domenica 23 agosto 2020

LA LEGGE DI FARADAY-NEUMANN-LENZ E IL CONTRIBUTO DEL FISICO FRANCESCO ZANTEDESCHI

Il presente post nasce da una segnalazione via Twitter da parte di Marco Fulvio Barozzi (alias il mitico Popinga) di un thread dedicato alla figura di Francesco Zantedeschi, un abate e fisico italiano, che apportò, come vedremo, importanti contributi nell'ambito dell'elettromagnetismo.
In passato abbiamo già narrato alcune vicende essenziali nella storia dell'elettromagnetismo, come per esempio la disputa tra Galvani e Volta (cliccate qui) e gli esperimenti di Ørsted, Faraday e Ampère (cliccate qui).
In particolare, abbiamo avuto modo di analizzare alcuni contributi essenziali e parte della biografia del grande fisico e chimico britannico Michael Faraday (1791-1867) nel post "Faraday e l'elettrolisi".
Qui ci focalizzeremo su un'importantissima equazione, la legge spesso chiamata di Faraday-Neumann-Lenz e scopriremo il contributo essenziale del poco conosciuto Zantedeschi.
Innanzitutto presentiamo un po' meglio il personaggio protagonista del post.

Figlio di Bartolomeo e Domenica Loro, «ricca commerciante famiglia che per le vicende della guerra di Rivoli precipuamente fu ridotta in gravi ristrettezze di fortuna», Francesco Zantedeschi nacque a Dolcè (in provincia di Verona) il 18 agosto 1797.
Seguì la strada del sacerdozio e fu ordinato sacerdote dal Vescovo di Verona Innocenzo Maria Lirutti nel marzo del 1822.
Zantedeschi si dedicò subito all'insegnamento, cominciando nel Liceo Bagatta di Desenzano, ove insegnò per 4 anni fisica e storia naturale.
A questi anni risale il suo trattatello Geologia dei terreni che circondano il lago di Garda, rimasto inedito.
Nel 1827 venne chiamato a Pavia dal vescovo Luigi Tosi, che gli affidò le cattedre di matematica e fisica nel seminario vescovile e dove frequentò l'università assistendo alle lezioni di eminenti professori come Antonio Maria Bordoni, Giuseppe Moretti, Bartolomeo Panizza, Giacomo Zendrini o l'abate Pietro Configliachi e stringendo con loro rapporti di studio e d'amicizia.
Fu proprio qui a Pavia che Zantedeschi effettuò i suoi primi esperimenti con i magneti, di cui parleremo meglio in seguito.
La sua carriera di fisico venne interrotta dal vescovo di Verona Giuseppe Grasser, che nel 1829 lo chiamò ad insegnare filosofia teoretica e pratica nel suo seminario.
Questa "parentesi filosofica" non fu del tutto improduttiva: oltre a pubblicare (e poi rieditare) gli Elementi della sua filosofia e una dissertazione sui Principii generatori delle umane cognizioni «accolta con molto favore dall'Accademia delle Scienze di Berlino», Zantedeschi non rinunciò agli studi e alle ricerche di fisica riprendendo con l'abate Giuseppe Zamboni, suo vecchio maestro, alcuni esperimenti sui magneti, interessandosi alle osservazioni meteorologiche e al fenomeno della rugiada e ricevendo una medaglia d'oro dall'Ateneo di Brescia per le sue Ricerche sul termo-elettricismo dinamico, luci-magnetico ed elettrico.
La "parentesi filosofica" ebbe termine nella primavera del 1838 quando Zantedeschi venne chiamato a ricoprire la cattedra di fisica e matematica applicata al liceo di Santa Caterina di Venezia (ora noto come liceo classico "Foscarini").
Si dedicò a questo insegnamento con passione: egli stesso attesta che alle sue lezioni partecipavano addirittura sino ad 80 studenti.
Fu un periodo propizio anche per ricominciare con efficacia gli studi e le pubblicazioni su varie tematiche della fisica.
Nel luglio 1849, a seguito della morte di Antonio Perego, fino a quel momento titolare della cattedra di Fisica, Zantedeschi ottenne l'importante cattedra all'Università di Padova, cattedra mantenuta sino al 1857. Da qualche anno iniziò infatti a manifestare gravi problemi alla vista; venne privato della cattedra, la quale fu prontamente ceduta a Bernardino Zambra.
Zantedeschi avvertì tale privazione come un'ingiustizia alla quale non volle rassegnarsi; tentò pure di appellarsi al Governatore Generale, l'Arciduca Ferdinando Massimiliano, ma senza esito.
In ogni caso, oltre all'insegnamento, durante gli anni trascorsi a Padova il fisico si dedicò a far restaurare svariati apparecchi dell'Università e ne fece costruire di nuovi, valendosi dell'abile opera di Angelo Sonda, meccanico alle sue dipendenze, come pure di collaboratori esterni.
Zantedeschi continuò ad interessarsi alla fisica sino a quasi la fine della sua vita, occupandosi di temi svariati.
Sono infatti numerosi i suoi scritti fino al 1870 (l'elenco totale delle sue pubblicazioni comprende oltre 250 scritti).
Successivamente sopravvenne un declino fisico accentuato, che lo costrinse in letto.
Il fisico italiano esalò l'ultimo respiro, a Padova, il 29 marzo 1873.
Due anni più tardi le sue ceneri vennero traslate a Verona, nel pantheon "Ingenio claris" del cimitero.
A Dolcè, suo paese natale, è stata murata una lapide con un suo busto in bronzo all'interno del palazzo municipale, nel 1914.
Il Comune di Verona gli ha dedicato anche una strada nel 1960.
Durante la sua vita fu socio di numerose accademie e società scientifiche rilevanti, tra cui anche l'Accademia delle Scienze di Torino dal 1837, e l'Accademia dei Lincei dal 1849.
Bene, è giunto il momento di focalizzarci sulla fisica e in particolar modo sulla legge di Faraday-Neumann-Lenz.
Per una piena comprensione della suddetta equazione e delle vicende ad essa legate è tuttavia necessario prima compiere una breve premessa sugli aspetti essenziali del magnetismo, argomento che non abbiamo mai avuto modo di trattare esplicitamente su questo blog.

La proprietà di attirare la limatura di ferro, mostrata da alcuni minerali di ferro e in particolare dalla magnetite (combinazione di ossidi di ferro, FeO, Fe₂O₃), era già nota nel VII secolo a.C.
Il nome “magnetite” derivò da quello della città greca di Magnesia, in Asia minore, ove si trovavano giacimenti del minerale, e la proprietà osservata assunse il nome di magnetismo.
Tale proprietà di attrazione non è uniformemente presente nel materiale, ma si manifesta principalmente in determinate parti.
Risulta, in particolare, possibile costruire campioni cilindrici in cui essa è localizzata nella zona delle basi.
Sia tali oggetti che altri con differente geometria (ad esempio una sbarra piegata a forma di C) prendono il nome di magneti e le parti in cui si localizza la proprietà di attrazione si chiamano poli del magnete.
Nel XVI secolo William Gilbert eseguì una serie di esperienze con magneti, aventi lo scopo di porre in evidenza le caratteristiche del magnetismo e le differenze con i fenomeni elettrostatici da lui stesso studiati.
I risultati relativi allo studio delle interazioni tra poli magnetici, pur tenendo conto di successive osservazioni, sono riassunti nei punti che seguono.

A. Se ad un magnete sospeso nel centro tramite un filo, e dunque libero di ruotare, si avvicina un secondo magnete, tenuto ad esempio in mano, si osserva che questo esercita sul primo una certa forza. Come per le forze elettrostatiche, possiamo interpretare il fatto dicendo che un magnete genera un campo, il campo magnetico, e che l’altro magnete risente dell’azione che il campo magnetico esercita nella posizione da esso occupata. La forza di interazione tra i 2 magneti è attrattiva o repulsiva a seconda dei poli dei magneti che vengono affacciati. Esistono solamente 2 specie di poli, chiamati poli positivi e poli negativi. Inoltre si riscontra che i poli di uno stesso magnete sono sempre di segno opposto. I fenomeni osservati non sono attribuibili in nessun modo a cariche elettriche fisse, localizzate in alcune regioni dei magneti. Infatti la magnetite è un conduttore e il secondo magnete, tenuto in mano, è certamente scarico.

B. Se si avvicina a un pezzo di magnetite una bacchetta sottile di ferro, questa acquista la proprietà di attirare la limatura di ferro, principalmente in vicinanza delle estremità: la bacchetta di ferro immersa nel campo magnetico generato dalla magnetite è diventata perciò un magnete, ovvero si è magnetizzata. Essa viene chiamata magnete artificiale o calamita e presenta 2 poli magnetici di segno opposto. Soprattutto se è di piccole dimensioni, la bacchetta viene anche detta ago magnetico.

C. Se sospendiamo ad un filo l’ago magnetico e lo lasciamo libero di ruotare, si osserverà che esso tende a disporsi approssimativamente parallelo al meridiano terrestre. Spostato da tale posizione di equilibrio l’ago compie intorno ad essa delle oscillazioni, smorzate inevitabilmente dagli attriti. L’esperienza mostra l’esistenza di un campo magnetico naturale (originato da un dipolo magnetico, posto nel nucleo esterno della Terra), il campo magnetico terrestre. Il polo dell’ago che si orienta approssimativamente verso il nord geografico viene detto polo nord (N) e gli si attribuisce segno positivo, l’altro è chiamato polo sud (S) e gli si conferisce segno negativo. Va detto che l’interazione tra poli magnetici del medesimo segno è repulsiva, mentre quella tra poli magnetici di segno opposto è attrattiva.



















D. Lo studio quantitativo della forza magnetica tra i poli di 2 magneti, compiuto da Coulomb con la medesima apparecchiatura con cui aveva ottenuto la legge per la forza tra cariche elettriche, dimostrò anche in tal caso un andamento inversamente proporzionale al quadrato della distanza, almeno per poli puntiformi, come sono con buona approssimazione quelli agli estremi di sbarre lunghe e sottili. Si potrebbe pertanto enunciare una legge di Coulomb per l’interazione magnetica (in modulo) tra 2 poli:

 




in cui i poli sono caratterizzati dalle masse magnetiche q₁*, q₂* e km denota una costante il cui valore dipende dal mezzo in cui avviene l’interazione e dal sistema di unità di misura adottato. Essa esprime, in particolare, l’intensità dell’azione magnetica, al pari della costante G per l’interazione gravitazionale e della costante k per l’interazione elettrostatica.
Sebbene la struttura della formula sia identica a quella della forza tra 2 cariche elettriche o 2 masse, sussiste però una differenza sostanziale. Una carica elettrica (positiva o negativa) può sempre essere isolata e ciò è una conseguenza dell’esistenza delle cariche elementari del protone e dell’elettrone: la possibilità di separazione esiste cioè già a livello elementare. Pure la massa, sebbene non quantizzata e di un solo segno, è chiaramente isolabile a livello elementare.
Al contrario, non è mai stato possibile ottenere un polo magnetico isolato: i poli magnetici sembrano esistere sempre a coppie di egual valore e segno opposto, ovvero si manifestano soltanto sotto forma di dipoli magnetici.
Va specificato che non si è mai riusciti ad osservare monopóli magnetici in natura, tuttavia ciò non ne esclude l'esistenza, almeno in linea teorica.
Infatti, nel 1931, Paul Dirac riuscì a fornire una ragione molto convincente della loro esistenza, attraverso l'unione delle equazioni di Maxwell con la teoria dei quanti.
Dirac dedusse che l'esistenza di un monopolo, anche se fosse l'unico, spiegherebbe la quantizzazione della carica elettrica che si osserva in natura: tutte le particelle libere presenti in natura, infatti, possiedono cariche elettriche che corrispondono a multipli interi della carica di un elettrone.
Una possibile spiegazione della loro attuale assenza è la seguente: nel Big Bang sono stati prodotti, insieme alle altre particelle, anche monopoli e antimonopoli.
La maggior parte di questi, a seguito di processi di annichilazione particella-antiparticella, sarebbe scomparsa in un tempo brevissimo liberando energia, ma alcuni potrebbero tuttavia essere sopravvissuti e sarebbero sparsi nell’Universo, analogamente a quanto succede per i neutrini e per la radiazione cosmica di fondo, altri “fossili” dei processi avvenuti negli istanti immediatamente successivi al Big Bang.
Poiché l’interazione di questi ipotetici monopoli con la materia dovrebbe dar luogo a un notevole rilascio di energia (su scala microscopica), sono stati costruiti esperimenti atti a segnalare l’eventuale passaggio di monopoli. Uno di questi (Macro) è installato da vari anni nel laboratorio sotterraneo del Gran Sasso (L'Aquila), dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
















E. Risultano significative pure le esperienze condotte con limatura di ferro posta in vicinanza di un magnete. I granelli di limatura si dispongono in modo ordinato lungo linee regolari, fatto che interpretiamo supponendo che ciascun granello venga magnetizzato dal campo magnetico del magnete e, diventato un dipolo magnetico, si orienti parallelamente al campo stesso.
In analogia a quanto si fa generalmente per il campo elettrico, è possibile definire le linee di (forza del) campo magnetico, ossia quelle linee che in ogni punto sono tangenti al campo magnetico esistente in quel punto.
Di norma il campo magnetico si denota con la lettera B.
Il verso delle linee di B può essere individuato ponendo un piccolo ago magnetico in ciascun punto in cui esiste il campo .
Esso infatti si orienterà parallelamente a B e il verso sarà quello che va dal polo Sud al polo Nord dell’ago magnetico.
Alla disposizione regolare dei granelli di limatura lungo le linee di B si dà poi il nome di spettro magnetico. Da Wikipedia una bella immagine illustrativa:



Determinare B in una certa regione vuol dire darne in ogni punto direzione, verso e modulo.
In generale, questi variano da punto a punto (campo non uniforme) e, in un dato punto, possono variare nel tempo (campo non costante); inoltre il valore di B può dipendere dal mezzo che riempie lo spazio attorno alle sorgenti.
La proprietà più caratteristica delle linee di forza del campo elettrostatico, di partire e terminare sulle cariche elettriche sorgenti del campo, non può essere estesa al campo magnetico: da questo punto di vista le linee dei 2 campi sono intrinsecamente diverse.
Una prima giustificazione deriva da una proprietà generale del campo magnetico.
Infatti si ha che la divergenza del campo magnetico è sempre nulla. In simboli:


Trattasi della forma locale della legge di Gauss per il campo magnetico, nonché una delle 4 equazioni di Maxwell.
Quando un campo vettoriale presenta divergenza nulla si dice che esso è solenoidale.
In forma integrale tale risultato si esprime dicendo che il flusso del campo magnetico attraverso una qualsiasi superficie chiusa è sempre nullo, ovvero

 




ove Σ è una generica superficie chiusa, mentre un è il versore della normale alla superficie.
Conseguenza di tale formula è che, presa una qualsiasi superficie chiusa, per ogni linea di forza entrante deve esserci una linea di forza uscente: se così non fosse, il flusso attraverso la superficie chiusa sarebbe diverso da 0.
Questa è appunto una delle considerazioni essenziali che porta alla conclusione che le linee di forza del campo B, a differenza di quelle del campo elettrico E, sono linee chiuse, senza né inizio né fine.
Esse possono chiudersi al finito o al limite, in casi particolari, all’infinito.













Per poter arrivare a parlare dell'equazione di Faraday-Neumann-Lenz è bene andare a definire pure un fondamentale concetto in relazione al campo elettrico, ossia la forza elettromotrice (abbreviata f.e.m.).
Essa è definita come l'integrale del campo elettrico E lungo una linea chiusa, ovvero come la circuitazione di E. In simboli:

 




e un suo valore non nullo implica che il campo elettrico non è conservativo (per chiarimenti e dettagli sul concetto di campo conservativo e sugli integrali di linea si veda qui).
Aggiungiamo che naturalmente, in generale, il flusso Φ(B) del campo magnetico B attraverso una qualsivoglia superficie Σ si esprime con la formula:
 




La superficie (generica) Σ ha come contorno una linea chiusa s; anzi, sarebbe meglio dire che sono infinite le superfici Σ aventi s come contorno.
Giacché, come visto prima, il campo B è solenoidale, proprietà indipendente dal fatto che i fenomeni analizzati siano variabili nel tempo oppure no, il flusso attraverso le infinite superfici Σ con il medesimo contorno s è lo stesso!
Si parla perciò di flusso attraverso la linea chiusa s o concatenato con la linea chiusa s.
In tal modo si sottintende che il calcolo effettivo del flusso Φ possa essere eseguito scegliendo una qualsivoglia superficie delimitata da s.
Se si fissa un verso di percorrenza su s, allora l'orientazione della normale un a Σ segue la regola della vite destrorsa.
La suddetta regola ci dice che ruotando lungo il verso di percorrenza della vite destrorsa, la punta della vite indica il verso dell'asse x, se consideriamo un percorso giacente nel piano yz.
Più precisamente:


Siamo finalmente pronti a illustrare l'intrigante vicenda alla base dell'equazione di Faraday-Neumann-Lenz, oltre che i dettagli della formula stessa.
Va subito detto che il noto matematico e divulgatore Ian Stewart, nel libro Le 17 equazioni che hanno cambiato il mondo, all'interno del capitolo dedicato alle equazioni di Maxwell, cita (ed è uno dei pochi a farlo) esplicitamente il nome di Francesco Zantedeschi nel raccontare di scienziati alle prese con invenzioni e scoperte relative ai metodi di conversione dei fenomeni elettrici in magnetici e, in particolare, all'induzione elettromagnetica (capirete tra poco di cosa si tratta).
Immaginiamo di considerare una spira di filo conduttore (la denotiamo con A) connessa ad un galvanometro, strumento mediante il quale è possibile misurare l'eventuale passaggio di corrente elettrica nel circuito che stiamo costruendo.
Se adesso provaste ad avvicinare un magnete (il quale, ricordiamo, genera un campo magnetico) alla spira, allora l'indice del galvanometro si sposterebbe in una certa direzione, mentre allontanando il magnete dalla spira, l'indice dello strumento tenderebbe a spostarsi nella direzione opposta.
Inoltre, quando il magnete è fermo rispetto alla spira non si riscontrerebbe alcuno spostamento dell'indice del galvanometro.
Naturalmente il discorso non cambia se supponiamo di tenere il magnete sempre fermo nella medesima posizione e di spostare non più il magnete bensì la spira.









Giusto per completezza, diciamo che il moto della spira in un campo elettromagnetico vede la presenza di una forza chiamata forza di Lorentz fornita, nella forma più generale, da




ove q denota una carica elettrica puntiforme in moto con velocità istantanea v in una regione caratterizzata dal campo elettrico E e da un campo di induzione magnetica B.
Immaginiamo ora di sostituire, nell'esperimento di prima, il magnete con una spira (la indichiamo con A') ove è inserito un generatore che fa circolare corrente elettrica e andiamo a muovere la spira A' rispetto a quella A (oppure A rispetto ad A'); ciò che si verifica è esattamente quanto descritto poco fa.



















Pertanto tutto ciò rende palese che in una spira appare una corrente, chiamata indotta, ogni volta che sussiste un moto relativo tra la spira e un campo magnetico B, generato da un magnete permanente oppure da un'altra spira percorsa da corrente.
Ricordiamo infatti che, nel 1820, Hans Christian Ørsted aveva scoperto che un filo percorso da corrente elettrica genera un campo magnetico!
Siccome per avere corrente in un circuito è fondamentale che in esso sia presente una sorgente di f.e.m., allora si può asserire che dal moto relativo tra una spira e un campo magnetico si origina una forza elettromotrice ℰi, denominata indotta.
Dovreste ben sapere che la legge di Ohm per i conduttori elettrici ci dice che

ovvero che la differenza di potenziale V ai capi del conduttore è fornita dal prodotto della sua resistenza R e della corrente I.
Nel caso di un circuito chiuso, ovvero di un circuito in cui circola corrente elettrica causata dalla differenza di potenziale sussistente tra gli estremi del circuito stesso, la legge di Ohm si riscrive nella seguente forma:



 


ove RT denota la resistenza totale del circuito stesso.
Se immaginiamo ora un circuito molto semplice, costituito da un conduttore collegato ai poli A e B di un generatore di f.e.m., sui quali sono accumulate le cariche +q e -q, bisognerà tener conto anche di una grandezza caratteristica del generatore, ovvero la resistenza interna r.











Più precisamente, un generatore risulta caratterizzato dalla forza elettromotrice ℰ, cioè dalla tensione tra i 2 poli, e dalla resistenza interna r.
Nel semplice circuito a cui ci stiamo riferendo, la legge di Ohm si può riscrivere in definitiva come segue:





cioè la corrente che circola nel circuito è il rapporto tra la f.e.m. fornita dal generatore e la resistenza totale.
Facendo ritorno all'esperimento delle spire, in base alla formulazione della legge di Ohm appena riportata per un circuito chiuso, la presenza di ℰi nel circuito provoca la corrente indotta che il galvanometro rileva.
Nel 1829 Zantedeschi pubblicò, nella "Biblioteca italiana", una breve "Nota sopra l'azione della calamita e di alcuni fenomeni chimici".
Egli inserì poi un commento (forse non proprio la migliore delle idee per esprimersi) a questa opera, nel quale dichiarava di aver osservato che quando un filo di rame veniva avvolto attorno ai poli di un magnete e collegato ad un galvanometro, si verificava una deviazione di circa 10° dell'ago (similmente a quanto già constatato da Ørsted).
Più o meno nello stesso periodo Michael Faraday stava eseguendo esperimenti con magneti e bobine di rame, spostando le bobine in prossimità dei magneti, tuttavia non riscontrò alcun effetto rilevante, dato che era in possesso di un galvanometro non sensibile.
Il 29 agosto 1831 effettuò nuovi esperimenti avendo a disposizione un galvanometro maggiormente sensibile.
In particolare, uno degli esperimenti eseguiti da Faraday è il seguente: viene posta una spira (connessa ad un galvanometro) nelle vicinanze di un solenoide (termine tecnico per denotare una bobina di forma cilindrica formata da svariate spire circolari molto vicine tra loro, realizzate con un unico filo conduttore) di lunghezza finita con nucleo di ferro.
Il solenoide è collegato ad un generatore e ad un interruttore T tramite il quale si può far passare o interrompere il passaggio della corrente nel circuito.
Questa volta sia la spira sia il solenoide sono fermi.
Nell'istante in cui l'interruttore T viene chiuso (ossia circola corrente elettrica nel circuito), l'ago del galvanometro, in precedenza fermo sullo 0, si sposta in una certa direzione e poi fa ritorno sullo 0, ove resta mentre il solenoide è percorso da corrente costante.
Quando l'interruttore T viene aperto l'indice del galvanometro si sposta nella direzione opposta alla precedente e poi torna a 0.
Faraday si rese dunque conto che si può generare una f.e.m. in un circuito attraverso un campo magnetico variabile nel tempo.
Nello specifico, la f.e.m. si manifesta nei brevi intervalli di tempo in cui il campo magnetico prodotto dal solenoide nei punti della spira cambia, passando da 0 al valore B alla chiusura e da B a 0 all'apertura, ma non compare quando la corrente e il campo B risultano costanti.
La data del 29 agosto 1831 storicamente è quindi considerata quella in cui venne scoperta la legge alla base dell'induzione elettromagnetica: "ogni volta che il flusso del campo magnetico Φ(B) concatenato con un circuito varia nel tempo, si ha nel circuito una f.e.m. indotta data dall'opposto della derivata del flusso rispetto al tempo".






Questa è proprio la legge di Faraday dell'induzione elettromagnetica, chiamata pure legge di Faraday-Neumann-Lenz o di Faraday-Henry (lo statunitense Joseph Henry la scoprì in modo indipendente più tardi, ovvero nel 1832).
Se indichiamo con R la resistenza del circuito, allora in esso circola la corrente





ma comunque il generarsi di tale corrente I va visto come un effetto secondario dipendente dalla variazione del flusso e dalla resistenza del circuito, mentre l'effetto principale è proprio l'induzione elettromagnetica descritta dalla legge di Faraday-Neumann-Lenz, che rappresentò un importante passo verso l'unificazione dei fenomeni elettrici e magnetici nella teoria dell'elettromagnetismo di Maxwell.
Altri studiosi, tra cui un certo Leopoldo Nobili, tentarono presto di replicare gli esperimenti compiuti da Faraday e ci fu molta eccitazione per queste tematiche nei giornali italiani di quel periodo.
In particolare, Giuseppe Gazzeri, nelle pagine dell'Antologia Fiorentina (nel 1832), commentò la vicenda asserendo che nel 1829 Zantedeschi aveva pubblicato un risultato simile a quello di Faraday, ma che non poteva essere il medesimo, perché nel suo set-up le correnti scoperte dal britannico non potevano esistere.
Le parole di Gazzeri scatenarono le ire di Zantedeschi, che rispose sempre sull'Antologia, chiedendo:

"Quale sarebbe la differenza tra gli esperimenti dell'inglese [Faraday] e i miei? Ho avvolto il filo sul magnete, mentre lui spostava le bobine verso il magnete. Su qualsiasi altra cosa e sul fatto fondamentale io non noto differenze."

Più tardi Zantedeschi specificò che il commento alla sua opera del 1829 era troppo corto perché spiegasse ogni singolo dettaglio del suo esperimento.
Egli continuò a rivendicare la sua scoperta per molto tempo, con parole decisamente accese nei confronti di Faraday:

"Quando è stato detto che io avrei connesso le bobine al galvanometro "in maniera insolita", tutto ciò è ingiusto. Chi, prima di me, ha mai immaginato di connettere un galvanometro a una bobina? Faraday lo ha fatto due anni dopo e non mi ha menzionato. Invito formalmente Mr. Faraday a rompere il silenzio e a spogliarsi dalla veste di usurpatore che ha indossato sino a questo momento riguardo il suddetto argomento. Gli ho scritto diverse lettere, le quali non hanno mai ricevuto risposta."

In verità, Faraday, alla fine, menzionò Zantedeschi in modo positivo.
Insomma il succo di questa vicenda è che quella che oggi chiamiamo comunemente legge di Faraday-Neumann-Lenz dovrebbe probabilmente chiamarsi legge di Zantedeschi-Neumann-Lenz.
Vi starete probabilmente chiedendo: perché togliere solo il nome di Faraday?
Beh c'è da dire che Faraday fu uno straordinario fisico sperimentale, ma non aveva molta dimestichezza con la matematica.
Basti pensare che il magistrale lavoro (in 3 volumi) sull'elettromagnetismo pubblicato dall'inglese, Experimental Researches in Electricity, non contiene una singola equazione!
Mentre il fatto che siano spesso citati altri due nomi, quello di Franz Ernst Neumann (1798-1895) e di Heinrich Friedrich Emil Lenz (1804-1865), deriva proprio dai loro contributi di carattere fisico-matematico in tal contesto.
Nello specifico, strettamente legata a questa legge è quella che viene chiamata legge di Lenz (datata 1834), la quale mette in evidenza l'importanza del segno negativo nella legge dell'induzione elettromagnetica. La legge di Lenz afferma che:

"l'effetto della f.e.m. indotta è sempre tale da opporsi alla causa (cioè la variazione di flusso) che ha generato il fenomeno."

Per capire meglio, se consideriamo ad esempio un circuito chiuso in cui circola corrente indotta, questa ha verso tale che il flusso del proprio campo magnetico concatenato col circuito si oppone alla variazione del flusso primario Φ.
Nel dettaglio, se quest'ultimo aumenta, o meglio se





allora la f.e.m. indotta è negativa e la corrente ad essa dovuta crea un autoflusso che si oppone all'aumento di Φ; sostanzialmente il flusso complessivo attraverso il circuito cresce più lentamente.
Se, al contrario, Φ diminuisce, o meglio





allora la f.e.m. indotta è positiva e la corrente indotta genera un autoflusso concorde a Φ, il che fa sì da avere una diminuzione del flusso complessivo più lenta.
Il comportamento appena descritto risulta oltretutto in accordo con il principio di conservazione dell'energia.
Infatti, poiché al campo magnetico è associata un'energia, chiamata energia magnetica e descritta dalla semplice formula





con m momento magnetico, risulta sempre necessario che questa energia venga trasformata in modo tale da conservare l'energia del campo elettromagnetico totale.
Non abbiamo ancora specificato le unità di misura in gioco in questo contesto.
L'unità di misura del flusso magnetico è il weber (Wb), che è equivalente ad 1 volt per secondo.
Ricordiamo che il volt (V) è l'unità di misura del potenziale elettrico, che dunque, in termini di weber, si può esprimere come:





I più attenti avranno notato che tale relazione discende direttamente dalla legge di (Zantedeschi)-Faraday-Neumann-Lenz.
Inoltre, tutto questo ci consente di dire che in un circuito ha luogo una variazione di flusso di 1Wb quando tale variazione, avvenendo in 1 s, genera una f.e.m. indotta di 1V.
Ci limitiamo a dire, senza dimostrarlo esplicitamente per non appesantire troppo la narrazione, che dalla forma integrale della legge dell'induzione elettromagnetica si può pervenire alla seguente fondamentale formula:


 
 
 
Trattasi di una delle 4 equazioni di Maxwell e va ad esprimere il legame locale sussistente tra la variazione nel tempo del campo magnetico B e il campo elettrico indotto E.
Tornando ai contributi di Zantedeschi, costui, tra le altre cose, sperimentò con le fiamme, osservando fenomeni di deviazione delle fiamme in presenza di magneti.
Egli spiegò il fenomeno con un effetto diamagnetico dei gas caldi e rese pubbliche le proprie constatazioni in un articolo nella Gazzetta Piemontese datato 12 ottobre 1847.
Faraday aveva affermato in precedenza che i gas non avevano affatto proprietà magnetiche. Una volta che Faraday seppe dei risultati di Zantedeschi, sperimentò di nuovo e scoprì che, in effetti, manifestavano proprietà magnetiche.
Faraday riconobbe pienamente la validità dei contributi di Zantedeschi e aggiunse addirittura una traduzione parziale in inglese dell'articolo del fisico italiano (relativo a fiamme e magneti) ad un suo articolo pubblicato sul Philosophical Magazine il 31 dicembre 1847.
L'aspetto ironico della vicenda è che, in realtà, non fu Zantedeschi il primo a scoprire la particolare interazione esistente tra le fiamme e i magneti.
Infatti, un altro sacerdote italiano, Michele Alberto Bancalari (1805-1864), compì per primo tale osservazione, riportata poi al Nono Congresso Scientifico Italiano tenutosi a Venezia nel 1847.
Non si rinviene alcuna testimonianza scritta di Bancalari concernente le suddette osservazioni, solo resoconti verbali delle sedute del Congresso sopracitato, a cui Zantedeschi ha partecipato. Eppure sia Zantedeschi che Faraday lo citano correttamente.
Insomma la vicenda continua ad essere avvolta da un'aura di mistero!
Concludiamo il post riportando il video di una delle mitiche lezioni del prof. Walter Lewin, del MIT, inerente proprio all'induzione elettromagnetica, alla legge di Faraday-Neumann-Lenz e alla legge di Lenz:


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Fonti essenziali:

- https://twitter.com/VergaraLautaro/status/1279790590096539649
- Le 17 equazioni che hanno cambiato il mondo di Ian Stewart
- Faraday-Neuman-Lenz Law of Induction or Zantedeschi-Neuman-Lenz Law of Induction? Articolo di Stefano Selleri
- L'abate Francesco Zantedeschi, fisico-sperimentatore. Articolo di Giovanni Colombini
- https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Zantedeschi
- Fisica, Volume II di Mazzoldi, Nigro, Voci

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