sabato 11 marzo 2017

BOLTZMANN, LA DISTRIBUZIONE CANONICA E QUELLA DI MAXWELL-BOLTZMANN (1° PARTE)

Nel mese di marzo siamo soliti celebrare il pi greco con post che lo riguardano da vicino, dato che si festeggia il pi day (14 marzo).
Ad esempio, in passato abbiamo parlato, qui su Scienza e Musica, di:

- pi greco in relazione con la formula di Stirling e le torte nuziali;
- pi greco e i calcoli di Newton;
- storia del pi greco,

 e sul Tamburo Riparato di:

- pi greco e il problema delle lenzuola.

Ora non tratteremo di pi greco in maniera diretta, bensì analizzeremo un concetto fisico importante in cui esso fa capolino: la distribuzione di Maxwell-Boltzmann.
Prima di incominciare tale narrazione inerente alla termodinamica statistica, andiamo a introdurre brevemente la figura di Ludwig Eduard Boltzmann.
Non sappiamo bene perché Gottfried Ludwig Boltzmann, nato a Berlino nel 1770, si trasferì da giovane a Vienna per divenire un produttore di carillon.
Qui si sposò ed ebbe un figlio, Ludwig Georg, che diventò un esattore delle tasse e sposò Maria Pauernfeind, figlia di un mercante di Salisburgo, nel 1837.
Il maggiore dei loro figli, Ludwig Eduard Boltzmann, nacque a Vienna il 20 febbraio 1844.
La notte della sua nascità segnò la transizione dal martedì grasso al mercoledì delle ceneri e Boltzmann era solito affermare che la sua data di nascita spiegava perché il suo umore poteva improssivamente passare dall'immensa gioia alla profonda depressione.
Due anni più tardi venne alla luce un secondo bambino, Albert, che purtroppo morì di polmonite nel periodo in cui frequentava la scuola secondaria.
Ludwig aveva anche una sorella, Hedwig; i 3 fianciulli vennero battezzati e crebbero sotto la religione cattolica, professata dalla loro madre, mentre il padre era protestante.
L'educazione elementare di Boltzmann ha avuto luogo nella casa dei genitori sotto l'egida di un insegnante privato.
Il salario del padre era piuttosto carente, ma veniva compensato dal ricco patrimonio della madre.
Boltzmann trascorse gli anni giovanili in piccole città di provincia quali Wels e Linz.
Si dimostrò uno studente provetto e mostrò una grande passione per la matematica e le scienze.
Egli imputò la deteriorazione della sua vista, diventata decisamente grave negli ultimi anni della sua vita, ai lunghi pomeriggi spesi a studiare al lume di candela.
A Linz prese anche lezioni di piano dal compositore Anton Bruckner, lezioni bruscamente interrotte quando la madre si lamentò che il maestro aveva gettato sul letto l'impermeabile bagnato.
Nonostante ciò, Boltzmann continuò a suonare il piano durante il resto della sua vita, coltivando così la propria abilità e facendosi spesso accompagnare da suo figlio Arthur Ludwig al violino.
Il padre di Boltzmann morì di tubercolosi quando questi aveva compiuto solamente 15 anni.
Il tragico evento lasciò un segno indelebile sul resto dell'esistenza del ragazzo.
A 19 anni Ludwig si iscrisse all'Università di Vienna per studiare matematica e fisica.
L'Istituto di Fisica era stato fondato 14 anni prima nientemeno che da Christian Doppler, noto per il celebre effetto Doppler (ne abbiamo parlato brevemente qui).
Qui Ludwig ebbe come maestro Josef Stefan, famoso per i suoi studi relativi alla radiazione di un corpo nero.
3 anni dopo la sua iscrizione all'università, Boltzmann ottenne il PhD (avendo tra l'altro all'attivo già 2 pubblicazioni rilevanti).
E la tesi?
Potrà sembrare strano, ma non era prevista la progettazione di alcuna tesi di laurea nei corsi di filosofia (naturale) dell'Università di Vienna prima del 1872-73.
Nel 1867 Boltzmann divenne assistente universitario e fece amicizia con uno studioso più anziano, Joseph Loschmidt (1821-1895), che fu in seguito tra i primi a fornire valori numerici sulle grandezze molecolari.
Nel 1869 Boltzmann ottenne la cattedra di fisica matematica a Graz, tuttavia si trattenne ben poco in quella città.
Tra il 1869 e il 1871 passò infatti un periodo di tempo a Heidelberg e a Berlino, con Kirchhoff e con Helmholtz.
Una volta Boltzmann disse riguardo a Helmholtz: "Riguardo ad alcuni problemi posso parlare solo con una persona, e quella persona è Helmholtz, ma è troppo distante".
Nel 1873 Ludwig non poté resistere alla tentazione di accettare una cattedra a Vienna come professore di matematica.
Essere un professore a Vienna veniva ritenuto in Austria il massimo obiettivo raggiungibile in una carriera accademica.
Egli rimase lì fino al 1876, dopodiché decise di ritornare a Graz per insegnare fisica sperimentale.
Boltzmann era ormai ben conosciuto e diversi giovani fisici brillanti, tra cui Walther Nernst e Svante Arrhenius (i futuri maggiori esponenti della chimica fisica), si recarono a Graz per studiare con lui.
Nel 1890 Boltzmann si trasferì a Monaco, in un ambiente assai più ampio di quello di Graz, ma pure in tal caso non si trattò di uno spostamento definitivo.
Infatti, nel 1894 prese il posto di Stefan a Vienna.
Successivamente andò a Lipsia per 2 anni, poi ritornò ancora a Vienna, ove rimase sino alla morte.
In un periodo di sconforto, a Lipsia aveva tentato di suicidarsi, ma era sopravvissuto.
Tuttavia il 5 settembre 1906, durante una vacanza a Duino, vicino a Trieste, l'atto di suicidio si concretizzò: si impiccò, ponendo fine alle sue sofferenze fisiche e mentali.
I continui trasferimenti di Boltzmann ci fanno intuire qualcosa a proposito del suo carattere.
Costui andava soggetto a periodi di scoraggiamento, che in alcuni casi si aggravavano diventando veri e propri stati depressivi.
Sebbene fosse riconosciuto come uno dei maggiori fisici del suo tempo, a volte si sentiva, ingiustificatamente, isolato e intellettualmente abbandonato da tutti.
Eppure di grossi riconoscimenti ne aveva ricevuti.
Poteva vantare svariate lauree ad honorem, compresa quella di Oxford, era membro delle maggiori accademie e, in occasione del suo sessantesimo compleanno, fu onorato con una Festschrift contenente contributi di eminenti personalità come:

- Arrhenius;
- van't Hoff;
- Lorentz;
- Mach;
- Nernst;
- Planck;
- Sommerfeld;
- van der Waals;
- Wien e molti altri.

Pur essendo, in fondo all'anima, un fisico teorico, Boltzmann viene ricordato anche per accuratissime misure della costante dielettrica e dell'indice di rifrazione di gas e di solidi.
Ma la sua attività sperimentale veniva ostacolata dalla già accennata grave miopia.
Sempre dal punto di vista caratteriale, egli era estremamente sensibile agli attacchi sul piano intellettuale.
Si offendeva facilmente, ma ciò non deve far pensare che non fosse capace di battagliare in aspre polemiche per far valere la sua ragione.
Per esempio, fece rilevare senza pietà gli errori di Wilhelm Ostwald, il quale caldeggiava la dottrina sballata dell'energetica, ma mantenne sempre rapporti personali cordiali con quest'ultimo.
Nel corso della sua carriera Boltzmann redasse svariati articoli: arrivava a volte a pubblicarne pure 3 o 4 in un anno, oltretutto lunghi e colmi di complessi calcoli (aspetto dei suoi lavori che spaventava i lettori).
Ecco per esempio cosa scriveva in proposito Maxwell al suo amico Tait:

"Pur studiando Boltzmann non sono riuscito a capirlo. Egli non può capirmi a causa della mia brevità, ma la sua lunghezza è parimenti uno scoglio per me: ragion per cui sono molto portato a unirmi alla gloriosa compagnia di coloro che procedono diversamente e a sistemare l'intera faccenda in circa sei righe".

D'altra parte Boltzmann nutriva una profondissima ammirazione (senza voler esagerare, potremmo dire un culto) per Maxwell, sin da quando il suo maestro viennese Stefan gli aveva dato da studiare gli articoli di Maxwell sull'elettricità e una grammatica inglese come ausilio nella lettura.
Questa ammirazione assunse talvolta persino toni poetici.
Infatti, quando il fisico austriaco elaborò una delle prime esposizioni della teoria elettromagnetica (1891-1893), contribuendo validamente alla diffusione delle teorie maxwelliane sul continente europeo, scelse come epigrafe del testo una citazione da Goethe: War es ein Gott der diese Zeichen schrieb? ("È forse un Dio che ha scritto questi simboli?").
Goethe si riferiva a degli incatesimi magici, invece Boltzmann alle equazioni di Maxwell!
Come noto, sul monumento eretto a Vienna in onore di Boltzmann è incisa la celebre formula descrivente l'entropia S


la quale, per la meccanica statistica, ha lo stesso ruolo magico che le equazioni di Maxwell svolgono per la teoria elettromagnetica.
È giunto il momento di illustrare uno dei maggiori contributi di Boltzmann alla meccanica statistica, cioè le distribuzioni che prendono il suo nome.
Incominciamo la trattazione spiegando cosa si intenda innanzitutto per fisica statistica e proseguendo con l'illustrazione di concetti necessari alla comprensione delle distribuzioni in questione.
Avvisiamo il lettore non esperto che d'ora in avanti la narrazione sarà ricca di formule, in cui si dà per scontato la conoscenza di certi strumenti matematici illustrati in vecchi post.

La fisica statistica si occupa dello studio delle proprietà fisiche di sistemi macroscopici, ad esempio sistemi consistenti in gruppi molto ampi di atomi o molecole.
Un pezzo di rame del peso di qualche grammo o un litro d’aria a pressione atmosferica e temperatura ambiente sono esempi di sistemi macroscopici.
In generale, il numero di particelle nei suddetti sistemi risulta dell’ordine di grandezza del noto numero di Avogadro, ovvero



Anche conoscendo la legge di interazione sussistente fra le particelle, l’enormità del numero di Avogadro preclude il “maneggiamento” di un sistema macroscopico nel modo in cui viene generalmente trattato un sistema semplice (quale il moto di un pianeta in accordo con la meccanica classica o la molecola di idrogeno in base alla meccanica quantistica).
Non è mai infatti possibile ottenere sperimentalmente una completa comprensione microscopica (nel senso di relativa al mondo atomico e subatomico) di un tale sistema, come per esempio la conoscenza di circa 10²³ coordinate.
Anche supponendo di possedere le informazioni iniziali, risulterebbe impossibile risolvere le equazioni del moto, cioè circa 10²³ di esse!
Come evidenziano Landau e Lifšits in Fisica Teorica vol 5:

“Scrivendo le equazioni del moto di un sistema meccanico in numero pari ai gradi di libertà ed integrandole, possiamo in linea di principio ottenere una descrizione esauriente del movimento del sistema.
Però se il sistema, sia pure soggetto alle leggi della meccanica classica, è costituito da un enorme numero di gradi di libertà, per l’applicazione dei metodi della meccanica bisogna scrivere e risolvere lo stesso numero di equazioni differenziali, il che è praticamente impossibile.
Anche se fosse possibile in generale integrare queste equazioni, sarebbe assolutamente impossibile inserire nella soluzione generale le condizioni iniziali per le velocità e le coordinate delle particelle.
A prima vista, si potrebbe concludere di qui che al crescere del numero di particelle le proprietà del sistema meccanico devono diventare indefinitamente complicate ed intricate e che è impossibile scorgere nel comportamento del corpo macroscopico traccia di alcuna legge.
Ma non è così…per un numero molto grande di particelle compaiono nuove leggi del tutto particolari.
Queste sono le cosiddette leggi statistiche dovute proprio alla presenza di un gran numero di particelle che compongono il corpo, leggi in nessun caso riducibili a leggi puramente meccaniche.
Il loro tratto specifico è che esse perdono senso quando si passa a un sistema meccanico con un piccolo numero di gradi di libertà.
Pertanto, anche se il movimento di un sistema con un grande numero di gradi di libertà ubbidisce alle stesse leggi della meccanica a cui ubbidisce il movimento di un sistema con un piccolo numero di gradi di libertà, la presenza di un grande numero di gradi di libertà implica leggi qualitativamente nuove.
L’importanza della statistica tra gli altri settori della fisica teorica è dovuta al fatto che si ha spesso a che fare in natura con dei corpi macroscopici il cui comportamento non può essere completamente descritto, per le suddette ragioni, con metodi propriamente meccanici; questi corpi macroscopici sono retti da leggi statistiche.”


Esistono 2 modi differenti di approcciarsi alla fisica dei sistemi macroscopici.
Dal punto di vista storico, l’approccio più vecchio (sviluppato nella prima metà del XIX secolo da scienziati quali Carnot, Clausius, Lord Kelvin, Robert Mayer e Joule) è quello della termodinamica classica.
Essa è fondata su un piccolo numero di principi basilari (leggi della termodinamica), dedotti e generalizzati da un gran numero di esperimenti su sistemi macroscopici.
Trattasi di leggi “fenomenologiche”, giustificate dal loro successo nel descrivere fenomeni macroscopici.
Esse non derivano da un quadro microscopico ma, al contrario, non hanno nulla a che fare con i concetti atomici, operando quindi esclusivamente con variabili macroscopiche (tra cui pressione, volume e temperatura) e descrivendo le proprietà dei sistemi sulla base di queste ultime.
Naturalmente, il fatto di trascurare totalmente ogni concetto atomico limita pesantemente le informazioni che la termodinamica classica può fornire riguardo al sistema analizzato.
In particolare, la famosa equazione di stato dei gas perfetti, che si riferisce alle variabili macroscopiche e che distingue un sistema da un altro, deve esser derivata sperimentalmente.
Il secondo approccio alla fisica macroscopica è appunto quello della meccanica statistica.
La suddetta parte dalla costituzione atomica della materia e si sforza di rinvenire le leggi inerenti ai corpi macroscopici dalla prospettiva atomica.
Tale approccio si presentò per la prima volta nella teoria cinetica dei gas di Maxwell, la quale condusse al profondo lavoro di Boltzmann e Gibbs.
La probabilità ha avuto un grosso impatto sulla fisica del calore.
Questo perché essa si interessa spesso di sistemi contenenti un largo numero di particelle, al punto tale che le predizioni basate su un approccio probabilistico si rivelano essere precise a sufficienza per gran parte degli obiettivi.
In un problema di termodinamica statistica, si è spesso interessati dal valore di quantità che sono la somma di molti piccoli contributi dai singoli atomi.
Nonostante ciascun atomo si comporti in modo differente, il “comportamento medio” è quello che prende il sopravvento; pertanto diviene necessario essere in grado di estrarre valori medi dalle distribuzioni di probabilità.
Le variabili casuali discrete possono assumere solo un numero finito di valori.
Esempi includono:

- il numero ottenuto lanciando un dado (1, 2, 3, 4, 5 o 6);
- il numero di bambini in ogni famiglia (0, 1, 2, …);
- il numero di persone uccise in Italia in un anno in bizzarri incidenti di giardinaggio (0, 1, 2, …).

Sia x una variabile casuale discreta che assume valori xi con probabilità Pi.
Risulta chiaramente necessario che la somma delle probabilità di ogni singolo risultato sia pari ad 1, ovvero


Definiamo media (o valore medio o valore atteso o speranza) di x come
 
L’idea è che risulta possibile pesare attraverso la propria probabilità ogni valore assunto dalla variabile casuale x.
È possibile definire anche il valore quadratico medio di x come


Sia ora x una variabile casuale continua (per essa ci sono un infinito numero di possibili valori che la variabile può assumere, al punto che la probabilità che si manifesti uno qualsiasi dei suddetti sia 0), la quale possiede probabilità P(x)dx di avere valori tra x e x + dx.
Le variabili casuali continue possono assumere un range di possibili valori.
Esempi:

- l’altezza dei bambini in una classe;
- durata del tempo speso in sala d’attesa;
- il valore dell’incremento di pressione sanguigna in una persona mentre legge una bolletta salata.

Tali quantità non sono appunto ristrette a un determinato set di valori, bensì possono assumere un range di valori continuo.
Come sempre, è necessario che la probabilità totale di tutti i possibili risultati sia 1.
Giacché abbiamo a che fare con distribuzioni continue, la sommatoria viene sostituita da un integrale; infatti abbiamo
 
Il valore atteso si definisce dunque come


e analogamente il valore quadratico medio come


Illustriamo ora la differenza sussistente tra microstati e macrostati.
Immaginiamo una grossa scatola contenente 100 monete identiche.
Con il coperchio sulla scatola, si può fornire ad essa una scossa forte e lunga, in modo da sparpagliare casualmente le monete al suo interno.
A questo punto si apre la scatola e osserveremo che alcune monete saranno rivolte mostrando “testa” e altre mostrando “croce”.
Sussiste un mare di possibili configurazioni che si possono ottenere (2¹⁰⁰) per essere precisi, che approssimativamente equivale a 10³).
Assumiamo che ciascuna di queste diverse configurazioni sia egualmente possibile.
Pertanto, ogni possibile configurazione ha una probabilità di circa 10⁻³.
Indichiamo col termine “microstato” ogni particolare configurazione del sistema.
Un esempio di uno di questi microstati è dato da: “moneta n.1 mostra testa, moneta n.2 mostra testa, moneta n.3 mostra croce, ecc.".
Per individuare un microstato bisognerebbe identificare lo stato di ogni moneta singolarmente, il che sarebbe alquanto noioso.
Tuttavia, si può riassumere il risultato di cotale esperimento semplicemente contando il numero di monete mostranti “testa” e il numero di quelle con “croce” (ad esempio, 53 “testa” e 47 “croce”).
Questa sorta di categorizzazione prende il nome di “macrostato”.
I macrostati, a differenza dei microstati, non sono egualmente probabili.
Infatti, dei possibili 10³ circa microstati






Perciò, l’evento in cui tutte e 100 le monete mostrino testa è davvero assai improbabile, giacché il suddetto macrostato contiene un singolo microstato.
Chiaramente, un particolare microstato con 53 teste e 47 croci è allo stesso modo improbabile: infatti ci sarebbero circa 8 x 1028 altri microstati possibili aventi 53 teste e 47 croci.
Dall’esempio si possono dedurre 2 aspetti cruciali:

1) il sistema può esser descritto da un numero imponente di microstati ugualmente probabili;
2) ciò che viene misurato è una proprietà del macrostato del sistema. I macrostati non sono egualmente possibili, poiché macrostati differenti corrispondono a un numero differente di microstati.

Il più probabile fra i macrostati che il sistema trova in se stesso è quello che corrisponde al massimo numero di microstati.
Spostandoci nel contesto della termodinamica statistica, un microstato è una configurazione definita specificando in gran dettaglio la posizione e la quantità di moto di ogni molecola ed atomo nel sistema.
Risulta generalmente impossibile misurare in quale microstato il sistema si trova.
Un macrostato è invece definito specificando proprietà a larga scala, quali pressione, volume, temperatura o massa totale.
Nella seconda parte dell'articolo partiremo dando una definizione statistica al concetto di temperatura, basandoci sul fatto che un sistema termodinamico può avere un grosso numero di microstati ugualmente probabili, ma si può misurare soltanto il macrostato del sistema.
In questo frangente, si trascurerà dunque il concetto di microstato.
Diremo infatti che se un sistema ha energia E, allora potrebbe essere in qualsivoglia degli Ω(E) microstati egualmente probabili, dove Ω(E) rappresenta un numero enorme.

CONTINUA...

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