martedì 8 novembre 2022

LA SCOPERTA DEL POSITRONE

Oggi ci soffermeremo nel dettaglio su un'importantissima scoperta nella storia della fisica moderna, ovvero quella del positrone, l'antiparticella dell'elettrone.
Partiremo con una breve premessa un po' tecnica, dopodiché prometto che la narrazione diventerà molto più fruibile anche per il lettore non avvezzo al formalismo matematico della meccanica quantistica e della relatività ristretta.
È ben noto che l'equazione fondamentale alla base della meccanica quantistica è l'equazione di Schrödinger (ne abbiamo parlato qui e qui)





qui scritta per particella libera (ossia in assenza di potenziale) e assumendo l'uso di unità naturali, cioè ponendo $\hbar = 1$.
Ovviamente più in generale possiamo scriverla come

$i \frac{\partial}{\partial t} | \psi (t) \rangle = H | \psi(t) \rangle$,

ove $H$ denota l'hamiltoniana di una particella libera non relativistica, ovvero

$H = \frac{\mathbf{p}^2}{2m}$.

Detto ciò, una domanda lecita sarebbe chiedersi come sia possibile estendere l'equazione di Schrödinger al caso di una particella relativistica.
Ciò che immediatamente si può fare è scrivere l'hamiltoniana grazie alla relazione di dispersione relativistica

$H = \sqrt{\mathbf{p}^2 + m^2}$,

dove abbiamo imposto, per via delle unità naturali, la velocità della luce $c = 1$ (non utilizzando le unità naturali la relazione sarebbe stata $H = \sqrt{c^2 \mathbf{p}^2 + c^4 m^2}$).
Se si andasse ad utilizzare questa nuova $H$ all'interno dell'equazione di Schrödinger si otterrebbe:






Trattasi di un'espressione problematica per essere una relazione relativistica dato che le derivate spaziali e temporali sono di ordine diverso e ciò non la rende invariante di Lorentz.
Per cercare di risolvere il problema, ossia cercare di rendere quantomeno uguale l'ordine delle derivate temporale e spaziale, possiamo provare ad applicare il termine $i \frac{\partial}{\partial t}$ a tutta l'equazione precedente, il che conduce all'espressione


 



Trattasi della cosiddetta equazione di Klein-Gordon (proposta da Oskar Klein e Walter Gordon nel 1926) per la funzione d'onda $\psi(\mathbf{x},t)$, equazione che risulta consistente con la relazione di dispersione relativistica se compiamo le seguenti identificazioni:





in cui ovviamente $H$ e $\mathbf{p}$ sono rispettivamente l'operatore hamiltoniano e l'operatore momento.
Un ultimo piccolo importante step da compiere è usare le seguenti relazioni





le quali ci permettono di scrivere l'equazione di Klein-Gordon nella sua forma covariante (per i pignoli, abbiamo assunto la convenzione "mostly minus" del tensore metrico $\eta^{\mu \nu}$ dello spazio-tempo di Minkowski):





L'equazione così scritta è invariante di Lorentz in modo esplicito, dato che $\psi(\mathbf{x},t)$ ed $m$ sono scalari, mentre $\partial_{\mu} \partial^{\mu} = \frac{\partial^2}{\partial t^2} - \nabla^2 \equiv \partial^2 \equiv \Box$, cioè l'operatore dalembertiano, è uno scalare di Lorentz in quanto prodotto scalare di quadrivettori.
Detto ciò, l'equazione di Klein-Gordon continua ad avere dei problemi.
Innanzitutto $|\psi(\mathbf{x},t)|^2$, ovvero la densità di probabilità in meccanica quantistica, non è conservata (cioè non è indipendente dal tempo) giacché abbiamo ben 2 derivate temporali nell'equazione di Klein-Gordon.
L'equazione di Klein-Gordon non può oltretutto descrivere particelle aventi spin e presenta anche stati ad energia negativa come soluzioni, il che implicherebbe densità di probabilità negative, assolutamente non consistenti con l'interpretazione probabilistica tipica della meccanica quantistica non relativistica.
Insomma, sarebbe decisamente sbagliato considerare l'equazione di Klein-Gordon come un'equazione di Schrödinger relativistica; quella di Klein-Gordon è semplicemente un'equazione d'onda relativistica!
Tale problematica venne affrontata nientemeno che dal mitico Paul Adrien Maurice Dirac (1902-1984), il quale riuscì nell'impresa di pervenire, nel 1928, ad un'equazione, la famosa equazione di Dirac (di seguito scritta in forma covariante)

$(i\!\!\not\! \partial - m) \psi(\mathbf{x},t) = 0$,

che presenta derivata spaziale e temporale entrambe del 1° ordine.
Tale equazione è tuttavia valida per gli spinori, non per funzioni d'onda scalari e, in particolare, serve a descrivere le particelle con spin semi-intero chiamate fermioni (tra cui troviamo anche l'elettrone e il positrone).
Non entreremo nel dettaglio della spiegazione di tale equazione, che andrebbe ben al di là degli scopi di questo post (gli interessati possono trovare una spiegazione già in alcuni testi della bibliografia in fondo al post).
Prima però di capire come tutto questo si ricolleghi alla scoperta del positrone voglio sottolineare il fatto che negli ultimi anni sia uscita una certa moda che consiste nel tatuarsi sul corpo l'equazione di Dirac e denominarla come "formula dell'amore".
Il problema sta nel fatto che non solo la suddetta equazione non ha nulla a che vedere con l'amore (magari già il bizzarro concetto quantistico di entanglement avrebbe leggermente più senso in tal direzione), ma spesso viene pure scritta in modo totalmente sbagliato, cioè per esempio come segue.

 

 













In questo caso non solo è chiaramente sbagliato l'utilizzo del segno +, ma c'è pure un dettaglio non da poco che manca: la slash notation
Quella barretta che risulta inserita nella vera equazione di Dirac non è infatti messa lì a caso, come fosse una trollata da parte dei fisici per complicare la vita dei poveri mortali, ma ha un significato ben preciso che coinvolge le cosiddette matrici gamma
Insomma, se proprio volete tatuarvela, vi consiglio di tatuarvi quella giusta per non farvi prendere in giro da coloro (seppur pochi 😉) che conoscono davvero l'equazione di Dirac.
Tornando alle cose serie, vi starete giustamente chiedendo a cosa sia servita tutta questa piuttosto pesante premessa.
Essa è servita in primis per farvi capire come non sia banale considerare assieme la meccanica quantistica e la relatività speciale (non mettiamo poi nel calderone la relatività generale, la cui unificazione con la meccanica quantistica è un problema ancora apertissimo in fisica).
Infatti spesso quando si parla di meccanica quantistica + relatività speciale ci si riferisce ad una teoria nota come teoria quantistica dei campi o, in inglese, quantum field theory (abbreviata QFT).
Ecco, se pensate che la meccanica quantistica sia qualcosa di molto complesso, la QFT rappresenta un netto ulteriore step in complessità, oltre a costituire un vero e proprio framework per la fisica moderna ed essere la base teorica della fisica delle particelle.
La premessa è servita poi per farvi quantomeno comprendere perché, nella storia della fisica moderna, non è stata sufficiente l'introduzione dell'equazione di Klein-Gordon e fu necessario il geniale contributo di Dirac per poter compiere giganteschi passi avanti nel tentativo di fusione tra meccanica quantistica e relatività ristretta.
Il nocciolo della questione viene in particolare dal fatto che, così come l'equazione di Klein-Gordon, pure quella di Dirac ammette soluzioni con energie negative!
Ciò implicherebbe la non esistenza di uno stato fondamentale (ground state) del sistema, poiché le particelle tenderebbero sempre a preferire di dirigersi verso stati ad energia negativa.
Oltretutto, tenendo conto che l'equazione di Dirac descrive i fermioni, e i fermioni sono quelle particelle che debbono obbedire al noto principio di esclusione di Pauli (leggete qui), si potrebbe supporre (come fece Dirac) che tutti gli stati ad energia negativa siano occupati, ossia che sussista il cosiddetto "mare di Dirac" inaccessibile alle particelle con energia positiva a causa del principio di Pauli.
Ecco un'immagine illustrativa della situazione tratta dal testo Particle Physics di Martin e Shaw.


  
 

 














Sarebbe tuttavia chiaramente possibile eccitare (in qualche modo) una particella situata nel mare infinito di Dirac delle energie negative verso la regione delle energie positive, totalmente vuota.
Il risultato sarebbe avere una buca nel mare di Dirac, tecnicamente (nel linguaggio tipico della fisica dei semiconduttori) una lacuna (in inglese hole), come ben mostra la seguente immagine.

Fonte: https://oer.physics.manchester.ac.uk/NP/Notes/Notes/Notesse28.xht














Tale lacuna (il pallino bianco della figura) è sostanzialmente un'antiparticella, cioè, in parole povere, una particella che presenta la medesima massa (ed altre proprietà) della particella originaria ma carica elettrica opposta.
Quando una particella e un'antiparticella interagiscono avviene il fenomeno dell'annichilazione, che dà luogo a particelle più leggere con rilascio di energia.
L'antiparticella dell'elettrone $e^-$ è proprio il positrone $e^+$; le 2 particelle interagiscono nello specifico a bassa energia secondo questa relazione:
 



L'introduzione del concetto di antiparticella rimase un puro risultato teorico proprio sino alla scoperta sperimentale del positrone. Entriamo ora finalmente nei meandri dell'interessante storia inerente alla suddetta scoperta. 
Attorno al 1911, il fisico austriaco Victor Franz Hess (1883-1964) scoprì i raggi cosmici mediante esperimenti sulla radiazione ionizzante ad alta quota utilizzando mongolfiere.
I raggi cosmici forniscono una fonte naturale di particelle ad alte energie.
Fino alla fine degli anni '20 del XX secolo la loro composizione rimase sconosciuta e vennero effettuate ricerche atte a comprendere la loro natura.
In particolare, si pensava che i raggi cosmici fossero una potenziale sorgente di particelle oltre ai tradizionali elettroni, protoni e neutroni, i quali costituiscono la materia ordinaria.
Se i raggi cosmici primari fossero composti da fotoni ad alta energia ne conseguirebbe che il flusso osservato di particelle si potrebbe supporre formato essenzialmente da elettroni prodotti attraverso l'effetto Compton.
Tuttavia, si trovò che le "tracce/traiettorie" (in fisica delle particelle il tracking è quel processo atto a ricostruire le "track" di particelle elettricamente cariche in un rivelatore) positive e negative risultavano egualmente frequenti e si ipotizzò, almeno inizialmente, che le tracce positive dovessero essere dovute a protoni.
L'anno di svolta fu il 1932. Infatti in tale anno il fisico statunitense Carl David Anderson (1905-1991) osservò tracce positive nei raggi cosmici che risultavano troppo lunghe per poter essere interpretate come protoni (spoiler: erano positroni).
Anderson (ma pure Millikan) nei propri esperimenti si avvalse dell'uso di una camera a nebbia al fine di rilevare le tracce prodotte dalle particelle ionizzanti.

Anderson con la sua camera a nebbia circondata da un elettromagnete, 1932.
Fonte: https://www.caltech.edu/map/milestone/55

















Specifichiamo che, quando una particella carica passa attraverso la materia, c'è un'interazione che comporta una perdita di energia. Tale energia può assumere la forma di radiazione o di eccitazione/ionizzazione di atomi lungo il cammino.
L'obiettivo fondamentale delle cosiddette track chambers (di cui la camera a nebbia rappresenta il primissimo esempio) è quello di produrre una registrazione visibile di tale cammino e pertanto della particella che lo ha generato.
La camera a nebbia fu uno strumento ideato e perfezionato dal fisico scozzese Charles Thomson Rees Wilson (1869-1959) attorno ai primi anni del XX secolo. Non a caso spesso essa è pure chiamata camera di Wilson.
Nel dettaglio, Wilson notò che la condensazione del vapor acqueo in goccioline si verificava molto più rapidamente in presenza di ioni.
Lo scienziato dunque ideò questo strumento che si può considerare come una sorta di recipiente pieno di aria quasi satura di vapore acqueo e dotato di un pistone di espansione.
Di seguito la foto della camera a nebbia originale di Wilson tratta da Wikipedia.













Nel momento in cui avviene l'espansione l'aria si raffredda e diventa supersatura. Dopodiché goccioline si formano preferenzialmente lungo le scie di ioni lasciate dalle particelle cariche passanti attraverso la camera.
La camera viene illuminata da un lampo di luce immediatamente dopo l'espansione; le tracce delle goccioline così rivelate vanno ovviamente fotografate prima che esse abbiamo il tempo di disperdersi.
Come visto sopra, Anderson riuscì a costruire una camera a nebbia che potesse essere inserita in un ampio e potente magnete.
Il momento e la carica delle particelle si può misurare dalla curvatura delle tracce nel campo magnetico $\vec{B}$ (nell'esperimento di Anderson il campo magnetico era dell'ordine di $1.5$ T).
L'apparato di tale esperimento conteneva pure una piastra di piombo di 6 mm inserita alla scopo di rallentare le particelle.
Grazie a questo setup sperimentale Anderson rinvenne 15 tracce su 1300 fotografie scattate.
Sempre da Wikipedia riportiamo la foto di una delle prime tracce osservate da Anderson nella sua camera a nebbia.



 
 
  



 










Dato che la curvatura di tali tracce cresce al decremento del momento, risultò chiaro che (facendo per esempio riferimento all'immagine appena riportata) la particella entra in fondo alla foto e viaggia verso l'alto.
Il segno della carica $q$ della particella segue dalla direzione della forza di Lorentz $\vec{F} = q \vec{v} \times \vec{B}$ e quindi della curvatura: è positivo!
Ora il fatto che tale particella sia un positrone e non un protone deriva sostanzialmente dal range della traccia superiore e da considerazioni inerenti alla perdita di energia di una particella carica nella materia, perdita che dipende dalla carica della particella e dalla sua velocità (si legga qui).
Nello specifico, dalla curvatura delle tracce, si può dedurre che il momento della traccia più in alto è di 23 MeV/c, il che può corrispondere a 2 scenari differenti:

1) un protone che si muove a velocità molto bassa, ossia $v \ll c$; 
2) un positrone relativistico avente velocità $v \approx c$.
    
Si noti che il primo perderebbe energia rapidamente, giungendo ad uno stato di riposo dopo aver percorso una distanza di circa 5 mm, comparabile con lo spessore della piastra di piombo prima menzionata.
La lunghezza della traccia osservata fu però maggiore di 5 cm, il che stabilisce un limite a cui la massa $m_+$ della particella deve sottostare, ossia $m_+ \leq 20 \, \, m_e \ll m_p$, ove $m_e$ è la massa dell'elettrone mentre $m_p$ è la massa del protone.
Anderson pubblicò i risultati ottenuti nel famoso articolo The positive electron (cliccate qui se volete leggere l'articolo originale); ivi egli introdusse il nome "positrone" e si aggiudicò il Nobel per la fisica nel 1936.
Tuttavia, per correttezza, va menzionato il fatto che, nello stesso periodo, Patrick Blackett (1897-1974) e Giuseppe Occhialini (1907-1993) presentarono un articolo in cui mostravano svariate immagini di tracce originate dai raggi cosmici.
In confronto al setup sperimentale di Anderson, il loro apparato risultava più avanzato ed era addirittura in grado di auto-attivarsi quando una particella lo attraversava, il che portò ad un significativo miglioramento dell'efficienza dell'esperimento.
Nel dettaglio, l'articolo di Blackett ed Occhialini fu ricevuto per la pubblicazione in data 7 febbraio 1933, mentre il sopracitato paper di Anderson venne ricevuto il 28 febbraio 1933.
Raccontata così qualcosa non torna, poiché sappiamo molto bene che colui che è considerato padre della scoperta sperimentale del positrone è proprio Anderson.
Però stando a queste date la scoperta andrebbe attribuita prima agli altri 2 ricercatori. Come si risolve tale spinoso dilemma?
Beh, va semplicemente constatato che Anderson pubblicò la sua prima evidenza sperimentale per il positrone in un articolo precedente, datato 9 settembre 1932, denominato "The Apparent Existence of Easily Deflectable Positives".
Ecco dunque che la cronologia degli eventi torna ad avere un senso logico!
È poi interessante notare che la motivazione originaria degli studi condotti da parte sia di Anderson che di Blackett-Occhialini fu quella di analizzare i raggi cosmici, non quella di scoprire "l'elettrone positivo" congetturato da Dirac.
Tali osservazioni, tuttavia, come ben sappiamo, fornirono una marcata evidenza sperimentale a supporto del modello teorico di Dirac.
Oltretutto, Blackett ed Occhialini erano in stretto contatto con Dirac stesso e diedero argomentazioni di supporto a favore della teoria di Dirac.
Intorno al 1934 Blackett, Occhialini e James Chadwick (1891-1974) perfezionarono la scoperta mostrando in maniera evidente che la massa del positrone era uguale a quella dell'elettrone entro un margine di errore sperimentale dell'ordine del 10%.
Insomma non ci fu più alcun dubbio che la geniale idea di Dirac avesse riscontro nella reale natura delle cose!
Un ultimo essenziale passo in avanti nella vicenda venne compiuto dall'illustre Richard Feynman (1918-1988) nel 1949.
Infatti, in un articolo intitolato "The Theory of Positrons", il grande fisico statunitense propose una soluzione innovativa per rimpiazzare la teoria delle lacune. Egli scrive infatti:

"In this solution, the ‘negative energy states’ appear in a form which may be pictured (as by Stückelberg) in space-time as waves traveling away from the external potential backwards in time. Experimentally, such a wave corresponds to a positron approaching the potential and annihilating the electron. A particle moving forward in time (electron) in a potential may be scattered forward in time (ordinary scattering) or backward (pair annihilation). When moving backward (positron) it may be scattered backward in time (positron scattering) or forward (pair production). For such a particle the amplitude for transition from an initial to a final state is analyzed to any order in the potential by considering it to undergo a sequence of such scatterings."

Riassumendo brevemente l'idea un po' bizzarra (ma ottima) di Feynman, insomma un elettrone che si propaga nel tempo si può interpretare, per una comoda convenzione matematica (si vedano i celeberrimi diagrammi di Feynman), come un positrone che si propaga indietro nel tempo (questo non accade realmente eh, è solo una utile convenzione)! 
Ovviamente vale anche il viceversa, ossia un positrone che si propaga nel tempo è equivalente ad un elettrone che va indietro nel tempo. 
Sottolineiamo che questo strano concetto della propagazione delle particelle all'indietro nel tempo non rappresenta dunque una proprietà del positrone (o di una qualsivoglia antiparticella), bensì semplicemente una proprietà della stretta relazione che sussiste tra materia ed antimateria.
Vi riporto di seguito a tal proposito un ottimo video realizzato da Parth G.

   

Concludiamo il post ricordando che Paul Dirac morì nel 1984 e che il college da egli frequentato, ovvero il St John's College dell'Università di Cambridge, finanziò (e continua a finanziare) lezioni in sua memoria, le cosiddette "Dirac Lectures", tenute da giganti della fisica quasi annualmente (qui la lista completa) presso tale Università.
Vorrei riportarvi come chicca finale l'interessante e sentito discorso introduttivo (che traggo dal libriccino Particelle elementari e le leggi della fisica di Feynman e Weinberg, a cura di Richard Mackenzie e Paul Doust) che Feynman fece proprio nella primissima di tali lezioni commemorative, intitolata "Perché le antiparticelle":

"Il titolo di questa lezione è un po' incompleto perché in realtà sono due gli argomenti di cui voglio parlare: in primo luogo, perché esistono le antiparticelle e, in secondo luogo, il nesso tra spin e statistica. Quando ero giovane, Dirac era il mio eroe. Gli si deve una rivoluzione, un nuovo modo di fare fisica. Ebbe il coraggio di intuire che forma avesse un'equazione, quella che ora chiamiamo equazione di Dirac, e solo dopo cercare di interpretarla. Ai suoi tempi, Maxwell era sì arrivato alle proprie equazioni, ma tirando in ballo un'enorme massa di ″ingranaggi″ e così via.
Per me è un grane onore essere qui. Non potevo non accettare l'invito: Dirac è da sempre il mio eroe, ed è davvero meraviglioso trovarmi a tenere una conferenza in suo onore.
Dirac, con la sua equazione relativistica per l'elettrone, fu il primo - come diceva lui stesso - a far sposare la meccanica quantistica e la relatività. All'inizio pensava che la chiave fosse nello spin, cioè il momento angolare intrinseco richiesto dall'equazione, e che questo spin fosse una conseguenza fondamentale della meccanica quantistica relativistica. Però l'enigma delle energie negative presentato dall'equazione, una volta risolto, mostrò che in definitiva l'idea cruciale necessaria per far sposare la meccanica quantistica e la relatività era l'esistenza delle antiparticelle. Una volta che abbiamo questa idea, possiamo ragionare con qualsiasi spin, come hanno dimostrato Pauli e Weisskopf, ed è per questo che voglio iniziare dalla parte opposta, e cercare di spiegare perché c'è bisogno delle antiparticelle se si tenta di mettere insieme la meccanica quantistica con la relatività.
Procedere in questo modo ci permetterà di spiegare un altro dei grandi misteri del mondo, e cioè il principio di esclusione di Pauli. Questo principio afferma che se prendiamo la funzione d'onda per una coppia di particelle di spin $1/2$ e poi scambiamo tra loro le due particelle, per ottenere la nuova funzione d'onda dalla vecchia dobbiamo inserire un segno meno. È facile dimostrare che se la natura fosse non-relativistica, una volta che le cose sono iniziate in questo modo ci rimangono per sempre, e quindi potremmo far risalire il problema alla creazione stessa, e Dio solo sa come si è svolta. Con l'esistenza di antiparticelle, invece, diventa possibile la produzione di coppie composte da una particella e dalla sua antiparticella, per esempio elettroni e positroni. Il mistero ora è: se produciamo in coppia un elettrone e un positrone, perché il nuovo elettrone che è appena apparso deve essere antisimmetrico rispetto agli elettroni che erano già in giro? Cioè, perché non può avere lo stesso stato di uno di quelli che c'erano già? Quindi l'esistenza delle particelle e delle antiparticelle ci permette di formulare una domanda molto semplice: se creo due coppie di elettroni e positroni e confronto l'ampiezza di probabilità che si annichilino direttamente e quella che si scambino tra loro prima di annichilarsi, perché c'è un segno meno?
Tutte queste cose sono state risolte molto tempo fa, in un modo molto bello che si esprime, nella maniera più semplice nello spirito di Dirac, con un sacco di simboli e operatori. Risalirò agli ″ingranaggi″ di Maxwell e cercherò di dirvi, meglio che posso, come guardare queste cose affinché non sembrino tanto misteriose. Non aggiungo nulla a ciò che è già noto; quello che segue è semplicemente esposizione. E allora, mettiamoci a parlare di come funzionano le cose, e in primo luogo di perché devono esistere le antiparticelle."

Gli interessati possono trovare l'intera lezione di Feynman nel libriccino sopracitato.   
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Fonti essenziali:

- Particle Physics (Fourth edition) di B.R. Martin e G. Shaw
- Phenomenology of Particle Physics di André Rubbia
Particelle elementari e le leggi della fisica di Feynman e Weinberg, a cura di Richard Mackenzie e Paul Doust.

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