lunedì 23 settembre 2013

IL TIME MUSEUM

Erano le 6 di mattina di un lunedì d'ottobre.
Giovanni si era svegliato molto presto eccitato per ciò che lo avrebbe atteso in quella giornata.
Lui e i suoi compagni avrebbero visitato, in gita con la scuola, il maestoso Museo di Storia Naturale di New York.
Giovanni ne era rimasto affascinato sin da quella volta in cui aveva guardato alla tv il film Una notte al museo con Ben Stiller, ma non aveva mai avuto l'occasione di visitarlo personalmente, almeno fino a quel fatidico giorno, visto che si era trasferito da poco negli Stati Uniti.




















Il ragazzo si sbrigò a fare colazione e vestirsi per essere perfettamente puntuale all'appuntamento dinanzi alla scuola con tutti i suoi compagni e i professori.
Il trasporto degli studenti sarebbe avvenuto grazie ad un autobus che li avrebbe condotti al museo.
Arrivati dopo qualche ora di viaggio, gli studenti si trovarono davanti a una monumentale struttura architettonica, sormontata da una scritta emblematica: "Truth Knowledge Vision".



 

 













I prof fecero l'appello per controllare che tutti fossero presenti e condussero gli allievi all'interno del museo.
Subito, all'entrata, la scolaresca si trovò davanti una guida pronta ad accompagnarli e illustrare le curiosità relative a tutto quel ben di dio, messo in mostra dal museo, da ammirare e contemplare.
Una fermata lunga venne effettuata di fronte al colossale fossile di Tyrannosaurus rex, forse il pezzo che più fece rimanere di stucco i ragazzini, totalmente interessati alle spiegazioni della guida, a differenza di quanto avveniva nelle tradizionali e noiose lezioni in classe.



 












Giovanni si sforzava di comprendere il più possibile, giacché non aveva ancora acquisito una totale padronanza dell'inglese.
Improvvisamente la luce andò via.
Il buio prese il sopravvento.
I professori gridarono di mantenere la calma e di rimanere tutti uniti, ma Giovanni non aveva dato ascolto alle indicazioni dei suoi insegnanti.
Gli era parso di vedere una strana luce provenire alla sua destra, una luce che aveva completamente catturato la sua attenzione e di cui nessun altro si era accorto.
Guidato dalla luce, Giovanni camminò a lungo per il Museo sino ad arrivare ad una porta.
Era blindata; l'unico modo in cui poteva essere aperta consisteva nel digitare una combinazione segreta di numeri su un tastierino digitale attaccato alla parete prossima alla porta.
Giovanni non conosceva ovviamente la combinazione segreta, ma, all'improvviso, una sequenza di numeri si illuminò di rosso: 3-1-4-1-5.
Giovanni premette questi numeri in sequenza e, come per magia, la porta si spalancò.

La gigantesca e lunghissima stanza era illuminata da quella strana luce che lo aveva condotto fino a lì, una luce che proveniva dal fondo, il quale sembrava distante ancora chilometri.
Tuttavia, sembrava che a parte quella luce non ci fosse nient'altro, tranne un grosso pulsante rosso, in prossimità della porta spalancata, che catturò l'attenzione di Giovanni.
Il ragazzo era fortemente tentato di premere, ma aveva anche timore di ciò che poteva succedere.
D'altronde non capitava tutti i giorni di trovare, all'interno di un museo, una stanza vuota illuminata da una sorgente di natura incomprensibile e aperta grazie ad un suggerimento luminoso.
Cosa mai sarebbe potuto accadere spingendo quel pulsante?
Giovanni non riuscì proprio a resistere alla sete di curiosità che lo alimentava in quel momento e decise pertanto di agire.
Non appena premette il pulsante, una voce elettronica annunciò: "Benvenuto all'interno del Time Museum. Ti auguriamo una buona visita".
Subito la terra sotto i piedi del ragazzo cominciò a scuotersi violentemente, come se fosse in atto un potente terremoto.
Dal terreno sbucarono dei grandi pilastri alla cui sommità risultavano posizionate delle piccole teche di vetro.
A Giovanni sembrò di essere entrato dentro la serie animata Futurama, in cui le teste delle personalità importanti rimangono "vive" e conservate in apposite teche di vetro.




 













Tuttavia, all'interno del Time Museum non erano conservate teste, bensì cervelli animati.
Nel frattempo, lo schiacciamento del pulsante rosso aveva innescato anche un bizzarro ma spettacolare meccanismo per tutta la stanza, che faceva comparire e scomparire colorate formule matematiche, poesie, opere d'arte, forme geometriche e raffigurazioni che Giovanni non riusciva a riconoscere.
Era partito pure un delizioso sottofondo musicale, che consisteva in meravigliose esecuzioni della lista integrale dei notturni di Chopin.



A parte la visione non molto piacevole dei cervelli nelle teche, quella stanza era più di un semplice museo, ma un vero e proprio paradiso delle arti e della scienza.
Giovanni iniziò a percorrerla lentamente, fermandosi a osservare i cervelli, oltre ad ammirare lo spettacolo che lo accompagnava in quella non comune passeggiata.
Non appena posò lo sguardo sul cervello di Seneca, una voce riecheggiò per la stanza.
"Salve mortale. Mi chiamo Lucio Anneo Seneca. Sono stato un filosofo, poeta, drammaturgo e politico dell'epoca latina. Il mio compito qui è illustrare a quei pochi prescelti che riescono ad accedere al nostro museo la mia idea del tempo, la quale, a mio giudizio, è la più precisa e giusta".
Il ragazzo inizialmente sussultò, non riuscendo a capire come diavolo facesse un cervello a parlare.
Ci doveva essere uno strano meccanismo che riusciva a produrre quel "miracolo" ma Giovanni non aveva idea di cosa si trattasse e se fosse dovuto a qualche tecnologia super avanzata.
Dopo il leggero timore iniziale, Giovanni cominciò ad interloquire con Seneca: "Mi chiamo Giovanni e mi piacerebbe sì saperne di più sul tempo. È una questione che mi ha sempre affascinato. Non a caso sono stato entusiasta di recarmi nel Museo di Storia Naturale, ma mai avrei potuto immaginare di trovare ciò che vedo e che faccio ancora fatica a credere che esista davvero".
"È tutto vero, te lo assicuro. Stai prendendo parte ad un evento notevolmente raro, ma non è un'illusione. Comunque, vorrei non perdere tempo e incominciare la mia descrizione relativa al tempo. Io possiedo una visione soggettiva del tempo. Io credo che un concetto così complesso non si possa descrivere oggettivamente, ma soltanto soggettivamente. In particolare, io credo che il tempo concesso agli uomini sia sempre il medesimo, un intervallo di tempo fisico ben preciso, ma esso cambia profondamente a seconda di come viene speso. C'è chi, poveri stolti, - mi piace chiamarli occupati - lo sperpera in attività futili e quindi rimane con poco tempo effettivo. C'è per fortuna anche chi si dedica alla scelta dell'otium, ovvero a una vita dedicata, come la mia, allo studio e alla riflessione, persone che hanno il tempo sufficiente e necessario per compiere le grandi imprese nella vita terrena. Facendo una sintesi, non è che abbiamo poco tempo, ma è molto quello che sperperiamo in futilità".
Un'altra voce, più pacata, affiorò nella stanza.
Era il cervello di Sant'Agostino a parlare: "Scusami collega, ma io credo che ciò che stai affermando siano solo fandonie. Nessuno sa cos'è il tempo. Infatti, se a nessuno viene chiesto cos'è, allora lo sappiamo, ma se ci viene posta la fatidica domanda, allora non sappiamo rispondere. L'unica risposta la troviamo in Dio. Lui non viene minimamente influenzato da concetti come il "prima" e il "dopo". Il tempo è una sua creatura. La sua dimensione è quella dell'eternità. Dio è principio e fine, alfa e omega".
Il santo non fece in tempo a terminare il discorso che una terza voce si intromise nell'acceso dibattito.
"Sarò un pessimista per natura, ma io credo che il tempo sia una sorta di maledizione, dato che la vita è praticamente in ogni istante una sofferenza. La vita umana è infatti come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia" esclamò Schopenhauer, o meglio, la sua struttura cerebrale.
"Concordo pienamente con quanto asserito da Schopenhauer. Immagina infatti di desiderare un cavallo. Ti pare di desiderarlo come cavallo e come un tal piacere, ma in fatti lo desideri come piacere astratto e illimitato. Quando giungi a possedere il cavallo, trovi un piacere necessariamente circoscritto e senti un vuoto nell'anima, perché quel desiderio che tu avevi effettivamente non resta pago. Se anche fosse possibile che restasse pago per estensione, non potrebbe per durata, perché la natura delle cose porta ancora che niente sia eterno" queste furono le parole provenienti dalla teca di Giacomo Leopardi, posta poco oltre quella di Schopenhauer.
"Giacomo, o Giacomo, ancora a pensare ai cavalli. I giovani d'oggi pensano agli smartphone, ai tablet, ai videogames non certo ai cavalli. Quanto sei antiquato! E poi tu e il tuo amico Arturo..." disse Kant.
"Mi chiamo Arthur non Arturo, ti si è fuso il cervello Immanuel?" rispose irato Schopenhauer.
"Quanto sei permaloso! Non prendertela" riprese Kant. "Ho semplicemente italianizzato il tuo nome. Il ragazzo è italiano e volevo farlo sentire un po' più come a casa sua! Lasciando perdere queste inezie, passiamo alle cose serie. Vi siete dimenticati - vergognatevi - di dire che spazio e tempo sono forme a priori della conoscenza. Andando maggiormente nel dettaglio, lo spazio e il tempo non sono derivabili dall'esperienza, ma sono le condizioni a priori grazie alle quali si conoscono gli oggetti. Per fornire un esempio concreto, come si potrebbe immaginare di conoscere un qualsivoglia oggetto, una sedia, un tavolo, un pianoforte, un libro e così via, senza collocarlo nello spazio e nel tempo? In particolare, se lo spazio è la forma del senso esterno, in quanto serve a farci conoscere gli oggetti fuori di noi, il tempo è "la forma del senso interno", cioè la rappresentazione innata in noi, a priori, che costituisce il fondamento dei nostri stati interiori e in virtù della quale noi li percepiamo sempre uno dopo l'altro, in una successione precisa e regolare di passato, presente e futuro. Il tempo non è pertanto qualcosa che sussista per se stesso, ma, al contrario, determina il rapporto delle rappresentazioni nel nostro stato interno".
"Quante parolone e vaneggiamenti. Ma che minchia state dicendo tutti quanti? Scusate l'espressione, ma esser posizionato vicino ad Al Capone un po' mi ha influenzato. Mi sto ancora chiedendo cosa diavolo ci faccia qui il famoso boss della malavita. Probabilmente la spiegazione è di natura fisica, visto che tutto in fisica è soggetto ad incertezza ed errore, quindi può capitare che in una stanza di artisti, scienziati, filosofi e letterati capiti un mafioso!" prese la parola Newton.
Il ragazzo, nel frattempo, si era spostato di volta in volta come avvertiva nuovi cervelli parlare.
Il cervello di Isaac Newton era in effetti situato accanto a quello di Al Capone e sul lato opposto, in perfetto allineamento, vi era il cervello di Albert Einstein.
Newton riprese a parlare rivolgendosi a Giovanni: "Non ti fidare dei filosofi e letterati. Cosa possono mai sapere riguardo al tempo, un concetto puramente fisico? Lascia che sia invece il padre della fisica moderna ad illustrarti per bene l'affascinante concetto. Il tempo, così come lo spazio, è qualcosa di assoluto, ossia uguale per ogni entità e che fluisce senza relazione a qualcosa di esterno. E poi è un concetto indispensabile in Meccanica, nella mia Meccanica, per descrivere come i corpi si muovono".
"Quante volte te lo devo dire che il tempo non è assoluto bensì relativo? Isaac, non puoi rimanere fisso sulle tue ormai obsolete concezioni. La scienza è dinamica, si evolve e le teorie cambiano, accordandosi sempre meglio con la natura delle cose. Non si può ancora pensare che il tempo sia qualcosa di assoluto. Esso è in realtà innanzitutto legato intimamente allo spazio. Non si possono considerare staccati questi 2 concetti, ma vanno visti come un'unica entità, lo spazio-tempo. E inoltre questo tempo cambia a seconda del sistema di riferimento adottato. Tutto è relativo, bello!" rispose Einstein.
"Gne gne gne, ti ricordo, caro Albert, che come un bambino lagnoso che si fa sempre aiutare dalla mammina, ti sei dovuto far aiutare da diversi matematici per arrivare alla tua teoria da strapazzo. E ti ricordo pure che loro hanno potuto darti una mano soltanto perché io, il grande e inimitabile Isaac Newton, ho inventato da solo - non ho copiato, come affermano le malelingue, da Leibniz - il calcolo infinitesimale, altrimenti col cavolo che arrivavi alla relatività! Dovresti mostrarmi quantomeno un minimo di rispetto, così come tutti quelli presenti in questo museo" fu la fulminea risposta di Newton.
"Ragazzi, stay calm. Non c'è bisogno di arrabbiarsi so much. Now cercherò di spiegare io al ragazzo come funziona il time" esclamò il cervello di James Joyce. "Forse tu non understand me ragazzo. Mi chiamo James Joyce e sono stato a great scrittore irlandese. Cercherò di speak italiano, per quanto possible. Sono troppo abituato alla lingua inglese per parlare correctly italiano, nonostante potrei benissimo - non ti posso spiegare the exact motivo di ciò."
In effetti, Giovanni stava cercando di capire come dei cervelli di personalità non italiane, a parte l'eccezione rappresentata da Joyce, riuscissero a parlare perfettamente la sua lingua madre.
"La mia visione del tempo è, like Seneca, soggettiva non oggettiva" riprese Joyce. "Aggiungo che, in my opinion, il tempo conduce a cambiamenti di psychological nature. Ecco why, la descrizione, nelle mie opere, di my city, Dublino, non è derivata dalla reality esterna, ma dal flusso mentale dei protagonisti. For example, nella mia opera A Portrait of the Artist as a Young Man, io rimuovo me stesso dalla mia work, facendo proseguire il racconto attraverso la stream of consciousness technique, in base alla quale la narrative procede seguendo il flusso dei pensieri dei protagonisti instead of essere raccontati da una external voice".
"Fermi tutti. Tutti quanti vi state scervellando sulla natura del tempo. Vi dirò io qual è il tempo che conta davvero: quello della musica, dove regna il ritmo!" asserì Beethoven dalla sua teca. "Il ritmo - cito Wikipedia, desidero modernizzare un po' la discussione - è definito come una successione di accenti, intendendo con accento il maggior rilievo (variazione di intensità o di enfasi) che alcuni suoni hanno rispetto ad altri nell'ambito di un brano o una frase musicale. Avremo allora suoni più accentati (accento forte), meno accentati (accento debole) o non accentati. La sequenza degli accenti di un brano musicale tende normalmente a ripetersi a intervalli temporali regolari ed è questa ripetizione che viene chiamata ritmo del brano. Il bello è che c'è anche qualcuno che ha sostenuto che io non possieda il ritmo. Roba da pazzi. Se avessi ancora le mani vi farei sentire sul pianoforte quanto ritmo ha la mia musica! Ah, ragazzo, se ti stai chiedendo come mai riesca a sentire - tutti sanno che sono stato sordo e ho composto capolavori nonostante tal problema - posso solo dire che la teca mi ha guarito ma non posso illustarti come, è un meccanismo segreto".
Il mistero si infittiva e nonostante l'interesse per le svariate visioni del tempo esposte dai numerosi cervelli del Time Museum, la mente di Giovanni non poteva smettere di pensare a come tutto ciò che stava osservando ed ascoltando fosse possibile.
Tra l'altro, il giovane ancora non aveva compreso neanche l'origine di quella strana luce che proveniva dal fondo della stanza.
"Venga proiettata la mia fantastica opera L'enigma dell'ora sulle pareti" intervenne il pittore Giorgio De Chirico. "Come potete constatare, nella raffigurazione c'è assenza di movimento e quindi il tempo è fermo. Se non c'è movimento, un qualsivoglia cambiamento, il tempo è appunto fermo, non esiste".















Degli applausi scrosciarono per la stanza.
"Bravo, bravo, i miei rispetti e applausi mentali, straordinario artista. Quoto in pieno quanto hai affermato. Il tempo non esiste, come ho sostenuto nel mio saggio La fine del tempo. Infatti, ribadisco che se non accadesse nulla, se nulla cambiasse, il tempo si fermerebbe, perché il tempo altro non è che cambiamento, ed è appunto il cambiamento ciò che noi avvertiamo, non il tempo, il quale non è reale." fu il commento del fisico Julian Barbour.
D'un tratto intervenne il fisico teorico Edward Witten: "Ma non dite eresie! Il tempo esiste e fa parte di uno spazio-tempo a 11 dimensioni, il regno della M-Teoria che riunisce insieme 5 teorie delle stringhe differenti".
"Finitela! Siamo stufi del caos infernale che si sta generando in questo museo. Pretendiamo un po' di silenzio o quantomeno abbassate i toni della discussione". La cupa coppia di voci sincronizzate arrivava dalle profondità della stanza.
Giovanni decise di avvicinarsi sempre più; dovette camminare a lungo fin quando non si accorse della presenza di 2 gigantesche teche che rilasciavano i luminosissimi fasci di luce.
Il ragazzo non poté credere ai propri occhi.
Dentro quelle teche erano situati 2 grossi cervelli verdi luminescenti, cervelli alieni.
















"Bene, finalmente sei arrivato a noi, i creatori del Time Museum, in cui abbiamo collezionato i cervelli dei più grandi personaggi che sono mai vissuti sul pianeta Terra e abbiamo fatto in modo di rivitalizzare le loro coscienze. Quella che forse ascolterai da noi sarà la verità inerente al tempo e a tutti i misteri dell'Universo. Tuttavia non possiamo comunicartela oralmente, ma dovremo "iniettartela" telepaticamente. Sussiste un però. Fai la massima attenzione a quanto stiamo per dirti ora. Noi ti comunicheremo la risoluzione dei più grandi misteri dell'Universo a patto che tu riesca a vincere la prova della moneta. Verrà lanciata una moneta al centro della stanza. Ti chiederemo di scegliere tra testa e croce. Se il risultato del lancio concorderà con la tua scelta, allora la conoscenza suprema sarà tua, in caso contrario, saremo lieti di divorare il tuo corpo e terremo solamente conservato il tuo cervello." dichiararono simultaneamente i 2 cervelli alieni.
All'udire della proposta, Giovanni, preso dal terrore, cominciò a correre, dirigendosi verso la porta da cui era entrato.
Mentre il ragazzo scappava una voce elettronica fece un sintetico annuncio meteo: "Il tempo di domani sarà sereno. Buon martedì".
Quando riuscì ad uscire dal Time Museum, Giovanni si accorse che il guasto elettrico dentro il museo tradizionale era stato sistemato: la luce era tornata a risplendere.
Nessuno si era accorto che Giovanni era sparito per diverse ore, gli alieni probabilmente avevano rallentato il tempo all'esterno del Time Museum.
Tutto era però ritornato alla normalità in quel momento.
La scolaresca si avviò per il viaggio di ritorno, durante il quale non accadde nulla di strano.
Quando Giovanni tornò a casa, non volle neanche mangiare qualcosa.
Era esausto; desiderava solo mettersi un po' sul letto.
La sua mente continuava a rimembrare la particolare giornata che aveva vissuto.
La mattina seguente si recò normalmente a scuola.
La prof di letteratura entrò in classe e per la gioia dei suoi studenti annunciò un compito in classe a sorpresa!
Gli allievi dovevano elaborare un tema in cui era richiesta la spiegazione di ciò che pensavano riguardo al concetto di tempo.
Giovanni fece un grosso sorriso e incominciò a scrivere celermente tutto ciò che aveva appreso nel Time Museum.
Tuttavia, improvvisamente, la sua mente venne offuscata.
I cervelli alieni gli stavano comunicando telepaticamente qualcosa a distanza.
Il risultato di tale manipolazione mentale fu un tema scritto per una parte in inglese e per l'altra parte in strani simboli alieni.
La correzione della professoressa non tardò ad arrivare.
La prof, decisamente severa, considerò il compito di Giovanni alla stregua di uno scherzo di cattivo gusto.
L'insegnante decise di punirlo, progettando dei corsi di recupero che il ragazzo avrebbe dovuto seguire - e superare - in un posto alquanto particolare: il Museo di New York.
Il giovane si ritrovò, in maniera inaspettata, a dover ritornare in quel luogo denso di misteri e pericoli, ma anche di curiosità e tante interessanti informazioni sul tempo.
Faticava ad ammetterlo a se stesso, ma nonostante la proposta mortale finale, quel fatidico lunedì fu il più bello della vita per Giovanni.
Non sappiamo se, al momento del suo ritorno, si fece coraggio e scelse di affrontare la prova della moneta. Sta a voi immaginare il finale di questa storia e la sorte del ragazzo.

Fine della registrazione


NOTA DELL'AUTORE:
Questo post è un racconto fantastico che fonde insieme realtà ed invenzione.
La parte reale è quella che riguarda le svariate concenzioni del tempo esposte dai vari scienziati, filosofi, letterati, artisti presenti nella narrazione, tutto il resto è puro frutto dell'immaginazione del sottoscritto.
Inoltre, questo post partecipa al Carnevale della Letteratura n.4, che verrà ospitato proprio qui, su Scienza e Musica, con tema "il tempo".
Qui la prima call for papers per chi desiderasse maggiori informazioni sull'evento e magari partecipare.

Leonardo Petrillo

4 commenti:

  1. Ciao mi piacerebbe, se non ti dispiace leggerlo nel mio blog. Aspetto e fammi sapere. Molto bello :), bravo

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    1. Certo! Procedi pure. :)
      Sono contento che ti sia piaciuto anche questo secondo racconto, che, tra l'altro, ho impostato come fosse il testo di una registrazione audio ritrovata!

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  2. Grazie ,Leonardo! Il tempo ha fatto riflettere filosofi e scienziati di ogni tempo e afflitto un po' gli studenti di tante generazioni. In effetti è difficile definirlo, ma affascina e si comprende man mano che si vive, si guadagna, si perde, si conquista. A presto!

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