lunedì 27 settembre 2010

"DIO NON GIOCA A DADI CON L'UNIVERSO": RELATIVITÀ GENERALE VS MECCANICA QUANTISTICA

"Dio non gioca a dadi con l'Universo": questa celebre affermazione esclamata da Albert Einstein in una lettera del 4 dicembre 1926, indirizzata a Niels Bohr, ci rivela il contrasto dello scienziato tedesco con una particolare branca della fisica (la Meccanica Quantistica), che era in procinto di svilluparsi, mentre il genio tedesco, da solo, stava elaborando la teoria della Relatività Ristretta (o Speciale) prima, e la Relatività Generale, dopo.
Detto ciò, prenderemo in analisi, Relatività Generale e Meccanica Quantistica, le 2 più importanti teorie della fisica del XX secolo, confrontandole, illustrando la loro nota incompatibilità e un modello che cerca di unificarle coerentemente (la Teoria delle Stringhe).
Albert Einstein, probabilmente il più grande scienziato del XX secolo, nel corso delle sue giornate passate all'Ufficio Brevetti di Berna, ha elaborato una sua personale teoria che si prefigurava come un vero e proprio "sorpasso" nei confronti della fisica newtoniana, ritenuta fino ad allora il capisaldo di questa disciplina.
Einstein, nel 1905, il suo famoso "Annus Mirabilis" redasse ben 3 articoli pubblicati sulla prestigiosa rivista tedesca "Annalen der Physik":

1) il primo, risalente al mese di marzo: trattava il tema dell'effetto fotoelettrico, che poi sarà quello che porterà lo scienziato a ricevere il Premio Nobel per la Fisica nel 1921;
2) il secondo, pubblicato a maggio, riguardava lo studio del moto browniano;
3) il terzo, risalente al mese di giugno, rappresenta il suo capolavoro: il "Saggio sull'elettrodinamica dei corpi in moto", cioè la teoria della Relatività Ristretta (o Speciale).

Il concetto di "relatività" in fisica non rappresentava qualcosa di completamente nuovo ed originale, prima della venuta di Einstein: infatti, sembra che persino Ipazia di Alessandria, matematica e astronoma greca del IV-V secolo d.C., avesse intuito il principio di relatività, introdotto poi da Galileo Galilei: "le leggi della meccanica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali".
In altre parole, non è possibile distinguere con esperimenti meccanici 2 sistemi inerziali in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro.
Non esiste quindi un sistema di riferimento assoluto, privilegiato, ma esistono, al contrario, tanti sistemi inerziali, indistinguibili fisicamente l'uno dall'altro, ossia del tutto equivalenti nel descrivere il comportamento di un sistema fisico.



Ritornando brevemente sulla figura di Ipazia, bisogna affermare che ella fu autrice di autorevoli commenti a Diofanto, Tolomeo e Apollonio e fu, inoltre, un'ardente ammiratrice della cultura pagana.
Proprio a causa di quest'ultima passione, la scienziata si attirò l'odio di una plebaglia fanatica di cristiani, per mano dei quali trovò una crudele e deplorevole morte nel marzo del 415 d.C.
Addirittura la profonda impressione che suscitò ad Alessandria la sua morte, indusse alcuni ad assumere tale anno per contrassegnare la fine della matematica antica.
Ritornando alla relatività e, in particolare, ad Albert Einstein, è necessario affermare che Einstein riprese il principio di relatività galileiana e lo ampliò, estendendolo a tutte le branche della fisica e non soltanto la meccanica.
Riporto l'introduzione del celebre articolo di Einstein, dove il fisico stesso spiega questo concetto:

"È noto che l’elettrodinamica di Maxwell - come la si interpreta attualmente - nella sua applicazione ai corpi in movimento porta a delle asimmetrie, che non paiono essere inerenti ai fenomeni. Si pensi per esempio all’interazione elettro-magnetica tra un magnete e un conduttore. I fenomeni osservabili in questo caso dipendono soltanto dal moto relativo del conduttore e del magnete, mentre secondo l’interpretazione consueta i due casi, a seconda che l’uno o l’altro di questi corpi sia quello in moto, vanno tenuti rigorosamente distinti. Se infatti il magnete è in moto e il conduttore è a riposo, nei dintorni del magnete esiste un campo elettrico con un certo valore dell’energia, che genera una corrente nei posti dove si trovano parti del conduttore. Ma se il magnete è in quiete e si muove il conduttore, nei dintorni del magnete non esiste alcun campo elettrico, e si ha invece nel conduttore una forza elettromotrice, alla quale non corrisponde nessuna energia, ma che - a parità di moto relativo nei due casi considerati - dà luogo a correnti elettriche della stessa intensità e dello stesso andamento di quelle alle quali dà luogo nel primo caso la forza elettrica. Esempi di tipo analogo, come pure i tentativi andati a vuoto di constatare un moto della terra relativamente al “mezzo luminoso” portano alla supposizione che il concetto di quiete assoluta non solo in meccanica, ma anche in elettrodinamica non corrisponda ad alcuna proprietà dell’esperienza, e che inoltre per tutti i sistemi di coordinate per i quali valgono le equazioni meccaniche debbano valere anche le stesse leggi elettrodinamiche e ottiche, come già è dimostrato per le quantità del prim’ordine. Assumeremo questa congettura (il contenuto della quale nel seguito sarà chiamato “principio di relatività”) come postulato".

Einstein, nel suo articolo introduce anche un secondo postulato fondamentale, che ci specifica il fatto che la velocità della luce nel vuoto si propaghi sempre con una velocità determinata, ossia 299.792.458 m/s, e che tale velocità non può essere assolutamente superata.
Einstein introduce poi anche la sua famosa equivalenza E = mc², la quale stabilisce che una piccola quantità di massa si può trasformare in una gigantesca quantità di energia: principio alla base delle reazioni nucleari.
Dunque, con questa teoria, Einstein cambia letteralmente il modo di percepire la fisica, scontrandosi anche con il "pilastro" rappresentato da Newton.
Per far capire il perchè di questo scontro, si può fare un esempio banale: se un uomo che corre lancia una pallina a un altro individuo che la dovrà ricevere, quest'ultimo percepirà, in accordo con le leggi di Newton al riguardo della meccanica classica, la velocità del corpo sferico come la somma tra la velocità dell'uomo in corsa e della velocità impressa dal lancio.
Tutto questo, però, non ha più senso se diciamo che l'uomo in corsa non lancia più una pallina ma invia, invece, un segnale luminoso.
In tal caso non è più possibile sommare la velocità della corsa dell'individuo a quella del segnale luminoso, perchè quest'ultimo si muove già alla velocità limite (quella della luce).
Pertanto, il ricevente del segnale luminoso percepirà la velocità di esso uguale a quella che esso avrebbe avuto, nel caso in cui il segnale fosse stato inviato da fermo e non in movimento.
Un altro capisaldo che Einstein fa letteralmente crollare è la concezione assoluta di spazio, tempo e moto.
Per Einstein, non ci si muove in assoluto, ma sempre rispetto a qualcosa, altrimenti il concetto stesso di moto non avrebbe senso.
Un importante precursore degli studi di Einstein, è rappresentato dal fisico austriaco Ernst Mach (1838-1916), il quale si cimentò nella risoluzione di questo pungente interrogativo: se ci si trova seduti su un treno fermo all'interno di una stazione e, ad un tratto, si vede un vagone sul binario accanto al nostro allontarnarsi, è molto difficile stabilire se è il nostro treno che sta partendo oppure l'altro che sta arrivando.
La domanda a cui Mach cerca di dare una risposta è: esiste un metodo per stabilire con certezza quale dei 2 sia effettivamente in movimento?
Mach, come Einstein (a dir la verità, prima di Einstein), non concordava con la visione di Newton dello spazio inteso come assoluto, ossia come un insieme di coordinate (possiamo immaginarcelo come un foglio di carta millimetrata) che permettavano di descrivere qualunque moto in termini di spostamenti rispetto a tale griglia.
Mach affermava, a questo proposito, che, considerato che una palla rotola allo stesso modo sia in Francia che in Australia, la griglia spaziale pensata da Newton è irrilevante.
L'unica cosa che può veramente influenzare il suo moto è la gravità: per tale motivo sulla Luna, la stessa palla può rotolare in modo differente, a causa della minore forza gravitazionale a cui è sottoposta sul satellite del pianeta Terra.
Dato poi che ogni corpo dell'Universo attrae tutti gli altri, ciascun corpo celeste sentirà la loro presenza per mezzo dell'attrazione reciproca (anche se non va trascurata l'energia oscura, che tende ad opporsi alla gravità e sta facendo allontanare le galasssie in maniera sempre più netta e veloce).
Per Mach, quindi, il moto deve dipendere dalla distribuzione della materia, ossia dalla sua massa, non dalla proprietà dello spazio in sé.
Dobbiamo ricordare comunque che, Newton, nonostante propendesse per l'idea di uno spazio assoluto, è proprio colui che scoprì l'azione della forza gravitazionale, la quale dipende dalla massa dei corpi e dalla loro distanza, e capì inoltre che la stessa forza che attrae una mela al suolo sulla Terra è anche quella che fa girare la Luna intorno alla Terra, e tutti i pianeti intorno al Sole.
Ciò sta a significare che la Terra attrae la mela al suolo grazie alla sua grande massa, ma questo, comunque, non annulla l'effetto gravitazionale, seppur trascurabile, della mela sulla Terra.
Ogni corpo dell'Universo, per quanto piccolo e distante, esercita sempre una minuscola attrazione gravitazionale in grado di influenzare leggermente tutti gli altri corpi.
Per comprendere la relazione che sussiste tra gli oggetti e il loro moto, Newton pensò alla rotazione di un secchio pieno d'acqua.
All'inizio, quando il secchio inizia a ruotare, l'acqua rimane ferma, anche se il recipiente che la contiene è in moto.
In seguito, però, comincia a ruotare anche l'acqua: la sua superficie si abbassa e il liquido tenta di fuoriuscire dal contenitore risalendone le pareti, ma viene mantenuto all'interno dalla forza di contenimento (forza centrifuga) del secchio.
Newton allora affermò che la rotazione dell'acqua poteva essere spiegata attraverso un sistema di riferimento fisso nello spazio assoluto, rispetto alla sua griglia.
Possiamo comprendere se il secchio sta ruotando anche solo guardandolo, poiché riusciamo a vedere le forze che generano una concavità sulla superficie dell'acqua, che assume una forma detta paraboloide di rotazione.
Mach riprese il ragionamento di Newton, ma lo inserì in una condizione molto particolare: infatti si chiese cosa accadrebbe se il secchio pieno d'acqua fosse l'unico oggetto dell'Universo?
Come potremmo affermare che è proprio quello a ruotare?
In tal caso non avremmo altrettanti motivi per affermare con certezza che è l'acqua a muoversi rispetto al secchio.
L'unico modo per avere le idee chiare su questa particolare situazione sarebbe quello di inserire nell'universo del secchio un altro oggetto (il muro di una stanza, una stella lontana, ecc.), in modo tale da capire che il secchio è effettivamente in movimento rispetto a quegli oggetti.
Ma se non consideriamo il riferimento di una stanza ferma o di una stella fissa, chi può dire se è il secchio o l'acqua che ruota?
Possiamo anche trasfigurare questa domanda ad un'altra circostanza: quando guardiamo il cielo con il Sole e le varie stelle, sono le stelle a ruotare oppure è la Terra?
Come possiamo stabilirlo?
Secondo Mach, per far sì che un movimento abbia senso (per noi), devono essere, per forza, presenti dei corpi esterni di riferimento.
Da ciò consegue che se l'Universo fosse privo di stelle, non potremmo stabilire che è la Terra che effettivamente ruota su se stessa.
Sono le stelle a dirci che stiamo ruotando rispetto a loro.
Tutto ciò che è stato detto, è stato denominato dallo stesso Einstein "principio di Mach".
Dettò ciò, Einstein, successivamente alla Relatività Speciale, compie un altro passo verso la comprensione del nostro Universo, ideando la ancor più importante Relatività Generale.

RELATIVITÀ GENERALE:

La Relatività Generale rappresenta il passo successivo e fondamentale instaurato da Einstein: con essa il fisico riesce a spiegare la natura della gravità, impresa che Newton non riuscì a compiere, in quanto è vero che ha illustrato come la gravità agisce con la sua Legge di Gravitazione Universale, ma l'essenza di questa forza rimaneva ancora sconosciuta, fino all'arrivo di Einstein.
Tale innovativa teoria fu pubblicata dallo scienziato nel 1916, sempre sulla rivista
"Annalen der Physik", con un articolo dal titolo "I fondamenti della teoria della relatività generale".
La denominazione "generale" viene utilizzata da Einstein per distinguerla dalla Relatività Ristretta.

Andiamo al punto cruciale della questione: come spiega Einstein la natura della gravità?
Il fisico intanto introduce il concetto di spazio-tempo: quelle 2 grandezze (spazio e tempo) che un tempo venivano considerate distaccate, vengono fuse dallo scienziato in un unico concetto.
Dunque si prefigura una realtà formata da 4 dimensioni (3 spaziali e 1 temporale) strettamente concatenate.
Dopodiché Einstein passa a definire la gravità come curvatura dello spazio-tempo: per capire tale concetto, immaginiamoci un telo di gomma su cui posiamo una grande sfera.

Questa sfera formerà così una distorsione (curvatura) nel telo di gomma.

A questo punto, se posizionassimo una pallina più piccola su tale telo, essa inizierebbe a girare intorno alla sfera più grande per effetto della curvatura creatasi.

Ecco spiegato il moto dei pianeti intorno al Sole.
La nostra stella crea così una profonda curvatura nel tessuto spazio-temporale, che permette ai vari pianeti di orbitare intorno ad essa; a loro volta i pianeti creano ulteriori curvature che consentono ai loro vari satelliti naturali di girare attorno ad essi.

Con tale idea, cade l'affermazione di Newton sulla gravità vista come una corda invisibile che lega i pianeti al Sole e li mantiene sulla loro orbita.
A tutto questo va aggiunto il concetto del limite rappresentato dalla velocità della luce.

Infatti, poniamo il caso che il Sole scompaia all'improvviso: si vengono a realizzare 2 scenari diversi:


1) per Newton: l'effetto della non presenza della forza gravitazionale del Sole sui pianeti, poterebbe questi ultimi immediamente fuori orbita;
2) per Einstein: bisogna considerare il fatto che l'effetto gravitazionale si propaga alla velocità della luce, limite invalicabile. Dettò ciò sulla Terra, ad esempio, per avvertire l'effetto della scomparsa del Sole, sarebbero necessari circa 8 minuti, ossia il tempo impiegato da un corpo che si muove alla velocità della luce per raggiungere la Terra dal Sole.


Da tutto ciò deduciamo che le convinzioni della fisica classica vengono del tutto sradicate (e ancora non siamo entrati nel mondo quantistico!).

L'equazione fondamentale della Relatività Generale è la cosiddetta "equazione di campo di Einstein":




Tale equazione correla una descrizione dettagliata dello spazio-tempo, con l'entità e la posizione delle sue curvature, alla distribuzione di materia ed energia nel suo interno.

Il primo membro dell'equazione descrive in maniera sublime lo spazio-tempo, come una mappa fornisce informazioni sulla topografia di una data regione.
Il secondo membro, invece, specifica la posizione di tutta la materia e l'energia esistenti.
Traslando i simboli matematici (il linguaggio puro e meraviglioso in cui si esprime l'Universo) in semplici parole (il nostro linguaggio quotidiano), questa equazione diventa:


curvatura dello spazio-tempo ⇔ distribuzione di materia ed energia.

Dunque, lo spazio è curvato da materia ed energia, e allo stesso tempo, materia ed energia si muovono in funzione della curvatura dello spazio.
Per completare il quadro della Relatività Generale, bisogna svolgere un breve excursus sul ruolo delle geometrie non euclidee in questa teoria.
La geometria di Euclide, il grande matematico dell'antichità che ha scritto i famosi Elementi, rappresenta un modello di geometria perfetto per il mondo quotidiano.
Ma quando entriamo nella prospettiva dello spazio-tempo curvato previsto da Einstein, questa tipologia di geometria diventa inefficace e c'è bisogno di ulteriori modelli di tale disciplina, che vengono appunto denominati geometrie non euclidee.
Esse nascono dalla confutazione del celebre V postulato di Euclide, il quale afferma, in parole semplici, che data una qualsiasi retta r ed un punto P non appartenente ad essa, è possibile tracciare per P una e una sola retta parallela alla retta r data.
Nei primi decenni dell'Ottocento diversi matematici scoprirono che è possibile costruire nuove teorie geometriche andando a modificare il V postulato di Euclide.
Si può visualizzare uno spazio non euclideo in 2 dimensioni considerando la superficie di una sfera.
Però è necessario "dimenticare" che la sfera è immersa nello spazio euclideo tridimensionale: bisogna pensare che la sua superficie è tutto ciò che esiste.
In un simile spazio occorre definire cosa sia una "retta".
Per retta (passante per esempio per i punti A e B) intendiamo quella linea che è una circonferenza massima, ossia una circonferenza ottenuta intersecando la sfera con un piano che passa per il centro della sfera stessa.
Tale scelta è motivata dal fatto che un "segmento" di tale retta rappresenta la linea (tutta appartenente alla sfera) di minima lunghezza che congiunge A e B.
Considerando "l'universo geometrico" come una sfera, non esistono più rette parallele a una retta data, condotte per un punto esterno a essa.
Inoltre, 3 rette intersecandosi determinano un triangolo.
Tuttavia, tale triangolo non presenta una somma degli angoli interni pari a 180° (come accade nella geometria euclidea) bensì maggiore di un angolo piatto.
Abbiamo appena presentato un esempio di geometria sferica o ellittica, introdotta da Bernhard Riemann.
Ma esistono anche le geometrie iperboliche (introdotte da Lobacevskij e da Bolyai), nelle quali, data una retta e un punto esterno ad essa, passano infinite parallele alla retta iniziale.
Inoltre, possiamo immaginare come base di questa tipologia di geometria, la forma di una sella: qui la somma degli angoli interni di un qualsiasi triangolo è minore di 180°.
Tirando le fila del discorso sulla relatività, essa ci permette di avere una concezione più precisa dei fenomeni che caratterizzano l'Universo a livello macroscopico, ossia a livello astronomico (galassie, stelle, pianeti, fino ad arrivare anche a livello dell'uomo stesso), rispetto al modello newtoniano, che comunque rimane estremamente utile.
La caratteristica che bisogna sottolineare della relatività, sia ristretta che generale, come di tutta la fisica classica (meccanica, fluidodinamica, ottica, ecc,) è quella precisione nel fornire leggi "deterministiche", che ci permettono di conoscere, ad esempio, la posizione, la velocità dei pianeti, ecc.
Il termine "deterministico" è di particolare importanza in quanto verrà radicalmente stravolto dall'altra grande teoria fisica del XX secolo: la Meccanica Quantistica.

MECCANICA QUANTISTICA:

Se il mondo accademico era rimasto scioccato dalla teoria della relatività di Einstein, per le sue concezioni che distruggevano in un certo qual senso alcune posizioni prese da Newton, con l'avvento della Meccanica Quantistica, sembra di entrare in un mondo fatto non di scienza, bensì di fantascienza!
Questa branca della fisica si potrebbe definire bizzarra, stravagante, assurda, ai limite del pensabile, qualcosa che non si riesce a comprendere intuitivamente.
È ancora più assurdo ed eclatante pensare che Einstein, che era stato uno dei maggiori oppositori di tale modello teorico, in realtà abbia aiutato non poco al suo sviluppo.
Colui che è considerato il padre fondatore di tale teoria è Max Planck, il quale, nel 1900, ha ammesso che l'energia della luce e di tutte le altre forme di radiazione elettromagnetica potesse essere emessa e assorbita soltanto in frammenti, "confezionati" in vari formati, denominati quanti.
Il quanto di energia rappresentava una rottura radicale con l'idea assunta dalla fisica classica, secondo cui l'energia veniva emessa o assorbita in maniera continua, come l'acqua che scorre fuori da un rubinetto.
Einstein, nel 1905, utilizza l'ipotesi fatta da Planck sulla quantizzazione dell'energia scambiata tra atomi e radiazione elettromagnetica, per spiegare le leggi sperimentali dell'effetto fotolettrico.
Secondo Einstein la radiazione elettromagnetica è composta, come ha detto Planck, da singoli pacchetti di energia, i quanti del campo elettromagnetico, che vennero poi chiamati fotoni.
Ogni fotone possiede massa nulla e trasporta un'energia E direttamente proporzionale alla sua frequenza f.
Sempre secondo il padre della Relatività Generale, la costante di proporzionalità in questa relazione non è altro che la costante di Planck h: la relazione in questione è: E = hf.
Per precisione, la costante di Planck, vale:


Pertanto, come già affermato, Einstein si accosta in maniera netta alla meccanica quantistica, anzi, nei primi tempi, non si scontra con essa: successivamente però, le cose cambiano, con l'entrata in scena di fisici come Niels Bohr, Werner Heisenberg, Erwin Schrödinger e molti altri.
Costoro raccolsero i frutti del lavoro di Planck e di Einstein e diedero vita nell'arco di circa un decennio (gli anni '20 del XX secolo) alla teoria dei quanti, con le sue implicazioni bizzarre.
La Meccanica Quantistica si presenta come la teoria in grado di spiegare le leggi che dominano il mondo subatomico.
Una prima considerazione importante è che la meccanica dei quanti presenta un'implicazione rivoluzionaria sulle proprietà delle particelle elementari presenti in natura: esse, infatti, non si presentano solo come corpuscoli, o soltanto come onde; in realtà sussiste un dualismo onda-corpuscolo, per il quale tali particelle sono al tempo stesso sia onde che particelle, ossia si presentano in una di queste forme a seconda dell'esperimento alle quali vengono sottoposte.
Tale proprietà è in accordo, ad esempio, con il noto esperimento di Young delle 2 fessure o fenditure: questo esperimento e le sue implicazioni sono riassunte in maniera eccelsa da questo video:



Visionando tale filmato si percepisce, oltre al concetto di dualismo onda-corpuscolo, anche un fatto eccezionale: nel mondo della meccanica quantistica, anche il solo misurare o osservare il fenomeno attraverso un rilevatore, influenza in maniera non trascurabile l'esperimento stesso: assurdo!
Dal filmato si capisce che se il fotone, prima di essere posto un rilevatore dietro una fessura, si comportava come un'onda, dopo aver inserito tale oggetto, si comporta come materia: possiamo quasi affermare, come pensava il filosofo padre dell'Idealismo Fichte, che siamo noi (quello che il filosofo denominava Io puro) che creiamo la realtà circostante (il non-Io).
Se non ci fosse stato l'intervento dell'uomo, l'esperimento avrebbe prodotto un pattern di interferenza e il fotone, dunque, sarebbe stato considerato come un'onda, ma la nostra influenza, ha fatto sì che il fotone si manifestasse come una particella!
Questo dimostra che la Meccanica Quantistica è pazza, è assurda, non è qualcosa che rientra negli schemi tradizionali della nostra conoscenza.
Ma non è finita qui: nel 1927 Werner Heisenberg enuncia il suo celebre principio di indeterminazione (più conosciamo il dato della velocità di una particella, meno sappiamo quello sulla sua posizione), con il quale pone che la realtà, a livello microscopico, è dominata dalla probabilità, dal caso e pertanto non è deterministica.
Questo concetto si ritrova anche nella struttura dell'atomo: non bisogna più immaginarlo come un "mini sistema solare", con le orbite delle particelle precise e determinabili, ma dobbiamo osservarlo secondo la prospettiva quantistica: l'elettrone si muove attraverso una nuvola elettronica, detta orbitale, che è la zona dove si ha oltre il 90% di probabilità di scovare la particella.
Da ciò sussegue che è vero che è molto probabile che l'elettrone circoli nell'orbitale, ma non c'è la certezza assoluta (quella che contraddistingueva le leggi della fisica classica e anche della relatività di Einstein) di trovarlo lì.
Ecco perché lo stesso Einstein affermava che "Dio non gioca a dadi con l'Universo": il fisico non riusciva ad accettare che le leggi che regolano il mondo microscopico siano dominate dalla probabilità.
Questo video, tratto dal documentario "L'Universo Elegante", a sua volta basato sul celebre libro omonimo del fisico teorico Brian Green, riassiume in maniera sublime, in poco più di 6 minuti, questi particolari della Meccanica Quantistica:



Riporto anche un'interessante frammento tratto dal prologo del testo "Quantum" di Manjit Kumar:

"Paul Ehrenfest era in lacrime. Aveva preso la sua decisione. Di lì a poco avrebbe partecipato alla settimana di discussione in cui molti degli ideatori della rivoluzione quantistica avrebbero cercato di comprendere il significato di ciò che avevano fatto. Là avrebbe dovuto dire al vecchio amico Albert Einstein che aveva scelto di schierarsi con Niels Bohr. Ehrenfest, austriaco, professore di fisica teorica dell'Università di Leida in Olanda, era convinto che il mondo degli atomi fosse proprio strano e inafferabile come sosteneva Bohr. Su un biglietto passato ad Einstein mentre sedevano attorno al tavolo del congresso, Ehrenfest scarabocchiò: "Non ridere! Nel purgatorio c'è una zona speciale per i professori di teoria quantistica, dove saranno costretti ad ascoltare lezioni di fisica classica per dieci ore al giorno". "Rido soltanto della loro ingenuità" rispose Einstein. "Chissà chi riderà ultimo tra qualche anno". Per lui non c'era niente da ridere, perché in questione c'erano la realtà e l'anima della fisica".


Einstein aveva torto: "Dio" gioca a dadi con l'Universo, visto che la teoria dei quanti ha superato numerosi esperimenti e costituisce, molto probabilmente, il più importante modello fisico assodato sulla natura della realtà fisica.
Non si può concludere la trattazione della Meccanica Quantistica senza citare i contributi di Erwin Schrödinger, celebre per 2 cose in particolare:

1) l'equazione di Schrödinger: descrive qual è la probabilità che una particella si trovi in un certo luogo pur comportandosi come un'onda;
2)il paradosso del "gatto di Schrödinger": lo scienziato aveva ideato un esperimento mentale, una situazione ipotetica: ecco le parole dello stesso Schr
ödinger:

"Si possono anche costruire casi del tutto burleschi. Si rinchiuda un gatto in una scatola d'acciaio insieme con la seguente macchina infernale (che occorre proteggere dalla possibilità d'essere afferrata direttamente dal gatto): in un contenitore Geiger si trova una minuscola porzione di sostanza radioattiva, così poca che nel corso di un'ora fose uno dei suoi atomi si disintegra, ma anche in modo parimenti verosimile nessuno; se ciò succede, allora il contenitore lo segnala e aziona un relais di un martelletto che rompe una fiala con del cianuro. Dopo aver lasciato indisturbato questo intero sistema per un'ora, si direbbe che il gatto è ancora vivo se nel frattempo nessun atomo si fosse disintegrato. La prima disintegrazione atomica lo avrebbe avvelenato. La funzione Ψ dell'intero sistema porta ad affermare che in essa il gatto vivo e il gatto morto non sono stati puri, ma miscelati con uguale peso".

In parole semplici, il gatto è allo stesso tempo sia vivo che morto, concezione che per qualunque essere umano che non conosca la teoria quantistica, è fuori da ogni logica.
Tale esperimento ideale è stato pubblicato da Schrödinger in un articolo nel 1935, per confutare la cosiddetta "interpretazione di Copenaghen", sviluppata da Niels Bohr combinando l'equazione dello stesso Schrödinger con il principio di indeterminazione di Heinsenberg.
Bohr affermava che non esistono esperimenti isolati e che sono gli interventi dell'osservatore a determinare i risultati degli esperimenti quantistici.
Schrödinger era molto critico nei confronti di tale interpretazione, secondo la quale l'atto stesso di osservare il fenomeno influenzava il comportamento dell'oggetto osservato.
Dunque Schrödinger volle dimostrare tramite questo esperimento mentale che, basandosi sull'interpretazione di Copenaghen, il gatto doveva trovarsi in una sorta di limbo, ossia, come abbiamo detto, l'animale veniva a configurarsi come contemporaneamente vivo e morto, fino a quando non si osserva il risultato finale: un affermazione paradossale.
È necessario affermare che nel 1957, Hugh Everett cercò una soluzione a tale paradosso, introducendo il concetto dei molti mondi.
Everett disse che ogni volta che effettuiamo un'osservazione, registrando uno specifico risultato, si crea un nuovo universo: ciascun universo è identico agli altri tranne che per quell'unico aspetto che abbiamo visto cambiare.
Si crea dunque la situazione che il gatto potrebbe essere vivo in un universo, ma contemporamente, in universo parallelo, potrebbe essere morto.
Sembrano scenari da fantascienza più che da scienza, ma scienza rimane!
Tirando le fila del discorso, ci siamo accorti di quanto non sembri "normale" la teoria quantistica: essa compie una rivoluzione paragonabile alla Relatività Generale per quanto riguarda, però, il mondo microscopico.
Detto tutto questo, gli scienziati possiedono una teoria (la Relatività Generale) per studiare i fenomeni a livello macroscopico, e un'ulteriore (la Meccanica Quantistica), per capire l'Universo a livello subatomico.
Tuttavia, ci sono alcuni casi in cui è necessario utilizzare entrambe le teorie: pensiamo al caso dei buchi neri, corpi di massa estremamente grande (tanto da strappare il tessuto spazio-temporale) concentrati in un infinetesimale volume, aventi dunque densità infinita, oppure alle origini del Big Bang, dove tutta la materia era concentrata in un puntino più piccolo della capocchia di uno spillo.
Sorge però un problema, le 2 teorie risultano incompatibili tra di loro: questo è forse il principale problema che affligge la fisica moderna, il riuscire ad unificare tali teorie.
La principale candidata a superare questo scoglio è la nota Teoria delle stringhe.
Forse non ci sono parole migliori per spiegare la risoluzione di tale problema nella Teoria delle Stringhe, che quelle di Brian Green nel quinto e sesto capitolo del suo già citato libro "L'Universo Elegante":

"La relatività generale si applica abitualmente a scale astronomiche. In questi ambiti, la teoria di Einstein ci mostra che in assenza di massa lo spazio è piatto... Per tenere conto anche della meccanica quantistica, dobbiamo ora fare un drastico cambio di scala ed esaminare le proprietà microscopiche dello spazio... Tutto è soggetto alle fluttuazioni quantistiche inerenti al principio di indeterminazione, anche il campo gravitazionale. Secondo la fisica classica nello spazio vuoto il campo gravitazionale vale zero; ma per la meccanica quantistica questo è solo un valore medio: il valore reale oscilla su e giù per via delle fluttuazioni quantistiche. In più il principio di indeterminazione ci dice che queste oscillazioni aumentano man mano che concentriamo l'attenzione su regioni sempre più piccole di spazio. La natura non ama essere circondata: restringere lo spazio non fa che aumentare la frenesia dei cambiamenti. Poiché il campo gravitazionale si riflette nella curvatura, le fluttuazioni quantistiche si manifestano come distorsioni sempre più forti della forma dello spazio... John Wheeler ha battezzato con il termine schiuma quantistica questo guazzabuglio che si incontra nell'esplorazione ultramicroscopica dello spazio (e del tempo): è un mondo per nulla familiare, dove le nozioni convenzionali di destra e sinistra, avanti e indietro, sopra e sotto (e persino prima e dopo) perdono ogni significato. È a queste scale che incontriamo la incompatibilità di fondo tra relatività generale e meccanica quantistica: la nozione di geometria spaziale regolare, cardine della relatività generale, a scale molto piccole perde di senso a causa delle violente fluttuazioni quantistiche. Nel mondo ultramicroscopico i nuclei delle due teorie - il principio di indeterminazione e il modello geometrico dello spaziotempo - sono in conflitto diretto... I calcoli fatti tenendo conto sia delle equazioni della relatività generale sia di quelle della meccanica quantistica danno solitamente lo stesso, assurdo risultato: infinito... Il valore infinito è il modo in cui la natura ci dice che stiamo sbagliando di grosso. Le formule della relatività generale non riescono a domare la ribollente schiuma quantistica.... Se torniamo ad occuparci di scale più consuete, le oscillazioni anche più violente si cancellano l'una con l'altra e la geometria regolare dell'universo ritorna. È la stessa esperienza che si ha di fronte a una figura composta da migliaia di puntini: da lontano le singole particelle di colore si fondono e danno l'impressione di un'immagine normale, con transizioni armoniose tra una zona e l'altra in luminosità e forma.... Se vi avvicinate, però, vi accorgete che si tratta solo di un mucchio di puntini separati da spazi bianchi. La natura discreta dell'immagine è apprezzabile solo a distanza molto ravvicinata, mentre è del tutto invisibile se vi allontanate. La stessa cosa accade con la struttura dello spazio tempo, che sembra regolare e liscia se non la osservate con precisione ultramicroscopica. Ecco perché la relatività generale funziona bene su scale spaziali e temporali abbastanza grandi - come quelle rilevanti per le applicazioni astronomiche - ma diventa inconsistente a scale molto piccole... I principi fondamentali delle due teorie ci mettono in grado di calcolare approsimatamente la distanza sotto la quale il pernicioso disordine (provocato dalle fluttuazioni quantistiche) diventa manifesto. La piccolezza della costante di Planck - che governa l'intensità degli effetti quantistici - e la debolezza intrinseca della forza gravitazionale ci portano a un valore detto lunghezza di Planck, che è piccolo oltre ogni immaginazione: un milionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di centimetro (10ˉ³³ cm).... Per darvi un'idea della piccolezza, se un atomo fosse ingrandito fino alle dimensioni dell'universo, la lunghezza di Planck sarebbe più o meno quella di un albero. Quindi, l'incopatibilità tra relatività generale e meccanica quantistica si manifesta solo in regioni assai esoteriche dell'universo.... La scienza ha cercato in tutti i modi di modificare la relatività generale o la meccanica quantistica in modo da evitare problemi; ma per quanto brillanti e ingegnosi, tutti i tentativi sono andati a vuoto. Fino a quando non è stata scoperta la teoria delle superstringhe.... Nel 1988 David Gross e il suo studente Paul Mende, a Princeton, dimostrarono che aumentare l'energia di una stringa non migliora la capacità di sonda, al contrario di quanto accade per le particelle puntiformi. Più precisamente, tutto va bene fino al valore richiesto per sondare strutture grandi come la lunghezza di Planck; oltre questa soglia l'energia in più aumenta il potere risolutivo della stringa, ma la fa diventare più grossa (il che diminuisce le sue capacità di sonda). Se le fornissimo abbastanza energia - e stiamo parlando di valori al di là di ogni possibile immaginazione, valori simili a quelli liberati nel big bang, una stringa diventerebbe un oggetto macroscopico: una sonda del tutto inutile per il microcosmo! È come se una stringa, contrariamente a una particella, avesse due fonti di indeterminazione: l'agitazione quantistica e la sua estensione spaziale. Aumentare l'energia riduce la prima, ma fa intervenire pesantemente la seconda. In sintesi, non c'è modo di usare le stringhe per sondare i fenomeni che avvengono a scale inferiori alla lunghezza di Planck. Ma il conflitto tra relatività generale e meccanica quantistica nasce proprio a causa di ciò che avviene a queste scale! Se i costituenti elementari dell'universo non possono sondare ciò che avviene in dimensioni minori della lunghezza di Planck, allora non possono essere toccati dalle fluttuazioni quantistiche più violente.... Nella teoria delle stringhe non c'è modo di rivelare le "imperfezioni" della realtà più piccole della lunghezza di Planck: la nozione radicata secondo la quale non c'è limite alla finezza con cui possiamo dissezionare la natura si rivela falsa. C'è un limite preciso, che entra in gioco subito prima di incontrare i disastri provocati dalla schiuma quantistica. Quindi, in un certo senso possiamo affermare che la prevista agitazione estrema alle scale inferiori alla lunghezza di Planck non esiste.... Se supponiamo che la stringa sia il costituente più elementare dell'universo e che essa sia troppo grossa per accorgersi di un certo fatto, questo fatto non può essere misurato e dunque non esiste. Concludendo, secondo la teoria delle stringhe le violente irregolarità della trama spaziale alle scale inferiori alla lunghezza di Planck non esistono".

Da tale spiegazione capiamo che il contrasto tra le 2 branche della fisica più importanti del XX secolo viene colmato attraverso una proprietà intrinseca della stringa, che fa riferimento al limite rappresentato dalla lunghezza di Planck.
Non ci sono ancora prove che dimostrano l'assoluta validità della teoria delle superstringhe, ma se un giorno verranno fuori, si potrebbe innescare una rivoluzione paragonabile a quella già provocata dalla Relatività Generale e dalla Meccanica Quantistica, se non ancora più imponente e sconvolgente.