venerdì 31 agosto 2012

IL PRINCIPIO ANTROPICO

L'Universo è stato da sempre al centro di profonde riflessioni da parte dell'uomo.
Ad esempio, nell'antica Grecia i filosofi congetturavano i principi basilari del mondo, identificandoli, a seconda dei casi, con l'acqua, l'aria, il numero, l'essere e così via.
Certo è che quelle domande che in un primo momento erano prerogativa della filosofia (e delle religioni), nell'epoca moderna, sono diventate gli interrogativi chiave a cui la scienza cerca di fornire una risposta.
Una di queste (numerose) domande è sicuramente: per quale motivo/motivi l'Universo risulta essere così come si presenta?
La suddetta questione sta alla base di una famosa ipotesi (non universalmente accettata) in campo fisico-cosmologico, denominata "principio antropico".


Per comprendere come è scaturita tale ipotesi dobbiamo innanzitutto illustrare la rivoluzione copernicana; no, non quella di Kant, bensì proprio quella di Copernico.

Niccolò Copernico (1473-1543) nacque nella città di Torun, nell'Antica Prussia entro i confini del Regno di Polonia, alle ore 16:48 del 19 febbraio 1473.
Quel bambino sarebbe stato fautore di uno dei più grandi mutamenti dell'intera storia dell'umanità.
Egli era il secondo e più giovane figlio di una famiglia di mercanti della regione della Slesia, celebre per le sue miniere di rame.
Compiuti 10 anni, Copernico si ritrovò senza la figura paterna, e la madre, Barbara, rimasta vedova con i figli ancora piccoli, decise di mettersi sotto l'egida di suo fratello, Lukasz Watzenrode, un ecclesiastico di modesto rango, il quale crebbe i bambini al posto dei genitori.
Una pagina redatta in caratteri gotici, conservata negli archivi del Collegium Maius dell'Università Jagellonica (ora Accademia) attesta che Niccolò Copernico, avente 18 anni, pagò la retta per i corsi dell'autunno 1491.
Il giovane studiò la logica, la poesia, la retorica, la filosofia naturale e l'astronomia.
L'interesse per il moto dei pianeti si insinuò fin dall'inizio dei suoi studi accademici.
In diverse occasioni Copernico spiegò la sua grande passione per l'astronomia in termini estetici, chiedendo retoricamente: "Cosa può essere più bello del cielo, in cui ogni cosa bella è contenuta?".
Durante il mese di settembre del 1496, Copernico, assecondando l'ordine dello zio, pervenne in Italia al fine di studiare diritto canonico all'Università di Bologna.
L'anno seguente venne nominato canonico, alla stregua di suo zio, usufrendo di grossi benefici che gli consentirono di intraprendere una vita indipendente dalla generosità, in termini monetari, dello zio.
Nonostante Copernico avesse intrapreso una vita di stampo religioso, non trascurò mai la sua profonda passione per l'astronomia, a tal punto che, già nel 1510, egli aveva elaborato un modello eliocentrico dell'Universo attraverso la sua grande intuizione e gli strumenti matematici.




















Copernico non era a conoscenza che, già nel III secolo a.C., Aristarco di Samo aveva sviluppato un'idea analoga.
Infatti, nell'unica opera di Aristarco nota al canonico polacco, un trattato intitolato Sulle dimensioni e le distanze del Sole e della Luna, non vi era alcuna traccia del modello eliocentrico del Sistema Solare.
Come ben noto, la rivoluzione copernicana si compì nell'anno 1543, quando egli pubblicò (ma solo in fin di vita, per paura di ripercussioni da parte della Chiesa!) il De revolutionibus orbium coelestium.
Si immagini che sconvolgimento abbia potuto provocare asserire che è il Sole a stare al centro dell'Universo e non la Terra, quando le Sacre Scritture attestavano il contrario, così come il modello geocentrico aristotelico-tolemaico, accettato e venerato per quasi 2 millenni!




















L'ipotesi eliocentrica, peraltro, portò anche alla caduta di un modello antropocentrico dell'Universo, cioè in cui l'uomo possedeva una posizione privilegiata.
Con Copernico la Terra, e di conseguenza l'uomo, passa dall'essere il centro dell'Universo a divenire un comune pianeta che circola attorno al Sole e, come si vedrà con il passare di altri secoli, a diventare un minuscolo puntino in confronto all'immensità del cosmo.
Il principio antropico fu introdotto nel 1973 dal fisico australiano Brandon Carter (1942), appunto al fine di porre dei limiti al dogma copernicano.
Nella formulazione di Carter il principio afferma che "la nostra posizione nell'Universo è necessariamente privilegiata, nella misura in cui deve essere compatibile con la nostra esistenza come osservatori".
Quali conseguenze scaturiscono da tale affermazione?
Le proprietà dell'Universo, seguendo l'ipotesi di Carter, dovrebbero essere tali da consentire lo sviluppo di esseri viventi che possano osservare il cosmo e che siano capaci di porsi questioni sulla natura dell'Universo stesso.
In altri termini, le leggi che governano l'Universo devono risultare consonanti con l'esistenza stessa della vita intelligente.
Facciamo allora finta che, ad esempio, la forza nucleare forte, quella che si comporta alla stregua di un collante che tiene attaccati i protoni all'interno dei nuclei atomici, avesse un'intensità leggermente inferiore a quella constatata normalmente.
Ciò comporterebbe che i protoni e i neutroni non rimarrebbero uniti nei nuclei, con la diretta conseguenza che non si potrebbero generare gli atomi.
Senza atomi non sussiste Chimica; niente Chimica significa ovviamente niente elementi chimici, tra cui il fondamentale carbonio, sul quale si basa lo sviluppo della vita e, di conseguenza, niente esseri umani.
Senza l'esistenza di esseri umani, o comunque, di esseri dotati di capacità intellettive, chi potrebbe "osservare" l'Universo, il quale equivarrebbe a una sorta di zuppa di particelle quantistiche?
Ricordiamo anche che le stesse leggi della Meccanica Quantistica ci dicono che il solo "osservare" influisce sul processo quantistico considerato.
Il principio antropico afferma dunque che se l'Universo appare così com'è non dobbiamo stupirci, poiché se fosse diverso da come risulta essere, allora non saremmo qui ad arrovellarci su tali interrogativi!
Approfondiamo meglio il discorso, andando a scoprire le diverse definizioni di principio antropico.
In un primo momento esistevano solamente 2 formulazioni, dovute a Carter, di tale principio: quella "debole" e quella "forte".
Successivamente, sono state introdotte ulteriori 2 versioni fondamentali:

1) principio antropico partecipatorio;
2) principio antropico ultimo.

Cominciamo la rassegna!

PRINCIPIO ANTROPICO DEBOLE

Il principio antropico debole (abbreviato con PAD) cerca di fornire una precisa giustificazione del fatto che ogni osservazione cosmologica eseguita dagli astronomi risulta influenzata da un piccolo ma non insignificante particolare: la nostra stessa esistenza.
Questo tipo di approccio affonda le sue radici in un lavoro del 1955 del matematico e cosmologo britannico Gerald James Whitrow (1912-2000), in cui questi cercò la risposta alla domanda "Perché lo spazio ha 3 dimensioni?".
Egli non giunse a una risposta risolutiva a tale interrogativo, ma osservò che la suddetta peculiarità dello spazio non è indipendente dalla nostra esistenza come osservatori.
Pochi anni dopo, l'astronomo russo G. Idlis asserì che affinché l'Universo risulti abitabile si devono verificare svariate condizioni astronomiche speciali.
Pertanto, la definizione di principio antropico debole è dovuta in parte a queste intuizioni e in parte alle supposizioni del fisico statunitense Robert Dicke (1916-1997), ed è la seguente:

"I valori osservati di qualunque grandezza fisica e cosmologica non sono tutti ugualmente probabili, ma sono soggetti alla restrizione che esistano luoghi dove possa evolversi una vita basata sul carbonio e che l'Universo sia vecchio abbastanza perché ciò sia già avvenuto."

Il PAD comporta quindi un'autoselezione delle proprietà dell'Universo, le quali devono risultare compatibili con l'esistenza e l'evoluzione della vita intelligente.
Diversi scienziati, fra cui Carter, hanno fatto notare che, come principio di autoselezione, il principio antropico debole risulta equivalente al celebre teorema di Bayes.
Per chi non sapesse cos'è il teorema di Bayes, cerchiamo di spiegarlo brevemente, nel modo più semplice possibile. 
Innanzitutto diciamo che il teorema di Bayes riguarda la probabilità e, in particolare, la cosiddetta probabilità condizionata, ovvero quella di un evento che risulta influenzato dal verificarsi di un altro evento.
In termini rigorosi, considerati 2 eventi qualsiasi (i quali possono essere dipendenti o indipendenti fra loro) A e B, la probabilità condizionata di A, noto B, è fornita dalla seguente espressione:





dove:
  • p(AB) designa la probabilità condizionata di A, dato B;
  • p(AB) indica la probabilità (detta composta) che si verifichino simultaneamente gli eventi A e B
Inoltre, nel caso p(A) risultasse maggiore di 0, allora la probabilità composta può esser descritta dalla seguente identità:




Facciamo un semplice esempio per far comprendere meglio cos'è la probabilità condizionata.
Immaginiamo di prendere un sacchetto contenente i 90 numeri della tombola e di estrarre in successione 2 numeri.















Ci chiediamo: "qual è la probabilità che il primo sia divisibile per 10 e il secondo sia pari?".
Come è facilmente constatabile, i 2 eventi non sono indipendenti, in quanto l'avvenire dell'uno comporta conseguenze sul secondo.
Indicando con A l'evento "il primo numero è divisibile per 10" e con B "il secondo numero è pari" abbiamo che:





Per calcolare la probabilità condizionata di B, noto l'evento A, dobbiamo calcolare la probabilità di estrarre un numero pari, dopo che nel sacchetto è stato tolto un numero divisibile per 10.
Ergo:





Ne consegue che la probabilità che si verifichino entrambi gli eventi A e B, cioè che esca in primo luogo un numero divisibile per 10 ed, in secondo luogo, un numero pari, risulta equivalente a:




Compiendo un brevissimo excursus di carattere storico, nel 1761, un pastore presbiteriano, appunto Thomas Bayes (1702-1761), cercò di dimostrare l'esistenza di Dio mediante la teoria delle probabilità, rovesciando l'ordine delle condizioni.
Il risultato che aveva ottenuto lo avevo così stupito da spingerlo a riporre l'articolo in merito alla sopracitata questione in un cassetto, articolo che egli non avrebbe mai più visionato e che venne pubblicato postumo nel 1763.
Tale scritto avrebbe portato alla nascita di una nuova branca: la statistica bayesiana.
Scopriamo dunque il teorema di Bayes: sostituiamo l'espressione p(AB) con p(BA)p(A) nell'equazione descrivente la probabilità condizionata:





così facendo otteniamo quella che è fondamentalmente l'espressione del teorema di Bayes:





Ampliando un po' la prospettiva, se consideriamo 2 ipotesi α e β, possiamo esprimerne la probabilità relativa, una volta conosciuto il risultato E, con la seguente particolare formulazione del teorema di Bayes:






Quindi le probabilità relative della verità di α o di β risultano modificate dalle probabilità condizionate p(E⎮α) e p(E⎮β), le quali tengono conto di ogni parzialità dell'esperimento (o dello sperimentatore) nella raccolta di dati a favore di α rispetto a β, o viceversa.
Nella formulazione fornita, il principio antropico debole si dimostra quindi non altro che un'applicazione del teorema del reverendo Bayes.
Il PAD è in contraddizione con i modelli cosmologici che si basano su una struttura a grande scala dell'Universo pressocché indipendente dal luogo e dall'istante di osservazione, come il modello dello stato stazionario sviluppato nel 1948 da Fred Hoyle, Hermann Bondi e Thomas Gold, costruzione teorica che sarebbe stata soppiantata da quella del Big Bang, la quale ricevette delle conferme di natura sperimentale.
Inoltre il PAD implica che l'Universo debba essere abbastanza vecchio e molto grande per poter includere al suo interno la variabile vita.
In altri termini, affinché nell'Universo potesse incominciare la formazione di carbonio, risultava necessario un tempo abbastanza lungo, a seguito del Big Bang, da consentire un'ingente espansione cosmica con conseguente abbassamento della sua temperatura complessiva.
I nuclei di carbonio e degli altri elementi chimici di cui siamo fatti sono il risultato delle reazioni di fusione nucleare sussistenti all'interno delle stelle, partendo ovviamente dai nuclei fondamentali, quelli più leggeri, ossia l'idrogeno e l'elio.
Quando arrivano al termine della loro vita, le stelle rilasciano nello spazio circostante svariati elementi chimici, i quali, legandosi insieme, possono poi andare a generare anche composti di carattere biologico.
Il tempo necessario affinché una stella produca il carbonio e gli altri elementi è pressoché equivalente alla vita media di una stella situata sulla "Sequenza Principale" del diagramma H-R.

























Spieghiamo brevemente cos'è il diagramma H-R, ovvero quello che osservate nell'immagine di cui sopra.
Esso prende il nome dall'astronomo danese Ejnar Hertzsprung (1873-1967), il quale, nel 1911, riportò in grafico la magnitudine assoluta delle stelle (ossia la loro luminosità effettiva) in funzione dei rispettivi colori (in altre parole, le loro temperature), e dall'astronomo statunitense Henry Norris Russell (1877-1957), che, nel 1913, mise, indipendentemente dal collega danese, in grafico la magnitudine assoluta in funzione della classe (o tipo) spettrale, cioè dello spettro elettromagnetico delle stelle.
Sostanzialmente, la classe spettrale di una stella viene assegnata basandosi sulla sua temperatura superficiale, la quale può essere stimata attraverso la cosiddetta legge dello spostamento di Wien, formulata dal fisico tedesco Wilhelm Wien (1864-1928) nel 1893.
Essa ci dice che la lunghezza d'onda a cui si ha il picco di emissione di radiazioni da parte di una stella e la sua temperatura risultano inversamente proporzionali.
In simboli abbiamo:



dove b è una costante di proporzionalità, detta costante dello spostamento di Wien, pari a circa 2.898.000 nm (ossia nanometri).
Esistono 7 tipi spettrali fondamentali:

1) O
2) B
3) A
4) F
5) G
6) K
7) M

E' stata coniata persino una frase inglese per aiutare a ricordare tutte le tipologie di classe spettrale: "Oh Be A Fine Girl/Guy, Kiss Me"!
Scopriamo in maniera rapida le caratteristiche principali di ogni classe.

CLASSE O

Le stelle appartenenti alla classe spettrale O sono in assoluto le più calde, visto che la loro temperatura superficiale risulta superiore ai 33.000 K. 
Si presentano generalmente con un colore azzurro-blu, sono decisamente massiccie (dunque vivono poco) e il loro picco d'emissione di radiazioni presenta una lunghezza d'onda che si attesta ad un valore inferiore ai 97 nm.
Un esempio di questa tipologia di stelle è fornito da quelle della Cintura di Orione.

Costellazione di Orione
















CLASSE B

Anch'esse molto calde, con temperature superficiali tra i 10.000 e i 33.000 K, presentano una colorazione dall'azzurro chiaro al blu intenso.



Anch'esse dispongono di una ingente massa e sono molto luminose, sebbene non quanto quelle di tipo O.
Il loro massimo di emissione presenta una lunghezza d'onda compresa tra i 97 e i 290 nm.
Un esempio è costituito da Spica, la stella più luminosa della costellazione della Vergine.

Spica

















CLASSE A

Si presentano con temperature superificiali comprese fra 7500 e 10.000 K e con una colorazione tra il celeste chiaro e l'azzurro chiaro.
In generale, le stelle di classe A sono 100 volte più luminose del Sole e il loro picco di emissione si manifesta ad una lunghezza d'onda compresa tra 290 e e 390 nm.
Un esempio importante è costituito da Sirio della costellazione del Cane Maggiore, la stella più luminosa del cielo notturno (ovviamente facendo riferimento alla magnitudine apparente).
Sirio















CLASSE F

Le temperature superficiali delle stelle di tipo spettrale F sono comprese tra i 6000 e i 7500 K.
Il loro colore può variare dall'argento-celeste sino al celeste chiaro.
Il massimo di emissioni è collegato ad una lunghezza d'onda compresa tra 390 e 480 nm.
L'esempio più significativo è fornito da Polaris A, quella che viene comunemente chiamata stella polare o stella del nord, della costellazione dell'Orsa Minore.

Polaris A




















CLASSE G

Le stelle di classe G possiedono temperature superficiali che si attestano fra i 5200 e i 6000 K.
Si presentano con una colorazione che va dal bianco intenso fino ad un giallino chiaro e sfumato.
Il picco di emissioni si manifesta ad una lunghezza d'onda tra 480 e 580 nm.
Le stelle di tipo G rappresentano inoltre le più conosciute, in quanto anche il Sole appartiene alla suddetta categoria.

Sole


















CLASSE K

Le stelle di tipo K possiedono temperature superficiali comprese fra 3700 e 5200 K.
Il loro colore può variare tra un giallo chiaro sino ad un giallo maggiormente intenso.
Il massimo di emissione presenta una lunghezza d'onda compresa tra 580 e 830 nm.
Di tale categoria fa parte, ad esempio, Aldebaran, la stella più luminosa della costellazione del Toro.

Aldebaran




















CLASSE M

Le stelle di classe M sono ovviamente più "fredde" rispetto a quelle appartenenti alle altre tipologie, presentando temperature superficiali che si attestano tra 2000 e 3700 K.
La loro colorazione va dal giallo, passando per l'arancione, sino al rosso.
Il picco di emissione presenta una lunghezza d'onda che risulta maggiore di 830 nm.
Tale categoria comprende al suo interno sia stelle abbastanza piccole, come le nane rosse, tra cui Proxima Centauri (la stella più vicina a noi, escludendo il Sole) della costellazione del Centauro, sia giganti e supergiganti, alla stregua di Antares, l'astro più luminoso della costellazione dello Scorpione, di cui occupa il centro.

Proxima Centauri

















Antares

















Ritornando al diagramma H-R, la banda che attraversa in diagonale il grafico è chiamata Sequenza Principale.
Essa si estende dall'angolo in alto a sinistra (stelle blu, calde e luminose) sino all'angolo in basso a destra (stelle rosse, fredde e deboli).
Le stelle che compaiono in tale importante banda del grafico (tra cui anche il nostro Sole) sono appunto dette stelle di Sequenza Principale.



Facendo ritorno alle considerazioni sul principio antropico debole, la vita media di una stella di Sequenza Principale è di circa 10 miliardi di anni; ciò implica un Universo che si estende per almeno 10 miliardi di anni-luce.
Se l'Universo fosse molto più piccolo di quanto è in realtà, noi non esisteremmo affatto!

PRINCIPIO ANTROPICO FORTE

Il principio antropico forte (PAF), introdotto sempre da Carter, asserisce che:

"L'Universo deve avere quelle proprietà che consentono lo sviluppo della vita al suo interno, a qualche stadio della sua storia."

Conseguenza immediata del PAF è il fatto che le leggi e le costanti che "reggono" l'Universo devono essere tali da consentire lo sviluppo di vita.
Tale congettura porta, rispetto al principio antropico debole, a conclusioni radicali e d'impronta teologica, come fa notare anche Roger Penrose nella magistrale opera La strada che porta alla realtà:

"Molto più problematiche sono le versioni del principio antropico forte, secondo il quale cerchiamo di estendere il principio antropico alla determinazione delle reali costanti della Natura (come il rapporto tra la massa dell'elettrone e quella del protone). Alcuni potrebbero ritenere che il principio antropico forte ci conduca a credere a uno "Scopo Divino", per mezzo del quale il Creatore dell'Universo si è garantito che le costanti fisiche fondamentali fossero preordinate in modo tale da avere valori capaci di assicurare la possibilità di vita senziente."

Il principio antropico forte è stato preso in seria considerazione anche da alcuni scienziati, tra cui il già citato astrofisico Fred Hoyle (1915-2001).


PRINCIPIO ANTROPICO PARTECIPATORIO

Una versione particolare del principio antropico forte è sicuramente il principio antropico partecipatorio (PAP), introdotto dal noto fisico John Archibald Wheeler (1911-2008) nel 1983.
Esso afferma che:

"Gli osservatori sono necessari per far sì che l'Universo esista, in quanto sono necessari alla sua conoscenza."

Tale interpretazione è stata ampliata nel 2005 da Alexander Zaitsev nell'articolo "The Drake Equation: Adding a METI Factor".

Ricordiamo brevemente che cos'è l'equazione di Drake (nota anche come equazione o formula di Green Bank), ma prima ascoltiamola enunciata dal Dr. Sheldon Cooper nella sit-com "The Big Bang Theory":



L'equazione





è stata formulata per la prima volta, nel 1961, dall'astronomo Frank Donald Drake (1930) e rappresenta il prodotto di 7 parametri che stimano il numero di potenziali civiltà extraterrestri individuabili nella nostra Galassia.
Nello specifico:

- N = numero di potenziali civiltà extraterrestri individuabili e con cui comunicare, all'interno della Via Lattea;
- R* = il tasso (rate) medio annuo di formazione di nuove stelle (simili al Sole) nella Via Lattea;
- fp = frazione di stelle che posseggono pianeti;
- ne = numero medio di pianeti per sistema solare in grado di ospitare e garantire lo sviluppo di vita;
- fl = frazione di pianeti in cui effettivamente si sono sviluppate forme di vita;
- fi = frazione di pianeti su cui si sono evoluti esseri intelligenti;
- fc = frazione di pianeti in cui è emersa una civiltà tecnologica, in grado di comunicare;
- L = vita media di una civiltà capace di trasmettere segnali nello spazio.

Ci si potrebbe chiedere il motivo per cui tale equazione si applichi solamente alla Via Lattea e non si estenda all'intero Universo.
La ragione di ciò sta nel fatto che, considerate le gigantesche distanze coinvolte, ricevere segnali radio da oltre la Via Lattea è decisamente improbabile, anche se, ovviamente, non impossibile!
Ciò che ha fatto Zaitsev è stato aggiungere un ulteriore fattore all'equazione di Drake: fm.
Esso designa la frazione di civiltà capaci di comunicare in maniera chiara e precisa, ovvero in grado di produrre pianificati e mirati messaggi interstellari.
L'equazione di Drake modificata si presenta nel seguente modo:






Dunque, la modifica effettuata da Zaitsev tiene conto del concetto, coniato dallo stesso Zaitsev, di METI (Messaging to Extra-Terrestrial Intelligence), ossia il tentativo di inviare messaggi ad extraterrestri intelligenti, chiamato anche SETI attivo.
Il cosiddetto SETI passivo, al contrario, si limita a cercare tracce di vita extraterrestre, senza alcun invio di segnali.
In generale, il SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) è un importantissimo programma di ricerca atto a individuare vita intelligente extraterrestre (ETI), di cui proprio Frank Drake fu il pioniere.
Come scrive Paul Davies nel libro Uno strano silenzio:

"Negli anni Sessanta del secolo scorso una delle più grandi preoccupazioni dei ricercatori di SETI era quale sarebbe stata la frequenza scelta da ET; ci sono infatti miliardi di frequenze possibili. Non tutte le frequenze penetrano nell'atmosfera terrestre in modo efficiente, pertanto la speranza era che gli alieni adattassero i loro segnali a pianeti simili alla Terra usando una frequenza che non viene attenuata mentre l'onda viaggia nello spazio...I ricercatori pensavano che gli alieni avrebbero anticipato il nostro problema e scelto una frequenza "naturale", ossia una frequenza nota a tutti i radioastronomi. Una stima piuttosto diffusa era quella di 1420 MHz, la frequenza di emissione del gas idrogeno freddo. I radioastronomi sono abituati a convivere con questa "musica dell'idrogeno" e, per certi versi, sarebbe una buona scelta. Ad ogni modo questa è la frequenza che Frank Drake scelse per il progetto Ozma nel 1960."

Il progetto Ozma, che prende il nome dalla principessa Ozma, personaggio del romanzo per ragazzi "Il meraviglioso mago di Oz" dello scrittore statunitense Lyman Frank Baum, è stato appunto il primo esperimento in assoluto relativo al SETI.
Drake utilizzò un radiotelescopio di 26 m di diametro, posto a Green Bank in West Virginia, al fine di esaminare Tau Ceti (costellazione della Balena) e Epsilon Eridani (Costellazione di Eridano), stelle entrambe simili al Sole e relativamente vicine ad esso.
Qualcuno dei lettori, a questo punto, potrebbe chiedersi: cosa c'entrano il SETI e l'equazione di Drake con il principio antropico?
Ebbene, Alexander Zaitsev (che, peraltro, è il coordinatore regionale per la Russia nel progetto SETI), nell'articolo riportato in precedenza, estende il principio antropico partecipatorio di Wheeler, tenendo conto della nozione di METI.
Il PAP modificato si basa dunque sulla seguente affermazione:

"I mittenti (di segnali) sono necessari a portare coscienza nell'Universo."

Pertanto, secondo tale interpretazione, i mittenti trasformerebbero la coscienza dell'Universo degli osservatori in una coscienza che riconosce un Universo abitato almeno da 2 intelligenze (ossia civiltà intelligenti), separate da distanze astronomiche.
Tra l'altro, i mittenti aiuterebbero gli osservatori a comprendere meglio la vera natura dell'esistenza in un Universo e, addirittura, a cambiare la natura stessa dell'essere.

PRINCIPIO ANTROPICO ULTIMO

Si consideri che, per ignoti motivi, il principio antropico forte risulti vero, e che di conseguenza in qualche stadio della storia dell'Universo debba per forza svilupparsi vita intelligente.
Sarebbe allora normale pensare che, se l'Universo avesse prodotto effettivamente vita intelligente, dunque qualcosa di molto complesso, quest'ultima dovrebbe perdurare a sufficienza affinché possa influenzare in maniera significativa, osservabile, ovvero non quantistica, l'Universo nel suo insieme.
Tenendo presente ciò, John Barrow e Frank Tipler, nel 1986, all'interno del libro "Il principio antropico", definiscono il cosiddetto principio antropico ultimo (PAU) nel seguente modo:

"Nell'Universo deve necessariamente svilupparsi elaborazione intelligente dell'informazione, e una volta apparsa essa non si estinguerà mai."

Una delle tante conseguenze della suddetta interpretazione del principio antropico è che, se il PAU fosse vero, allora non potrebbero esistere nell'Universo orizzonti degli eventi (le "superfici di non ritorno" dei buchi neri), poiché tali orizzonti non consentirebbero la comunicazione tra diversi osservatori, e pure tra parti distinte di uno stesso osservatore esteso.

CRITICHE VERSO IL PRINCIPIO ANTROPICO

Come abbiamo già sottolineato, il principio antropico (nelle sue varie forme) e le sue conseguenze sulle leggi fisiche rappresentano, comunque, un'ipotesi e non una teoria ufficialmente accettata dalla comunità scientifica.
Molti hanno asserito che, ad esempio, il principio antropico debole non è in grado di fornire predizioni scientificamente verificabili e, di conseguenza, non è una teoria scientifica.
L'interpretazione "debole" è soggetto di ulteriori critiche poiché "enunciata per mancanza di immaginazione", in quanto assume che non sia possibile l'esistenza di nessun altra forma di vita, se non basata sul carbonio (sciovinismo del carbonio).
L'aspra critica verso la versione "forte" è basata sulla constatazione che essa non sarebbe né verificabile, né dimostrabile, non necessaria e priva di ogni capacità di predizione scientifica.
Inoltre, nel 2002, il filosofo svedese Nick Bostrom, ha indagato sulla seguente questione: "È possibile riassumere l'essenza degli effetti di selezione delle osservazioni in un enunciato semplice?".
La sua conclusione fu positiva; tuttavia egli fece notare che:

"Molti principi antropici sono semplicemente confusi. Alcuni, specialmente quelli che traggono ispirazione dagli scritti seminali di Brandon Carter, sono ragionevoli, ma...sono troppo deboli per svolgere un qualsiasi lavoro scientifico."

BOLLE ANTROPICHE

Alcune questioni spinose suscitate dal principio antropico potrebbero essere superate facendo riferimento a una particolare versione della Meccanica Quantistica, detta interpretazione a molti mondi, proposta per la prima volta dal fisico Hugh Everett III nel 1957.
Vi propongo la magnifica spiegazione di tale interpretazione effettuata da Dave Goldberg e Jeff Blomquist nel libro Universo, istruzioni per l'uso:

"Everett affermò che ogni evento casuale - il fatto che un elettrone attraversi [nel famoso esperimento di Young] l'una o l'altra fenditura, ad esempio - dà origine a 2 universi differenti ma paralleli, distinguibili solo per il fatto che in uno dei 2 l'elettrone passa dalla fenditura A, mentre nell'altro (che forse coincide con quello in cui viviamo) passa dalla fenditura B. Con il passar del tempo gli universi si biforcano ancora un'infinità di volte, producendo un numero enorme di universi paralleli. Secondo Everett i vari mondi possono interferire tra loro. Da un punto di vista matematico le cose non sembrano molto diverse dalla normale Meccanica Quantistica. Se pensiamo all'elettrone nell'esperimento della doppia fenditura, ad esempio, nel nostro Universo l'elettrone potrebbe attraversare la fenditura di sinistra, mentre negli altri universi potrebbe passare a destra. Le funzioni d'onda dei vari universi interferiscono tra loro...Non sono solo i destini delle particelle a biforcarsi. Accade anche a voi. Provate a immaginare come sarete tra 10 minuti: "voi", in realtà, siete una folla di "voi" distinti. Con quale "voi" finirete per coincidere? Tutti. Ognuno di "voi", semplicemente, ricorda ciò che gli è capitato nel suo Universo. Significa che da qualche parte esiste un "voi" che fa l'attore e un altro che progetta astronavi. Non tutte le possibilità, tuttavia, sono equiprobabili."

L'interpretazione di Everett, in tempi recenti, è stata presa come base per la cosiddetta teoria del Multiverso, la quale afferma che non esiste un singolo Universo (il nostro), ma moltissimi, magari con proprietà fisiche differenti da quelle usuali.
Sicché, tale interpretazione potrebbe avere conseguenze persino sul principio antropico.
Immaginiamo quindi svariati Universi, o bolle, che circondano il nostro, dove sappiamo che c'è della vita intelligente.






















Ciascun universo bolla può assumere parametri fisici un tantino differenti.
Il valore dei suddetti determinano l'evoluzione di ciascun universo e il fatto che almeno uno di essi possieda le condizioni adatte per ospitare della vita intelligente.
Questa non è altro che una rivisitazione del principio antropico forte, caratterizzata dalla seguente affermazione:

"È necessaria l'esistenza di molti universi differenti perché possa esistere il nostro."

Tuttavia, come constata Stephen Hawking in un passo del suo best-seller Dal Big Bang ai buchi neri

 "Ben poche persone contesterebbero la validità o l'utilità del principio antropico debole. Alcuni si spingono però molto oltre proponendo una versione forte dello stesso principio. Secondo questa teoria, esistono o molti universi differenti o molte regioni differenti di un singolo universo, ciascuno dei quali ha la sua propria configurazione iniziale e, forse, un suo proprio insieme peculiare di leggi scientifiche...Ci sono varie obiezioni che si possono sollevare contro il principio antropico forte come spiegazione dello stato osservato dell'Universo. Innanzitutto, in che senso si può dire che esistano tutti questi differenti universi? Se essi sono davvero separati l'uno dall'altro, ciò che accade in un altro universo non può avere conseguenze osservabili nel nostro. Dovremmo perciò invocare il principio di economia ed escluderli da ogni considerazione teorica. Se, invece, essi sono solo regioni diverse di un unico universo, le leggi della scienza dovrebbero applicarsi ugualmente in ogni regione, giacché altrimenti non si potrebbe passare in modo continuo da una regione a un'altra. In questo caso l'unica differenza fra le varie regioni risiederebbe nella loro configurazione iniziale, cosicché il principio antropico forte si ridurrebbe a quello debole. Una seconda obiezione al principio antropico forte è che esso si muove in senso contrario al corso dell'intera storia della scienza. Noi siamo passati dalle cosmologie geocentriche di Tolomeo e dei suoi predecessori, attraverso la cosmologia eliocentrica di Copernico e di Galileo, alla moderna immagine dell'Universo, in cui la Terra è un pianeta di dimensioni medie che orbita attorno a una stella media nella periferia esterna di una comune galassia a spirale, la quale non è altro che una del miliardo circa di galassie esistenti nell'universo osservabile. Eppure il principio antropico forte sosterrebbe che quest'intera vasta costruzione esisterebbe in funzione della nostra esistenza. Questa è un'affermazione molto difficile da accettare."  

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Tirando le fila del discorso, abbiamo analizzato, nelle sue varie interpretazioni, un'ipotesi molto suggestiva sulla natura dell'Universo, riflettendo sul fatto che lo stesso nostro esistere influenzi in modo significativo il concetto di Universo.
Siamo partiti dalla rivoluzione copernicana che poneva il Sole al centro e abbiamo notato come il principio antropico rimetta l'uomo al centro, in modo più o meno "forte".
La riflessione si è anche spostata sulla possibilità di ulteriori forme di vita intelligente nel nostro Universo e su come lo stesso pensare a civiltà tecnologicamente avanzate, aventi quindi i mezzi necessari ad inviare messaggi precisi nello spazio, possa innescare un cambio di prospettiva del principio antropico.
Abbiamo esaminato le critiche che sussistono nei confronti del principio antropico, critiche rivolte soprattutto alla formulazione "forte".
La sola conclusione possibile è asserire che il principio antropico è un'affascinante ipotesi scientifica, che può cambiare radicalmente la nostra concezione dell'Universo, o addirittura, degli Universi, ma, alla stregua di teorie altrettanto affascinanti, come quella delle stringhe, attualmente non ha a suo sostegno alcuna prova, alcuna evidenza sperimentale (per quanto concerne le sue conseguenze).
Certo che, a differenza della teoria delle stringhe, il principio antropico può anche esser considerato unicamente da un punto di vista puramente filosofico, perché è evidente che la nostra stessa esistenza (cioè l'esistenza di osservatori in grado di scrutare anche porzioni del cosmo e di riflettere su profondissimi e articolati interrogativi) non sia un fattore del tutto trascurabile!

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Fonti principali:

- John Barrow, Frank Tipler - "Il principio antropico"
- Dava Sobel - "Il segreto di Copernico"
- Roger Penrose - "La strada che porta alla realtà"
- Alexander Zaitsev - "The SETI paradox"
- Paul Davies - "Uno strano silenzio"
- Dave Goldberg, Jeff Blomquist - "Universo, istruzioni per l'uso"
- Stephen Hawking - "Dal Big Bang ai buchi neri"
-  http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_antropico

2 commenti:

  1. Interessantissimo blog!!! Mi interessano parecchio argomenti di questo tipo, anche se (o forse proprio perchè?) sono davvero poco ferrato in matematica e fisica... Mi sento di dover recuperare il tempo perduto al liceo :)
    L'articolo è scritto molto bene e comprensibile pure ai profani come me. In particolare il rapporto tra musica e matematica lo trovo particolarmente affascinante. Sono alle prese con "Un eterna ghirlanda brillante" di Hofstadter e devo dire che nonostante la difficoltà la trovo una lettura interessantissima. Così come questo blog!
    Saluti, Zed

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    1. Grazie Mille!!!
      Lo scopo di questo blog è proprio quello di diffondere la scienza e la (buona) musica a un pubblico che va dal lettore esperto (ma in cerca di aneddoti e curiosità) al "non addetto ai lavori".
      Mi fa piacere che tu abbia apprezzato questo articolo sul principio antropico.
      Cerco di fornire ai miei articoli scientifici un giusto equilibrio tra il lato divulgativo, tecnico e storico.
      Come si può constatare, nei miei articoli il formalismo matematico è quasi sempre presente, perché ritengo sia fondamentale per capire ed apprezzare ancor più un concetto scientifico. Sul rapporto sussistente fra scienza e musica, se possono interessarti, ho scritto già 3 post specifici:

      1) http://scienzaemusica.blogspot.it/2010/06/scienza-e-musica-2-realta-strettamente.html
      2)http://scienzaemusica.blogspot.it/2011/04/la-chimica-e-la-buona-musica.html
      3) http://scienzaemusica.blogspot.it/2012/03/frattali-e-musica.html

      Sono d'accordo per quanto concerne il libro "Godel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante"; è sicuramente un testo impegnativo (considerata anche la sua mole!) ma molto molto interessante.

      Grazie ancora e Saluti!
      Leonardo

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