giovedì 25 ottobre 2012

LA FISICA E LE RANE: LUIGI GALVANI

La storia della Fisica è assai ricca di singolari protagonisti e bizzarre vicende.
Tra queste troviamo sicuramente gli esperimenti del fisico e fisiologo italiano Luigi Galvani.
Cosa avranno di così particolare?
Beh, se vi dicessi che tali esperimenti riguardano ovviamente la Fisica (e specialmente l'elettromagnetismo), ma anche le rane, potreste rimanere alquanto perplessi.















Cosa diavolo hanno a che spartire tali piccoli anfibi con l'elettromagnetismo?
Giungeremo presto alla risposta.
Innanzitutto addentriamoci nella biografia del nostro protagonista!


Luigi Galvani nacque a Bologna il 9 settembre 1737 da una famiglia certamente non di nobile rango.
Il padre, Domenico Galvani, era un orafo e sua madre, Barbara Caterina Foschi, era la quarta moglie di Domenico.
Essi potevano permettersi il mantenimento della carriera scolastica di un solo figlio della propria prole: il nostro Luigi.
A 15 anni Luigi desiderava intraprendere una vita di stampo religioso e diventò appunto membro di un'istituzione religiosa: l'Oratorio dei Padri Filippini.
Era arrivato persino al punto di considerare l'idea di prendere i voti, ma fu dissuaso dal compiere una scelta così avventata.
Per quanto concerne la sua formazione, i suoi primi studi furono rivolti verso la grammatica e le "belle arti".
Nel 1754 Galvani si iscrisse all'Università di Bologna, ove frequentò dapprima corsi di filosofia per poi focalizzarsi successivamente verso la medicina (specialmente quella di Galeno, Ippocrate e Avicenna) e le scienze.
Nel frattempo, egli frequentò pure l'Istituto delle Scienze di Bologna, una delle fondamentali istituzioni scientifiche dell'epoca, dove seguì corsi di Fisica, Chimica e storia naturale.
Nel 1759 conseguì la laurea in filosofia e medicina, intraprendendo poi i primi passi per accedere alla carriera accademica.
2 anni dopo divenne "alunno" dell'Accademia delle Scienze di Bologna (associata all'Istituto delle Scienze) e, nel 1762, discusse e pubblicò la tesi De ossibus, la quale gli valse la nomina ad anatomico e a lettore "onorario" (ovvero senza retribuzione) nella medesima Università.
Allo stesso tempo cominciò la vera e propria professione medica, sia come chirurgo negli ospedali cittadini, sia come medico privato.
Il 1762 è una data focale all'interno della vita di Galvani.
Infatti, non solo, come abbiamo appena constatato, ottenne una nuova e prestigiosa posizione nell'Università, ma trovò anche la sua "anima gemella".
Infatti, si innamorò e prese in sposa Lucia Maddalena, figlia di Domenico Gusmano Galeazzi, che, tra l'altro, era stato suo professore di Fisica ed era uno dei più eminenti esponenti dell'Università e, in generale, della comunità scientifica bolognese.
Galeazzi assunse il ruolo di protettore principale di Galvani presso le istituzioni accademiche ed universitarie.
L'intervento di Galeazzi consentì a Galvani di esser persino nominato "Custode e ostensore delle statue anatomiche" e professore di anatomia pratica nell'Istituto delle Scienze.
Nel frattempo, Galvani entrò a far parte anche dell'élite dell'Accademia delle Scienze come "membro benedettino", dedicando la maggior parte del suo tempo in ricerche anatomiche e fisiologiche, e leggendo all'Accademia stessa diverse dissertazioni inerenti ai reni e all'udito.
Tra gennaio e febbraio del 1768 Galvani affrontò la cosiddetta "funzione pubblica di anatomia", ossia un ciclo di lezioni (tenuto ogni anno durante il carnevale al teatro anatomico dell'Università) di anatomia umana focalizzate sul cadavere, riscuotendo così tanto successo da venir nominato, come riconoscimento, lettore "stipendiario" di medicina.
In pratica diventò l'assistente ufficiale di Galeazzi.
Successivamente, nel 1771, Galvani entrò a far parte del Collegio di Medicina, il massimo organo della medicina e sanità bolognese.
Tale istituzione svolgeva diversi ruoli di fondamentale importanza, tra cui:
  • controllare la produzione e il commercio dei farmaci;
  • presiedere al rilascio dei gradi di dottore;
  • rilasciare licenze che consentivano l'esercizio della professione medica, ecc.
Il lavoro di Galvani era così sopraffino da meritarsi la nomina, l'anno seguente, addirittura a Presidente dell'Accademia delle Scienze di Bologna.
Proprio all'Accademia lo scienziato lesse una dissertazione sulla "irritabilità halleriana", la quale rappresenta un precursore dei successivi studi relativi al moto muscolare.
Nel 1775 occorse la morte di Galeazzi; Galvani prese il suo posto come Professore di anatomia pratica, indirizzando il suo insegnamento verso l'anatomia umana sul cadavere.
Non tralasciò tuttavia le ricerche sul moto muscolare, effettuando approfonditi studi sul cuore e sui nervi degli animali.
Nel novembre 1780 Galvani realizzò i primi esperimenti di carattere elettrofisiologico, come si evince dal suo diario di laboratorio.

Illustrazione degli esperimenti di Galvani sull'elettricità animale















Detto ciò, cominciamo finalmente ad addentrarci nella questione delle rane e dell'elettricità!
Verso la metà del XVIII secolo, un membro della Royal Society di Londra, Robert Symmer, compì un esperimento amatoriale estremamente particolare.
In l'inverno era solito, per tenere i piedi al caldo, indossare 2 strati di calze.
La mattina teneva un paio di calze di lana nera sotto un paio di seta bianca, invertendo la sequenza nel pomeriggio.
Durante il cambiamento i 2 tessuti drizzavano il pelo per opera della cariche elettriche opposte!
Symmer, divenuto noto con l'appellativo di "filosofo scalzo", ammirava il suddetto fenomeno seduto comodo sulla sua sedia.
Precisamente nel 1759, all'interno dell'articolo New Experiments and Observations Concerning Electricity, nei "Philosophical Transactions of the Royal Society", Symmer asserì:

"Quando questo esperimento viene eseguito con 2 calze nere in una mano e 2 bianche nell'altra si vede uno spettacolo assai curioso: la repulsione di quelle dello stesso colore e l'attrazione di quelle di colore diverso getta le calze in un'agitazione non poco divertente."

Una sera di aprile del 1786, più di un quarto di secolo dopo la scoperta di Symmer, il nostro Galvani si diresse a piedi verso una terrazza di palazzo Zamboni, abbastanza prossimo alla sua casa a Bologna, portando con sé un rotolo di filo metallico e le zampe di una rana!
Queste ultime erano state preparate "alla maniera solita", cioè recise in corrispondenza del midollo spinale lasciando penzolare i nervi sciatici (o crurali).
Mentre verso sud il cielo si faceva minaccioso, Galvani sistemò il cadavere decapitato dell'animale su un tavolo e lo collegò a una treccia di filo metallico, che lo scienziato aveva ben teso in alto.
Non gli rimaneva che aspettare l'incombere del temporale!
Quando esso sopraggiunse, Galvani osservò che le zampe della rana si contraevano a ciascun lampo, quasi come volessero segnalare l'imminente arrivo del tuono.

illustrazione delle contrazioni muscolari causate dal fulmine


















Negli anni '80 del XVIII secolo Galvani aveva compiuto esperimenti simili nel suo laboratorio, stimolando nervi di rana mediante l'elettricità ottenuta da un generatore a manovella o scaricata da una bottiglia di Leida.
Negli anni '40 del medesimo secolo alcuni scienziati scoprirono casualmente che caricando un liquido in una bottiglia e tenendola in mano, si potevano ottenere potenti scariche elettriche.
Nel 1745 il fenomeno venne osservato da Ewald Georg von Kleist e, l'anno seguente, Pieter van Musschenbroek (1692-1761) di Leida, fisico olandese autore di un magistrale trattato sulla Fisica, si rese conto dell'importanza del fatto.
Praticamente l'apparecchio che accumulava o condensava elettricità prese il nome di bottiglia di Leida per volere di van Musschenbroek.
Musschenbroek riferì la sua esperienza (non certo positiva da un punto di vista salutare, visto che, tenendo in mano l'oggetto, egli subì diverse violente scariche elettriche!) con la particolare bottiglia all'Accademia delle Scienze di Parigi, esprimendosi con le seguenti parole:

"Vorrei informarvi di un nuovo terribile esperimento, che vi suggerisco di non provare mai su voi stessi, o che almeno io, che l'ho provato e sono sopravvissuto per grazia di Dio, non rifarei per tutto il regno di Francia."

Successivamente venne scoperto che la presenza del liquido non era strettamente necessaria: esso poteva benissimo essere rimpiazzato da un foglio conduttore ricoprente l'interno della bottiglia.

bottiglia di Leida






















Ritornando al nostro Galvani, attraverso l'esperimento di palazzo Zamboni, egli confermò che l'elettricità "naturale" dava vita alle stesse reazioni fisiologiche di quella "artificiale", ovvero metteva in movimento i muscoli.
Sussisteva però un esperimento la cui interpretazione era decisamente più rognosa del solito.
Una manciata di anni prima, un assistente di Galvani, toccando (nel medesimo istante in cui un ulteriore assistente stava lì vicino con un generatore) il nervo scoperto di una rana con il bisturi, aveva prodotto una piccola scintilla.
La cosa strana era che non c'era nessun filo collegante l'apparecchio al cadavere dell'animale, ma, come per magia, le zampe di quest'ultimo si erano contratte veementemente, come soggette ad un attacco epilettico.
Questo mistero assillò e tormentò Galvani, il quale cercò in tutti i modi di rinvenire una spiegazione razionale per l'accaduto.
Una delle prime cose che comprese fu il fatto che la reazione non era dovuta semplicemente a uno stimolo fornito dal bisturi.
Infatti, ritentò l'esperimento assicurandosi che il generatore fosse inerte: questa volta, premendo il nervo con una lama di metallo, con più o meno insistenza, i muscoli restavano assolutamente immobili!
Ciò dimostrava la natura elettrica del particolare evento.
Ulteriori esperimenti mostrarono che un cilindro di ferro era in grado di captare la scintilla e far contrarre le zampe, mentre una bacchetta di vetro no.
Sussistevano però delle occasioni in cui persino il bisturi di metallo non dava luogo ad alcuna reazione.
Nello specifico, ciò avveniva quando il bisturi veniva tenuto per l'impugnatura d'osso senza toccare i rivetti o la lama.

bisturi

















Sembrava quindi che anche lo scienziato conducente gli esperimenti facesse parte della reazione stessa.
Al fine di dimostrare tale supposizione, Galvani collocò sul tavolo il cilindro di metallo, da solo, in maniera che toccasse il nervo, e azionò il generatore.
Provate un attimo ad immaginare qual è stato il risultato della suddetta prova.
Ebbene, ponendo fine alla suspance, l'esperimento portò al risultato nullo: la zampa non si mosse affatto!
Ci si può rendere conto che Galvani stava compiendo un lavoro di limatura, ossia stava cercando man mano di eliminare tutte le variabili possibili, allo scopo di giungere, nel finale, alla soluzione dell'intricato enigma.
A quel tempo era già chiara la capacità dell'elettricità di influire a distanza, come quando, azionando il generatore a manovella, si generava una certa tensione nell'aria, un'atmosfera elettrica.
Si poteva dunque ipotizzare che il soggetto avente in mano il bisturi, e il bisturi stesso, funzionavano alla stregua di un parafulmine, che si scaricava attraverso la rana.
Tuttavia, Galvani congetturava che alla base del fenomeno ci fosse qualcosa di ancora più bizzarro.
Se la rana stava semplicemente reagendo all'elettricità artificiale trasmessa tramite l'aria, allora l'intensità della contrazione doveva dipendere dalla distanza delle scintilla.
Giustamente Galvani provò a ripetere l'esperimento diverse volte, ogni volta ad una distanza differente, fissando al midollo spinale di una rana un gancio di metallo, e attaccando quest'ultimo a un lungo filo metallico.
Pensate che il fisico provò persino a compiere l'esperimento collocando l'anfibio a 50 metri di distanza dal generatore di corrente.
Egli arrivò alla sconvolgente conclusione che l'elettricità generata dallo strumento non designava la causa principe dello scatto muscolare.
L'elettricità "artificiale" rappresentava soltanto un segnale, un imput che stimolava una "elettricità animale" naturale che scorre spontaneamente nei nervi.
Galvani non pose fine alle sue ricerche; infatti, all'inizio di settembre del 1786, prese un po' delle sue rane troncate e le appese con ganci metallici a una ringhiera di ferro del suo balcone.
In tale occasione, nonostante non ci fossero né lampi né generatori di corrente, le zampe si contrassero lo stesso.
L'elettricità non poteva originarsi nel metallo, suppose Galvani.
Un singolo conduttore, costituito da gancio e ringhiera, non poteva assolutamente caricarsi.
Per creare una tensione (differenza di potenziale) elettrica il negativo e il positivo dovevano essere mantenuti ben separati, come in una bottiglia di Leida.
Non si poteva tuttavia scartare l'ipotesi che l'elettricità atmosferica si fosse in qualche modo insinuata nel corpo dell'anfibio e in esso accumulata, uscendone celermente al contatto tra il gancio e la ringhiera.
E' vero che quel giorno non ci furono temporali, ma Galvani, da scienziato scrupoloso quale era, decise di provare a dimostrare con certezza l'erroneità di tale congettura.
Ergo, afferrò con una mano una rana, facendola penzolare dal gancio in maniera tale da consentire all'estremità della zampa di toccare il coperchio di una scatola d'argento.
Con un pezzo di metallo che teneva nell'altra mano toccò pertanto la medesima superficie, chiudendo un circuito e scatenando conseguentemente le contrazioni della rana.
Lo stesso accadeva tenendo la rana dal torso in modo che il gancio e una delle zampe toccassero la lastra conduttrice.
Quando la zampa ricadeva sulla superficie si contraeva di nuovo e poi ancora e ancora, determinando una lunga iterazione che terminava all'esaurirsi della propria energia.
Secondo Galvani non poteva essere altro che elettricità animale!
Nel 1791 Galvani pubblicò il resoconto di anni e anni di ricerche nell'opera De viribus electricitatis in motu musculari commentarius (nel VII volume dei Commentarii dell'Istituto delle Scienze di Bologna), all'interno della quale suggerisce proprio l'idea che il muscolo della rana sia come una bottiglia di Leida, capace di accumulare e scaricare una sorta di elettricità organica.
Nella suddetta opera egli descrisse con minuzia i suoi diversi esperimenti; riporto un passo molto significativo dal medesimo trattato:

"Dissecai una rana, la preparai e la collocai sopra una tavola su quale c'era una macchina elettrica, dal cui conduttore era completamente separata e collocata a non breve distanza; mentre uno dei miei assistenti toccava per caso leggermente con la punta di uno scalpello gli interni nervi crurali di questa rana, a un tratto furono visti contrarsi tutti i muscoli degli arti, come se fossero stati presi dalle più veementi convulsioni toniche. A un altro dei miei assistenti che mi era più vicino, mentre stavo tentando altre nuove esperienze elettriche, parve di avvertire che il fenomeno succedesse proprio quando si faceva scoccare una scintilla dal conduttore della macchina. Ammirato dalla novità della cosa, subito avvertì me che ero completamente assorto e meco stesso d'altre cose ragionavo. Mi accese subito un incredibile desiderio di ripetere l'esperienza e di portare in luce ciò che di occulto c'era ancora nel fenomeno."

Nella stessa opera, tuttavia, Galvani si lasciò andare anche alla mera speculazione.
Infatti, ipotizzò che nell'uomo l'eccesso di elettricità potesse determinare irrequietezza, rossore o addirittura, in casi estremi, attacchi epilettici.
Suppose persino uno stretto collegamento fra fulmini e terremoti!
Il De viribus venne subito definito una straordinaria opera e la presunta scoperta dell'elettricità animale suscitò immediatamente una notevole attenzione nell'ambiente scientifico di quei tempi.
Poi entrò in scena Alessandro Volta (maggiori informazioni su Volta si possono trovare nell'articolo "La pila: un'invenzione a cavallo tra Chimica e Fisica")!

Volta, uno dei maggiori esperti di elettricità dell'epoca, fu uno dei primi e più interessati lettori del De viribus; inizialmente rimase realmente impressionato dalle scoperte di Galvani, affermando, nella Memoria prima sull'elettricità animale (1792), che quegli esperimenti avevano collocato l'elettricità animale "nel numero delle verità dimostrate".
Poi arrivò la beffa per Galvani: Volta si mise d'impegno a smontare la sua teoria, pezzo dopo pezzo!
Prendendo come soggetto una rana intera, provò a toccarne il dorso mediante una striscia di metallo e una zampa con una moneta o una chiave.
Dunque chiuse il circuito congiungendo le sommità delle 2 sonde metalliche.
Il risultato furono "quelle stesse convulsioni, spasmodie, subsulti" descritte da Galvani, ma soltanto se venivano utilizzati 2 differenti tipologie di metallo.
Galvani aveva descritto nei suoi esperimenti che un "arco bimetallico" sembrava amplificare le contrazioni, ma non dava molto importanza al fenomeno.
Volta decise allora di approfondire la questione.
Dopo aver esposto il nervo sciatico, vi attaccò 2 piccolissimi anelli metallici (uno di stagno, l'altro di argento) leggermente separati l'uno dall'altro.
Nel momento esatto in cui Volta chiudeva il circuito, ovvero faceva toccare fra loro gli anelli o li collegava attraverso un filo, l'arto si contraeva.
E se invece si provava con lo stagno e l'ottone? Idem.
Volta era sempre più convinto che l'arco conduttore non rappresentava una connessione passiva che scaricava o favoriva il flusso di elettricità animale: era invece la vera sorgente di energia.
Quando sussultava, la zampa dell'anfibio si comportava alla stregua dell'ago di un rilevatore molto sensibile.
Ciò indicava l'esistenza di un fenomeno sino ad allora sconosciuto: l'elettricità bimetallica.
Volta scrisse nella Memoria terza sull'elettricità animale (1792) le seguenti parole: "La teoria e le spiegazioni di Galvani...cadono in gran parte e tutto l'edificio minaccia rovina".
A detta di Volta, quando la rana di Galvani si muoveva freneticamente sul coperchio della scatola d'argento stava semplicemente reagendo a scosse elettriche.
La conclusione di Volta nell'opera Nuove osservazioni sull'elettricità animale (1792) fu decisamente aspra nei confronti di Galvani: "Se la cosa è così, che resta più dell'Elettricità animale pretesa da Galvani, e dimostrata come parea dalle sue bellissime sperienze?".
Galvani non rimase certo lì a "pettinare le bambole"!
Era sì vero che aveva utilizzato ganci di ottone per appendere le zampe di rana dalla ringhiera di ferro, ma l'arco (ossia il circuito) non doveva essere, secondo lui, necessariamente bimetallico: il medesimo risultato si poteva ottenere pure con ganci di ferro.
Galvani e suoi collaboratori dimostrarono dunque in laboratorio di essere capaci di far muovere il cadevere della rana anche toccando muscolo e nervo con 2 pezzi di metallo identici.
Volta controbatté che anche un pezzo di metallo omogeneo contiene al suo interno delle impurità, non visibili a livello prettamente visivo, ma scatenanti, a sua detta, l'elettricità.
La disputa tra Galvani e Volta, come si può immaginare, rappresentò sicuramente una delle controversie più importanti dell'intera storia della scienza.
Nonostante le aspre risposte di Volta, i galvanisti non si arresero mai, provando, ad esempio, a compiere esperimenti in cui l'arco conduttore consisteva in un recipiente di vetro pieno di mercurio puro.
Sul liquido galleggiava un muscolo sezionato, con il midollo spinale tenuto sospeso da un filo di seta.
Il filo veniva abbassato in modo da consentire al nervo di toccare il mercurio.
Il risultato? semplice: la contrazione del muscolo!
Volta non voleva sentire ragioni: asseriva sempre che sussistessero delle impurità, qualsiasi esperimento Galvani e colleghi mettessero in atto.
Si era arrivati ad una vera e propria fase di stallo, alla stregua di una partita a scacchi che, ad un certo punto, si ritrova nella seguente configurazione:

















Ricapitoliamo: abbiamo 2 importanti scienziati focalizzati sullo studio dell'elettricità negli animali.
Secondo uno, la rana generava essa stessa elettricità, la quale andava a fluire attraverso l'arco metallico; secondo l'altro, era l'arco a dar vita all'elettricità che fluiva attraverso la rana.
In sintesi: 2 posizioni perfettamente antitetiche! 
La prossima mossa dei galvanisti fu quella di togliere di mezzo il metallo e provare col carbonio.
Ebbene, uno degli sperimentatori mostrò che un pezzo di carbonio funzionava bene quanto i metalli.
Volta, ovviamente, non si lasciò convincere, sostenendo che la suddetta verifica non dimostrava nulla, in quanto il carbonio era anch'esso un conduttore.
Addirittura un altro galvanista mostrò che riusciva a produrre la contrazione del muscolo della rana semplicemente toccando esso con una mano e il nervo con l'altra.
Tuttavia, l'esperimento più convicente effettuato da Galvani è quello senza alcun uso di conduttori esterni.
Lo scienziato, infatti, maneggiò accuratamente la rana sezionata in modo che il nervo sciatico penzolante entrasse direttamente a contatto con il muscolo che controllava la zampa.
Questa si contrasse immediatamente.

esperimento di Galvani senza conduttori esterni




















Ora non ci si può non chiedere retoricamente: da dove veniva l'elettricità, se non dall'animale stesso?
Galvani ebbe così l'occasione di rispondere ironicamente a Volta, nell'opera Dell'uso e dell'attività dell'arco conduttore (1794), con le sue stesse parole: "Ma se la cosa è così, se tale elettricità è veramente tutta propria dell'animale, e non comune ed estrinseca, che sarà dell'opinione del signor Volta?".
Ma allora chi aveva ragione?
La risposta potrà stupire molti: avevano ragione entrambi! ;)
Volta, come ben noto, inventò la pila, sovrapponendo decine di dischi di rame alternati a dischi di zinco, separati con dischi di cartone inzuppati in acqua salata.
L'annuncio di aver inventato la pila fu dato da Volta, nel 1800, in una lettera intitolata Sull'elettricità eccitata dal semplice contatto di sostanze conduttive di diversa natura.
La rana, per Volta, non rappresentava ormai altro che un soggetto che aveva le medesime proprietà del conduttore umido della sua pila.
L'invenzione della pila sembrò rappresentare la vittoria delle idee di Volta su Galvani, ma, verso la metà del XX secolo, il fisiologo inglese Alan Lloyd Hodgkin (insignito del Nobel per la Medicina nel 1963) arrivò a una dimostrazione definitiva del fatto che, come asseriva Galvani, esiste un'elettricità organica, la quale si trova in condizione di squilibrio all'interno del corpo ed è responsabile di processi fisiologici fondamentali come la conduzione nervosa e la contrazione muscolare!
Che dire: 1-1, palla al centro!
Quello che è certo è il fatto che sia Galvani che Volta hanno aperto la strada alle ricerche successive sull'elettromagnetismo da parte dei vari Faraday, Ampère, Ørsted, sino ad arrivare a Maxwell e alle sue celebri 4 equazioni.
Compiendo un'ultima incamminata nella biografia di Galvani, dobbiamo dire che nel 1797 egli pubblicò, dedicandola a Lazzaro Spallanzani, l'opera Memorie sull'elettricità animale, in cui sono riportate, peraltro, le ricerche condotte sulla torpedine, un paio di anni prima, sulla costa adriatica.
Luigi Galvani si spense il 4 dicembre del 1798 a Bologna, nella casa del fratello e privato di tutte le sue cariche pubbliche, poiché si era rifiutato di prestare giuramento alla costituzione della Repubblica Cisalpina, insediata dai francesi poco prima.
Oggi il nome di Galvani riaffiora sempre in termini come galvanoplastica, cella galvanica, galvanometro, galvanostegia e così via!
Visto che abbiamo parlato ampiamente di rane, direi di concludere il tutto con un bel brano musicale dal titolo Leap Frog, ossia "il balzo della rana", eseguito da Les Brown & Orchestra:



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Fonte principale:

- I dieci esperimenti più belli di George Johnson.

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