martedì 19 marzo 2013

UNA STRAORDINARIA PROTEINA: L'EMOGLOBINA

Tutti quanti conoscono i globuli rossi (detti anche eritrociti o emazie), cellule del sangue che provvedono a trasportare l'ossigeno dai polmoni verso i tessuti del corpo umano, e pure al trasporto di parte dell'anidride carbonica dai tessuti ai polmoni, per consentirne l'eliminazione (cioè l'espulsione verso l'esterno).











Ciò che però permette ai globuli rossi di portare tranquillamente, durante il loro viaggio, l'ossigeno è una particolare proteina, chiamata emoglobina, che svolge il ruolo di collante per gli atomi di ossigeno.













Dunque, andremo ad analizzare le caratteristiche e le peculiarità di tale straordinaria proteina.

Prima di tutto, però, dobbiamo illustrare cos'è nello specifico una proteina.
Il termine "proteina" deriva dal greco proteios che significa "protagonista", un termine azzeccato se si pensa che, dopo l'acqua, le proteine rappresentano le principali componenti di tutte le cellule dell'organismo.
Le proteine (o protidi) sono biomolecole e, nello specifico, sono composti quaternari formati principalmente da:
  • carbonio;
  • idrogeno;
  • ossigeno;
  • azoto.
Diverse contengono pure zolfo e fosforo, altre anche ulteriori elementi (ad esempio, l'emoglobina contiene ferro).
In natura, solamente i vegetali riescono a sintetizzare proteine da sostanze inorganiche (presenti nell'aria e nel terreno), mentre gli animali (quindi anche l'uomo) possono soltanto introdurle mediante l'alimentazione, nutrendosi pertanto direttamente di vegetali oppure di animali, che a loro volta le hanno assimilate dai vegetali.
Le proteine sono le più eclettiche tra le macromolecole cellulari; infatti, svolgono svariati compiti e funzioni all'interno dell'organismo:

- strutturale: formano le strutture di sostegno delle cellule e degli organuli cellulari, provvedendo inoltre al mantenimento delle cellule esistenti, e alla costruzione e al sostentamento delle nuove cellule;
- regolatrice dei processi metabolici: alcuni enzimi e ormoni hanno natura proteica;
- difensiva: sono presenti negli anticorpi;
- di trasporto dell'ossigeno nel sangue (ruolo rivestito appunto dall'emoglobina) e di trasmissione degli impulsi nervosi;
- di contrazione nell'attività muscolare;
- energetica: la loro degradazione ossidativa fornisce la medesima quantità di energia dei glucidi, ovvero 4 kcal/g.

L'idròlisi (cioè l'insieme di reazioni chimiche che, per effetto dell'acqua, scindono una molecola in più parti) acida o basica o enzimatica rende manifesto il fatto che le proteine sono polimeri a lunga catena, derivanti dalla sintesi di amminoacidi (di amminoacidi abbiamo parlato qui).
Scritto in termini maggiormente rigorosi:




ove n sta ad indicare un numero molto grande.
Gli amminoacidi costituenti le proteine sono legati fra loro tramite un particolare legame ammidico (—CO—NH—) denominato legame peptidico.























Praticamente, nel processo di formazione delle proteine, il gruppo carbossilico di un amminoacido reagisce con il gruppo amminico di un altro amminoacido, con conseguente liberazione di acqua.
Ciò che si ottiene viene detto dipeptide.
I peptidi sono appunto prodotti di condensazione ottenuti per disidratazione tra un gruppo amminico di un amminoacido e quello carbossilico di un secondo amminoacido.
A seguito della reazione di condensazione (la reazione inversa dell'idrolisi), restano liberi (come si può vedere nella figura sopra riportata) alle 2 estremità molecolari rispettivamente un gruppo amminico e uno carbossilico disponibili per altre eventuali condensazioni.
Proprio attraverso il suddetto meccanismo si formano i polipeptidi (catene di amminoacidi) e le proteine.




















Andando nello specifico, le proteine presentano una struttura tridimensionale complessa, a cui concorrono non soltanto i fondamentali legami peptidici, ma pure ulteriori tipologie di legame, come legami idrogeno, legami elettrostatici, ponti disolfuro —S—S—, ecc.
Seppur ogni proteina sia differente da tutte le altre, in generale, esse presentano 4 livelli di organizzazione comuni, di complessità crescente.

STRUTTURA PRIMARIA

La struttura primaria di una proteina rappresenta praticamente la sequenza degli amminoacidi che la compongono e il loro numero.
Tale struttura determina sia la forma che la funzione svolta dalla proteina.
Ne consegue che anche una minuscola variazione nella suddetta sequenza (la mancanza di un amminoacido oppure la sua sostituzione con un altro) comporta effetti estremamente rilevanti per l'intera proteina; vedremo tra poco il celebre caso dell'anemia falciforme.

STRUTTURA SECONDARIA

Nel 1950, il premio Nobel per la Chimica (nel 1954), Linus Pauling, si ammalò d'influenza e, durante la convalescenza a letto, costui cercava di costruire catene peptidiche di carta, avvolgendole a forma di elica.
Giocando con le catene di carta ebbe un'illuminazione: in una lunga catena di amminoacidi avvolta ad elica le diverse unità devono occupare posizioni geometricamente equivalenti nel cristallo.
Convinto che il legame C—N peptidico possedesse un parziale carattere di doppio legame, partì dalle ipotesi che il gruppo amminico nelle proteine dovesse avere una struttura planare e che tutti i gruppi NH formassero legami idrogeno (ne abbiamo parlato brevemente qui) con gruppi C=O.
Dopo un certo numero di vani tentativi, Pauling si accorse che risultava possibile avvolgere la catena a elica solo se si accettava un passo dell'elica di 3,6 residui per giro, ovvero una distanza di ripetizione non intera (come tutti i cristallografi credevano fosse obbligatorio), bensì frazionaria!
La suddetta idea venne annunciata trionfalmente da Pauling durante la riunione dell'Unione internazionale di Cristallografia a Stoccolma, nel 1951, e fu d'ispirazione per la scoperta, nel 1953, della struttura a doppia elica del DNA da parte di Watson e Crick.
In parole povere, quello che aveva scoperto Pauling (con successiva conferma per mezzo della cristallografia a raggi X) è che le proteine presentano una struttura elicoidale (α-elica), ossia una catena di amminoacidi che si avvolge a spirale attorno ad un asse, chiamata struttura secondaria della proteina.




















La struttura ad α-elica è certamente quella più frequente in quanto consente il maggior numero di legami idrogeno.
Tale struttura risulta flessibile ed elastica, ed è caratteristica di proteine come la cheratina dei capelli o il fibrinogeno
Tuttavia, non tutte le proteine possiedono una struttura ad α-elica.
Esiste infatti un'ulteriore tipologia di struttura secondaria, scoperta dallo stesso Pauling e da Robert Corey: il cosiddetto foglietto β.
Trattasi di una struttura (a forma appunto di foglietto pieghettato o di fisarmonica) in cui i legami idrogeno non interessano la medesima catena bensì si instaurano tra diverse catene vicine, affiancate su uno stesso piano.












Non è facile trovare catene proteiche tutte a forma di α-elica o di foglietto β: di norma queste strutture sono intercalate da tratti meno ordinati dove, però, sussiste comunque un certo grado di organizzazione.
A proposito di fisarmonica, ecco la magnifica esecuzione di Richard Galliano del famoso Libertango:



STRUTTURA TERZIARIA

La struttura terziaria si deve all'ulteriore ripiegamento delle catene ad α-elica o dei foglietti β, per effetto di forze attrattive di varia tipologia, specialmente di natura elettrostatica.
La suddetta struttura è tipica delle globuline (proteine plasmatiche sintetizzate soprattutto dal fegato e dai tessuti linfatici), le quali, data la loro solubilità in acqua, esercitano attività funzionali e regolatrici.










  




STRUTTURA QUATERNARIA

Una molecola biologica può esser formata da 2 o più molecole proteiche associate fra loro.
L'unione di queste, per mezzo di legami elettrostatici piuttosto deboli, viene chiamata struttura quaternaria. 
La struttura quaternaria è caratteristica soltanto di alcune proteine (tra cui proprio l'emoglobina), in particolare di quelle che svolgono attività biologiche decisamente specializzate.
Inoltre, ogni sub-unità componente della struttura quaternaria concorre con la propria struttura: primaria, secondaria e terziaria.


























Bene, adesso possiamo passare finalmente alla nostra emoglobina.
L'emoglobina è uno straordinario esempio di proteina coniugata, ossia di proteina unita a una parte non proteica che viene denominata gruppo prostetico.
Per quanto concerne l'emoglobina, il gruppo prostetico che si rinviene è quello dell'eme.
La struttura dell'eme è abbastanza complicata.
















Come si può constatare nell'immagine, essa presenta al centro un atomo di ferro legato a 4 atomi di azoto (N).
Nello specifico, i 4 atomi di azoto sono quelli dei 4 anelli pirrolici (un pirrolo è un composto avente formula bruta C4H5N) legati fra loro mediante ponti metinici (-CH=), il che genera nel complesso un anello tetrapirrolico.
A tale struttura principale sono poi legati:
  • 4 gruppi metilici (-CH3)
  • 2 gruppi vinilici (CH2=CH-)
  • 2 gruppi propionici (-CH2-CH2-COO-).
Inoltre, l'atomo di ferro può andare pure a formare altri 2 legami, uno su ciascun lato dell'eme, legami che vengono detti quinta e sesta posizione di coordinazione.
Detto ciò, possiamo asserire che l'emoglobina è un tetrametro, ovvero è costituita da 4 catene polipeptidiche, ognuna dotata di un gruppo eme ed identiche a 2 a 2.
In altre parole, l'emoglobina è una proteina globulare che possiede una struttura quaternaria costituita da 4 sub-unità, ciascuna formata da una porzione proteica (globina) combinata con il gruppo prostetico dell'eme.



















L'emoglobina è anche la responsabile del colore rosso degli eritrociti: è pertanto una cromoproteina.
Il protagonista principale della storia dell'emoglobina è il biologo molecolare austriaco naturalizzato statunitense Max Ferdinand Perutz (1914-2002).
Nel 1936, trasferitosi a Cambridge, questi si dedicò a ricerche cristallografiche sotto la guida di Bernal e Fankuchen, i quali gli insegnarono le tecniche sperimentali della cristallografia.
L'anno successivo, durante un viaggio da Vienna a Cambridge, si era fermato a Praga per fare una visita alla cugina Gina, moglie del fisiologo Felix Haurowitz (1896-1987).
Fu proprio a seguito di una conversazione con Haurowitz che Perutz cominciò le sue ricerche inerenti alla struttura dell'emoglobina, utilizzando cristalli puri di emoglobina di cavallo fornitigli da Gilbert Smithson Adair del laboratorio di fisiologia di Cambridge.
Già nel 1938 Perutz pubblicò con Bernal e Fankuchen un primo lavoro sull'argomento, la prima di oltre 100 pubblicazioni effettuate nel corso della sua vita sull'emoglobina e i suoi derivati.
Perutz studiò a lungo la diffrazione dei raggi X delle proteine e, nel 1953, sviluppò il metodo della sostituzione con atomi pesanti ricchi di elettroni, tecnica che permette di generare un punto di riferimento importante nella mappa di densità elettronica per localizzare meglio le posizioni degli atomi.


 











Con la suddetta tecnica che gli consentì di comprendere la struttura di svariate proteine, John Kendrew e i suoi collaboratori risolsero la struttura della mioglobina, e lo stesso Perutz (nel 1959) quella dell'emoglobina.
Per tali ricerche entrambi vennero insigniti nel 1962 del premio Nobel per la Chimica.
L'emoglobina è l'unica proteina del sangue in grado di legare a sé, in maniera reversibile, l'ossigeno, assumendo quindi un ruolo importantissimo nella fisiologia respiratoria.
Quando si lega all'ossigeno l'emoglobina viene definita ossiemoglobina, mentre nella conformazione in sua assenza viene detta deossiemoglobina.
La presenza dell'emoglobina nel sangue permette il mantenimento regolare del flusso d'ossigeno all'interno dell'organismo umano.
In particolare, le reazioni di scambio gassoso sono rese possibili dalla presenza del ferro, il quale lega l'ossigeno a sé durante il passaggio del sangue nei polmoni e, in un secondo momento, lo cede ai tessuti nella circolazione periferica.
Tale passaggio avviene anche perché i legami con l'eme non sono molto forti e perché, nei tessuti, viene prodotta l'anidride carbonica, la cui presenza riduce l'affinità sussistente tra emoglobina e ossigeno.
Questa regolazione viene chiamata effetto Bohr, denominazione derivante dal fisiologo danese Christian Bohr, padre dello straordinario fisico Niels Bohr (di cui abbiamo tracciato una biografia qui).
Adesso andiamo a scoprire una nota malattia legata all'emoglobina: l'anemia falciforme.
Ricordate che nella struttura primaria di una proteina una variazione minuscola nella sequenza degli amminoacidi andava a scatenare grosse conseguenze?
Ebbene, nel caso dell'emoglobina accade qualcosa di davvero rilevante.
L'emoglobina normale, come abbiamo visto, ha 4 sub-unità o filamenti a 2 a 2 differenti.
Dunque, vi sono 2 filamenti α e 2 filamenti β; un filamento β è composto da 146 amminoacidi, mentre uno α è costituito da soli 141 amminoacidi.
Un particolare importante è dato dal fatto che nel filamento β il sesto amminoacido è rappresentato dall'acido glutammico (Glu).
Se tuttavia, per una biosintesi errata, al posto di Glu compare Val, cioè la valina, si riscontra un'emoglobina diversa, chiamata S, che designa appunto la causa dell'anemia falciforme, detta anche anemia drepanocitica (drepane significa "falce" in greco).
Le molecole di valina formano legami molto forti con le valine delle altre molecole di emoglobina, e ciò comporta che le catene polipeptidiche che le costituiscono si aggreghino e generino dei precipitati, alterando la forma dei globuli rossi.
Infatti, nei soggetti affetti da tale patologia, l'emoglobina S fa sì che i globuli rossi non si presentino più con la classica forma tondeggiante, bensì essi assumono una conformazione "a falce" o "mezzaluna".





 









Ma non è tutto: questi strani eritrociti risultano meno resistenti e dunque, oltre a provocare anemia, possono ostruire i vasi capillari e causare trombosi.
Inoltre, qualsiasi attività che comporti una richiesta di ossigeno può peggiorare la situazione, poiché i globuli rossi non riescono a soddisfarne la domanda.
Questo accade pure con l'ingente esercizio fisico, le scalate in montagna o i voli in alta quota senza supplemento d'ossigeno.
Il mancato trasporto di ossigeno nelle quantità indispensabili per l'organismo e la formazione di coaguli nei vasi scatenano la comparsa di intensi dolori addominali e il respiro affannato.
Uno dei primi organi a venir danneggiato dall'anemia falciforme è la milza e, giacché essa rappresenta una componente fondamentale del sistema immunitario, ne deriva che i malati sono molto più sensibili alle infezioni.
Ecco un superlativo filmato relativo all'anemia falciforme (vi consiglio caldamente di visionarlo!):



Ciò che non abbiamo ancora detto è che l'anemia falciforme è una malattia ereditaria che va a colpire quasi esclusivamente la popolazione nera africana e, più in generale, le zone afflitte dalla malaria.
Tuttavia, sussiste un lato che si potrebbe definire positivo (un qualcosa di buono che però non bilancia assolutamente tutti gli aspetti negativi appena elencati) dell'anemia falciforme: i soggetti affetti da tale patologia che vivono in aree malariche presentano una maggiore immunità nei confronti della malaria.
Come spiegano Penny Le Couteur e Jay Burreson nel libro I bottoni di Napoleone:

"La precisa correlazione fra incidenza della malaria e alta frequenza dei portatori di anemia drepanocitica è spiegata dal vantaggio evoluzionistico di essere un portatore. Coloro che ereditano il carattere della drepanocitemia da entrambi i genitori muoiono di solito di questa forma di anemia già nell'infanzia. Coloro che non ereditano il carattere da nessuno dei 2 genitori soccomberanno con molta maggiore probabilità alla malaria, spesso già nell'infanzia. Coloro che ereditano i geni della drepanocitemia da un solo genitore hanno una certa misura di immunità al parassita della malaria, e di solito sopravvivono fino all'età della riproduzione. Così il carattere ereditario della drepanocitemia non solo continua in una popolazione, ma si moltiplica al passare delle generazioni. Dove la malaria non esisteva non c'era alcun vantaggio nell'essere portatori, e tale carattere sarebbe gradualmente stato eliminato dalla selezione naturale. L'assenza di un'emoglobina anormale che fornisca alla popolazione degli indiani d'America un'immunità alla malaria è considerata una prova certa che prima dell'arrivo di Colombo il continente americano non conosceva questa malattia."

Ma quella dell'anemia falciforme non è l'unica variazione concernente l'emoglobina che determina rilevanti conseguenze (positive o negative) per l'uomo.
Come specificano sempre Le Couteur e Burreson:

"A tutt'oggi sono state trovate più di 150 variazioni diverse nella struttura chimica dell'emoglobina umana, e benché alcune di esse siano letali o possano causare problemi, molte altre sono apparentemente benigne. Si pensa che una resistenza parziale alla malaria venga conferita anche ai portatori delle variazioni di emoglobina che producono altre forme di anemia, come la talassemia alfa, endemica fra popolazioni originarie del Sud-est asiatico, e la talassemia beta, più comune nell'ambiente mediterraneo, per esempio fra greci e italiani, come pure in popolazioni del Medio Oriente, dell'India, del Pakistan e di parti dell'Africa. È probabile che almeno 5 ogni 100.000 esseri umani abbiano un qualche tipo di variazione nella loro emoglobina, e che la maggior parte di loro sia destinata a non saperlo mai."
  
Concludiamo citando una particolare tipologia di emoglobina: l'emoglobina glicosilata.
L'emoglobina glicosilata (o glicata o emoglobina A1c) è una singolare forma di tale proteina sfruttata per identificare la concentrazione media di glucosio nel sangue, per un lungo periodo di tempo (dunque il suo monitoraggio è utile nei soggetti diabetici).
Essa è generata in una reazione non-enzimatica dopo aver esposto l'emoglobina normale ad elevate concentrazioni di glucosio plasmatico.
Venne identificata per la prima volta, nel 1958, da Huisman e Meyering e il suo aumento nei pazienti diabetici fu rinvenuto da Samuel Rahbar nel 1969.
Praticamente, nel corso dei 120 giorni di vita dei globuli rossi, le molecole di glucosio (di glucosio abbiamo parlato qui) reagiscono con la tradizionale emoglobina andando a generare emoglobina glicosilata.
Negli individui con un diabete non sotto controllo la quantità di emoglobina glicosilata che viene creata è nettamente più alta rispetto a quanto riscontrato nei soggetti sani o nei soggetti sì diabetici, ma che "badano" rigorosamente alla loro malattia.











Un incremento di emoglobina glicata all'interno degli eritrociti riflette pertanto il livello medio di glucosio al quale il globulo rosso è stato esposto durante l'arco della sua esistenza.
Ora, come ciliegina sulla torta, vi propongo uno splendido video tratto dalla serie "Esplorando il corpo umano":



E a proposito di sangue, per terminare in bellezza, ecco un bel valzer di Johann Strauss dal titolo "Sangue Viennese" (Wiener Blut):

4 commenti:

  1. Margherita Spanedda19 marzo 2013 alle ore 16:11

    Ancora una volta hai scritto un post fantastico, didatticamente utilissimo. Complimenti e grazie :)

    Margherita

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    1. Le tue parole mi lusingano, Margherita! Grazie mille!!! :)

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  2. Concordo pienamente con Margherita. Meraviglia (per chi ancora non ti conosce) come ogni volta che affronti un argomento riesci a "stendere" articoli sempre particolarmente esaustivi (che trattano a 360°) senza però mai sottovalutare la godibilità della lettura. Complimenti davvero.
    Un saluto
    Marco

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    1. Grazie mille, Marco, per i sempre gentilissimi commenti! :)
      Un salutone!


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