domenica 6 maggio 2012

MATRICI: IL CONCETTO DI DETERMINANTE

Delle matrici abbiamo già parlato un po' nell'articolo "Metodo di Gauss-Jordan e sue origini antiche".
Ora riprendiamo il discorso, approfondendolo e concentrandoci su un importantissimo concetto: il determinante.
Ridefiniamo velocemente che cos'è una matrice.
Una matrice potete immaginarla come una sorta di tabella, composta da varie righe e colonne, ove sono posti diversi elementi.
In termini più rigorosi, una matrice è costituita da m righe e n colonne, con gli elementi disposti in questo modo:








Quei pedici relativi alle a designano, come si può intuire, la riga e la colonna in cui è situato l'elemento considerato.
Ad esempio, a₂₃ indica l'elemento che si trova all'incrocio fra seconda riga e terza colonna.
Ecco un esempio di matrice, con numeri al posto di elementi generici:






Tra tutte le matrici, ne esistono alcune, dette quadrate, molto interessanti e importanti per i nostri scopi.
Cosa sono esattamente le matrici quadrate?
Anche i bambini sanno che i quadrati sono quei quadrilateri aventi tutti i lati uguali tra loro.
Una matrice quadrata ha la proprietà di possedere un numero uguale di righe e colonne.
Pertanto, si può definire una matrice quadrata come una matrice n × n, che andrà ad assumere propria una forma analoga a quella di un quadrato.
Ecco un esempio di matrice quadrata:







Il concetto su cui andremo a focalizzarci, il determinante, è valido solamente per le matrici quadrate.
Se abbiamo una matrice quadrata 2 × 2, calcolare il determinante è un processo banale.
Prendiamo quindi una generica matrice 2 × 2, che chiamiamo A:






Il determinante, che indicheremo con det A, della suddetta matrice sarà semplicemente il prodotto degli elementi che si trovano sulla cosiddetta diagonale principale (a₁₁ e a₂₂) meno il prodotto dei termini sull'altra diagonale (a₁₂ e a₂₁):




Ma come possiamo calcolare il determinante di una matrice 3 × 3?
Sfruttiamo la cosiddetta regola di Sarrus, la quale prende il nome dal matematico francese Pierre-Fréderic Sarrus (1798-1861).
In cosa consiste?
Innanzitutto prendiamo una matrice 3 × 3, magari avente come elementi le prime lettere dell'alfabeto.







Aggiungiamo adesso alla matrice S altre 2 colonne, che corrispondono alle sue stesse prime colonne:







Eseguito questo banale passaggio, per trovare il determinante di S, ci basta fare la somma di tutti i vari prodotti delle diagonali, partendo da sinistra, e sottrarre a ciò la somma di tutti i prodotti delle diagonali, partendo da destra.
Vederlo è molto più facile che spiegarlo!




Facciamo un esempio pratico: consideriamo una matrice E composta da numeri.







Applichiamo la regola di Sarrus per trovare det E:



Abbiamo capito come si calcola il determinante di una matrice 3 × 3; ma se ci trovassimo di fronte a una matrice 4 × 4, 5 × 5 o ancora più grande, cosa dovremmo fare per ricavarci il determinante?
Un buon metodo è quello che si chiama sviluppo di Laplace.
In primis, scopriamo chi era Laplace.
Direi che non sussiste modo migliore di far ciò che attingere alla descrizione di tale matematico, compiuta da Eric T. Bell, nella magistrale opera I grandi matematici.
Ne riporto un estratto:

"Il marchese Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) non nacque contadino e non morì snob; tuttavia, la sua illustre carriera si svolse fra questi 2 termini e la sua personalità presenta, proprio da questo punto di vista, il maggior interesse come esemplare umano. Come astronomo matematico, Laplace è stato giustamente chiamato il Newton francese; come matematico, può essere considerato il fondatore della fase moderna della teoria della probabilità. Dal lato umano, è forse il più curioso esempio della falsità di quella superstizione pedagogica secondo la quale le nobili fatiche nobilitano necessariamente il carattere di un uomo. Tuttavia, a dispetto di tutte le sue divertenti debolezze - sete di titoli onorifici, leggerezza politica, desiderio di brillare alla luce cangiante del favore popolare - Laplace possedeva alcuni elementi di vera grandezza di carattere. Certo non possiamo credere a tutto ciò che egli dice sulla sua devozione alla verità per la verità, e ci permettiamo di sorridere delle sue ultime parole: "Quello che sappiamo è poco, quello che ignoriamo è immenso"; parole con le quali cercava di condensare in un grazioso epigramma il motto di Newton bambino, assorto nei suoi giochi sulla spiaggia del mare. In ogni caso non possiamo negare che, nella generosità verso i novizi, Laplace fu tutt'altro che un politico ingannevole e sgradevole. Per dare aiuto a un giovane, Laplace una volta ingannò se stesso. Poco si sa dei primi anni di Laplace. I suoi genitori erano contadini che abitavano a Beaumont-en-Auge (Calvados), dove Pierre-Simon nacque il 23 marzo 1749. L'oscurità che circonda l'infanzia e la giovinezza di Laplace è dovuta al suo snobismo; egli arrossiva della sua umile origine e faceva di tutto per dissimularla. Laplace ebbe la fortuna di risvegliare l'amichevole interesse di ricchi vicini, certamente per le doti eccezionali che aveva dimostrato alla scuola del villaggio. Si dice che riportasse i suoi primi successi nelle discussioni teologiche; se è esatto, questo fu un interessante preludio all'ateismo aggressivo della maturità. Laplace si dette presto alla matematica; c'era a Beaumont una scuola militare, di cui egli seguì i corsi come esterno e nella quale sembra che per qualche tempo abbia insegnato matematica. Secondo una leggenda poco sicura, egli si fece notare più per la sua prodigiosa memoria che per la sua bravura in matematica, ciò che gli meritò le calde raccomandazioni dei suoi ricchi protettori quando salutò Beaumont e partì per Parigi in cerca di fortuna, all'età di 18 anni....Al suo arrivo, si presentò a d'Alembert facendogli consegnare le lettere di raccomandazione, ma non fu ricevuto; d'Alembert non s'interessava dei giovani che avevano quale unico bagaglio le raccomandazioni dei potenti. Con un raro discernimento in un uomo così giovane, Laplace capì, tornò a casa, e scrisse a d'Alembert una mirabile lettera sui principi generali della meccanica. Il tiro riuscì; nel suo invito ad andarlo a trovare, d'Alembert scriveva: "Signore, vedete bene che faccio poco caso alle raccomandazioni; voi non ne avevate bisogno e vi siete fatto conoscere assai meglio da voi stesso...Il mio appoggio è vostro". Pochi giorni dopo, grazie a d'Alembert, Laplace fu nominato professore di matematica alla Scuola militare di Parigi. Precisamente allora, Laplace si dedicò all'opera di tutta la sua vita, l'applicazione dettagliata della legge della gravitazione di Newton all'intero sistema solare....L'impresa di Laplace [consisteva nel] dedurre dalla legge di Newton gli effetti combinati delle perturbazioni (deviazioni e attrazioni incrociate) di tutti i pianeti del sistema solare e del Sole stesso....[Il] grande problema [era]: il sistema solare è stabile o instabile?....Il primo passo importante di Laplace verso il problema generale ebbe luogo nel 1773, quando egli aveva 24 anni; Laplace dimostrò che le distanze medie dei pianeti dal Sole sono fisse, a parte certe leggere variazioni periodiche...Laplace si applicò al problema della stabilità del sistema solare [e la dimostrò]...Precisiamo che la soluzione di Laplace del problema della stabilità non è valida che per il sistema solare altamente idealizzato che Newton e lui immaginarono. Essi hanno trascurato, per esempio, fra le altre cose, l'azione di attrito delle maree, che agisce come un freno sulla rotazione quotidiana...In ricompensa di questo bel risultato, Laplace, a 24 anni, ricevette la prima onorificenza importante della sua carriera, fu nominato membro associato dell'Accademia di scienze. Fourier ha riassunto la sua vita scientifica ulteriore: "Laplace ha dato a tutti i suoi lavori un indirizzo costante e unico da cui non si è mai allontanato, poiché la costanza imperturbabile delle sue vedute è sempre stato il tratto caratteristico del suo genio. Egli aveva già raggiunto [quando affrontò il sistema solare] i limiti conosciuti dell'analisi matematica, possedeva ciò che questa scienza aveva allora di più ingegnoso e di più potente, e nessuno era più capace di lui d'ingrandirne il regno. Aveva risolto una questione capitale dell'astronomia [comunicata all'accademia nel 1773] e concepì il disegno di consacrare i suoi sforzi a questa scienza sublime che egli era destinato a perfezionare e che poteva abbracciare in tutta la sua estensione. Meditò profondamente sul suo glorioso disegno e passò poi tutta la vita a compierlo, con una perseveranza di cui la storia delle scienze non offre forse nessun altro esempio...Egli si propose di comporre l'Almagesto del suo secolo, il monumento che ci ha lasciato sotto il nome di Meccanica celeste, e il suo lavoro immortale vince quello di Tolomeo come la scienza analitica [l'analisi matematica] dei moderni sorpassa gli Elementi di Euclide." Questo giudizio è rigorosamente esatto. Tutto ciò che Laplace ha fatto in matematica era destinato ad aiutarlo nella risoluzione del grande problema. Laplace ha dato un grande esempio di saggezza per un uomo di genio: applicare tutti gli sforzi a un unico oggetto principale...In certe occasioni, Laplace tentò di occuparsi di altre cose, ma non vi riuscì a lungo....La Meccanica celeste, che è il compendio, in un insieme ragionato, di tutta l'opera astronomica di Laplace, fu pubblicata frammentariamente durante un periodo di 26 anni. Nel 1799 uscirono 2 volumi che trattavano dei movimenti dei pianeti, della loro forma (come corpi rotanti) e delle maree; nel 1802 e nel 1805 ne uscirono altri 2, che continuavano le ricerche sullo stesso soggetto, e infine un quinto, nel 1823-25. L'esposto matematico è straordinariamente conciso e qualche volta inelegante; Laplace s'interessava ai risultati, non alla maniera di arrivarci. Per evitare di dover condensare un ragionamento matematico complicato sotto una forma sia pur breve ma in ogni modo intelligibile, egli spesso lo ometteva interamente, limitandosi alla conclusione con l'ottimistica affermazione: "È facile  vedere...". Lui stesso sarebbe stato spesso incapace di ricostruire il ragionamento che gli era stato "facile vedere", senza consacrarvi delle ore, e qualche volta dei giorni, di penoso lavoro. I suoi lettori, anche intelligenti, presero ben presto l'abitudine di brontolare quando vedevano apparire la famosa frase, sapendo che verosimilmente ne avrebbero avuto per una settimana di lavoro da facchini."!!!

Laplace, come abbiamo potuto constatare, si occupò principalmente di astronomia, o meglio, di meccanica celeste.
Per inciso, egli sviluppò un importante operatore differenziale, il laplaciano, per sfruttarlo appunto nei suoi studi di meccanica celeste.
Giusto per svelare l'arcano, il laplaciano è il quadrato dell'operatore nabla, ovvero, in simboli:






Per chiarimenti su cosa sia l'operatore nabla, vi consiglio di leggere l'articolo "Meccanica dei fluidi: le bolle di sapone", dove troverete peraltro l'equazione di Laplace inerente alle bolle di sapone!
È giunto il momento di ritornare ai nostri determinanti e illustrare il metodo relativo ad essi, che prende dal grande matematico francese la denominazione.
In cosa consiste lo sviluppo di Laplace?
Per rispondere a tale domanda, dobbiamo prima introdurre un altro fondamentale concetto: il cofattore.
La definizione rigorosa di cofattore, in forma matematica, è la seguente:



Vista così, a chi non è esperto, l'espressione appena scritta sembrerà un'accozzaglia di simboli senza senso!
Cerchiamo allora di capire cosa si cela sotto questo formalismo matematico.
Innanzitutto, i designa la posizione dell'elemento considerato nella riga e j la posizione nella colonna.
Ergo, i e j rappresentano numeri interi positivi generici.
Ovviamente, Cij(A) è la simbologia indicante il cofattore di una matrice A.
Ora, data una matrice generica A, per esempio 3 × 3,

 




la matrice Aij sarà quella ottenuta eliminando la riga i-esima e la colonna j-esima dalla matrice A.
Stabiliamo, ad esempio, che vogliamo calcolare il cofattore C11(A), dunque quello relativo all'elemento posto nella prima riga e nella prima colonna di A, cioè a₁₁.
Per venirne a capo, dobbiamo far riferimento alla matrice A11, ovvero quella che si ottiene eliminando da A la prima riga e la prima colonna:






Notiamo inoltre che il termine (-1) elevato alla (i+j) [detto segno della posizione (i,j) nella matrice] risulta pari a 1, visto che:




Per avere il nostro cofattore, ci basta dunque trovare il determinante della matrice A11, il quale risulta essere:



Quindi:




Se volessimo rinvenire C12(A), dovremmo sfruttare il medesimo procedimento, ovviamente tenendo conto che ci si trova sulla seconda colonna e non più sulla prima:






Per trovare i rimanenti cofattori, basta applicare lo stesso identico metodo (che vale per le matrici quadrate di qualsiasi dimensione).
Per non sbagliarvi a posizionare il segno giusto, potrebbe essere illuminante la seguente tabella illustrativa dei segni:










Proviamo adesso a trovare qualche cofattore di una matrice N, formata da numeri.







Calcoliamo, ad esempio, C31(N):






Scoviamo, per divertirci un altro po', pure C32(N):





Penso che, a seguito di tale moltitudine di esempi, il procedimento per rinvenire i cofattori dovrebbe risultare chiaro.
Il passo da qui allo sviluppo di Laplace è veramente piccolo.
Per trovare il determinante di una matrice, basta andare a calcolare tutti i cofattori di una riga o di una colonna a nostro piacimento, ognuno moltiplicato per l'elemento aij di matrice corrispondente, e sommarli.
È più facile a farsi che a dirsi!
Un suggerimento: conviene applicare tale metodo a una riga (o colonna) ove sono presenti più zeri; il calcolo da effettuare sarà decisamente meno lungo.
Per esempio, prendiamo la seguente matrice F:







Ci conviene applicare lo sviluppo sulla prima colonna, in quanto contiene ben 2 zeri.
Come dobbiamo procedere?
Innanzitutto, troviamo i cofattori C11(F), C21(F) e C31(F).
In realtà, vi dico che non è necessario eseguire il calcolo dei primi 2 cofattori, poiché, nel momento in cui verranno moltiplicati con i rispettivi elementi della matrice F, il prodotto sarà uguale a 0 (ecco perché risulta comodo scegliere una riga o colonna presentante il maggior numero di zeri!).
Ergo, l'unico cofattore degno di nota è C31(F):






Il determinante di F sarà allora:





Precisiamo che, se eseguissimo il medesimo procedimento su un'altra colonna o su una qualunque riga, il risultato sarebbe esattamente lo stesso!
Non ci credete?
Proviamo!
Focalizziamoci sulla seconda riga della matrice F.
Calcoliamo innanzitutto C22(F) e C23(F).










Applichiamo lo sviluppo di Laplace sulla seconda riga per trovare det F:




Come volevasi dimostrare!
Riassumiamo: per ottenere il determinante di una matrice 3 × 3 attraverso lo sviluppo di Laplace, bisogna:

1) focalizzarsi sulla riga o colonna presentante più zeri;
2) calcolare i cofattori relativi agli elementi non nulli;
3) moltiplicare ciascun cofattore ottenuto con l'elemento della matrice corrispondente (se, ad esempio, calcoliamo C22, poi dovremmo moltiplicarlo con il numero che si trova sulla 2° riga e sulla 2° colonna della matrice di partenza);
4) sommare il tutto.

Abbiamo tuttavia asserito in precedenza che lo sviluppo di Laplace è valido per una matrice quadrata di qualsiasi dimensione.
Se, per esempio, ci trovassimo di fronte ad una matrice 4 × 4, potremmo applicare, come sempre, lo sviluppo su una riga o colonna a nostro piacimento.
Però, in tal caso, per ottenere i cofattori, ci troveremmo di fronte al calcolo di determinanti di matrici 3 × 3, che potremmo a loro volta calcolare mediante ulteriori sviluppi di Laplace o tramite la regola di Sarrus!
Facciamo un semplice esempio: prendiamo questa matrice 4 × 4, che chiamo L:








Dovrebbe essere evidente che risulta comodo applicare lo sviluppo di Laplace sulla prima colonna, dato che sussistono ben tre zeri al suo interno.
L'unico cofattore interessante, C31(L), sarà equivalente al determinante della matrice ottenuta eliminando la 1° colonna e la 3° riga dalla matrice L:







Per non essere monotoni, direi di applicare la regola di Sarrus per il calcolo del suddetto determinante:









Trovato il cofattore, arrivare al determinante di L è veramente un gioco da ragazzi:




Siamo giunti a determinare il determinante di una matrice 4 × 4!
Se invece vi trovaste di fronte a una matrice 5 × 5, dovreste calcolare, come al solito, i cofattori di una riga o colonna, ma, per far ciò, avreste bisogno di rinvenire il determinante di una o più matrici 4 × 4, riutilizzando nuovamente il metodo di Laplace e così via, fino a che il calcolo non risulti fattibile.
Ci si rende ovviamente conto che più aumenta la dimensione della matrice, più il compito di trovare il determinante diviene lungo e faticoso (conviene allora munirsi di metodi informatici)!
In seguito a tale lunga trattazione su cotale nozione, dal nome determinante, alla mente del lettore non esperto potrebbe balenarsi una domanda: ma a cosa diavolo serve il determinante di una matrice?
Beh, serve a un po' di cose, dal risolvere sistemi di equazioni al trovare l'inversa di una matrice o i cosiddetti autovalori.
Qui ci limiteremo ad analizzare come i determinanti risultino fondamentali per applicare il cosiddetto metodo di Cramer (deve la sua denominazione al matematico svizzero Gabriel Cramer (1704-1752)), utile per la risoluzione di sistemi di equazioni lineari.
Prendiamo come esempio il seguente sistema di 3 equazioni in 3 incognite:






E poi?
Scriviamo la matrice dei coefficienti associata al sistema:






Il determinante di tale matrice è: det A = -27.
La regola di Cramer consiste nel prendere la matrice A e sostituire, volta per volta, una sua colonna con la matrice dei termini noti, ovvero con la seguente matrice colonna B:






Le nostre incognite (x,y,z) saranno date ognuna dal rapporto tra il determinante della matrice in cui è stata sostituita una colonna (la prima per la x, la seconda per la y e la terza per la z) con quella dei termini noti B e il determinante della matrice originaria dei coefficienti A.
Procediamo, in modo da capire meglio.
Iniziamo con la x.
Dobbiamo quindi considerare questa matrice:







Il determinante di Ax è pari a -39.
Ergo, x = -39/-27 = 13/9.
Proseguiamo con la y:






Det Ay = -63.
Perciò, y = -63/-27 = 7/3.
Allo stesso modo:






Det Az = -60.
Dunque, z = -60/-27 = 20/9.
Ricapitoliamo:











Vorrei concludere l'ampia trattazione riportando un passo dal libro Ignote quantità di John Derbyshire:

"Ci vollero 46 anni per passare dai determinanti alle matrici. Il lavoro definitivo di Cauchy sui determinanti fu letto all'Institut de France nel 1812. La prima persona a usare il termine "matrice" in questo contesto algebrico fu il matematico inglese James Joseph Sylvester, in un articolo di divulgazione pubblicato nel 1850. Sylvester definì una matrice come "una disposizione rettangolare di termini", ma il suo concetto era ancora radicato nei determinanti. Il primo riconoscimento formale di una matrice come oggetto matematico in se stesso avvenne in un altro saggio, dal titolo Memoir on the Theory of Matrices, pubblicato sui "Transactions of the London Philosophical Society" dal matematico inglese Arthur Cayley nel 1858. Cayley e Sylvester erano più o meno coetanei: Sylvester (nato nel 1814) era maggiore di 7 anni. Si incontrarono nel 1850, quando entrambi erano avvocati praticanti a Londra, e divennero intimi amici. Lavorarono entrambi sulle matrici e sugli invarianti. Studiarono tutti e 2 a Cambridge, anche se in college differenti. Cayley fu eletto fellow del suo college, il Trinity di Cambridge, e insegnò lì per 4 anni. Per continuare, avrebbe dovuto prendere gli ordini sacri nella Chiesa di Inghilterra, ma non era questo il suo progetto. Si dedicò quindi agli studi di legge, e venne ammesso all'ordine degli avvocati nel 1849. Il primo incarico di Sylvester fu come professore di filosofia naturale alla nuova Università di Londra...Nel 1841, però, Sylvester lasciò la professione per accettare una cattedra all'Università della Virginia. L'incarico durò 3 mesi; poi Sylvester rassegnò le dimissioni a causa di un episodio che vide coinvolto uno studente...Sappiamo di sicuro che lo studente insultò Sylvester, ma le storie divergono in merito ai fatti seguenti. Sylvester colpì lo studente con un bastone animato che nascondeva una lama e rifiutò di presentare le proprie scuse, oppure Sylvester chiese che l'università punisse lo studente, ma l'università non lo fece. Esiste un'altra teoria che suggerisce un aspetto omosessuale nella vicenda. Sylvester non si sposò mai, amava scrivere poesie fiorite e cantare con toni acuti....Sylvester fece ritorno in Inghilterra, iniziò a lavorare come attuario, studiò per essere ammesso all'ordine degli avvocati, e integrò le sue entrate impartendo lezioni private (tra i suoi studenti vi fu Florence Nightingale, "la dama con la lanterna", che era molto dotata per la matematica e la statistica). Cayley e Sylvester sono soltanto 2 nomi di un raffinato gruppo di algebristi che si formò nelle isole britanniche all'inizio del XIX secolo."   



10 commenti:

  1. Bellissimo! Con i complimenti da parte di un nuovo lettore del Suo blog :-)

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    1. Ti ringrazio dell'apprezzamento, Renzo. Lieto di averti tra i lettori del blog!

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  2. Le notizie biografiche sui matematici sono interessanti quanto la matematica in sè! Complimenti! Un blog favoloso!

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    1. Ti ringrazio dell'apprezzamento nei confronti del post e del blog, Mariangela!

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  3. Grande. Molto chiaro e dettagliato. Grazie

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  4. Una spiegazione così chiara, semplice, diventa affascinante e fa venite la voglia di diventare un matematico appassionato. Dire: Complimenti, è quasi sminuitivo, meriti di più. GRAZIE

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