mercoledì 22 febbraio 2012

LA DIFFERENZA TRA LAVORO E FATICA

Qualche lettore, osservando il titolo, si starà forse già chiedendo: ma lavoro e fatica non sono la stessa cosa?
In effetti, il sostantivo "fatica", nella lingua italiana, può esser considerato come sinonimo di "lavoro".
Ma cambiamo prospettiva e addentriamoci nel mondo della Fisica.
Qui lavoro e fatica sono ancora la stessa cosa?
La risposta è no!
Perché?
Genero un po' di suspance, visto che la risposta precisa ed esauriente ve la darò alla fine.
Infatti, in un primo momento, andremo ad analizzare il concetto di lavoro in fisica e, all'interno della trattazione, si troverà la risposta, anche se non esplicitamente (dovrete cercare infatti di intuirla), alla fantomatica domanda che ci siamo posti.
Il lavoro è definito in fisica come:




ove:
  • F = forza;
  • d = spostamento;
  • cos α = angolo fra la direzione della forza e quella dello spostamento.
La formula riportata sopra ci fa capire che il lavoro non è altro che il prodotto scalare tra la forza e lo spostamento.
Quali sono le conseguenze di ciò?
Innanzitutto, per non avere un lavoro nullo è necessario che la forza sia diversa da 0 e che la sua direzione non sia perpendicolare (cos 90° = 0) a quella dello spostamento.
Se tutte queste condizioni sono soddisfatte, allora il lavoro può essere di 2 tipologie:

1) positivo o motore: la forza è diretta nello stesso verso dello spostamento;
2) negativo o resistente: la forza è diretta nel verso opposto allo spostamento.

L'unità di misura del lavoro nel Sistema internazionale delle unità di misure è il Joule (J).
Un joule equivale a: 1 newton X 1 metro (N·m).
Approfondiamo un po' meglio la questione sul lavoro.
Consideriamo una particella/punto materiale (corpo unidimensionale) P di massa m che si muove in un sistema di riferimento inerziale, sottoposto a una certa forza F.
Consideriamo adesso 2 vettori posizione (quelli che ci forniscono appunto la posizione della particella ad un certo istante di tempo):

1) r(t): vettore posizione del punto all'istante t;
2) r(t+ dt): vettore posizione all'istante t + dt, cioè a seguito di un intervallo di tempo aggiuntivo piccolissimo dt.

In questo intervallo di tempo elementare dt la particella ha quindi subito uno spostamento elementare ds che possiamo scrivere come:



Ecco l'immagine illustrativa di tutto ciò:


















Sicché possiamo definire il cosiddetto lavoro elementare dW come il prodotto scalare tra la forza F e lo spostamento elementare ds:



Supponiamo adesso che il nostro corpo unidimensionale si porti, percorrendo la traiettoria s, dal punto A al punto B.
Se immaginiamo di suddividere la traiettoria s in tanti piccoli tratti elementari, possiamo allora assumere, in maniera approssimativa, il lavoro compiuto dalla forza lungo l'intero percorso come la sommatoria dei lavori elementari dW inerenti a ciascun tratto elementare ds:




Per passare al calcolo esatto bisogna ovviamente effettuare il limite di tale sommatoria per ds tendente a 0, cioè definire il lavoro come l'integrale di linea della forma differenziale F · ds tra i punti A e B lungo il percorso s:





Questa è sicuramente una definizione maggiormente rigorosa di lavoro!
Volete sapere chi ha coniato il termine "lavoro"?
La sua introduzione in fisica, nel 1826, si deve a Gaspard-Gustave de Coriolis (1792-1843).
Riporto la breve ma interessante descrizione relativa alla vita di Coriolis di Amir Aczel nel libro Pendulum:

"Coriolis nacque a Parigi negli anni della rivoluzione; suo padre Jean-Batpiste-Eléazar Coriolis aveva militato nel reggimento Bourbonnais, che combatté nella campagna americana del 1780, e quando tornò in Francia fu promosso capitano e passò al servizio diretto di Luigi XVI, per cui si trovò in pericolo dopo il crollo della monarchia (per sfuggire ai continui disordini il re aveva abbandonato la capitale il 21 giugno 1791, ma era stato catturato a Varennes e ricondotto a Parigi, dove finì ghigliottinato). Gaspard-Gustave Coriolis nacque nel giugno 1792, proprio mentre la monarchia veniva abolita. Il ragazzo crebbe a Nancy, dove la famiglia si era trasferita dopo la rivoluzione; nel 1808 sostenne l'esame di ammissione all'École Polytechnique e risultò secondo fra tutti gli ammessi di quell'anno; dopo la laurea entrò nell'École des Ponts et Chaussées (Scuola di Ponti e Strade) di Parigi. Tuttavia, in seguito alla morte del padre, Coriolis dovette far fronte alle necessità della famiglia e, dato che la salute malferma non gli lasciava molte alternative, optò per un posto di assistente di matematica all'École Polytechnique. Per quel lavoro era stato raccomandato da Cauchy, e quando il celebre matematico si rifiutò di giurare fedeltà al nuovo re Luigi Filippo, salito al trono dopo la "rivoluzione di luglio" del 1830, e abbandonò Parigi, l'École Polytechnique offrì il posto rimasto vacante a Coriolis. Questi, però, declinò l'offerta, perché voleva limitare il peso dell'insegnamento. Nel 1836 fu nominato segretario dell'École des Ponts et Chausseées e ammesso alla sezione di meccanica dell'Académie des Sciences; ma nella primavera del 1843 le sue condizioni di salute, già compromesse, peggiorarono ulteriormente, e pochi mesi dopo morì. Coriolis condusse ricerche nel campo della meccanica e dell'ingegneria; studiò l'attrito, l'idraulica e il rendimento dei motori, e introdusse in fisica termini quali "lavoro" ed "energia cinetica". Nel 1835 pubblicò un articolo intitolato Sulle equazioni del moto relativo dei sistemi di corpi  in cui descriveva quella che oggi porta il nome di "forza di Coriolis", un curioso fenomeno fisico presente nei sistemi in rotazione." 

A seguito di questo excursus storico, andiamo a considerare il lavoro nel caso in cui sulla particella P agiscano molteplici forze Fi.
In tale situazione, il lavoro totale W effettuato dalle forze non è altro che la sommatoria dei lavori Wi compiuti in modo separato dalle varie forze:





Siccome la somma di integrali corrisponde all'integrale della somma, e giacché tutte le forze Fi subiscono il medesimo spostamento elementare ds, in quanto ciascuna forza è applicata allo stesso punto P, ne consegue che:





dove ovviamente F indica la risultante di tutte le forze.
Ora sfruttiamo il 2° principio della dinamica per scrivere la risultante delle forze come:




e moltiplichiamo i membri dell'equazione per lo spostamento elementare ds:




Tenendo conto che:






andando a sostituire nel secondo membro dell'equazione precedente otteniamo:




Siccome la quantità v · dv designa il differenziale di 1/2 v², ne consegue che la formula precedente può essere riscritta come:




Integrando la suddetta equazione fra 2 punti qualsiasi A e B della traiettoria si ottiene:





Ciò sta a significare che, dopo tutti questi passaggi, abbiamo scoperto che il lavoro è pari alla differenza dell'energia cinetica (Ec = 1/2 mv²) che il punto possiede nella posizione B (arrivo) e quella che possiede nella posizione A (partenza).
Non a caso, la definizione riportata è denominata teorema dell'energia cinetica o teorema delle forze vive.
Direi che è venuto il momento di sciogliere il riserbo!
Qual è la differenza sussistente tra lavoro e fatica?
La risposta si gioca su una componente fondamentale del lavoro: lo spostamento.
Infatti, come abbiamo visto in maniera approfondita, per esserci un lavoro, ci deve essere una forza (o una risultante di forze) e uno spostamento.
Quando, per esempio, solleviamo un oggetto da terra, stiamo compiendo un lavoro perché applichiamo una forza sull'oggetto e sussiste un certo spostamento di questo dal basso verso l'alto.
La fatica è invece uno sforzo, ma che non comporta alcuno spostamento!
Se teniamo il braccio teso con in mano un certo oggetto, facciamo fatica (soprattutto se pesante!) ma non compiamo un lavoro, in quanto non stiamo effettuando spostamenti di alcun genere.
In realtà, alla fine, questa fatica che avvertiamo è sempre il risultato di un lavoro.
Infatti, i muscoli del nostro corpo, quando sollevano qualcosa, non rimangono mai perfettamente nello stato originario: ci sono sempre microscopici movimenti di questi.
Ergo, essi comporteranno sempre dei minuscoli spostamenti: dunque avremo tanti piccolissimi lavori, che andranno a determinare quella che avvertiamo come fatica!
Un'altra situazione in cui facciamo fatica ma "non lavoro" si ha, ad esempio, quando trasportiamo una valigia lungo un percorso orizzontale, con il braccio ben teso.
In tal caso, infatti, pur essendoci uno spostamento della valigia, le componenti della forza e dello spostamento sono ortogonali tra loro e, per i motivi spiegati in precedenza, il lavoro risulta nullo!









Dopo tutto questo lavoro e questa fatica, direi di rilassarci con un po' di video musicali:









Nessun commento:

Posta un commento