venerdì 26 agosto 2011

LA FISICA IN MONTAGNA (E NON SOLO)!

L'estate è generalmente sinonimo di vacanza.
Le mete predilette di coloro che vogliono trascorrere le vacanze all'aperto sono quasi sempre il mare o la montagna.
Anche queste occasioni sono pervase ovviamente dalla fisica.
In tal contesto, andremo ad analizzare alcune situazioni, fenomeni, concetti che possiamo riscontrare in montagna, attraverso la fisica!
Ad esempio, perchè in montagna la pressione non è quella che sussiste al livello del mare, ma inferiore?
Per rispondere a tale interrogativo, intanto dobbiamo definire cosa è la pressione.
Essa è semplicemente il rapporto fra la forza che agisce su una certa superficie e la superficie stessa:

p = F/S

Evangelista Torricelli, discepolo di Galileo Galilei, nel 1643 effettuò un particolare esperimento per misurare la pressione atmosferica, avvalendosi di un tubo di vetro cavo lungo all'incirca un metro, sigillato ad una estremità, e di una bacinella colma di mercurio (Hg).
In parole semplici, egli riempì il tubo del liquido (ricordiamo che il mercurio è uno dei pochi metalli che si presentano allo stato liquido a temperatura ambiente), tappò con un dito l'estremità aperta del tubo e lo capovolse, immergendolo in una bacinella contenente altro mercurio.
Dunque tolse il dito dalla fessura soltanto quando l'estremità aperta fu situata sotto la superficie.
Nel momento in cui l'estremità aperta del tubo è immersa nel liquido, quest'ultimo resta dov'è e una colonnina si alza sopra la superficie.
Da tale risultato, lo scienziato comprese che il fatto che si manifestasse una colonnina di mercurio era dovuto sia al peso del mercurio nel tubo, sia a quello dell'atmosfera sopra di esso.
In altri termini, per eguagliare la pressione esercitata dall'atmosfera sul mercurio nella bacinella, il mercurio nel tubo deve essere situato ad una certa altezza, che ammonta a circa 76 cm.
Se il tubo è lungo 1 metro, la colonnina di mercurio si alza per 76 cm: fin qui ci siamo.
Ora, cosa ci sta nei rimanenti 24 cm del tubo?
Torricelli aveva realizzato l'esperimento con cura, in maniera tale che l'aria non entrasse nel tubo.
Se non c'è aria, cosa è situato in quei restanti 24 cm?
La risposta è: il vuoto.
Torricelli era riuscito a realizzare il vuoto.
Ricordiamo che Aristotele aveva affermato che la natura ha orrore del vuoto (horror vacui), ma si trattava di un grave errore.
Lo stesso concetto di vuoto, nel momento in cui fu confermata la sua veridicità, servì per dimostrare l'inesattezza di un ulteriore assunto aristotelico, confutato da Galileo.
L'assunto è questo: per Aristotele, un corpo più pesante giunge a terra prima di uno più leggero.
Ad esempio, una pietra cade prima di una piuma!
Galileo, al contrario, portava avanti convinzioni antitetiche rispetto al noto filosofo greco, ritenendo che in realtà il fatto che il corpo più pesante cada prima a terra di quello più leggero, non dipende dalle proprietà intrinseche del corpo stesso, bensì dall'attrito esercitato dall'aria.
Con l'invenzione della pompa a vuoto si poté verificare che Galileo aveva ragione e Aristotele invece torto, 2 volte!
La natura non ha orrore del vuoto e tutti i corpi cadono a terra nel medesimo istante, nel "vuoto".
Persino gli astronauti che sono pervenuti sulla Luna, dove non è presente atmosfera, hanno verificato che Galileo aveva ragione!
Il vuoto, tra l'altro, è altamente presente in natura, più di quanto si creda.
Pensiamo ad un atomo.
Esso, come ben celebre, è costituto (nel modello semplificato) da un nucleo fatto di protoni e neutroni, attorno al quale girano altre particelle elementari (leptoni) dette elettroni.
Bisogna dire che tra il nucleo e gli elettroni sussiste una gran quantità di "spazio vuoto".
Infatti, l'atomo è apparentemente un vuoto perfetto: per il 99,9999999999999% è "spazio vuoto".
Prima di ritornare alla questione della pressione, rimaniamo un attimo sulla questione dei corpi lanciati da una certa altezza h fino a terra.
Perché se cadiamo dalla cima di una montagna ci sfracelliamo al suolo e moriamo (almeno che non supponessimo di essere Superman, cosa alquanto improbabile!), e se invece cadiamo da una sedia ci facciamo male, ma è un danno limitato?
La risposta è banale: a causa della gravità, anzi più precisamente dell'energia potenziale gravitazionale.
L'energia potenziale gravitazionale è definita come:

U = mgh,

dove:
 
- m = massa;
- g = accelerazione di gravità sulla Terra, corrispondente a circa 9,8 m/s²;
- h = altezza.

Più il corpo (o grave, come si è soliti denominarlo in fisica) è posto in alto, più avrà un "potenziale" di guadagnare energia cinetica (E = 1/2 mv²) per mano della gravità terrestre.
Inoltre, un grave in caduta libera (in un sistema di riferimento che ha verso positivo allontanandosi dal suolo) può essere descritto per mezzo di queste elementari equazioni, che non sono altro che semplici modificazioni di quelle inerenti il moto rettilineo uniformemente accelerato:

a = -g
v = v - gt
s = s + vt - 1/2 gt²

dove:

- a = accelerazione;
- v₀ = velocità iniziale;
- s₀ = posizione iniziale;
- t = intervallo di tempo.

Ovviamente, se provate a derivare (in funzione del tempo) l'ultima equazione otterrete la seconda, se la derivate ancora una volta otterrete la prima: provate se non ci credete!
Utilizzando il procedimento dell'integrazione, invece, possiamo seguire il percorso inverso: partiamo dalla prima equazione per giungere all'ultima.
La derivazione e l'integrazione sono infatti operazioni inverse fra loro.
Per quanto riguarda la derivazione e l'integrazione vi rimando all'articolo "Derivate e Integrali Indefiniti: storia, proprietà e applicazioni in fisica".
L'accelerazione non ha a che spartire solamente con i concetti di spazio, tempo, velocità e moto.
Infatti, se facciamo pervenire alla mente la famosissima seconda legge della dinamica (o di Newton), sappiamo che F = ma, ed ergo:

a = F/m

Se scrivessimo l'accelerazione come a = Δv/Δt, otterremmo:

FΔt = mΔv

Questa non è altro che la legge, chiamata Teorema dell'impulso, stabilente l'equivalenza tra la variazione della quantità di moto di un corpo (mΔv) e l'impulso (FΔt).
Sfruttando la definizione di quantità di moto, si può scrivere una forma più generale della seconda legge di Newton:

F = dp/dt

dove il simbolo dp rappresenta ovviamente la derivata della quantità di moto, in funzione del tempo dt.
Tale relazione si può utilizzare sia nel caso la massa risulti costante, sia se non lo fosse.
La quantità di moto e l'impulso sono grandezze fisiche importanti per quanto concerne gli urti.
È necessario specificare che la formula FΔt = mΔv ha senso solo se, nell'intervallo Δt, la forza F si mantiene costante.
Se F fosse variabile (in direzione, verso e modulo, visto che è una grandezza vettoriale!), allora risulta necessario calcolare l'impulso in moltissimi (infiniti) intervalli di tempo in cui la forza si può considerare costante e poi sommare vettorialmente tutti questi contributi.
Comunque, quali sono le relazioni dell'impulso e della quantità di moto con gli urti?
Riprendendo la relazione FΔt = mΔv, con un semplice passaggio troviamo che:






Pertanto, a parità di quantità di moto, quanto più grande è il tempo Δt in cui avviene l'impatto, tanto più piccola risulta la forza dell'urto.
Di conseguenza, quanto è più piccolo Δt, tanto più grande sarà F.
La forza dell'impatto (urto) è quindi inversamente proporzionale all'intervallo di tempo Δt.
Il suddetto principio viene applicato nel cercare di minimizzare l'urto fra 2 automobili: infatti, gli airbag hanno proprio lo scopo di cercare di diminuire più lentamente la quantità di moto del passeggero che si trova a bordo.
In altre parole, servono ad aumentare il tempo dell'impatto, in modo che la forza d'urto sia minore.
Oppure, quando cadiamo, applichiamo lo stesso principio se ci piegamo sulle gambe: minimizziamo l'urto.
Risulta ovvio il fatto che l'urto si può anche massimizzare: gli atleti che praticano arti marziali, per rompere tavolette di legno, ad esempio, cercano di dare un colpo secco e veloce, in modo che la forza d'urto sia più intensa.
La fisica sta dappertutto, anche nelle cose che sembrano non abbiamo nulla a che fare con essa!
Ora, dopo queste divagazioni sulla fisica (valide certamente anche in montagna), precisamente sulla meccanica (newtoniana) classica, ritorniamo alla questione di partenza: la pressione sulla montagna.
Ci eravamo fermati descrivendo l'esperimento di Evangelista Toricelli, che era riuscito a produrre del vuoto all'interno del tubo.
L'altro aspetto interessante del suo esperimento è il fatto che si alzasse una colonnina di mercurio alta 76 cm sopra il livello della bacinella.
L'ipotesi dello scienziato fu che la forza che sostiene il mercurio non dovesse essere ricercata all'interno del vaso, ma esternamente, nel peso esercitato dall'aria sulla superficie libera del liquido (mercurio).
Il peso dell'aria controbilanciava quello del liquido.
Ciò che aveva compiuto Torricelli non era soltanto creare il "vuoto", ma misurare pure quella che noi chiamiamo pressione atmosferica.
Ergo, la pressione dell'atmosfera al livello del mare è la stessa pressione che eserciterebbe una colonnina di mercurio alta 76 centimetri, o una colonna d'acqua di circa 11 metri!
Sorge spontanea una domanda: perché per bilanciare la pressione atmosferica ci vuole una colonna d'acqua alta la bellezza di 11 metri, mentre per il mercurio bastano 76 cm?
Ebbene, la densità del mercurio è circa 13,6 volte maggiore di quella dell'acqua e ciò fa sì che la colonnina di mercurio risulti 13,6 volte più bassa di quella dell'acqua!
Sussiste appunto una proporzione che mette in relazione le altezze e le densità dei suddetti liquidi:




Applicando la nota proprietà delle proporzioni, ossia quella che afferma: "il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi", possiamo ricavare l'altezza dell'acqua:








Inserendo i valori dell'altezza (76 cm) e densità del mercurio, e della densità dell'acqua, otteniamo che l'altezza della colonna d'acqua è pari a 10,336 m, quasi 11 m. CVD!
Riporto la splendida descrizione inerente la pressione atmosferica presente nel libro Nulla di Frank Close:

"Al livello del mare l'atmosfera preme su di noi con una forza di circa un chilogrammo su ogni centimetro quadrato, cioè 10 tonnellate ogni metro quadrato. Una famosa dimostrazione di quanto possa essere potente l'aria fu condotta da Otto von Guericke, per 30 anni borgomastro di Magdeburgo e scienziato con un chiaro talento per la divulgazione. Nel 1654 allestì il suo "spettacolo del vuoto" con tanto di 16 cavalli, 2 emisferi cavi di bronzo dal diametro di circa un metro e l'aiuto dei vigili del fuoco della città. I 2 emisferi furono fatti aderire l'uno contro l'altro, così da ottenere una sfera. Von Guericke mostrò al pubblico che era tanto facile unirli quanto separarli. Con un senso dello spettacolo degno di un prestigiatore, invitò il pubblico a confermare quanto fosse facile dividere i 2 emisferi. Dopodiché il vero spettacolo ebbe inizio. Una pompa pneumatica, gentilmente fornita dai vigili del fuoco di Magdeburgo, venne collegata a una valvola in uno dei 2 emisferi, e l'aria fu aspirata. Dopo qualche minuto von Guericke annunciò che tutta l'aria era stata eliminata; la valvola venne chiusa, la pompa scollegata e portata via, e il pubblico fu invitato a separare i 2 emisferi. Nessuno ci riuscì. A rendere la cosa ancora più teatrale - ed è soprattutto per questo che l'evento viene ricordato - a ciascun emisfero vennero legati 8 cavalli. I libri a questo punto si limitano a raccontare che i 2 gruppi di cavalli si misero a tirare nelle 2 direzioni opposte e che gli emisferi non si staccarono. In realtà le cose andarono un po' diversamente: ognuno dei 16 cavalli la pensava a modo suo e tirò dove gli andava. Ci vollero una mezza dozzina di tentativi prima che von Guericke riuscisse a convincere i 2 gruppi a tirare in direzioni opposte con tutta la loro forza, e comunque gli emisferi si rifiutarono di staccarsi. Alla fine von Guericke aprì la valvola, l'aria cominciò a rifluire e i 2 emisferi si staccarono senza difficoltà.
Nell'esperimento di von Guericke, quando viene eliminata l'aria contenuta all'interno della sfera, tutto il peso dell'atmosfera preme sull'esterno di questa con una forza di 10 tonnellate per metro quadrato, mentre all'interno non c'è nulla a compensare questa pressione. Il bronzo era abbastanza resistente da evitare il collasso, ma neppure 2 squadre di 8 cavalli bastarono a fornire le tonnellate di forza necessaria a vincere la pressione esterna."

Adesso, a seguito di questa interessante trattazione sulla pressione, rispondiamo alla domanda iniziale dell'articolo, ossia, perché in montagna (in altri termini, con l'altezza) la pressione diminuisce?
La risposta è molto semplice: siccome la pressione è il risultato delle molecole d'aria dell'atmosfera (avente estensione limitata) che pesano una sull'altra, quando saliamo in quota, sussistono meno molecole d'aria che pesano su di noi e conseguentemente la pressione dimuisce.
Più saliamo in alto, meno è la pressione esterna che sussiste.
Il fenomeno opposto avviene in mare: se noi scendiamo in profondità, sotto il livello del mare, la pressione aumenta sempre di più.
Più precisamente, ogni 10 metri di profondità si va ad aggiungere una pressione extra che vale quanto quella dell'atmosfera!
La pressione presenta numerose unità di misura con cui può essere valutata quantitativamente:
  • pascal (Pa): prende il nome da Blaise Pascal ed è l'unità di misura ufficiale del S.I. Un pascal equivale a un newton al metro quadro (N/m²);
  • bar: 1 bar = 10⁵ Pa;
  • atmosfera: 1 atm = 1,013 · 10⁵ Pa;
  • torricelli: 1 torr = 1 mmHg = 133,3 Pa
Ovviamente, esistono multipli e sottomultipli di tali unità di misura, come l'ettopascal o il millibar.
Un altra caratteristica della montagna è il fatto che generalmente fa freddo.
Ma che cos'è il freddo?
In fisica, quando definiamo freddo un corpo, stiamo affermando che gli atomi situati al suo interno si muovono meno freneticamente (cioè possiedono meno energia cinetica) rispetto ad un altro corpo più caldo.
Quando mettiamo a contatto un corpo più caldo con un meno caldo, si genera un trasferimento di calore (o energia) dal corpo più caldo a quello più freddo.
In altre parole, i 2 corpi tendono a raggiungere l'equilibrio termico, cioè la stessa temperatura.
Ciò che si può definire il "freddo massimo in assoluto" è la famosa temperatura detta zero assoluto, equivalente a -273,15 °C.
In accordo con la terza legge della termodinamica, esso non è raggiungigibile con un numero di trasformazioni finite.
Tuttavia, gli scienziati, sono riusciti ad andarci vicinissimo con esperimenti in laboratorio.
Lo zero assoluto è uno stato in cui movimento (vibrazione) degli atomi viene quasi proprio a mancare, anche se, come spiega Richard Feynman nelle sue famose Lectures on Physics:

"Benché il ghiaccio abbia una forma cristallina "rigida", la sua temperatura può cambiare - il ghiaccio contiene calore. Se vogliamo, possiamo cambiarne la quantità di calore. Cos'è il calore nel caso del ghiaccio? Gli atomi non stanno fermi. Essi si agitano e vibrano. Così, anche se vi è un ordine definito nel cristallo - una struttura definita - tutti gli atomi vibrano "sul posto", mentre aumentiamo la temperatura essi vibrano con ampiezza sempre maggiore finché a forza di agitarsi si spostano. Noi chiamiamo ciò fusione. Quando abbassiamo la temperatura, la vibrazione diminuisce sempre di più finché, allo zero assoluto, vi è un minimo di vibrazione che gli atomi possono avere, ma non zero. Questo minimo di moto che gli atomi possono avere, non è sufficiente per fondere una sostanza con una sola eccezione: l'elio. L'elio diminuisce semplicemente i moti atomici quanto più può, ma anche allo zero assoluto vi è ancora un moto sufficiente a impedirgli di gelare. L'elio, anche allo zero assoluto, non gela, a meno che la pressione sia resa così forte da schiacciare gli atomi gli uni contro gli altri. Se aumentiamo la pressione possiamo farlo solidificare."

Dunque, non è mai molto corretto parlare di freddo; se vogliamo essere pignoli, dobbiamo parlare di minore calore o minore movimento (vibrazione) degli atomi.
Ergo, anche la neve, che riscontriamo in inverno (ma non solo), è caratterizzata da un certo calore!
È interessante notare come i cristalli di neve che si formano rappresentino molto spesso dei perfetti esempi di frattali, forme geometriche che si ripetono nella medesima maniera su differenti scale.

 
















L'analogo di questa situazione lo riscontriamo con il concetto di buio.
In fisica, è meglio parlare di assenza di luce.
Infatti, un buco nero appare "nero" (cioè non risulta visibile) in quanto risucchia anche la luce, e quindi non può essere osservato direttamente, ma solo attraverso gli effetti gravitazionali che esercita sugli oggetti circostanti.
Tirando le fila del discorso, abbiamo analizzato alcuni fenomeni e grandezze fisiche fondamentali che riscontriamo in montagna, soffermandoci soprattutto sulla pressione, ma visto che la fisica è onnicomprensiva, non sono mancati collegamenti con i concetti di atomo, buco nero, vuoto, calore, ecc. e la descrizione di leggi fondamentali della meccanica classica.
Vorrei concludere la trattazione riportando alcuni brani musicali inerenti la montagna:











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