Andiamo ora ad introdurre uno dei concetti fondamentali della meccanica statistica, il cosiddetto teorema di equipartizione dell'energia, per poi osservare come si applica ad un noto fenomeno, studiato anche da Einstein nel 1905, ovvero il moto browniano.
Sin da subito avvertiamo il lettore che il suddetto teorema fornisce una semplice e chiara teoria dei sistemi termici, ma resta buono solo considerando elevate temperature; in tal caso è infatti possibile trascurare senza problemi i particolari dei livelli energetici quantizzati.
Non è raro in fisica trovarsi di fronte alla dipendenza dell'energia dal quadrato di una certa variabile.
L'esempio più semplice a cui si può pensare è quello dell'energia cinetica K di una particella di massa m e velocità v:
Un altro bell'esempio è fornito dall'energia potenziale U di una massa sospesa ad una estremità di una molla (avente costante elastica k) e spostata di una distanza x dal suo punto di equilibrio:
Naturalmente l'energia totale E della massa in moto all'estremità della molla è la somma dei 2 termini appena citati:
È poi chiaro che se la massa subisce un moto armonico semplice, l'energia viene scambiata tra K ed U, ma l'energia totale E rimane costante.
Generalizziamo ora il discorso e supponiamo di star considerando un sistema la cui energia presenti una dipendenza quadratica (rispetto a una certa variabile) e che sia in grado di interagire con un serbatoio termico.
Per chi non ricordasse, un serbatoio termico (in inglese detto reservoir o heat bath) è un oggetto che poniamo avere una capacità termica infinita.
Siccome la capacità termica è definita, in generale, come il rapporto tra il calore Q scambiato tra il corpo preso in esame e l'ambiente e la conseguente variazione di temperatura ΔT, una capacità termica infinita significa (assumendo che Q sia finito) che ΔT tende a 0.
Ciò equivale a dire che se anche sottraessimo un'ingente quantità di energia al serbatoio, non si avrebbe praticamente alcuna variazione di temperatura.
Ricordiamo pure, per completezza, che le situazioni in cui abbiamo a che fare con un piccolo sistema che interagisce con un reservoir sono molti comuni nell'ambito della termodinamica e vengono chiamate ensembles canonici.
L'energia E del nostro piccolo sistema sarà descritta dalla facile legge:
ove α denota una qualche costante positiva ed x una qualche variabile.
Supponiamo poi che x possa, in linea di principio, assumere qualsivoglia valore con eguale probabilità.
Ne consegue che la probabilità P(x) del sistema di avere una particolare energia αx² risulta proporzionale al fattore di Boltzmann e-βαx², dove β = 1/kBT, con kB costante di Boltzmann e T temperatura del serbatoio.
Andando a normalizzare (ossia assicurarsi che la somma su tutte le probabilità sia 1) l'espressione, avremmo:
e l'energia media potrà essere data da:
Un risultato sicuramente interessante, dato che è indipendente dalla costante α e pone in evidenza la diretta proporzionalità sussistente tra l'energia media e la temperatura del sistema.
Specifichiamo che ogni dipendenza quadratica del sistema viene chiamata grado di libertà quadratico oppure "modo" del sistema.
La molla dell'esempio di poco fa possiede dunque 2 gradi di libertà quadratici.
Nell'esempio generico appena illustrato abbiamo invece constatato come ogni grado di libertà del sistema vada a contribuire per un ammontare di energia pari a 1/2 kBT all'energia totale media del sistema.
Questo ragionamento sta alla base del teorema di equipartizione dell'energia:
"Se l'energia di un sistema classico è la somma di n gradi di libertà quadratici, e quel sistema è in contatto con un serbatoio termico a temperatura T, allora l'energia media del sistema viene fornita da
"
Il teorema di equipartizione rende palese il fatto che l'energia risulta "suddivisa egualmente" tra tutti i modi separati del sistema, ciascuno avente energia media pari a precisamente 1/2 kBT.
Vediamo un facile esempio di applicazione del teorema.
Consideriamo un gas monoatomico.
Essendo monoatomico, nel moto di ciascun atomo del gas non sussistono componenti rotazionali o vibrazionali, ma solamente traslazionali.
Questo significa che è possibile esprimere l'energia di ciascun atomo come:
dove il vettore
designa la velocità dell'atomo.
Tale energia è la somma di 3 gradi di libertà quadratici indipendenti, e pertanto il teorema di equipartizione restituisce la seguente energia media:
Senza entrare nei dettagli tecnici, diciamo solo che se avessimo considerato un gas biatomico, in cui è possibile avere dei termini aggiuntivi di energia cinetica rotazione e vibrazionale, il teorema di equipartizione ci avrebbe restituito un'energia media pari a
o addirittura
Ergo, in generale, l'energia media viene fornita dalla relazione:
dove f è il numero dei gradi di libertà quadratici.
Giungiamo ora al nocciolo della questione: il moto browniano.
Durante l’estate del 1827, Robert Brown (1773-1858) utilizzò un microscopio per osservare particelle di polline (di pochi micron di diametro) in continuo movimento nell’acqua.
Non fu il primo a compiere tale osservazione (infatti già Jan Ingenhousz, nel 1785, aveva osservato il processo), ma il suddetto fenomeno prese il nome moto browniano da Brown.
Il suddetto moto è estremamente irregolare, in quanto consiste di traslazioni e rotazioni, con i granelli che si muovono indipendentemente tra loro, persino se il movimento avviene quando questi sono vicini.
Venne constatato che più le particelle erano piccole, più il moto risultava attivo.
E non è tutto, si riscontrò che il moto era più attivo se minore era la viscosità del fluido.
Brown suppose che, in qualche modo, i granelli di polline fossero “vivi”, ma non riuscì a giungere a una corretta spiegazione del fenomeno.
Nel 1863 Christian Wiener pervenne a una spiegazione non troppo distante dalla moderna teoria del moto browniano, tuttavia il maggiore contributo alla comprensione del fenomeno si deve a un articolo di Einstein datato 1905.
Einstein, nel suo articolo Sul movimento di piccole particelle sospese in un liquido stazionario secondo la teoria cinetica molecolare del calore, affermò che il polline si muove poiché incessantemente colpito, in modo casuale ed imprevedibile, dalle molecole d'acqua che lo circondano e che sono in continuo movimento per agitazione termica.
Ecco una bella immagine tratta da Wikipedia illustrante il moto browniano:
Il moto browniano è il primo e più studiato esempio di processo stocastico.
Con processo stocastico si intende l’evoluzione temporale di un sistema che non obbedisce a leggi puramente deterministiche.
La caratteristica principale di un processo stocastico, a differenza dei sistemi deterministici, è che la traiettoria del sistema non è determinata solamente dalle condizioni iniziali.
Nel caso dei processi stocastici dalla stessa condizione iniziale evolvono differenti traiettorie caratterizzate da una distribuzione di probabilità.
Storicamente, uno dei primi studi relativi ai processi stocastici si deve al matematico Bachelier, che nel 1900 ha usato il modello del random walk per l’analisi dei mercati finanziari.
L’idea è stata poi sviluppata pochi anni dopo, con i lavori di Einstein, Smoluchowski e Langevin e le applicazioni allo studio del moto browniano.
Un processo stocastico viene definito da un insieme di variabili aleatorie Xt ∈ Ω funzioni di un parametro t, che rappresenta generalmente il tempo.
In altre parole, un processo stocastico è dato dall’evoluzione nel tempo di una variabile aleatoria.
Nel caso di un sistema deterministico, l’evoluzione è fornita da una regola (equazione differenziale o mappa discreta) che determina in modo univoco il valore della variabile ad un tempo successivo, dato lo stato al tempo attuale t.
Viceversa, nel caso dei processi stocastici, viene specificata l’evoluzione della probabilità.
In altri termini, dato lo stato attuale, il sistema ad un tempo successivo potrà trovarsi in un insieme di diversi stati, e questo in base a delle regole probabilistiche.
Osserviamo che, quasi sempre, il carattere probabilistico dell’evoluzione nei processi stocastici riflette la nostra ignoranza rispetto ad alcune cause in gioco che, sebbene deterministiche, vengono modellate per mezzo di variabili aleatorie.
Chiaramente tali regole probabilistiche potranno, in generale, dipendere sia dallo stato in cui si trova il sistema che dalla sua storia passata.
Nel caso in cui dipenda solo dallo stato del sistema al tempo t (e non dalla storia precedente) si parla di processi di Markov, in onore del matematico russo Andrei Andreievich Markov (1856-1922), il primo a introdurre e studiare questo tipo di processi stocastici.
Possiamo affermare che un processo markoviano è, in ambito probabilistico, per certi aspetti simile ad un sistema deterministico in quanto il futuro del sistema è determinato (in senso statistico) solo dallo stato presente.
Molti processi di interesse fisico sono con buona approssimazione markoviani, e ciò è un bene poiché lo studio dei processi non markoviani è decisamente arduo.
Il caso più semplice di processo markoviano è sicuramente fornito dalle catene di Markov, nelle quali sia la variabile aleatoria sia il tempo assumono valori discreti.
Le catene di Markov con numero finito di stati vennero introdotte da Markov nel 1906 e vennero poi generalizzate al caso di un numero infinito di stati da Kolmogorov nel 1936.
Nel caso invece in cui gli stati siano discreti ma il tempo sia continuo, t ∈ ℝ, l’evoluzione della probabilità è data dalla cosiddetta master equation, introdotta da Pauli nel 1928 (nello studio del rilassamento all’equilibrio nei sistemi quantistici), e poi utilizzata pure da Uhlenbeck per lo studio delle fluttuazioni nei raggi cosmici.
Caratteristica fondamentale di un processo descritto da una master equation è che, data la natura discreta degli stati, per un intervallo di tempo piccolo (δt → 0), la probabilità di non cambiare stato è 1 - O(δt), assai maggiore della probabilità di cambiarlo, che è O(δt).
Nel caso infine in cui sia gli stati che il tempo risultino continui ci troviamo nel reame dell’equazione di Fokker-Planck: in tal caso lo stato cambia per qualsiasi intervallo δt, ma il cambiamento è piccolo se lo è δt.
L’equazione di Fokker-Planck fu introdotta già da Einstein e Marian Smoluchowski nel 1906 e successivamente da Adriaan Fokker nel 1914.
Nel 1917 Planck ricavò l’equazione in una forma generale mentre la teoria venne poi formalizzata da Kolmogorov nel 1931.
Tutti questi approcci, discreti o continui, hanno in comune il fatto di descrivere l’evoluzione temporale (discreta o continua) deterministica della probabilità di trovare il sistema in un certo stato ad un certo tempo.
A questo punto possiamo asserire che il risultato fondamentale del lavoro di Einstein del 1905 è l’espressione, nota come relazione di Einstein-Smoluchowski, del coefficiente di diffusione D del grano di polline in termini di quantità del mondo microscopico, in particolare il numero di Avogadro NA: una relazione matematica che lega quindi il mondo macroscopico (il grano di polline) al mondo microscopico non osservabile (le molecole).
Eccola nel caso generale:
Arriveremo tra pochissimo a definire cosa è μ; qualcuno avrà nel frattempo notato come nella formula non compaia esplicitamente il numero di Avogadro.
Ebbene, in realtà quel numero c'è ed è nascosto nella nota costante di Boltzmann, che è definita come
dove R denota la costante universale dei gas.
Nel 1908 Paul Langevin propose una derivazione indipendente dal risultato di Einstein e Smoluchowski con un metodo che fornisce il primo esempio di equazione differenziale stocastica.
Il ragionamento di Langevin parte da un modello dinamico in cui le forze che agiscono sul grano di polline sono di 2 tipi:
1) una forza macroscopica e sistematica (deterministica): dovuta all’attrito col fluido;
2) una forza stocastica microscopica: dovuta all’urto con le molecole.
La legge di Newton per il grano (cioè F = ma adattata al caso specifico) si scrive quindi (illustrando per semplicità solo la componente in una direzione) come
dove:
- m è la massa del grano (assunto di forma sferica);
- a è il raggio del grano;
- v è la sua velocità istantanea;
- η è la viscosità del fluido.
Se trascuriamo ξ possiamo integrare l’equazione precedente, ottenendo che la velocità tende a 0, a causa dell’attrito, con un tempo caratteristico di rilassamento pari a
ove il termine
viene chiamato "mobilità" della particella.
Per un grano di un micron posto in acqua a temperatura ambiente questo tempo di Stokes è molto breve, τ = O(10-7) secondi, ma è comunque molto grande rispetto ai tempi tipici di urti con le molecole, che sono dell'ordine di 10-11 secondi.
Pertanto possiamo assumere che sui tempi caratteristici del grano la forza ξ sia un "rumore scorrelato" nel tempo ed indipendente dalla posizione del grano.
Moltiplicando l'equazione di Newton per il grano per x e mediando su molti urti si ottiene
L’ultimo termine rappresenta la correlazione tra la posizione del grano x e la forza dovuta all’impatto delle molecole.
Possiamo ragionevolmente supporre che gli urti delle molecole non dipendano dalla posizione del grano e dunque, siccome abbiamo urti in tutte le direzioni, in media avremo ⟨xξ⟩ = 0.
A questo punto, il passo cruciale della derivazione è di supporre che il grano sia in equilibrio termodinamico con le molecole.
Notiamo che questa è una assunzione molto forte, vista la grande differenza di dimensioni tra il grano e le molecole, ma è proprio grazie a questa ipotesi ardita di Einstein che si riesce a risolvere il problema.
Formalmente, questa ipotesi implica che possiamo applicare il principio di equipartizione dell’energia al grano e scrivere
In questo modo la nostra equazione diventa un’equazione differenziale elementare per la variabile ⟨x²⟩, la quale, integrata, fornisce (assumendo che la posizione iniziale sia x(0) = 0):
Nel limite di tempi lunghi rispetto al tempo di rilassamento, t ≫ τ, nella soluzione appena riportata sopravvive soltanto il primo termine e si ottiene
Questa è la legge diffusiva per il moto browniano: la particella in media non si sposta, ⟨x⟩ = 0, perché riceve tanti urti da destra come da sinistra.
Viceversa lo spostamento quadratico medio (che essendo un quadrato non risente del segno) non è nullo e cresce linearmente col tempo.
Un modo semplice di comprendere la fenomenologia del moto browniano consiste nel versare una goccia di colorante in un bicchiere d’acqua.
Facendo attenzione a non agitare l’acqua ed aspettando abbastanza a lungo osserveremo che la posizione del centro della macchia non cambia (ossia ⟨x⟩ = 0), ma l’area della macchia cresce nel tempo.
Se la misurassimo scopriremmo che l’area cresce in modo proporzionale a t, come previsto dall’equazione precedente.
La costante di proporzionalità D è proprio il coefficiente di diffusione a cui si accennava prima e viene espresso naturalmente dalla relazione di Einstein-Smoluchowski:
o più semplicemente
Il punto cruciale della derivazione è che al granello di polline viene chiesto di obbedire, simultaneamente, sia all’idrodinamica macroscopica (legge di Stokes) che alla teoria cinetica (equipartizione) e pertanto fornisce un ponte con il mondo delle molecole.
Da questa apparente contraddizione, ardita e geniale idea di Einstein e Smoluchowski, scaturì la certezza definitiva della correttezza dell’ipotesi atomica.
In sostanza, il moto browniano diventò per Einstein un “microscopio naturale” per osservare direttamente il mondo atomico.
Questo risultato teorico venne appunto confermato sperimentalmente nel 1908 dal fisico francese Jean-Baptiste Perrin e tutto ciò rese palese ai fisici che gli atomi e le molecole esistevano realmente.
In particolare, nel 1909, Perrin scrisse quanto segue: "Penso che d'ora innanzi sarà difficile difendere con argomentazioni razionali un atteggiamento ostile nei confronti dell'ipotesi molecolare”.
A conclusione del post, ecco un bel video esplicativo sul moto browniano:
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Fonti essenziali:
- Concepts in Thermal Physics di Stephen J. Blundell & Katherine M. Blundell
- Probabilità in Fisica. Un'introduzione di Guido Boffetta e Angelo Vulpiani
Faccio una domanda qui, anche se non è la pagina adatta, ma sono un po' imbranato in informatica e non riesco a trovarla. Quindi chiedo eventualmente di inserirla nel post giusto, e magari avere un link di notifica quando mi arriva la risposta.
RispondiEliminaMi chiedevo come si può risalire al raggio di un cerchio avendo solo la lunghezza di una certa corda e della sua saetta. (spero non occorra corredare questa domanda da nessun disegno, se no arei davvero in difficoltà a pubblicarla).
Grazie
Mi scuso per il ritardo della risposta. Il problema si affronta facendo uso di un po' di trigonometria. A questo link viene spiegata bene, passaggio per passaggio, la questione (che poi andrà ribaltata nel caso da lei proposto): https://www.youmath.it/domande-a-risposte/view/4885-arco-corda-e-segmento-centrale.html
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