesso certe equazioni della fisica, come ad esempio l'equazione di Laplace (o la più generale equazione di Poisson) e l'equazione del calore, non sono altro che prototipi di equazioni differenziali le cui proprietà possono poi essere studiate nel dettaglio da un punto di vista prettamente matematico.
Per esempio il matematico italiano Bruno Pini (1918-2007) fu il primo a dimostrare, nei primi anni '50, che le funzioni caloriche soddisfano delle formule di media, un bel salto in avanti rispetto a quanto fatto analogamente da Gauss, attorno al 1840, per le formule di media relative al più semplice laplaciano. 
Potete trovare qualche dettaglio tecnico sull'argomento cliccando qui e qui.
Tornando al film, al di là degli interessanti dettagli matematici presenti, una riflessione importante è quella che viene fornita riguardo alla vita condotta dalle persone troppo intelligenti (o meglio, particolarmente dotate in un certo ambito del sapere e delle attività umane, dato che la definizione di intelligenza è un concetto molto relativo, tant'è che Howard Gardner, nel 1983, propose di distinguere l'intelligenza in 7, poi diventate 9, manifestazioni essenziali).
Da una parte viene sottolineato il giusto tema della noia di fronte ai tradizionali programmi scolastici, dall'altro lato, tuttavia, anche le persone molto dotate restano in fin dei conti degli esseri umani, con le proprie emozioni, la loro voglia di avere dei momenti di svago (seppur la matematica per loro possa essere estremamente affascinante e coinvolgente) e di socialità, e magari anche la ricerca dell'amore.
Il film mostra oltretutto la questione dell'estrema pressione a cui certi genitori sottopongono i propri figli mossi da aspettative talvolta colossali e che possono recare dei danni psicologici non da poco.
Insomma Gifted, oltre ad affascinarci con la matematica ed emozionarci con alcune scene intense, ci porta a domandarci quale debba essere il giusto equilibrio nella formazione dei giovani che sia l'ambiente familiare sia quello scolastico dovrebbero adottare per far crescere persone allo stesso tempo capaci ma anche possibilmente serene.
Ovviamente questi interrogativi non sono banali e probabilmente non c'è una risposta univoca, ma già che ci si rifletta su costituisce un bel traguardo educativo per una pellicola cinematografica neanche troppo di nicchia.
Per tali motivazioni la visione di Gifted è consigliata non soltanto agli appassionati di matematica, ma anche a chi voglia semplicemente seguire una bella storia che porti a delle riflessioni profonde al termine del film.
Poiché abbiamo parlato di bambini prodigio, concludiamo in musica con un'esecuzione a dir poco incredibile del Piano Trio No. 1 Op. 49 di Felix Mendelssohn da parte di un trio di tredicenni coreani, il Rabbit Trio.

 

venerdì 7 febbraio 2025

LA SPAGHETTIFICAZIONE

Il 6 dicembre 2024 è uscita la versione early access del videogame Path of Exile 2 (abbreviato PoE2), il sequel di un famoso action RPG.
Si potrebbe a lungo parlare della relazione tra PoE e la matematica, dato che per esempio il gigantesco albero delle abilità (skill tree) presente sia nel gioco originale che nel suo sequel potrebbe essere analizzato dal punto di vista della teoria dei grafi, la cui origine risale ad un articolo scritto da Eulero nel lontano 1736. 

Skill tree in PoE2.




















Ma in questo post non ci focalizzeremo su questo aspetto, ma su un preciso nodo di quel monumentale skill tree che ci connette direttamente anche alla fisica moderna! Di seguito l'immagine che lo descrive.




















Trattasi di un nodo piuttosto potente ed utile, specialmente nelle build che si appoggiano su un altro nodo assai significativo chiamato "Chaos Inoculation". Quest'ultimo è un nodo che infatti consente di rendersi immune a qualsiasi fonte di danno di tipo chaos (rendendo quindi quel malus -13% alla resistenza al chaos di Spaghettification totalmente insignificante) a patto di portare la vita del personaggio ad un valore pari a 1, cosa decisamente fattibile se le difese del personaggio che si sta portando avanti vengono basate su altre meccaniche come l'energy shield oppure il mana.
Io stesso ho infatti inserito (tramite un procedimento detto "instilling") il nodo Spaghettification sull'amuleto del mio Gemling Legionnaire, amuleto che potete ammirare qui di seguito.




















Ma cosa diavolo significa spaghettificazione in fisica?
Per capirlo abbiamo bisogno di riferirci alla famosa relatività generale di Einstein, una teoria datata 1915 e che descrive la gravità come curvatura dello spaziotempo (avevamo parlato un po' in dettaglio di spaziotempo qui). 
Le equazioni fondamentali della suddetta teoria sono le equazioni di campo di Einstein:







Esse mettono in relazione la geometria dello spaziotempo (1° membro della formula sopra riportata, in cui per semplicità abbiamo omesso la presenza della celebre costante cosmologica) e la distribuzione di materia-energia (2° membro dell'equazione).
Analizzare in modo dettagliato l'aspetto tecnico di tali equazioni (sottolineiamo che il plurale è d'obbligo, anche se la formula riportata è singola, perché in modo esplicito quella formula rappresenta un sistema di ben 10 equazioni differenziali alle derivate parziali) va ben oltre lo scopo divulgativo di questo post.
Ci basti qui sapere che sussistono 2 modi fondamentali per provare a risolvere tali complicate equazioni: 1) sfruttando specifiche simmetrie 2) facendo uso dell'analisi numerica (cioè usando approssimazioni).
La più semplice soluzione non banale che conosciamo è certamente la metrica pubblicata nel 1916 da Karl Schwarzschild, ossia in simboli:





Qui abbiamo assunto il caso specifico di simmetria sferica (immaginate per esempio la geometria al di fuori di una stella sferica) nel vuoto (ossia il 2° membro delle equazioni di campo di Einstein è 0).
La metrica di Schwarzschild è utile per descrivere buchi neri statici (cioè non rotanti, a differenza dei buchi neri di Kerr) che non posseggono una carica elettrica. Per gli scopi del post ci accontenteremo di considerare solo la "semplice" metrica di Schwarzschild, un modello matematico ideale, ma tenete ben presente che i reali buchi neri astrofisici sono decisamente non statici.  
Quando la coordinata radiale r è uguale a 2GM/c^2, ovvero al cosiddetto raggio di Schwarzschild (generalmente indicato con r_s), ciò che stiamo descrivendo è l'orizzonte degli eventi della situazione.
Attenzione: r = r_s è una singolarità apparente, non una singolarità fisica (mentre r = 0 è davvero una singolarità fisica, dunque qui la curvatura diventa infinita).
La chiamiamo apparente (in inglese "coordinate singularity") perché tale singolarità è presente solo in specifici sistemi di coordinate (nel nostro caso quello di Schwarzschild).
Se infatti immaginiamo un raggio di luce che si avvicina al punto r = r_s (si veda immagine qui sotto) nelle coordinate di Schwarzschild, sembrerebbe che esso non arrivi mai ad r_s, ma tutto ciò è solo una mera illusione!

Coni di luce nel sistema di coordinate di Schwarzschild.
Figura presa da https://arxiv.org/pdf/gr-qc/9712019.


 











La verità è che un raggio di luce non ha alcun problema nel raggiungere r_s, è semplicemente una questione di coordinate.
Difatti si potrebbero introdurre differenti sistemi di coordinate, come il sistema di Eddington-Finkelstein, ove la superficie r = r_s risulta perfettamente regolare, ma globalmente rappresenta un punto di non ritorno giacché sappiamo che un orizzonte degli eventi è una struttura causale. 
Coni di luce nel sistema di coordinate di Eddington-Finkelstein.
Figura presa da https://arxiv.org/pdf/gr-qc/9712019














Ora, dato che nulla (inclusa la luce) può fuggire dall'orizzonte degli eventi, non siamo in grado di vedere cosa c'è dentro!
In altre parole, stiamo definendo i buchi neri come regioni dello spaziotempo separate da r = \infty (la cosiddetta regione asintotica) da un orizzonte degli eventi.
Se immaginiamo adesso di dirigerci vicino al centro di un buco nero, inizieremmo ad avvertire intense forze di marea.

Immagine tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Forza_di_marea.















Nello specifico, riceveremmo uno stiramento verticale bilanciato da una compressione orizzontale, che porta gli oggetti ad assumere forme lunghe e sottili come quella degli spaghetti! Questo è appunto il processo noto come spaghettificazione.




















Si noti che una diversa massa dei buchi neri presi in considerazione andrebbe a condizionare notevolmente tale fenomeno poiché questo parametro influenzerebbe il punto in cui le forze di marea diventano rilevanti.
Infine, segnaliamo che recentemente, nell'articolo https://arxiv.org/pdf/2404.09381, sono state condotte svariate interessanti simulazioni inerenti a questo fenomeno.
Concludiamo in musica con un iconico pezzo dei Soundgarden, datato 1994, intitolato Black Hole Sun.

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Il post che avete letto è una versione estesa del thread che ho pubblicato in inglese il 2 dicembre 2024 su Bluesky.

lunedì 11 novembre 2024

LA LAGRANGIANA DI HEISENBERG-EULER E NUOVI SVILUPPI NELLA FISICA

Dato che in questo periodo sto lavorando alla mia tesi di laurea magistrale in fisica (percorso "fisica teorica e computazionale"), volevo provare a condividere con i lettori del blog una rapida panoramica storico-divulgativa dell'argomento nocciolo della tesi: la Lagrangiana di Heisenberg-Euler (e la corrispondente azione efficace).
Avevamo già introdotto brevemente il fondamentale concetto di Lagrangiana in fisica qui
La Lagrangiana di Heisenberg-Euler è uno dei primissimi concetti non banali sviluppati nell'ambito della cosiddetta elettrodinamica quantistica, spesso abbreviata come QED, ovvero la teoria quantistica del campo elettromagnetico, su cui Richard Feynman (1918-1988) non solo fornì contributi a dir poco essenziali, ma ci scrisse pure un testo divulgativo (pubblicato nel 1985), di brillante chiarezza, intitolato in italiano QED: La strana teoria della luce e della materia.
Tale Lagrangiana risale, nello specifico, ad un articolo pubblicato nel 1936 da Werner Karl Heisenberg (1901-1976), quello del celebre principio di indeterminazione, e dal suo studente di dottorato Hans Heinrich Euler (1909-1941), che potete visionare nella traduzione in inglese cliccando qui.
Ma quale fu il background storico che portò alla realizzazione di tale fondamentale articolo?
Beh, innanzitutto fu ovviamente fondamentale lo sviluppo della meccanica quantistica negli anni '20 del XX secolo da parte di figure come Schrödinger, Born, Pauli, lo stesso Heisenberg e diversi altri pilastri della fisica moderna.
E poi ci fu, nel 1928, la mitica equazione di Dirac e la conseguente scoperta del positrone (la prima antiparticella), di cui abbiamo parlato qui
Proprio in questo clima di grosso fermento culturale si cominciarono a gettare le basi per la QED, teoria che tuttavia presentava difficoltà assai spinose, ossia divergenze (in parole povere risultati infiniti che andrebbero rinormalizzati) che venivano fuori nei calcoli e che portarono inizialmente svariati fisici, tra cui persino Dirac, a non nutrire fede sul futuro della suddetta teoria.
Per farvi intuire il grado di complessità della questione, torniamo un attimo sull'equazione di Dirac




Ciò che l'equazione di Dirac esprime matematicamente in modo elegante, ma decisamente non banale, è l'elettrone visto come un pezzo di carica elettrica in un punto nel vuoto spaziale quantistico.
Il problema è che la realtà della QED è molto più complessa di questo "semplice" modello.
Infatti la QED prevede che l'elettrone sia in verità circondato da campi elettromagnetici, a cui bisogna pure aggiungere coppie di elettroni e positroni virtuali che emergono dentro e fuori dal vuoto (un fenomeno in gergo tecnico chiamato polarizzazione del vuoto, dimostrato sperimentalmente nel 1997 dall'acceleratore di particelle TRISTAN in Giappone).
Pertanto ciò che i fisici sperimentali interpretano come massa dell'elettrone non è quella dell'elettrone "nudo" descritto dall'equazione di Dirac, bensì il risultato dell'interazione del suddetto col proprio campo elettromagnetico e con questa bizzarra polarizzazione del vuoto.
Giungiamo all'anno 1934, anno in cui Heisenberg, prima con lettere scritte a Pauli e Weisskopf, poi con un articolo, Remarks on the Dirac theory of the positron, arriva a formulare qualcosa di molto vicino ad una QED rinormalizzata (poi effettivamente realizzata da altri studiosi alla fine degli anni '40).
Insomma, in questa atmosfera decisamente tesa, Heisenberg propone al suo studente Euler di studiare, come argomento di tesi, lo scattering di 2 fotoni facendo uso di un particolare formalismo (quello della matrice densità) che egli aveva perfezionato per la QED nell'articolo poco fa menzionato.  
Oltre a ciò, Euler lavorò, assieme ad un altro degli studenti di Heisenberg, Bernhard Kockel (1909-1987), ad una analisi dell'ampiezza di scattering fotone-fotone nel limite di bassa frequenza.
Tale studio servì in particolare a mostrare che il vuoto quantistico possa essere visto come un mezzo (teoricamente rilevabile in laboratorio, ma nella pratica tale rilevazione risulta assai complicata) e che le relazioni tra campi elettrici e magnetici fossero non lineari in questa teoria.
Tutto ciò aprì la strada al lavoro sopramenzionato di Heisenberg ed Euler del 1936, nel quale pervennero a quella che oggi chiamiamo proprio in loro onore Lagrangiana di Heisenberg-Euler (d'ora in poi li abbrevieremo con H-E), un oggetto matematico formidabile, capace di fornirci tante informazioni nell'ambito della teoria quantistica dei campi, e che in forma compatta si può esprimere come segue.





 
Non entreremo nei dettagli della discussione e derivazione di tale formula, che vanno ben al di là degli scopi divulgativi di questo post.
Ciò su cui vorrei invece soffermarmi è una recente sorprendente scoperta, riportata da Gies e Karbstein in un articolo (lo trovate cliccando qui, per chi fosse interessato a leggerlo) pubblicato nel 2017, inerente a tale Lagrangiana e alla corrispondente azione efficace.
In parole povere, Gies e Karbstein hanno constatato che, quando si va ad analizzare un'espansione a loop della Lagrangiana di H-E, risultano non nulli dei contributi (i cosiddetti "1PR contributions", dove 1PR sta letteralmente per "one-particle reducible") che prima si riteneva invece svanissero considerando campi elettromagnetici costanti!
Immagino che chiunque abbia più o meno idea di cosa sia un loop in un contesto generico. Interi episodi di serie tv (da Star Trek a Streghe, da Supernatural ad Agents Of S.H.I.E.L.D., da Russian Doll a Triage e tante altre) per esempio sono dedicati a situazioni in cui i personaggi si risvegliano ogni giorno nel medesimo giorno in cui accadono le stesse cose, i cosiddetti loop temporali, cercando disperatamente di uscire fuori da questo ciclo infinito.
Bene, nell'ambito della teoria quantistica dei campi, i loop sono raffigurazioni (spesso di forma circolare) all'interno dei diagrammi di Feynman che costituiscono correzioni quantistiche (matematicamente espresse da integrali sui momenti) rispetto alla teoria classica dei campi (cioè quella in cui la famosa costante ℏ tende a 0).
Il più semplice esempio di loop in tale contesto si ritrova nel tadpole (letteralmente "girino"), il cui diagramma di Feynman riportiamo qui di seguito nella rappresentazione tratta da Wikipedia.




 
 




Ciò che hanno riscontrato Gies e Karbstein nello specifico è che, andando a valutare l'azione efficace di H-E a 2 loop, viene fuori un risultato rappresentabile come segue.



 


Questo significa che, all'ordine correttivo di 2 loop, l'azione efficace di H-E viene fornita da un contributo 1PI (letteralmente "one-particle irreducible"), cioè irriducibile, che visualizziamo a sinistra del "+", e da un contributo 1PR, che possiamo vedere a destra del "+".
Vi potreste magari chiedere perché il primo contributo è chiamato irriducibile, mentre il secondo è detto riducibile.
Beh la risposta è piuttosto semplice. Potete facilmente notare, osservando i due diagrammi, che se proviamo a tagliare il secondo (quello a destra) con una linea immaginaria nel mezzo otterremmo 2 diagrammi ancora sensati, mentre nel caso del diagramma 1PI siamo impossibilitati a compiere questo "taglio" (non si può spezzare un loop a metà!).
Come già detto, il risultato ottenuto da Gies e Karbstein è davvero sorprendente poiché, fino alla pubblicazione del loro articolo, tutta la comunità dei fisici credeva che il contributo del diagramma 1PR sopra rappresentato fosse nullo, invece non lo è!
E ciò spalanca le porte per nuovi rilevanti studi.
Sempre nel 2017, infatti, Edwards e Schubert, nell'articolo (cliccate qui per leggerlo) One-particle reducible contribution to the one-loop scalar propagator in a constant field, non solo hanno derivato nuovamente il risultato di Gies e Karbstein per mezzo del cosiddetto worldline formalism (ne parlammo qui), riottenendo l'elegantissima formula





 
ma si sono spinti oltre andando a calcolare il contributo 1PR ad un loop nel caso del propagatore scalare.
E teoricamente, come sto facendo nella mia tesi, sempre mediante l'uso del worldline formalism, ci si può spingere ancora oltre, andando per esempio a considerare cosa succede ai contributi 1PR della Lagrangiana di H-E se invece dello scambio di fotone (particella di spin 1 rappresentata dalla linea ondulata nel diagramma di cui sopra) si considerasse per esempio lo scambio di uno scalare (particella il cui spin è pari a 0) o addirittura di un gravitone (particella ipotetica di spin 2 mediatrice dell'interazione gravitazionale, su cui recentemente ci sono stati sviluppi teorici in merito alla possibilità di rilevazione, come potete leggere qui)!
Insomma la bellezza della fisica sta anche nel fatto che non finisce mai di sorprenderci e impegnare le menti in una ricerca sempre più profonda della natura delle cose.
Per rimanere in tema gravità, concludiamo in musica con una splendida performance di Gravity, canzone di John Mayer del 2006, nella cover di Clark Beckham e Yebba.


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Fonti essenziali per i dettagli storici:

- QED and the Men Who Made It: Dyson, Feynman, Schwinger, and Tomonaga di S. S. Schweber
- The Infinity Puzzle. Quantum Field Theory and the Hunt for an Orderly Universe di F. Close
- Early Quantum Electrodynamics: A Source Book di A. I. Miller.

lunedì 30 settembre 2024

IL TEOREMA DI MARGHERITA E LA CONGETTURA DI GOLDBACH

"Il teorema di Margherita" è un film del 2023, recentemente divenuto gratuitamente disponibile per la visione sulla piattaforma RaiPlay.

Come il titolo lascia immaginare, al centro della vicenda c'è la matematica.
Non è ovviamente la prima volta che la matematica fa capolino sul grande schermo, si pensi ad esempio ad "A Beautiful Mind" (che racconta la vita del famoso matematico, premio Nobel per l'economia John Nash), a "Will Hunting - Genio ribelle" (il cui protagonista è un giovane prodigio della matematica che fa le pulizie al MIT), a "L'uomo che vide l'infinito" (incentrato sulla breve ma prolifica vita del genio indiano Ramanujan e del suo rapporto con un altro noto matematico, G.H. Hardy), ecc.
Insomma la matematica, seppur considerata notoriamente materia ostica ed arida, in realtà è in grado di mostrare tutto il suo fascino nel mondo cinematografico e non solo (abbiamo per esempio osservato in passato, cliccate qui, come la matematica faccia capolino nello splendido anime Banana Fish).
Ne "Il teorema di Margherita" si compie però, a mio avviso, un passo innovativo, ovvero c'è la possibilità di percepire con maggiore concretezza come lavora un vero matematico.
Chi di professione non fa il matematico (o comunque non è avvezzo ad un formalismo scientifico elevato) può tendere a sminuire la matematica ad un saper far di conto.
Sussistono infatti anche rappresentazioni cinematografiche che mostrano bambini in grado di effettuare mentalmente calcoli mostruosi, come ad esempio la seguente scena tratta dal film del 1991 intitolato "Il mio piccolo genio".


Tuttavia, quando parliamo della vera matematica che si discute all'interno delle università e delle scuole di eccellenza, non si lavora propriamente con cifre numeriche elevate, bensì con lemmi, congetture, teoremi e dimostrazioni, che possono spaziare negli innumerevoli settori specialistici in cui si è evoluta la matematica moderna.
Un'evoluzione così ampia nell'ultimo secolo che per trovare un matematico capace di contribuire in praticamente ogni branca esistente (un cosiddetto "matematico universalista") dobbiamo ancora riferirci a Poincaré (1854-1912) e von Neumann (1903-1957).
"Il teorema di Margherita" ci catapulta immediatamente nella realtà della giovane Marguerite Hoffmann (interpretata da Ella Rumpf, la quale è stata insignita per tale interpretazione dei premi César e Lumière come migliore promessa femminile), dottoranda in matematica all’École Normale Supérieure (ENS) di Parigi, con un'intervista. 
Marguerite è una ragazza incredibilmente intelligente ma molto riservata (infatti non sembra molto entusiasta di dover partecipare all'intervista), la cui vita, almeno fino a quel momento, risulta totalmente focalizzata sulla passione per la matematica.
Ricalca dunque, almeno all'inizio, un po' la visione stereotipata che si ha tipicamente di un genio della matematica.
Come una qualsiasi persona che decide di intraprendere l'arduo percorso del dottorato di ricerca, la sua ricerca si focalizza su un preciso tema tecnico, nel caso specifico il nocciolo della ricerca è costituito da questioni vicine alla famosa congettura di Goldbach, che ispirò tra le altre cose anche il romanzo "Zio Petros e la congettura di Goldbach" (1992) di Apostolos Doxiadis.
Viene puntualizzato sin dagli attimi iniziali della pellicola che si tratta di una congettura, cioè un enunciato matematico non dimostrato, e non di un teorema, ovvero un enunciato già dimostrato.
La suddetta congettura asserisce che "ogni numero pari maggiore di 2 può essere scritto come somma di due numeri primi" (che possono essere anche uguali).
Come potete constatare, l'enunciato è facilissimo, persino un bambino potrebbe coglierne il significato. E allora dove sta il problema? Il problema (un po' come per il famosissimo ultimo teorema di Fermat) sta nel dimostrare rigorosamente la veridicità di tale affermazione, cosa che nessuno fino ad ora è mai riuscito a fare! 
La congettura di Goldbach è stata formulata per la prima volta, nel 1742, in uno scambio epistolare tra Christian Goldbach e il più celebre Eulero (cliccate qui per un altro aneddoto che li riguarda).
In verità la suddetta congettura è spesso chiamata "congettura forte di Goldbach" giacché la sua dimostrazione implicherebbe in automatico la veridicità di un'altra congettura nota come "congettura debole di Goldbach" (naturalmente la dimostrazione della "debole" non implicherebbe la veridicità della "forte").
La congettura "debole" afferma che "ogni numero dispari maggiore di 7 può essere espresso come somma di tre primi dispari" o, equivalentemente, che "ogni numero dispari maggiore di 5 può essere espresso come somma di tre numeri primi".
Buone notizie almeno su questo fronte: la congettura "debole" di Goldbach è stata dimostrata nel 2013 dal matematico peruviano Harald Andrés Helfgott
Infatti la sua dimostrazione (se volete per curiosità darci uno sguardo, cliccate qui) è stata accettata, nel 2015, per la pubblicazione sugli Annals of Mathematics Studies, anche se, va rimarcato, tutt'oggi la pubblicazione su rivista peer-reviewed non è ancora stata effettuata in modo integrale, come si legge qui.
Ma torniamo al film. La nostra Marguerite si ritrova ben presto a dover affrontare un importante seminario inerente alle sue ricerche. 
E qui entra in gioco il delicato tema dell'ansia e della pressione sociale
Tutti prima o poi nella propria vita si ritrovano a dover soddisfare delle aspettative più o meno grandi nella scuola o nel lavoro. Nei casi estremi ciò può portare alla vera e propria disperazione, alla depressione se non addirittura al suicidio, come testimoniato da casi di cronaca come quello di Chieti (cliccate qui). 
Un tema, questo, che ritroviamo anche nel film, datato 2014, Whiplash, in cui la mente di un giovane batterista jazz viene psicologicamente turbata dal suo, a dir poco severo, direttore d'orchestra. La scena qui di seguito rende molto bene l'idea.


Ma cerchiamo di prendere come motto quanto afferma la commovente canzone sudcoreana "Breathe" di Lee Hi:"fai un respiro profondo, finché entrambe le parti del tuo cuore non diventano insensibili. Va bene commettere errori a volte, perché chiunque può farlo".
 

Tornando a Marguerite, ella non regge la pressione del seminario (oltretutto pieno zeppo di uomini; pochissime le donne presenti), quando un collega, Lucas, nuovo protetto del suo professore relatore, le fa presente un errore che invaliderebbe il suo lavoro (errore dovuto anche alla poca disponibilità ed umanità che lo stesso professore mostra nei confronti di Marguerite).
Insomma tale seminario va a rappresentare, nel bene o nel male, un punto di rottura (un fisico, per ironizzare, direbbe una rottura spontanea di simmetria!) nella ripetitiva esistenza di Marguerite, portandola infatti a chiedere le dimissioni dal dottorato ed incominciare una vita in un ambiente decisamente diverso da quello accademico.
Vengono così fuori disparati nuovi temi come la sessualità (buona per esempio la battuta "non sei mai stata con un uomo o con una donna" della sua amica e coinquilina Noa, che rompe lo schema stereotipato di dare per scontata l'eterosessualità o l'omosessualità di una persona appena conosciuta solo guardando il suo aspetto fisico e il suo modo di vestire), l'applicazione della matematica in contesti inimmaginabili come il mahjong (celebre gioco da tavolo cinese, che ha ispirato anche altri personaggi intellettualmente molto brillanti come Akagi, protagonista dell'omonimo manga di Nobuyuki Fukumoto) ed ovviamente l'amore, che certamente può essere riservato alla matematica ma non per questo deve escludere anche il suo significato romantico.
D'altronde "Love wins all", come afferma la recente canzone della cantante e attrice sudcoreana IU.


Senza fare ulteriori spoiler, "Il teorema di Margherita" rappresenta in conclusione un interessante ed intrigante percorso di formazione personale di una giovane ragazza in una società ancora piuttosto maschilista e che non vede di buon grado l'essere "diversi" (ne abbiamo parlato un po' qui e qui), un racconto che sicuramente appassionerà i patiti di matematica, ma che può essere apprezzato anche da chi la matematica la detesta; e magari, chissà, la detesterà un po' meno dopo la visione del film!

mercoledì 10 aprile 2024

IL PARADOSSO DI BERTRAND

Tra i grandi problemi della matematica c'è sicuramente il paradosso di Bertrand (così denominato da Poincaré).
Esso fu formulato per la prima volta dal matematico francese Joseph Louis François Bertrand (1822-1900) nella sua opera, datata 1889, intitolata Calcolo delle probabilità.
Immaginiamo di possedere 3 scatole identiche, ciascuna avente 2 scompartimenti ed una medaglia inserita in ciascuno di essi.
Supponiamo che:

- cassa n.1: contiene 2 medaglie d'oro;
- cassa n.2: contiene 1 medaglia d'oro ed 1 d'argento;
- cassa n.3: contiene 2 medaglie d'argento.

Scegliendo una scatola a caso ne consegue ovviamente che la probabilità che i compartimenti della scatola selezionata contengano medaglie diverse è 1/3.


Ma ci si potrebbe anche chiedere quale sia la probabilità che nel secondo scompartimento della scatola vi sia una medaglia diversa dal primo scompartimento.
Ingenuamente si potrebbe immaginare che il primo scompartimento, per esempio, contenga una medaglia d'oro, dunque il secondo una d'oro o d'argento, con relativa probabilità pari a 1/2, il 50%, come quella del lancio di una moneta.
Tuttavia tale soluzione è sbagliata (la soluzione corretta è 1/3)! Perché?
Beh, non abbiamo stabilito che vi sia equiprobabilità tra i casi possibili.
In altre parole, gli errori a cui ci conducono tali ingenue argomentazioni si devono al fatto che non abbiamo definito sin dal principio in modo rigoroso lo spazio campionario, ovvero l'insieme totale dei risultati per un esperimento aleatorio.
Da Wikipedia osserviamo la seguente buona rappresentazione del problema appena descritto (il cosiddetto paradosso delle 3 scatole di Bertrand, spesso introdotto come paradosso delle 3 carte) con la richiesta opposta (cioè la probabilità di trovare una medaglia dello stesso tipo).

















Il suddetto esempio è davvero uno standard nella teoria della probabilità, tanto che la soluzione risulta intimamente legata ai cosiddetti assiomi di Kolmogorov, per la cui spiegazione vi rimando a Wikipedia
Analoghe fallacie si manifestano se l'esperimento di natura aleatoria che stiamo analizzando non è correttamente definito e può quindi essere interpretato in modi diversi, risultando decisamente ambiguo.
Quanto appena descritto rappresenta l'idea alla base del vero e proprio paradosso di Bertrand.
Tale paradosso è decisamente rilevante non solo in ambito puramente matematico ma anche nel mondo della fisica, in quanto ci mostra chiaramente l'ambiguità di alcune idee apparentemente intuitive spesso invocate a sproposito in ambito fisico.
Ad esempio sarebbe senza senso buttare a caso una frase del tipo "è naturale assumere che una densità di probabilità sia uniforme" senza una rigorosa spiegazione di natura fisica.
A tal proposito è di frequente utilizzo in ambito fisico il cosiddetto "principio di indifferenza" di Laplace, il quale viene definito dall'economista britannico John Maynard Keynes, in A Treatise on Probability (1921), come segue:

"If there is no known reason for predicating of our subject one rather than another of several alternatives, then relatively to such knowledge the assertions of each of these alternatives have an equal probability".   

Il principio di indifferenza, volente o nolente, è stato usato efficacemente in una moltitudine di applicazioni, dal lancio di monete e giochi d'azzardo al conteggio delle configurazioni nella meccanica statistica. 
Ciò però non ha azzerato i dibattiti filosofici sulla sua applicabilità e correttezza; basti pensare proprio agli studi effettuati da Bertrand.
Scopriamo ora la versione originale del paradosso di Bertrand, di natura geometrica, che riportiamo nell'ottima descrizione effettuata da Boffetta e Vulpiani nel testo Probabilità in Fisica:

"Si consideri il problema: dato un cerchio di raggio unitario si disegni una corda a caso. Calcolare la probabilità che la lunghezza della corda sia maggiore di \sqrt{3} (il lato del triangolo equilatero inscritto).

Prima risposta. Prendiamo un punto P sul bordo del disco. Tutte le corde che partono da P sono parametrizzate da un angolo \theta, vedi Fig. 1.3a.



















Se si vuole che la corda sia più lunga di \sqrt{3} l'angolo \theta deve essere compreso in un settore di 60 gradi in un intervallo di 180, quindi la probabilità è 60/180 = 1/3.

Seconda risposta. Consideriamo un punto P su un raggio e la corda passante per P e perpendicolare al raggio, vedi Fig. 1.3b. La corda è più lunga di \sqrt{3} se il suo centro P è nella parte interna (di lunghezza 1/2), quindi poiché il raggio è 1 la probabilità è 1/2.

Terza risposta. Se il centro della corda cade nel disco di raggio 1/2 allora la corda è più lunga di \sqrt{3}, vedi Fig. 1.3c, poiché l'area di questo cerchio è π/4 mentre l'area totale è π, la probabilità è 1/4.

Qual è la risposta giusta? Semplicemente la domanda è mal posta, perché “si disegni una corda a caso” è decisamente troppo vago, ed in ognuna delle tre risposte c'è un'assunzione nascosta che sembra naturale, ma è invece arbitraria. Nella prima si è assunto che l'angolo \theta sia uniformemente distribuito, nella seconda che il centro della corda sia uniformemente distribuito sul diametro, mentre nella terza che il centro della corda sia uniformemente distribuito all'interno del cerchio."

In altri termini, si è constatato come non esista un unico metodo di selezione, pertanto non esiste un'unica soluzione! 
Abbiamo nello specifico 3 soluzioni rinvenute da Bertrand corrispondenti a 3 diversi metodi di selezione e, qualora non ci venga fornita alcuna informazione aggiuntiva, l'unica conclusione logica è che non c'è un metodo (e dunque una soluzione) migliore di un altro.
Abbastanza recentemente, nel 2014, Diederik Aerts e Massimiliano Sassoli de' Bianchi hanno pubblicato un paper (cliccate qui per leggerlo) nel quale hanno mostrato che il paradosso di Bertrand contiene in fin dei conti 2 problemi diversi: un problema "facile" ed uno "difficile"!
Il problema "facile" può essere risolto formulando la domanda di Bertrand in termini sufficientemente precisi, permettendo in tal modo una modellizzazione non ambigua dell’entità soggetta al processo aleatorio.
Dopodiché, una volta risolto il problema "facile", gli studiosi hanno mostrato che si spiana così la strada alla risoluzione del problema "difficile", a patto che il principio di indifferenza venga applicato non ai risultati dell'esperimento, bensì ai diversi possibili “modi di selezionare” un'interazione tra l'entità sotto indagine e quella che ha prodotto la randomizzazione.
Concludiamo riportando il bel video sul paradosso di Bertrand presente sul canale YouTube Numberphile

 

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Fonti essenziali:

Probabilità in Fisica. Un'introduzione di Guido Boffetta e Angelo Vulpiani
- Kolmogorov. La dualità tra caos e determinismo di Manuel García Piqueras