Poliedrico intellettuale dalle mille abilità e talenti, emblema di genio, Leonardo è particolarmente noto ai più per i suoi capolavori artistici.
Tuttavia, a conferma della sua eclettica genialità, egli compì diverse rilevanti ricerche e scoperte anche nel campo della fisica.
In questo post andremo a tracciare una breve biografia del celebre artista e ci soffermeremo appunto sui suoi studi inerenti alla fisica.
Leonardo di Ser Piero da Vinci nacque il 15 aprile 1452 a Vinci, piccola cittadina toscana, dagli amori di ser Piero con una certa Caterina.
Autoritratto (1515 circa) |
Il piccolo ricevette dapprima un'educazione elementare dai familiari e, successivamente, nel 1469, il padre, accortosi della sua precoce genialità, lo portò con sé a Firenze per metterlo a bottega da Andrea di Cione, detto il Verrocchio (1435-1488), uno degli artisti più celebri di quel momento.
Il Verrocchio educò il giovane Leonardo alla pittura, alla scultura e all'architettura.
Il famoso storico dell'arte Giorgio Vasari, nella magistrale opera Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori, ricorda tra i primi lavori di da Vinci, oltre ad una serie di disegni di carattere architettonico, anche alcune teste in terracotta le quali "parevano usciti di mano d'un maestro".
Tuttavia, la prima opera a noi pervenuta di Leonardo è un disegno raffigurante un Paesaggio della Valle dell'Arno, datato 5 agosto 1473.
Paesaggio della Valle dell'Arno |
Comunque, appare evidente dal disegno l'estrema immediatezza con cui il giovane artista riesce a rappresentare il vibrante spettacolo naturale, specialmente mediante una resa velocissima delle linee che compongono le fronde degli alberi e le increspature del terreno.
Il dipinto che segnò la conclusione del primo periodo fiorentino di da Vinci è l'Adorazione dei Magi, sviluppato a ridosso del 1482, appunto l'anno in cui il trentenne Leonardo si trasferì a Milano, alla corte di Ludovico Maria Sforza detto il Moro.
Adorazione dei magi |
Per la corte sforzesca da Vinci sviluppò una serie di ritratti, fra i quali ricordiamo la nota Dama con l'ermellino (dipinta a cavallo tra 1488 e 1490).
La dama con l'ermellino |
Sempre a Milano, Leonardo si impegnò nella decorazione ad affresco della Sala delle Asse, nel Castello Sforzesco, e, in particolare, per volontà diretta del Moro stesso, nella realizzazione del famoso Cenacolo (1494-1498) nel convento di Santa Maria delle Grazie.
Ultima Cena (Cenacolo) |
Nel 1500, a seguito della caduta del Moro e la conquista da parte dei francesi di Milano, Leonardo fece ritorno a Firenze, passando prima per Mantova e Venezia.
Qui, nel 1503, la Repubblica fiorentina, formatasi dopo la caduta dei Medici, commissionò a Leonardo un grande affresco con la Battaglia di Anghiari, un episodio vittorioso dei Fiorentini nei confronti dei Milanesi, avvenuto nel 1440.
Del suddetto episodio da Vinci tracciò solamente il cartone preparatorio, di cui possediamo soltanto delle copie, una delle quali realizzata dal pittore fiammingo Pieter Paul Rubens (1577-1640) nel 1615 circa.
La battaglia di Anghiari (copia di Rubens) |
Il 9 luglio 1504 morì suo padre Piero all'età di 80 anni.
Costui non rese Leonardo erede e, contro i fratelli che gli opponevano l'illegittimità della propria nascita, da Vinci chiese vanamente il riconoscimento delle sue ragioni: dopo la causa giudiziale da lui scatenata, soltanto il 30 aprile 1506 ci fu la liquidazione dell'eredità, dalla quale Leonardo fu escluso.
Tra il 1506 e il 1513 Leonardo ritornò svariate volte a Milano, per poi trasferirsi proprio nel 1513 a Roma, nella quale si manifestò il suo ultimo periodo di attività artistica e scientifica.
Appunto in questo periodo portò a termine forse l'opera più significativa ed emblematica di tutte: La Gioconda, ritratto che si crede rappresenti Monna Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo.
La Gioconda |
Abbiamo appena affermato che il periodo romano fu l'ultimo di attività per da Vinci; in effetti, nel 1517, egli partì per la Francia al fine di seguire Francesco I, stabilendosi ad Amboise (precisamente, nel castello di Clos-Lucé).
Leonardo morì il 2 maggio 1519 ad Amboise, secondo Vasari fra le braccia di Francesco I, che "gli era molto affezionato", venendo sepolto nella Chiesa di Saint-Florentin, sempre ad Amboise.
Come abbiamo velocemente osservato, da Vinci visse una vita intensa, travagliata ed errabonda, che lo portò in giro per l'Italia e, infine, in Francia; una vita densa delle più svariate esperienze.
Curiosissimo dei fenomeni inerenti alla natura, osservatore di un'acutezza fuori dal comune, nessuna scienza del suo tempo lo lasciò indifferente: dalla matematica alla fisica, dall'anatomia alla fisiologia, sino ad arrivare alla biologia, alla botanica e alla geologia.
Egli era un popolano: questa sua origine non gli ha consentito di intraprendere un percorso formativo basato sui pomposi testi latini e sull'indiscutibile (almeno all'epoca) filosofia aristotelica.
Questi aspetti della sua formazione e del suo carattere risultano evidenziati dal fatto che perfino quando Luca Pacioli (matematico di cui abbiamo parlato qui, in merito alla sezione aurea) lo avvicinò ai grandi autori quali Aristotele, Euclide ed Archimede, il da Vinci non fu mai distolto dalla sua convinzione che l'esperienza personale fosse molto più importante della tradizione.
Dopo queste doverose premesse, giungiamo finalmente all'analisi delle idee e scoperte di Leonardo relative alla fisica.
La prima cosa da dire è che Leonardo fu senza dubbio un maestro dell'idraulica.
Tra i numerosi contributi in questo campo citiamo:
- la sistemazione idrica del Novarese;
- gli studi inerenti al prosciugamento delle paludi pontine;
- la progettazione della deviazione dell'Arno a monte di Pisa;
- l'invenzione di mezzi meccanici per l'escavazione dei canali, che riuscì a rendere navigabili, perfezionando le conche, ecc.
Leonardo era a conoscenza del principio dei vasi comunicanti con liquidi di diversa densità e (forse non ci crederete) capì uno dei principi fondamentali dell'idrostatica, il principio di Pascal, ancor prima della nascita dello stesso Blaise Pascal (1623-1662)!
Affrontiamo allora una breve analisi del principio dei vasi comunicanti e di quello di Pascal.
Il principio dei vasi comunicanti venne scoperto ufficialmente dal fisico, matematico e ingegnere fiammingo Simone Stevino (1548-1620).
Esso afferma che se uno stesso liquido risulta contenuto in 2 contenitori comunicanti fra loro, allora, in presenza della gravità, questo liquido tenderà a raggiungere lo stesso livello in entrambi i contenitori, ovvero le 2 "superfici libere" si troveranno su un medesimo piano, come magnificamente mostrato in questa animazione tratta da Wikipedia:
Detto in termini maggiormente tecnici, i 2 eguali livelli di altezza (rispetto al terreno) raggiunti dal liquido si trovano sempre su una medesima superficie equipotenziale, il che è facilmente capibile ricordando che l'energia potenziale di un corpo in prossimità della superficie terrestre è definita come:
Dunque, essa dipende unicamente dall'altezza h a cui il corpo esaminato è situato.
Ora però consideriamo dei vasi comunicanti ai cui capi troviamo non più il medesimo liquido, bensì 2 liquidi non miscibili tra loro.
Cosa accade in questo particolare frangente?
I liquidi in questione avranno (ovviamente) densità differenti, che indichiamo rispettivamente con ρ₁ e ρ₂, e altezze diverse, che designiamo con h₁ e h₂.
Il sistema sarà in equilibrio se le pressioni P₁ e P₂ che i liquidi rispettivamente esercitano risultano uguali.
Ora dobbiamo ricordare la legge di Stevino, la quale ci dice che la pressione esercitata da un liquido in funzione della profondità h è equivalente a:
dove p₀ indica la pressione atmosferica (pari a 100.000 Pa).
In base alla legge di Stevino, possiamo riscrivere la nostra uguaglianza tra le pressioni all'equilibrio
nel seguente modo:
Notiamo che nella suddetta espressione la pressione atmosferica p₀ può essere eliminata, assieme all'accelerazione gravitazionale g.
Compiendo tali semplificazioni, otteniamo alla fine:
Questa equazione si riduce proprio al caso tradizionale dei vasi comunicanti col medesimo liquido quando:
In effetti, ponendo ciò si ottiene:
2 liquidi che presentano la stessa densità sono ovviamente lo stesso liquido! ;)
Passiamo al principio di Pascal.
Esso fu scoperto ufficialmente da Blaise Pascal, nel 1646, con il suggestivo esperimento della botte e pubblicato nel 1653 all'interno del trattato Sur l'equilibre des liqueurs.
Andiamo a scoprire questo fantomatico esperimento della botte!
Praticamente Pascal inserì un tubo verticale lungo 10 metri in una botte piena d'acqua.
Fatto ciò, lo scienziato incominciò a versare dell'acqua nel tubo verticale, osservando un incremento della pressione, la quale raggiunse un'intensità così elevata da rompere la botte.
È ora facile capire che il principio di Pascal è quel principio il quale afferma che quando avviene un aumento della pressione in un punto di un fluido confinato in un certo contenitore, allora tale incremento di pressione viene trasmesso anche ad ogni punto del contenitore stesso.
Forse non lo sapete, ma voi applicate questo principio ogni singolo giorno, quando vi lavate i denti.
Infatti, l'uscita del dentifricio dal tubetto quando lo schiacciate è dovuta proprio al principio di Pascal.
Ma come si può esprimere in maniera più rigorosa il suddetto principio, ossia mediante il formalismo matematico?
Attraverso questa formula:
la quale illustra che la variazione Δp della pressione idrostatica, dovuta (facendo riferimento all'esperimento della botte) al peso del fluido versato dentro il tubo, è equivalente al prodotto tra la densità del fluido ρ, l'accelerazione di gravità g e Δh, ovvero l'altezza raggiunta dal fluido all'interno del tubo.
Tirando le fila del discorso, un cambiamento di pressione in un punto dovuto a un fattore esterno (come l'aggiungere acqua alla botte già stracolma attraverso un tubo, oppure lo schiacciare il tubetto del dentifricio) va a generare un'eguale variazione della pressione nella totalità del fluido stesso.
Ritorniamo alle scoperte del nostro Leonardo.
A detta dello storico della scienza francese Pierre Maurice Marie Duhem (1861-1916), da Vinci avrebbe compreso l'aspetto teorico del principio di Pascal attraverso Giovan Battista Benedetti e Marin Mersenne (costui lo abbiamo già incontrato in un post sulla figura di Fermat).
Un significativo contributo di Leonardo sempre relativamente ai fluidi fu la teoria del moto ondoso del mare.
A dir la verità, egli, prevenendo i tempi, aveva compreso che "il moto è causa d'ogni vita", cioè che il moto ondulatorio rappresentasse il più diffuso fra i moti naturali, quello che sta alla base del suono, del colore, del magnetismo e della luce.
Incredibile, vero? A maggior ragione se si considera che la teoria generale delle onde elettromagnetiche si deve a Maxwell e alle sue 4 equazioni che risalgono alla fine del XIX secolo!
L'interesse di da Vinci non fu però attirato solamente dai fluidi.
Il poliedrico artista si dedicò anche ad approfonditi studi di geometria e meccanica (bisogna sottolineare che, al contrario, l'algebra gli fu quasi completamente ignota).
Il risultato di maggior rilievo fu probabilmente lo studio dei centri di gravità di figure piane e solide, già iniziato da 2 grandi matematici del passato, ovvero Archimede ed Erone.
Così come Archimede aveva trovato il centro di gravità (chiamato pure centro di massa o baricentro) di un triangolo, Leonardo rinvenne il centro di gravità di un tetraedro e di qualsivoglia piramide.
Non ancora pienamente soddisfatto, continuò inoltre le sue ricerche di natura meccanico-geometrica, pervenendo alla seguente scoperta: le linee congiungenti i vertici di un tetraedro con i centri di gravità delle facce opposte passano per uno stesso punto, il centro di gravità del tetraedro, il quale divide ogni congiungente in 2 parti di cui quella verso il vertice è tripla dell'altra.
Stupefacente è il fatto che questo rappresenta il primissimo risultato che la scienza moderna aggiunge alle antiche ricerche baricentriche di Archimede!
Comunque, oltre alle opere di Erone, Archimede ed Aristotele, Leonardo era a conoscenza anche di quelle di Euclide, di Thabit ben Qurra, di Giordano Nemorario, di Biagio Pelacani, di Leon Battista Alberti e di Nicola Cusano, ed era inoltre venuto in contatto (direttamente o indirettamente) con le teorie cinematiche e dinamiche della scuola di Oxford e di quella di Parigi.
Con il supporto di tutte queste variegate fonti, la preparazione nell'ambito della meccanica di Leonardo fu superba, al punto che egli si spinse persino oltre.
Innanzitutto, ampliò le conoscenze relative al concetto di "momento" di una forza rispetto a un punto, superando nettamente i pionieri Nemorario e Pelacani, rinvenendo infatti in 2 casi particolari il "teorema di composizione dei momenti".
Da Vinci applicò tale risultato alla svolgimento di problemi di composizione e scomposizione di forze, ottenendo una risoluzione tanto agognata e ricercata per secoli, che venne chiarita totalmente soltanto circa un secolo dopo da Galileo e Stevino.
Speghiamo brevemente cos'è il momento in fisica.
In generale, il momento di un vettore generico C applicato nel punto A rispetto ad un polo O è definito dal seguente prodotto vettoriale:
Essendo definito da un prodotto vettoriale, il momento è esso stesso un vettore.
In particolare, il momento è un vettore perpendicolare al piano formato dai vettori A — O e dal vettore C.
Questa è tuttavia la definizione generica di momento.
In fisica si distinguono 2 categorie principali di momento: il momento angolare (per il quale vi rimando qui) e il momento della forza.
Ed è proprio di quest'ultimo che si occupò da Vinci.
Vediamo di cosa si tratta.
La definizione matematica di momento di una forza (detto anche momento torcente o momento meccanico) è davvero simile a quella di momento generico:
Infatti, quello che cambia è che qui abbiamo, al posto di un generico vettore C, il vettore f che rappresenta una forza, applicato nel punto P rispetto al polo O.
Se consideriamo un piano cartesiano e prendiamo come origine il polo O, allora possiamo riscrivere la formuletta precedente in questo modo:
dove r indica il vettore posizione rispetto al polo O.
Se siete stati attenti, dovreste aver notato che il momento di una forza è il prodotto di una forza per una lunghezza e, pertanto, presenta le medesime dimensioni del lavoro (di cui abbiamo parlato qui).
Tuttavia, mentre il lavoro viene misurato generalmente in joule (J), al contrario il momento torcente viene misurato in newton per metro per sottolinearne le caratteristiche diverse (soprattutto il fatto di essere un vettore, mentre il lavoro, essendo definito da un prodotto scalare, non lo è) rispetto al concetto di lavoro.
Comunque, in parole povere, il momento meccanico esprime l'attitudine di una forza ad imprimere la rotazione ad un oggetto intorno ad un punto (nel piano) oppure ad un asse (nello spazio).
In effetti, essendo un prodotto vettoriale, il modulo del vettore momento torcente viene così definito:
dove θ è l'angolo tra i vettori forza e posizione.
Momento torcente M rispetto al polo O |
Per far svanire ogni perplessità, vi consiglio la visione di questo magnifico video sul momento torcente:
Adesso facciamo rientrare in scena il nostro Leonardo.
Questi non si limitò, per quanto riguarda la meccanica, alle ricerche concernenti il momento meccanico.
Infatti, apprese da Nemorario (e forse da Alberto di Sassonia) le condizioni di equilibrio di un corpo appoggiato su un piano inclinato, ma anche questa volta riuscì a superare i "maestri".
Infatti, Leonardo scoprì, probabilmente sulla base di profonde riflessioni circa la stabilità della varie torri pendenti italiane (ovviamente quella di Pisa, ma anche quelle di Bologna), il teorema oggi denominato a volte del poligono di sostentamento.
Esso afferma che un corpo appoggiato su un piano orizzontale risulta in equilibrio se il piede della verticale condotta per il suo baricentro è interno alla base d'appoggio.
In tal caso si dice che il corpo è situato in una posizione di equilibrio stabile.
Specifichiamo che Leonardo non riuscì nell'impresa di pervenire a una dimostrazione rigorosa del teorema, ma lo giustificò solamente mediante il buon senso.
Per quanto riguarda invece la dinamica, i contributi di da Vinci a tale branca della meccanica sono maggiormente discutibili.
Infatti, sussiste incertezza sul fatto che egli abbia colto le fondamenta del principio di inerzia (quello che stabilisce che un corpo mantiene il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme se la risultante delle forze applicate su di esso è nulla).
Viene infatti molte volte citato (omettendo l'ultima frase), il seguente pensiero di Leonardo:
"Ogni moto attende al suo mantenimento, overo ogni corpo mosso sempre si move in mentre che la impressione de la potentia del suo motore in lui si riserva"
Tali 2 frasi, se fossero in sé compiute, esprimerebbero effettivamente il principio di inerzia (o prima legge della dinamica o di Newton).
Tuttavia, se si legge cotal pensiero nella sua interezza, ossia considerando anche l'ultima frase, tutto ciò sembra ricondursi alla teoria dell'impetus di Buridano più che al principio di inerzia.
Ecco l'affermazione leonardesca integrale:
"Quando l' uccello si vol subito voltare sull' un de' lati, allora esso con velocità spinge la punta dell' alia di quel lato inverso la sua coda, e perché (r)ogni moto attende al suo mantenimento, ovvero ogni corpo mosso sempre si move in mentre che la impressione de la potenzia del suo motore in lui si riserva», addunque il moto di tale alia, con furia inverso la coda, riservando nel suo fine ancora parte della predetta impressione, non potendo per sé seguitare il già principiato moto, viene a movere con seco tutto l' uccello insino a tanto che l' impeto della mossa aria è consummato."
Descriviamo brevissimamente la teoria dell'impetus di Buridano.
Giovanni Buridano (1295-1300 circa - 1361) fu il Magnifico Rettore dell'Università di Parigi nella prima metà del XIV secolo.
Costui scrisse svariate opere di cui la più importante è rappresentata dalle Quaestiones totius libri physicorum, pubblicata postuma nel 1509.
Buridano criticò aspramente la teoria aristotelica del moto, cercando appunto di elaborare una teoria in grado di dar risposta a diverse spinose domande relative al problema dei proiettili: la teoria dell'impeto (o, se vi piace più il latino, impetus).
Per spiegare il moto di proiettili (così come pure quello di ruote o sfere che continuano a rotolare anche dopo che il movimento è stato loro trasmesso) la teoria dell'impeto asseriva che bisognava supporre che il motore (il meccanismo che generava il moto) imprimesse all'oggetto mosso (chiamato mobile) uno slancio, appunto l'impetus, il quale era incorporato nell'oggetto stesso e risultava essere la causa del movimento.
A detta di Buridano, tale slancio è tanto più intenso quanto maggiori sono la quantità di materia e la velocità dell'oggetto.
Inoltre, a causa della resistenza dell'aria e del peso del corpo lanciato, che l'attira in senso opposto a quello impresso dall'impetus, quest'ultimo decresce col passare del tempo.
Quando l'impetus è esaurito, il moto cessa!
Tale teoria cadde ovviamente in disuso con l'avvento della più rigorosa meccanica newtoniana.
Focalizzandoci ancora una volta su da Vinci, non c'è invece alcun dubbio sul fatto che l'eclettico personaggio intuì il principio di azione e reazione (oggi noto anche come 3° principio della dinamica o 3° legge di Newton) in alcuni casi particolari, senza però pervenire al caso generale, opera appunto di Newton.
Le (seppur limitate) scoperte leonardesche sul suddetto principio sono confermate da alcune citazioni presenti nel suo Codice atlantico (per il quale vi rimando a Wikipedia), come:
- "In quanto al moto dell'acqua, tanto fia a movere il remo contro all'acqua immobile, quanto a movere l'acqua contro il remo immobile"
- "Tanta forza si fa colla cosa in contro all'aria, quanto l'aria contro alla cosa"
- "Tanto fa il moto dell'aria contro alla cosa ferma, quanto il moto del mobile contro all'aria immobile"
In effetti, esse (specialmente l'ultima) potrebbero dimostrare che Leonardo intuì la relatività del moto!
Tuttavia, alcuni critici sostengono che i passi citati sono semplici proposizioni di reciprocità dinamica.
Sul principio di azione e reazione vi consiglio caldamente lo splendido post "Camminare (e non solo) con Newton" di Sandro Ciarlariello sul blog Quantizzando.
Le sorprese non finiscono qui!
Leonardo aveva acquisito una grande esperienza relativamente alla pratica della bilancia e tale pratica lo portò a scoprire non solo il peso dell'aria (è necessario tener presente che la tradizione risalente a Simplicio insegnava che l'aria non possiede peso!), ma persino la variazione di pressione atmosferica.
Egli riuscì addirittura a costruire un rudimentale barometro a bilancia o, a detta di alcuni, un igrometro (strumento che misura l'umidità relativa dell'aria).
Da Vinci, da strepitoso pittore qual era, si interessò pure all'ottica.
Attorno al 1490:
- studiò l'importante opera in 10 libri Perí optikes (meglio nota come Perspectiva) del matematico, fisico e teologo polacco Erazmus Ciolek Witelo (1230 circa - post 1280/ante 1314), detto Vitellione;
- si decise a costruire occhiali "da veder la luna grande", forse realizzando persino specchi parabolici;
- comprese che ciascuno dei 2 occhi vede un'immagine differente dei corpi rilevati;
- per primo asserì che la luce cinerea della Luna (quella che Galileo soleva indicare come "candore lunare") è luce proveniente dalla Terra e riflessa dalla Luna;
- tentò di interpretare, tramite una scrupolosa osservazione accompagnata da sperimentazione, l'azzurro del cielo e l'azzurro di uno strato sottile di fumo visionato in campo oscuro.
- era a conoscenza della legge di riflessione del suono e del conseguente fenomeno dell'eco;
- aveva capito che il suono si propaga col passare del tempo e si adoperò per calcolare la distanza alla quale si fosse manifestato un tuono;
- compì numerosi esperimenti sui fenomeni di risonanza, ecc.
La ciliegina sulla torta di questo post è data dal seguente video rappresentante un sublime connubio tra l'arte di Leonardo e la musica di Beethoven:
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Fonte principale:
- Storia della Fisica di Mario Gliozzi
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