mercoledì 21 novembre 2012

ATTRITO!

In questo post tratteremo un concetto molto importante: l'attrito.
No, non parleremo assolutamente di liti e dispute (il termine "attrito" è sinonimo di "contrasto", "discordia", "dissidio", ecc.), bensì di Fisica.
Che cos'è l'attrito in Fisica?
Innanzitutto diciamo che esso è una forza ed, in particolare, una forza che si oppone al movimento di un corpo.
Senza l'attrito non potremmo compiere usuali azioni della vita quotidiana come camminare, guidare una macchina, trapanare un muro e così via.
Specifichiamo che non esiste una singola tipologia di attrito, bensì diverse.
Le fondamentali sono:
  • attrito radente;
  • attrito volvente;
  • attrito viscoso;
  • attrito idraulico. 


ATTRITO RADENTE

Si definisce attrito radente quello che si esercita tra 2 superfici a contatto, come, ad esempio, una scatola e il pavimento.










Questa tipologia di attrito si distingue in 2 categorie:

1) attrito statico;
2) attrito dinamico.

ATTRITO STATICO

Consideriamo un oggetto pesante a forma di parallelepipedo, appoggiato su un piano orizzontale rigido (come mostra l'immagine riportata).
Ovviamente, la nostra scatola esercita sul terreno una certa forza peso, definita come:

 

L'equazione appena scritta non è altro che una particolare forma della celebre legge di Newton



Dunque, m designa la massa, mentre



ove g = 9,8 m/s² è il valore numerico dell'accelerazione gravitazionale sulla Terra e quel "k" ci indica un versore (dunque un vettore di lunghezza, o meglio, modulo unitario), il quale ci specifica la direzione (ricordate? un vettore ha 3 componenti: modulo, direzione e verso).
Come detto, la scatola esercita una forza peso sul nostro piano rigido, ma, allo stesso tempo, il suddetto piano esercita sull'oggetto una reazione normale N, che equilibra appunto la forza peso.












Ora, se immaginiamo di esercitare una certa forza fa orizzontale, possiamo riscontrare che il corpo non si muove assolutamente fin quando la forza orizzontale esercitata non supera una certa intensità limite, che denominiamo fmax.
Ecco perché risulta difficile spostare oggetti notevolmente pesanti con la sola forza delle braccia (a meno che non siate Superman!).
Se non si esercita una forza che oltrepassi i limiti imposti dalla Fisica, non si riesce a spostare un bel niente!
La forza orizzontale da noi esercitata viene pertanto equilibrata da una forza vincolare di attrito (che chiamiamo ft, in quanto diretta tangenzialmente al piano rigido), la quale risulta essere uguale ed opposta ad fa.
Come si può intuire, ciò è una conseguenza (alla stregua del caso della forza peso e della reazione normale N) del 3° principio della dinamica, quello che asserisce che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria (in verso).
Nella situazione descritta, in cui la nostra forza orizzontale fa è minore del valore fmax, siccome il corpo non si muove, allora la sommatoria delle forze che agiscono su di esso è sicuramente nulla.
Ergo, vale la seguente relazione di Cauchy (se volete sapere chi era Cauchy, recatevi qui):



Che succede, tuttavia, quando la forza orizzontale fa raggiunge (e supera) il valore limite fmax
Ebbene, il vincolo non può più porre resistenza a tale forza e, di conseguenza, l'oggetto incomincia a muoversi.
Scritto in termini matematici, questo fatto può essere così rappresentato:



Sperimentalmente, si riscontra che fmax possiede le seguenti caratteristiche:

1) essa è indipendente dall'area della superficie di contatto. Se, per fare un esempio, abbiamo un pesante scatolone a forma di parallelepipedo, non importa quale sia la faccia di esso appoggiata sul terreno, poiché fmax non varia assolutamente. Ciò può trovare una giustificazione tenendo presente che l'area effettiva di contatto tra un oggetto e il terreno rigido risulta, a causa di asperità sempre presenti, decisamente più piccola dell'area geometrica di appoggio. Ergo, la suddetta proprietà vale finché l'area di contatto non divenga comparabile alle dimensioni delle asperità superficiali, come nel caso di una superficie di contatto minuscola (una lama, una punta, ecc.), oppure quando le superfici a contatto sono levigate in modo estremamente accurato.

2) essa risulta proporzionale alla reazione normale N, in accordo con la seguente formula:



Il coefficiente μs che vedete si chiama coefficiente di attrito statico e dipende da:
  • natura dei materiali posti a contatto;
  • loro lavorazione superficiale;
  • eventuale presenza di lubrificanti.













Sapendo ciò, possiamo affermare che, al fine di mantenere una condizione di equilibrio, deve sussistere la relazione:



Fino a quando vale la relazione appena scritta, il corpo considerato non si muove minimamente.
Anzi, la suddetta formula si può riscrivere anche nel seguente modo:



in quanto, come abbiamo constatato, la reazione normale N ha lo stesso modulo della forza peso (N = mg).

ATTRITO DINAMICO

Quando la forza fa applicata orizzontalmente supera fmax (ovvero μsN), ne consegue, come abbiamo già constatato, che il corpo si mette in moto lungo il piano e, in tal caso, si oppone al suo movimento una forza di attrito radente dinamico fad.
Esso è dato dalla seguente equazione:



Ovviamente, μd designa il coefficiente di attrito dinamico.
Risulta sempre che:



Questo significa che sarà (quasi) sempre più facile spostare un oggetto che si trova già in uno stato di moto, rispetto al medesimo in stato di quiete.
Andando un po' più nello specifico, la forza di attrito dinamico non dipende dalla velocità del corpo rispetto al piano di appoggio e possiede verso contrario alla direzione del moto e, perciò, al versore della velocità.
Abbiamo pertanto la seguente relazione vettoriale:



Un'importante considerazione sulle forze di attrito radente: esse, nella realtà quotidiana, sono sempre presenti, per quanto si possa tentare di ridurle al minimo.
Non si può scappare dall'attrito!
Riporto un breve ma interessante passo, inerente all'attrito, da La Fisica di Feynman (volume 1):

"Che la formula F = μN sia approssimativamente corretta può essere dimostrato da un semplice esperimento. Fissiamo un piano, inclinato di un piccolo angolo θ, e poniamo un blocco di peso W sul piano. Incliniamo poi il piano di un angolo maggiore, finché il blocco comincia a scivolare per il suo proprio peso. La componente del peso diretta in basso lungo il piano è W sin θ, e deve essere uguale alla forza di attrito F quando il blocco scivola uniformemente. La componente del peso normale al piano è W cos θ, e questa è la forza normale N. Con questi valori la formula diventa W sin θ = μW cos θ, da cui otteniamo μ = sin θ/cos θ = tan θ. Se questa legge fosse assolutamente esatta, un oggetto comincerebbe a scivolare a una certa inclinazione definita. Se lo stesso blocco viene appesantito ponendogli sopra pesi ulteriori allora, sebbene W sia aumentato, tutte le forze nella formula sono aumentate nella stessa proporzione, e W scompare dalla formula. Se μ rimane costante, il blocco appesantito scivolerà ancora alla stessa inclinazione. Quando l'angolo θ viene determinato per tentativi col peso originale, si trova che con il peso maggiorato il blocco scivolerà a circa lo stesso angolo di inclinazione. Questo sarà esatto anche quando un peso è parecchie volte più grande dell'altro e così concludiamo che il coefficiente di attrito è indipendente dal peso. Nell'esecuzione di questo esperimento è degno di nota che quando il piano è inclinato all'incirca secondo l'angolo corretto θ, il blocco non scivola regolarmente ma a scatti. In un punto può fermarsi, in un altro accelera. Questo comportamento indica che il coefficiente di attrito è soltanto approssimativamente una costante, e varia da punto a punto lungo il piano. Lo stesso comportamento irregolare è osservato se il blocco è appesantito o meno. Tali variazioni sono causate dai diversi gradi di levigatura o di durezza del piano, e forse da sporcizia, ossidi o altre materie estranee. Le tabelle che hanno la pretesa di elencare valori di μ per "acciaio su acciaio", "rame su rame", e simili, sono tutte sbagliate perché ignorano i fattori ricordati sopra, che in realtà determinano μ. L'attrito non è mai dovuto a "rame su rame", ecc., ma alle impurità attaccate al rame."      

Concludiamo la trattazione sull'attrito radente, illustrando alcune curiosità storiche.
Nel 1699 il fisico francese Guillaume Amontons (1663-1705) mostrò che la forza di attrito tra 2 oggetti è direttamente proporzionale a quella applicata (ossia alla forza ortogonale alle 2 superfici a contatto) attraverso una costante di proporzionalità, il coefficiente di attrito.
Amontons, nato a Parigi il 31 agosto 1663, figlio di un avvocato che dalla Normandia si era spostato nella capitale francese, aveva perso l'udito in giovane età.
Questa sciagura lo indirizzò a concentrarsi esclusivamente sulla scienza.
Diede importanti contributi all'implementazione di strumenti tecnologici come il barometro, l'igrometro e il termometro.
Si interessò alla termodinamica, focalizzando i suoi studi sulle relazioni tra pressione e temperatura in un gas.
E poi arrivò, appunto, a formulare le sue relazioni sull'attrito, che, a dir la verità, erano già state rinvenute da Leonardo da Vinci tempo prima.
Un ulteriore e significativo passo avanti nella ricerca sull'attrito radente fu compiuto dal celebre fisico francese Charles-Augustin de Coulomb (1736-1806), a partire dal 1779.
Costui scoprì che per 2 superfici a contatto in moto relativo l'attrito dinamico è quasi indipendente dalla loro velocità relativa e verificò, nel 1781, la correttezza delle relazioni di Amontons.

ATTRITO VOLVENTE

Sull'attrito volvente (o di rotolamento) possiamo dire che è quello che si esercita tra un piano rigido e un corpo che rotola, come un pallone da calcio o una palla da bowling.
















Ciò che lo differenzia dall'attrito radente è dunque il fatto che, in questo caso, non c'è un'intera superficie che viene a contatto con il nostro piano, bensì un singolo punto.













Questo determina il fatto che la forza di attrito volvente sia notevolmente meno ingente di quella di attrito radente.
In realtà, questa considerazione è valida solamente tenendo presente un modello matematico ideale, ovvero quello del corpo rigido, cioè un corpo che non subisce alcuna deformazione.
In Fisica, spesso, vengono appunto utilizzati questi modelli idealizzati al fine di semplificare il problema.
Tuttavia, ribadiamo, nella realtà il corpo rigido non esiste affatto!
Dunque, restando nel mondo reale, un corpo in rotolamento, come la ruota, non tocca la superficie in un singolo punto, bensì sussiste un'area di contatto un po' più ampia, a causa delle deformazioni dell'oggetto.
Se la ruota toccasse la superficie in un singolo punto, alla stregua di un corpo rigido, allora il suo rotolamento verrebbe accelerato.
Per maggiori informazioni su tale interessante questione, vi consiglio caldamente di leggere il post "Why does a ball slow down?" di Sandro Ciarlariello, sul blog Astronomysics.
Comunque, da un punto di vista matematico, l'espressione della forza di attrito volvente è molto simile a quella dell'attrito radente.
Essa è:




ove r è il raggio di curvatura del corpo considerato (nel semplice caso di una sfera, il raggio della sfera stessa) e μv indica il coefficiente di attrito volvente.
Tale coefficiente, come ovvio, è di gran lunga più piccolo dei suoi "cugini", i coefficienti di attrito radente statico e dinamico.

ATTRITO VISCOSO E ATTRITO IDRAULICO

Se pensavate che l'attrito si potesse esercitare solamente tra un piano rigido e un corpo, allora dovrete ricredervi.
Anche i fluidi esercitano un loro specifico attrito, che influisce sul moto dei corpi.
Infatti, già Galileo aveva intuito che un corpo più pesante, lanciato da una certa altezza, arriva prima a terra rispetto a uno più leggero per effetto dell'attrito dell'aria (invece, nel vuoto giungerebbero entrambi a terra nello stesso momento).
Pertanto, un fluido, in primis l'aria (d'altronde siamo sempre circondati da aria), oppone una certa resistenza al moto di un corpo.
Questa forza di attrito dell'aria può essere, in generale, espressa da una relazione come la seguente:



dove v designa il modulo del vettore velocità istantanea.
Quel segno negativo è giustificato proprio dal fatto che tale forza si oppone al moto e possiede verso opposto rispetto a quello della velocità.
Ricordiamo che la velocità istantanea è la derivata dello spazio rispetto al tempo, o meglio (utilizzando termini più rigorosi), la derivata del vettore posizione r(t) rispetto al tempo:




Il vettore posizione, in uno spazio tridimensionale, si può scrivere come combinazione lineare delle coordinate x, y, z, e dunque la velocità si può esprimere anche nel seguente modo:




Osservate questa immagine; dovrebbe rendervi più chiaro perché il vettore posizione si può scrivere basandosi sulle coordinate x,y,z del sistema di riferimento tridimensionale cartesiano:



















Ah, dimenticavo, i,j,k con sopra il "cappelletto" sono semplicemente versori!
Quando abbiamo a che fare con moti che avvengono in una singola direzione (poniamo quella dell'asse x), però, possiamo trascurare le componenti y e z, e possiamo dunque scrivere la velocità istantanea come:




Ritorniamo ora all'attrito nei fluidi!
Ci eravamo fermati definendo la forza di attrito come:



Adesso, scopriamo che la funzione f(v) presente non è altro che:



Ebbene, f(v) rappresenta la somma dell'attrito viscoso con l'attrito idraulico!
L'attrito viscoso è definito da bv, mentre quello idraulico da cv².
Specifichiamo che le costanti b e c sono entrambe positive.
Adesso approfondiamo un po' più la questione relativa ai 2 coefficienti.
Il coefficiente b dipende dalla viscosità del fluido e dalle dimensioni del corpo.
Per chi non ricordasse cos'è la viscosità, può recarsi al post "Le forze della natura: i vulcani", in cui abbiamo fornito una definizione chiara e semplice della suddetta nozione.
Supponiamo ora, per semplicità, di avere un corpo sferico; in questo frangente il coefficiente b è dato dalla relazione:



dove D non è altro che il diametro della sfera (D = 2r, dove r = raggio) e β si può esprimere con la seguente uguaglianza:



La lettera greca "eta" (η) rappresenta appunto la viscosità del fluido.
Andando ora a sostutuire le espressioni di D e β nella formula descrivente il coefficiente b, otteniamo:



Avendo definito più precisamente il nostro coefficiente b, possiamo esprimere la formula dell'attrito viscoso nella seguente modalità:



Questa è la legge di Stokes, ricavata nel 1851, appunto dal fisico irlandese George Gabriel Stokes (1819-1903).
Nato il 13 agosto 1819 nella contea di Sligo, in Irlanda, il giovane Stokes, che aveva già da piccolo dimostrato il suo talento matematico, entrò nel 1839 al Pembroke College di Cambridge, laurendosi a pieni voti in matematica nel 1841, e ottenendo una borsa di studio per rimanere all'università e portare avanti le sue ricerche.
Stokes era particolarmente interessato a comprendere il moto dei fluidi, utilizzando gli strumenti del calcolo infinitesimale.
Stokes ebbe una carriera veramente gloriosa che lo condusse, in primo luogo, a esser nominato, nel 1849, professore lucasiano di matematica (la cattedra occupata da Newton o, recentemente, da Stephen Hawking) e, successivamente, a essere eletto fellow e poi, addirittura, presidente della Royal Society.
Le sue ricerche furono innumerevoli e spaziarono dalla fluidodinamica all'ottica, dall'analisi chimica allo studio della gravità.
La legge di Stokes è molto importante; viene ad esempio impiegata nella produzione industriale, quando si studia la sedimentazione che avviene durante la separazione di una sospensione di particelle solide in un liquido.
In tali applicazioni pratiche gli scienziati sono spesso interessati alla resistenza esercitata dal liquido sul movimento delle particelle che scendono verso il fondo.
Un processo di sedimentazione viene, per esempio, sfruttato a volte nell'industria alimentare al fine di separare sporcizia e corpi estranei dal materiale utilizzabile.
Un'altra applicazione della legge di Stokes è quella concernente le particelle sospese in aria.
Infatti, alla fine degli anni '90 tale equazione venne usata per fornire una possibile spiegazione del motivo per cui particelle di uranio di minuscole dimensioni (dell'ordine dei micron) potessero rimanere sospese nell'aria per svariate ore e percorrere persino lunghe distanze, al punto da riuscire probabilmente a contaminare i soldati della guerra del Golfo.
D'altra parte, le munizioni dei cannoni molte volte contengono dei perforanti in uranio impoverito, il quale si disperde in sospensione nell'aria, a seguito dell'impatto contro bersagli duri, come i carrarmati.
Parliamo ora brevissimamente del coefficiente c relativo all'attrito idraulico!
Esso risulta definito dalla seguente uguaglianza:



ove D rappresenta sempre il diametro della sfera, mentre γ è dato da:




dove ρ rappresenta la densità del fluido.
Alla fine, effettuando delle semplicissime sostituzioni, la forza di attrito idraulico si può riscrivere come:




Vi faccio notare un piccolo particolare: quando il moto si svolge a basse velocità, l'attrito viscoso risulta maggiore di quello idraulico.
Nello specifico, ciò avviene quando la velocità è compresa tra 0 e 1 m/s.
Per quale ragione?
Prendiamo, ad esempio, il valore v = 1/2, ovvero 0,5; esso elevato al quadrato fa 1/4, che è 0,25, ossia più piccolo di 0,5.
Oltrepassata invece la soglia del valore v = 1 m/s, allora, ovviamente, l'attrito idraulico sarà sempre più influente rispetto a quello viscoso.
Esempio banale: prendiamo v = 2; è ovvio che 2² = 4 risulta maggiore del semplice 2.
Man mano che il valore della velocità diventa più grande, l'attrito idraulico diviene sempre più rilevante.
Questa considerazione si può dimostrare anche geometricamente, prendendo come riferimento la retta y = x e la parabola y = x²:














Adesso analizziamo brevemente qualcosa di leggermente più complesso: il moto in presenza di solo attrito viscoso (per quanto concerne quello idraulico, il procedimento è il medesimo).
La domanda a cui vogliamo cercare di rispondere è dunque: come si muove un corpo (unidimensionale) in presenza di attrito viscoso dell'aria?
Per rispondere a tale quesito, innanzitutto dobbiamo partire dalla famosa F = ma.
Anzi, ci è più conveniente vederla come ma = F.
Da questa formula possiamo ricavare che l'accelerazione a è uguale a:




Ma qui non abbiamo una forza qualunque, bensì la forza di attrito viscoso.
Ergo, possiamo scrivere:




Che facciamo adesso?
Semplice, scriviamo l'accelerazione come derivata della velocità rispetto al tempo, il che ci conduce alla seguente equazione differenziale:




Come diavolo risolviamo un'equazione differenziale di questo tipo?
Non è molto complicato; dobbiamo utilizzare il cosiddetto metodo di separazione delle variabili.
Dobbiamo, in sostanza, effettuare una piccola manipolazione alla nostra espressione: portiamo tutti i termini relativi alla velocità da una parte, mentre tutto il resto lo posizioniamo nella restante.
Mettiamo in pratica questa procedura:




Abbiamo semplicemente portato alcuni termini dove ci fanno più comodo.
Adesso viene il bello!
Dobbiamo integrare entrambi i membri dell'equazione:





Quella quantità b/m è fuori dall'integrale in quanto costante; anzi, da adesso in poi indicheremo la suddetta quantità semplicemente con k.
Abbiamo quindi:





Ci sono 2 integrali definiti da sbrogliare; se non ricordate o non sapete come si procede, vi consiglio di recarvi qui.
Per quanto concerne il primo, esso è un particolare integrale che fornisce come primitiva il logaritmo naturale di v.
Per quanto riguarda il secondo, è un semplicissimo integrale che possiamo vedere anche come:





Deve essere quindi risolto facendo riferimento alla regola fondamentale:





Il nostro caso presuppone n = 0.
Bene, tenuto presente tutto ciò, vediamo in cosa si trasforma la nostra espressione precedente:



ovvero:



Possiamo porre per semplicità t0 = 0.
Inoltre, possiamo sfruttare la proprietà dei logaritmi, la quale afferma che la differenza di logaritmi è equivalente al logaritmo del quoziente:




Passando agli esponenziali abbiamo:




Ergo:



Notiamo dunque che la velocità di una particella in moto in presenza di attrito viscoso tende a diminuire esponenzialmente con il passare del tempo t.
Nel caso limite in cui t tende a ∞, v(t) → 0.
Troviamo adesso, con il medesimo procedimento, la legge oraria di tale moto, ovvero il variare della posizione del corpo unidimensionale in funzione del tempo.
Ripartiamo da:



e scriviamo la velocità come derivata della posizione rispetto al tempo:




Portiamo il dt nell'altro membro:



Come prima, integriamo entrambi i membri:





Se qualcuno si stesse chiedendo come mai, nel secondo integrale, è presente (in basso) lo zero e non t0, la ragione sta nel fatto che avevamo posto, in precedenza, t0 (cioè il nostro istante iniziale di tempo) pari a 0.
Inoltre, precisiamo che v0 è una costante.
L'integrale che potrebbe comportare qualche perplessità è sicuramente il secondo.
Come si risolve?
Dobbiamo sfruttare la regola che asserisce che:





Osservato ciò, non dovrebbe essere difficile arrivare a scrivere:





Ossia:




Dunque:




In definitiva, otteniamo:




Per concludere in bellezza, riporto la famosissima Aria sulla quarta corda di Bach, ma in una particolare versione eseguita dal chitarrista Dominic Miller:


6 commenti:

  1. Ciao Leonardo! Seguo il tuo blog tramite gli aggiornamenti da Google+ e da Twitter e devo dire che scrivi sempre ottimi post, quindi innanzitutto complimenti. Se mi permetti vorrei fare solo un piccolo appunto riguardo il rotolamento e l'attrito. Ci sono due cose da dire; la prima è che se la ruota toccasse solo in un punto la superficie allora il rotolamento sarebbe accelerato e la seconda è che, forse fortunatamente, la ruota in realtà non tocca solo in punto la superficie (questo perché l'ipotesi di corpo rigido è solo un'idealizzazione matematica e in ogni corpo ci sono deformazioni) e quindi l'attrito, nel caso reale, frena la ruota. Ho scritto qualcosa a riguardo sul mio blog e ti inserisco il link se ti va leggerlo: http://astronomysics.blogspot.co.uk/2012/06/why-does-ball-slow-down.html . Magari la mia nota aggiunge solo un piccolo spunto di riflessione al tuo ottimo lavoro di sintesi e magari si crea una bella discussione con gli altri lettori del tuo blog. Per me è sempre un piacere leggerti, continua così! A presto, Sandro.

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  2. Ti ringrazio Sandro per i complimenti e per il tuo commento!
    Hai ragione, avrei dovuto precisare che, nella realtà, una ruota non tocca un singolo punto della superficie; ciò succede solamente con un modello ideale (quello del corpo rigido). Grazie mille per questa giustissima puntualizzazione.
    Adesso aggiungo tale precisazione nell'articolo, segnalando anche il tuo post (molto bello e interessante) in merito all'attrito.
    Grazie nuovamente e a presto!!
    Leonardo

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  3. Ciao, Leo. Ho appena finito di leggere il tuo articolo, dopo la precisazione a seguito del commento di Sandro. Ottimo come sempre. Complimenti.

    Annarita

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    1. Grazie mille Annarita per il commento e per i complimenti!!!! :)

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  4. Solo io non capisco t__t

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    1. Se mi segnali cosa non capisci, posso cercare di fornirti delucidazioni a riguardo.

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