lunedì 30 settembre 2024

IL TEOREMA DI MARGHERITA E LA CONGETTURA DI GOLDBACH

"Il teorema di Margherita" è un film del 2023, recentemente divenuto gratuitamente disponibile per la visione sulla piattaforma RaiPlay.

Come il titolo lascia immaginare, al centro della vicenda c'è la matematica.
Non è ovviamente la prima volta che la matematica fa capolino sul grande schermo, si pensi ad esempio ad "A Beautiful Mind" (che racconta la vita del famoso matematico, premio Nobel per l'economia John Nash), a "Will Hunting - Genio ribelle" (il cui protagonista è un giovane prodigio della matematica che fa le pulizie al MIT), a "L'uomo che vide l'infinito" (incentrato sulla breve ma prolifica vita del genio indiano Ramanujan e del suo rapporto con un altro noto matematico, G.H. Hardy), ecc.
Insomma la matematica, seppur considerata notoriamente materia ostica ed arida, in realtà è in grado di mostrare tutto il suo fascino nel mondo cinematografico e non solo (abbiamo per esempio osservato in passato, cliccate qui, come la matematica faccia capolino nello splendido anime Banana Fish).
Ne "Il teorema di Margherita" si compie però, a mio avviso, un passo innovativo, ovvero c'è la possibilità di percepire con maggiore concretezza come lavora un vero matematico.
Chi di professione non fa il matematico (o comunque non è avvezzo ad un formalismo scientifico elevato) può tendere a sminuire la matematica ad un saper far di conto.
Sussistono infatti anche rappresentazioni cinematografiche che mostrano bambini in grado di effettuare mentalmente calcoli mostruosi, come ad esempio la seguente scena tratta dal film del 1991 intitolato "Il mio piccolo genio".


Tuttavia, quando parliamo della vera matematica che si discute all'interno delle università e delle scuole di eccellenza, non si lavora propriamente con cifre numeriche elevate, bensì con lemmi, congetture, teoremi e dimostrazioni, che possono spaziare negli innumerevoli settori specialistici in cui si è evoluta la matematica moderna.
Un'evoluzione così ampia nell'ultimo secolo che per trovare un matematico capace di contribuire in praticamente ogni branca esistente (un cosiddetto "matematico universalista") dobbiamo ancora riferirci a Poincaré (1854-1912) e von Neumann (1903-1957).
"Il teorema di Margherita" ci catapulta immediatamente nella realtà della giovane Marguerite Hoffmann (interpretata da Ella Rumpf, la quale è stata insignita per tale interpretazione dei premi César e Lumière come migliore promessa femminile), dottoranda in matematica all’École Normale Supérieure (ENS) di Parigi, con un'intervista. 
Marguerite è una ragazza incredibilmente intelligente ma molto riservata (infatti non sembra molto entusiasta di dover partecipare all'intervista), la cui vita, almeno fino a quel momento, risulta totalmente focalizzata sulla passione per la matematica.
Ricalca dunque, almeno all'inizio, un po' la visione stereotipata che si ha tipicamente di un genio della matematica.
Come una qualsiasi persona che decide di intraprendere l'arduo percorso del dottorato di ricerca, la sua ricerca si focalizza su un preciso tema tecnico, nel caso specifico il nocciolo della ricerca è costituito da questioni vicine alla famosa congettura di Goldbach, che ispirò tra le altre cose anche il romanzo "Zio Petros e la congettura di Goldbach" (1992) di Apostolos Doxiadis.
Viene puntualizzato sin dagli attimi iniziali della pellicola che si tratta di una congettura, cioè un enunciato matematico non dimostrato, e non di un teorema, ovvero un enunciato già dimostrato.
La suddetta congettura asserisce che "ogni numero pari maggiore di 2 può essere scritto come somma di due numeri primi" (che possono essere anche uguali).
Come potete constatare, l'enunciato è facilissimo, persino un bambino potrebbe coglierne il significato. E allora dove sta il problema? Il problema (un po' come per il famosissimo ultimo teorema di Fermat) sta nel dimostrare rigorosamente la veridicità di tale affermazione, cosa che nessuno fino ad ora è mai riuscito a fare! 
La congettura di Goldbach è stata formulata per la prima volta, nel 1742, in uno scambio epistolare tra Christian Goldbach e il più celebre Eulero (cliccate qui per un altro aneddoto che li riguarda).
In verità la suddetta congettura è spesso chiamata "congettura forte di Goldbach" giacché la sua dimostrazione implicherebbe in automatico la veridicità di un'altra congettura nota come "congettura debole di Goldbach" (naturalmente la dimostrazione della "debole" non implicherebbe la veridicità della "forte").
La congettura "debole" afferma che "ogni numero dispari maggiore di 7 può essere espresso come somma di tre primi dispari" o, equivalentemente, che "ogni numero dispari maggiore di 5 può essere espresso come somma di tre numeri primi".
Buone notizie almeno su questo fronte: la congettura "debole" di Goldbach è stata dimostrata nel 2013 dal matematico peruviano Harald Andrés Helfgott
Infatti la sua dimostrazione (se volete per curiosità darci uno sguardo, cliccate qui) è stata accettata, nel 2015, per la pubblicazione sugli Annals of Mathematics Studies, anche se, va rimarcato, tutt'oggi la pubblicazione su rivista peer-reviewed non è ancora stata effettuata in modo integrale, come si legge qui.
Ma torniamo al film. La nostra Marguerite si ritrova ben presto a dover affrontare un importante seminario inerente alle sue ricerche. 
E qui entra in gioco il delicato tema dell'ansia e della pressione sociale
Tutti prima o poi nella propria vita si ritrovano a dover soddisfare delle aspettative più o meno grandi nella scuola o nel lavoro. Nei casi estremi ciò può portare alla vera e propria disperazione, alla depressione se non addirittura al suicidio, come testimoniato da casi di cronaca come quello di Chieti (cliccate qui). 
Un tema, questo, che ritroviamo anche nel film, datato 2014, Whiplash, in cui la mente di un giovane batterista jazz viene psicologicamente turbata dal suo, a dir poco severo, direttore d'orchestra. La scena qui di seguito rende molto bene l'idea.


Ma cerchiamo di prendere come motto quanto afferma la commovente canzone sudcoreana "Breathe" di Lee Hi:"fai un respiro profondo, finché entrambe le parti del tuo cuore non diventano insensibili. Va bene commettere errori a volte, perché chiunque può farlo".
 

Tornando a Marguerite, ella non regge la pressione del seminario (oltretutto pieno zeppo di uomini; pochissime le donne presenti), quando un collega, Lucas, nuovo protetto del suo professore relatore, le fa presente un errore che invaliderebbe il suo lavoro (errore dovuto anche alla poca disponibilità ed umanità che lo stesso professore mostra nei confronti di Marguerite).
Insomma tale seminario va a rappresentare, nel bene o nel male, un punto di rottura (un fisico, per ironizzare, direbbe una rottura spontanea di simmetria!) nella ripetitiva esistenza di Marguerite, portandola infatti a chiedere le dimissioni dal dottorato ed incominciare una vita in un ambiente decisamente diverso da quello accademico.
Vengono così fuori disparati nuovi temi come la sessualità (buona per esempio la battuta "non sei mai stata con un uomo o con una donna" della sua amica e coinquilina Noa, che rompe lo schema stereotipato di dare per scontata l'eterosessualità o l'omosessualità di una persona appena conosciuta solo guardando il suo aspetto fisico e il suo modo di vestire), l'applicazione della matematica in contesti inimmaginabili come il mahjong (celebre gioco da tavolo cinese, che ha ispirato anche altri personaggi intellettualmente molto brillanti come Akagi, protagonista dell'omonimo manga di Nobuyuki Fukumoto) ed ovviamente l'amore, che certamente può essere riservato alla matematica ma non per questo deve escludere anche il suo significato romantico.
D'altronde "Love wins all", come afferma la recente canzone della cantante e attrice sudcoreana IU.


Senza fare ulteriori spoiler, "Il teorema di Margherita" rappresenta in conclusione un interessante ed intrigante percorso di formazione personale di una giovane ragazza in una società ancora piuttosto maschilista e che non vede di buon grado l'essere "diversi" (ne abbiamo parlato un po' qui e qui), un racconto che sicuramente appassionerà i patiti di matematica, ma che può essere apprezzato anche da chi la matematica la detesta; e magari, chissà, la detesterà un po' meno dopo la visione del film!

mercoledì 10 aprile 2024

IL PARADOSSO DI BERTRAND

Tra i grandi problemi della matematica c'è sicuramente il paradosso di Bertrand (così denominato da Poincaré).
Esso fu formulato per la prima volta dal matematico francese Joseph Louis François Bertrand (1822-1900) nella sua opera, datata 1889, intitolata Calcolo delle probabilità.
Immaginiamo di possedere 3 scatole identiche, ciascuna avente 2 scompartimenti ed una medaglia inserita in ciascuno di essi.
Supponiamo che:

- cassa n.1: contiene 2 medaglie d'oro;
- cassa n.2: contiene 1 medaglia d'oro ed 1 d'argento;
- cassa n.3: contiene 2 medaglie d'argento.

Scegliendo una scatola a caso ne consegue ovviamente che la probabilità che i compartimenti della scatola selezionata contengano medaglie diverse è 1/3.


Ma ci si potrebbe anche chiedere quale sia la probabilità che nel secondo scompartimento della scatola vi sia una medaglia diversa dal primo scompartimento.
Ingenuamente si potrebbe immaginare che il primo scompartimento, per esempio, contenga una medaglia d'oro, dunque il secondo una d'oro o d'argento, con relativa probabilità pari a 1/2, il 50%, come quella del lancio di una moneta.
Tuttavia tale soluzione è sbagliata (la soluzione corretta è 1/3)! Perché?
Beh, non abbiamo stabilito che vi sia equiprobabilità tra i casi possibili.
In altre parole, gli errori a cui ci conducono tali ingenue argomentazioni si devono al fatto che non abbiamo definito sin dal principio in modo rigoroso lo spazio campionario, ovvero l'insieme totale dei risultati per un esperimento aleatorio.
Da Wikipedia osserviamo la seguente buona rappresentazione del problema appena descritto (il cosiddetto paradosso delle 3 scatole di Bertrand, spesso introdotto come paradosso delle 3 carte) con la richiesta opposta (cioè la probabilità di trovare una medaglia dello stesso tipo).

















Il suddetto esempio è davvero uno standard nella teoria della probabilità, tanto che la soluzione risulta intimamente legata ai cosiddetti assiomi di Kolmogorov, per la cui spiegazione vi rimando a Wikipedia
Analoghe fallacie si manifestano se l'esperimento di natura aleatoria che stiamo analizzando non è correttamente definito e può quindi essere interpretato in modi diversi, risultando decisamente ambiguo.
Quanto appena descritto rappresenta l'idea alla base del vero e proprio paradosso di Bertrand.
Tale paradosso è decisamente rilevante non solo in ambito puramente matematico ma anche nel mondo della fisica, in quanto ci mostra chiaramente l'ambiguità di alcune idee apparentemente intuitive spesso invocate a sproposito in ambito fisico.
Ad esempio sarebbe senza senso buttare a caso una frase del tipo "è naturale assumere che una densità di probabilità sia uniforme" senza una rigorosa spiegazione di natura fisica.
A tal proposito è di frequente utilizzo in ambito fisico il cosiddetto "principio di indifferenza" di Laplace, il quale viene definito dall'economista britannico John Maynard Keynes, in A Treatise on Probability (1921), come segue:

"If there is no known reason for predicating of our subject one rather than another of several alternatives, then relatively to such knowledge the assertions of each of these alternatives have an equal probability".   

Il principio di indifferenza, volente o nolente, è stato usato efficacemente in una moltitudine di applicazioni, dal lancio di monete e giochi d'azzardo al conteggio delle configurazioni nella meccanica statistica. 
Ciò però non ha azzerato i dibattiti filosofici sulla sua applicabilità e correttezza; basti pensare proprio agli studi effettuati da Bertrand.
Scopriamo ora la versione originale del paradosso di Bertrand, di natura geometrica, che riportiamo nell'ottima descrizione effettuata da Boffetta e Vulpiani nel testo Probabilità in Fisica:

"Si consideri il problema: dato un cerchio di raggio unitario si disegni una corda a caso. Calcolare la probabilità che la lunghezza della corda sia maggiore di $\sqrt{3}$ (il lato del triangolo equilatero inscritto).

Prima risposta. Prendiamo un punto $P$ sul bordo del disco. Tutte le corde che partono da P sono parametrizzate da un angolo $\theta$, vedi Fig. 1.3a.



















Se si vuole che la corda sia più lunga di $\sqrt{3}$ l'angolo $\theta$ deve essere compreso in un settore di 60 gradi in un intervallo di 180, quindi la probabilità è 60/180 = 1/3.

Seconda risposta. Consideriamo un punto $P$ su un raggio e la corda passante per $P$ e perpendicolare al raggio, vedi Fig. 1.3b. La corda è più lunga di $\sqrt{3}$ se il suo centro $P$ è nella parte interna (di lunghezza 1/2), quindi poiché il raggio è 1 la probabilità è 1/2.

Terza risposta. Se il centro della corda cade nel disco di raggio 1/2 allora la corda è più lunga di $\sqrt{3}$, vedi Fig. 1.3c, poiché l'area di questo cerchio è π/4 mentre l'area totale è π, la probabilità è 1/4.

Qual è la risposta giusta? Semplicemente la domanda è mal posta, perché “si disegni una corda a caso” è decisamente troppo vago, ed in ognuna delle tre risposte c'è un'assunzione nascosta che sembra naturale, ma è invece arbitraria. Nella prima si è assunto che l'angolo $\theta$ sia uniformemente distribuito, nella seconda che il centro della corda sia uniformemente distribuito sul diametro, mentre nella terza che il centro della corda sia uniformemente distribuito all'interno del cerchio."

In altri termini, si è constatato come non esista un unico metodo di selezione, pertanto non esiste un'unica soluzione! 
Abbiamo nello specifico 3 soluzioni rinvenute da Bertrand corrispondenti a 3 diversi metodi di selezione e, qualora non ci venga fornita alcuna informazione aggiuntiva, l'unica conclusione logica è che non c'è un metodo (e dunque una soluzione) migliore di un altro.
Abbastanza recentemente, nel 2014, Diederik Aerts e Massimiliano Sassoli de' Bianchi hanno pubblicato un paper (cliccate qui per leggerlo) nel quale hanno mostrato che il paradosso di Bertrand contiene in fin dei conti 2 problemi diversi: un problema "facile" ed uno "difficile"!
Il problema "facile" può essere risolto formulando la domanda di Bertrand in termini sufficientemente precisi, permettendo in tal modo una modellizzazione non ambigua dell’entità soggetta al processo aleatorio.
Dopodiché, una volta risolto il problema "facile", gli studiosi hanno mostrato che si spiana così la strada alla risoluzione del problema "difficile", a patto che il principio di indifferenza venga applicato non ai risultati dell'esperimento, bensì ai diversi possibili “modi di selezionare” un'interazione tra l'entità sotto indagine e quella che ha prodotto la randomizzazione.
Concludiamo riportando il bel video sul paradosso di Bertrand presente sul canale YouTube Numberphile

 

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Fonti essenziali:

Probabilità in Fisica. Un'introduzione di Guido Boffetta e Angelo Vulpiani
- Kolmogorov. La dualità tra caos e determinismo di Manuel García Piqueras

venerdì 8 marzo 2024

I NUMERI NORMALI

Continua (purtroppo) ad essere di recente attualità il tema sociale di cosa sia e non sia normale, grazie specialmente alle dichiarazioni e pubblicazioni di un certo generale dell'esercito italiano ormai sulla bocca di tutti, a cui è stata data, a mio avviso, fin troppa visibilità.
Siamo arrivati nell'anno 2024 avendo compreso nel corso degli ultimi secoli che noi esseri umani e il pianeta Terra non siamo che granelli infinitesimi comparati alla vastità e alla complessità dell'Universo ed ancora stiamo qui a discutere polemicamente di cosa sia normale nel modo di essere (persino sin dalla nascita) e nel modo di vestirsi delle persone. 
Abbiamo scoperto grazie alla meccanica quantistica che, almeno a livello delle particelle, le leggi della fisica sono piene di "stranezze" (almeno dal punto di vista intuitivo dell'essere umano), dall'effetto tunnel al paradosso del gatto vivo/morto di Schrödinger, dall'entanglement all'introduzione di particelle ausiliarie "fantasma" (i ghost di Fadeev-Popov) necessarie per descrivere teorie di gauge non abeliane.
Insomma siamo giunti ad un punto in cui la fisica si è spinta ormai ben più in là della descrizione dei fenomeni che possiamo visivamente scorgere attorno a noi ogni giorno, svelandoci che non abbiamo bisogno necessariamente della fantascienza per restare stupefatti.
Siamo per fortuna pure pervenuti ad un punto in cui le donne (oggi si celebra la Giornata internazionale della donna) possono studiare ed affermarsi nelle discipline STEM, cosa che adesso diamo forse abbastanza per scontata ma per molto tempo non è stato così.

A Wikipedia representation for the theme "Women in STEM".















Donne come Sof'ja Kovalevskaja, Sophie Germain, Emmy Noether, Marie Curie, Rosalind Franklin, Hedy Lamarr, Rita Levi Montalcini, Margherita Hack (la cui vita è stata rappresentata solo pochi giorni fa su Rai 1 nel film Margherita delle stelle), Katherine Johnson, Jocelyn Bell, giusto per citarne alcune, con il loro talento, passione e forza di volontà hanno dimostrato che è assolutamente normale (e qui uso volutamente tale parola per rimarcare questo concetto) per una donna conquistare le più alte vette intellettive, fino ad allora riservate per stupido pregiudizio unicamente agli uomini.
In ogni caso ancora oggi si parla purtroppo del cosiddetto "effetto Matilda" e la battaglia per la sacrosanta parità tra uomini e donne è tutt'altro che terminata.
Il tema della diversità, talvolta ingenuamente correlato a quello della "normalità" (ne parlammo anche qui) come se ne fosse l'antitesi, è indubbiamente alla base stessa della ricerca scientifica.
A tal proposito, l'11 febbraio (in occasione della Giornata internazionale delle donne e ragazze nella scienza), l'account Twitter del Nobel Prize ha pubblicato un bel video con protagoniste due recenti vincitrici dell'ambito premio (la rappresentanza femminile per il suddetto prestigioso riconoscimento continua purtroppo ad essere molto scarsa, come potete leggere qui), Andrea Ghez e Carolyn Bertozzi, che discutono dell'importanza della diversità in modo generale ma anche focalizzandosi sul campo scientifico. 

E, nonostante questo, in politica, sui giornali e sui social si continua a discutere stupidamente della superiorità di un colore della pelle su un altro, di un orientamento sessuale su un altro, di essere nati senza patologie che comportano disabilità mentali e/o fisiche, ecc., pensando magari di creare nelle scuole classi separate per i "reietti anormali", "deviati", che disturberebbero l'equilibrio dei bambini e ragazzi "normali".
No, questa non è normalità, questa è semplicemente disumanità (ne abbiamo già parlato un po' qui)!
E se il cinema, la televisione e la letteratura osano dare spazio a tali delicate tematiche, non di rado si grida alla "cultura woke", all'indottrinamento (o fantomatica teoria del) gender (che scientificamente non esiste; le persone LGBT+ non vanno in giro a sparare "raggi gender" in grado di mutare i bambini, se non magari nella fervida immaginazione di qualche bigotto!).
Insomma si fa leva, quando fa comodo, su questioni statistiche per cui se c'è una minoranza qualsiasi che non rientra esattamente nei "canoni perfetti e consolidati" del paese o della società in questione, ma indubbiamente esiste, in realtà secondo certe persone non dovrebbe esistere ed essere rappresentata, così come le donne un tempo non dovevano poter addirittura votare!
Non ci facciamo problemi a dar spazio a supereroi, vampiri, streghe, ecc., che non esistono, ma non appena ci si ritrova a rappresentare la diversità che sussiste nella realtà di tutti i giorni si grida allo scandalo, si arriva a richiedere addirittura la censura (sì, non molto tempo fa, proprio qui in Italia, si è arrivati a chiedere la censura persino di Peppa Pig per la presenza di una coppia formata da 2 mamme in un episodio su gli oltre 300 da cui è composta la serie).
Recentemente ho avuto modo di guardare un film italiano, Nata per te, che racconta la storia vera di un giovane omosessuale, Luca Trapanese, il quale ha deciso, tra mille battaglie contro le difficoltà poste dal retrogrado sistema giuridico italiano, di adottare una bambina affetta da sindrome di Down e che nessuna delle cosiddette "coppie normali" voleva. Un piccolo gioiellino di film che fa riflettere non solo sul tema della diversità in modo ampio, ma pure su quello di cosa sia l'umanità stessa.
Se questa premessa serve per ricordarci che in un contesto sociale l'espressione "non normale", "anormale", possa essere spesso offensiva e totalmente fuori luogo, in un contesto di matematica pura la normalità può avere una connotazione totalmente diversa, che possiamo descrivere senza offendere gratuitamente nessuno.
In questo post parleremo infatti brevemente di numeri normali.
La definizione di numero normale è abbastanza semplice.
Consideriamo una certa base $b$. Diciamo che un numero è normale nella suddetta base se sviluppandolo in tale base tutte le cifre appaiono con la stessa frequenza $\frac{1}{b}$, tutte le coppie di cifre appaiono con frequenza $\frac{1}{b^2}$ e, generalizzando, qualsivoglia $n$-upla compare con frequenza $\frac{1}{b^n}$.
In altre parole, qualsiasi successione finita di cifre costituente un numero normale si presenta con la stessa frequenza di una sequenza totalmente casuale.
Beh tutto questo richiama un po' la celebre definizione frequentista della probabilità, per cui se per esempio lanciamo una moneta un gran numero di volte, circa la metà dei lanci ci restituirà testa e l'altra metà croce.
Il concetto di numero normale risale al 1909, quando il matematico e politico francese Émile Borel lo introdusse al fine di caratterizzare le cifre di un famosissimo numero, il pi greco $\pi$ (ricordiamo che il 14 marzo si celebra il Pi Day), che appunto sembravano possedere le peculiarità di una stringa casuale di cifre.
Borel fece in particolare uso del cosiddetto lemma di Borel-Cantelli (Francesco Paolo Cantelli fu un matematico italiano che fornì rilevanti contributi alla teoria della probabilità, ma pure alla meccanica celeste), dimostrando che quasi tutti (in parole povere in matematica ciò significa tutti, eccetto delle quantità praticamente trascurabili) i numeri reali sono normali!
Questo non significa che si possano incontrare numeri normali facilmente. Per esempio i numeri razionali non possono essere normali in tutte le basi.
E poi, ritornando a $\pi$, si suppone generalmente che esso sia un numero normale, ma ciò non è ancora stato dimostrato rigorosamente.
Il primo numero effettivamente normale in qualsivoglia base (spesso numeri del genere vengono detti "assolutamente normali") fu rinvenuto dal matematico polacco Wacław Franciszek Sierpiński nel 1916 (la pubblicazione del paper in cui esso è contenuto risale però al 1917). 
Si legga (cliccando qui) questo interessante articolo di Becher e Figueira per saperne di più circa il risultato ottenuto da Sierpiński.
Sicuramente normale è pure, in base 10, la costante di Champernowne, di cui avevamo già parlato in dettaglio qui
Un altro numero certamente normale, sempre in base 10, è la costante di Copeland-Erdős (0,235711131719232931374143…), la quale prende la propria denominazione dai matematici Arthur Herbert Copeland e Paul Erdős (quest'ultimo spesso noto non solo per i suoi rilevanti contributi matematici, ma pure per lo scherzoso concetto di numero di Erdős), i quali nel 1946 dimostrarono appunto la "normalità" di tale costante.
Si osservi che sia la costante di Champernowne sia quella di Copeland-Erdős sono numeri costruiti artificialmente.
Come per il pi greco, resta ipotetica invece la "normalità" di altre rilevanti costanti quali $\sqrt{2}$, $e$, $\ln 2$.
A dir la verità, non è stato nemmeno dimostrato che tutte le cifre effettivamente ricorrano un numero infinito di volte nelle espansioni decimali delle suddette costanti.
Insomma fare ricerca inerente ai numeri normali è cosa tutt'altro che banale! 
Per concludere, vi propongo due video.
Nel primo trovate una bella spiegazione, relativa al pi greco e sulla possibilità, già qui anticipata, che possa essere normale, da parte del docente, blogger (chi segue i Carnevali della Matematica sa bene che il suo blog è Mr. Palomar) e divulgatore scientifico Paolo Alessandrini.

 

Il secondo è la celebre canzone I Am What I Am, tratta dal musical del 1983 La Cage aux Folles, nella maestosa interpretazione di Shirley Bassey, canzone la quale ci ricorda che ognuno è quello che è, con le sue differenze, piccole o grandi che siano, di cui non bisogna vergognarsi perché alla fine la vita è una soltanto.
 

giovedì 8 febbraio 2024

LA CATENA DI SPIN DI HEISENBERG E I SISTEMI INTEGRABILI: UNA “SEMPLICE” PANORAMICA

In questo post scopriremo l'importante catena di spin di Heisenberg e capiremo in generale cosa sia un sistema fisico integrabile.
Si tratta di argomenti matematicamente e fisicamente piuttosto avanzati, ma qui ci focalizzeremo solo sugli aspetti puramente essenziali e "semplici" e scopriremo gli interessanti dettagli storici attorno a tali concetti. I lettori interessati potranno approfondire gli aspetti maggiormente tecnici guardando i riferimenti segnalati in fondo al post.
Partiamo col dire che la catena di spin di Heisenberg è un modello quantistico costituito da una catena che consiste di un numero $L$ di siti. 
Ciascun sito, che denotiamo con $l$, contiene uno spin $s = 1/2$.
Uno stato di spin può essere rappresentato da $| \downarrow \rangle$ oppure da $| \uparrow \rangle$ o da una qualsivoglia combinazione lineare di questi due.

Catena di spin chiusa unidimensionale. Fonte: bit.ly/4b4uTMx
 














Nello specifico, infatti, la rappresentazione matematica di uno spin $s$ è data dalla semplice relazione:






La catena di spin di Heisenberg è l'esempio fondamentale delle cosiddette catene di spin integrabili.
Per capirci qualcosa dobbiamo prima comprendere cosa sia un sistema fisico integrabile.
Una definizione molto generale di sistema fisico integrabile è quella di un modello fisico che è risolubile in modo esatto, ovvero senza far ricorso a metodi di approssimazione.
Già Newton fu in grado per esempio di risolvere il cosiddetto problema di Keplero in modo esatto, ma per una prima formalizzazione di questo nuovo rilevante ambito di ricerca scientifico si dovette aspettare il XIX secolo con Joseph Liouville.
Il matematico francese fece infatti uso delle cosiddette "quadrature". In sostanza egli si rese conto che sistemi hamiltoniani (dunque siamo nell'ambito della meccanica classica) potessero essere risolti mediante l'uso di un numero finito di operazioni algebriche ed integrazioni.
Il culmine del suddetto studio è fornito dal cosiddetto teorema di Liouville-Arnold, per la cui spiegazione vi rimando direttamente a Wikipedia
A noi però interessa entrare nell'ambito quantistico, cioè comprendere in particolare se e quando una teoria quantistica dei campi (abbreviata QFT) possa essere integrabile.
Innanzitutto diciamo che esistono sì teorie quantistiche di campo integrabili, ma esse costituiscono un insieme assai limitato.
Infatti 2 sono le fondamentali peculiarità che una QFT deve avere affinché possa essere integrabile:

1) deve possedere un numero infinito di cariche conservate (qui ci limitiamo a dire che è qualcosa intimamente legato al famoso teorema di Noether);
2) deve essere definita in 1+1 dimensioni, cioè 1 temporale ed una spaziale.

Soffermiamoci un attimo su quest'ultimo punto giacché è assai rilevante e stuzzicante.
Una domanda lecita a questo punto infatti sarebbe: perché dobbiamo considerare proprio 2 dimensioni e non 3, 4 o un qualsivoglia numero?
La risposta risiede nel concetto di matrice S.
S sta per scattering (ne parlammo un po' qui). Cerchiamo qui però di indirizzare un po' meglio, a parole povere, il concetto nell'ambito della QFT.
Lo scattering è il processo di interazione tra varie particelle (ma anche antiparticelle).
Generalmente si definisce uno stato iniziale, ossia quello in cui troviamo le particelle prima che avvenga un'interazione fra loro, ed uno stato finale ove troviamo le particelle risultanti dall'interazione. Si veda a tal proposito la seguente figura.

Illustrazione di uno scattering 2 → 2. Il tempo scorre dal basso verso l'alto. Figura tratta da https://arxiv.org/abs/1607.06110.

















Nella figura abbiamo appunto un esempio di scattering di 2 particelle che produce 2 particelle (nel semplice caso raffigurato trattasi di particelle tutte con la stessa massa). Nello specifico si vedono due particelle che costituiscono lo stato iniziale e contraddistinte dai momenti lineari $k_1$ e $k_2$, dopodiché avviene l'interazione, esplicitamente denotata dal cerchio, e infine lo stato finale formato da particelle aventi rispettivamente momenti $k_3$ e $k_4$.
L'oggetto matematico alla base della descrizione dell' interazione tra le particelle è proprio la matrice S, che è un operatore che va dunque a stabilire una mappa tra stato iniziale e stato finale.
In simboli, tale relazione si può esprimere nel seguente modo:






L'aspetto cruciale che caratterizza la matrice S in 1+1 dimensioni è la sua proprietà di "fattorizzabilità" non banale, ovvero il fatto che uno scattering di $n$ particelle che danno luogo ad $n$ particelle possa essere ricondotto ad un prodotto di "semplici" scattering $2 \rightarrow 2$.
Nel 1967 Sidney Coleman e Jeffrey Mandula pervennero ad un importantissimo risultato: il cosiddetto teorema di Coleman-Mandula, cioè un rilevante esempio di "teorema no-go" in fisica.
In tale contesto il suddetto teorema ci dice essenzialmente che se ci spingiamo in 3 o più dimensioni complessive, l'unico modo di avere una QFT integrabile, cioè di avere una matrice S fattorizzabile, è considerare teorie senza la presenza di interazioni fra particelle e con una matrice S banale, ossia equivalente alla matrice identità.
Pertanto, ciò che rende speciale il caso delle 1+1 dimensioni è proprio il fatto di poter considerare teorie che includano interazioni e che abbiano una matrice S avente forma non banale, generando così un intero campo di ricerca per gli studiosi.

sabato 11 novembre 2023

PLUTO, L'ODIO-AMORE E L'EFFETTO PELTIER

Dopo Berserk e Banana Fish, ritorniamo nel mondo degli anime con un'analisi di alcuni dei temi presenti nell'opera in 8 episodi intitolata Pluto (di recente pubblicata su Netflix), tratta dall'omonimo manga di Naoki Urasawa (autore di altri capolavori fumettistici tra cui Monster), a sua volta ispirato da un altro celebre manga di Osamu Tezuka, ovvero Astro Boy.




















Infatti Urasawa riprende una porzione della storia creata dal collega per narrarla come se fosse un intenso thriller (un marchio di fabbrica delle sue produzioni).
Una caratteristica particolare che sin da subito si può constatare riguardo all'anime Pluto è la durata degli episodi: non hanno il caratteristico minutaggio di poco più di 20 minuti, ma arrivano a durare intorno ad un'ora ciascuno.
Nonostante ciò, la narrazione scorre piuttosto bene, con svariati picchi di pathos nel corso dell'arco narrativo.
Ad una lettura semplicistica Pluto potrebbe sembrare semplicemente un thriller ambientato in un mondo dove coesistono umani e robot. Beh, è molto di più!
Un po' come accade più in breve nel meraviglioso film del 1999 L'uomo Bicentenario (interpretato dal mitico Robin Williams e tratto dall'omonimo racconto di Isaac Asimov), il tema principale non è tanto lo sviluppo incredibile del mondo della robotica (comunque ovviamente presente), ma una riflessione sul concetto di umanità, nel senso più profondo possibile della parola.
Cercheremo dunque, riducendo al minimo i possibili spoiler, di analizzare alcune delle tematiche presenti (mi concederò delle considerazioni personali, che potete condividere o meno, ma che spero vi invitino a riflettere seriamente sulle tematiche affrontate) e nel finale del post osserveremo anche come la fisica e la matematica facciano capolino all'interno del suddetto anime. 
Iniziamo sottolineando come un termine che sentirete/avete sentito ripetuto molte molte volte nel corso degli 8 episodi è "odio".
L'odio è un sentimento tipico degli esseri umani. Tutti prima o poi tendiamo a provarlo in maniera più o meno grande.
Possiamo "odiare" delle cose stupide, come per esempio una giornata di pioggia, un esame andato non come volevamo, una disconnessione durante una partita di un videogame online, il grosso ritardo di un mezzo di trasporto e così via.
Incrementando il grado di intensità di questo "odio", si potrebbe odiare la rottura di una relazione amorosa, la comparsa improvvisa di una grave malattia, la perdita del lavoro o in generale un serio evento spiacevole nella propria vita.
Ma ancora non ci siamo; l'odio profondo di cui narra Pluto è quello che nasce nei confronti dell'altro, verso il diverso (in questo caso i robot), verso ciò che non capiamo, o da una rabbia così divampante che offusca ogni tipo di razionalità e sensibilità, un odio spesso dettato da pregiudizi dannatamente ancorati, quello stesso odio che, nel caso più estremo, contribuisce a scatenare guerre, a scapito degli innocenti civili.
La seguente scena di circa 40 secondi sintetizza in pieno questo scomodo argomento.

Bastano infatti questi 40 secondi per richiamare immediatamente alla nostra mente l'attuale situazione di guerra, devastazione e sofferenza tra Israele e la Palestina, drammatico scenario in cui si aprono distanti e comode tifoserie sui media, come se stessimo assistendo ad una partita di calcio tra due squadre contrapposte, ma dove nel mezzo invece muoiono civili da ambo le parti, inclusi tanti bambini.
In guerra alla fine non vince mai veramente nessuno, sono solo tanti a perdere, è solo tanto il dolore che si accumula giorno dopo giorno. Sarebbe auspicabile che se proprio una parte dell'umanità non riuscisse a fare a meno di farsi la guerra, se la facesse sui videogame, non a scapito spesso di innocenti!   
Un tema questo che ritroviamo anche nella famosissima serie anime (in particolare nella quarta stagione) di Hajime Isayama L'attacco dei giganti (titolo originale Shingeki no kyojin, anche noto col titolo inglese Attack on Titan), ove c'è una stupida e radicata demonizzazione di popoli basata su atti compiuti in un remoto passato e spesso su pregiudizi scambiati ed inculcati per generazioni come certezze indiscutibili.
Riporto di seguito una citazione molto significativa da Attack on Titan in tal prospettiva.





 









E tornando nel concreto, è sufficiente spingersi indietro di circa un secolo per ritrovare nella nostra storia il culmine di questo odio accecante con l'avvento del nazifascismo.
Ogni categoria di persona, come ebrei, omosessuali, disabili (emblematica e dilaniante la scena, dal film Il pianista, dove un anziano sulla sedia a rotelle, impossibilitato ad alzarsi in piedi all'arrivo degli ufficiali tedeschi, viene gettato direttamente e freddamente fuori dalla finestra della sua abitazione). ecc. da ritenere inferiore, su cui scatenare l'odio sociale, su cui perpetrare le peggiori torture o uccidere senza alcun rimorso veniva contraddistinta da uno specifico simbolo (si trova qualcosa di simile pure nell'Attacco dei Giganti) all'interno dei campi di concentramento (cliccate qui per vedere la lista dei simboli dell'orrore nello specifico).

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Notiamo dunque che talvolta è sufficiente una semplice diversità (caratteristica intrinseca non solo dell'essere umano, ma della natura stessa) a innescare la discriminazione e l'odio, che sia per ragioni religiose, razziali, di cultura, di orientamento sessuale o altro non importa, la non contemplazione della diversità è uno dei meccanismi che innescano la propagazione dell'odio negli esseri umani.
Tutto ciò non è mai scomparso (e probabilmente mai scomparirà), anzi persino oggi certi personaggi pubblici si arrogano il "diritto di odiare", più precisamente di diffondere gratuitamente odio sociale, giustificandosi con considerazioni a loro parere "logiche", "statistiche" e "naturali" (come il fatto che una "minoranza", in quanto tale, non debba godere degli stessi diritti di una "maggioranza"), ma spesso fondate sulla più totale ignoranza e su una visione fredda e cinica della realtà.
A questi personaggi risponde indirettamente la splendida canzone di Brandi Carlile intitolata The Joke, che poi è anche parte della colonna sonora del film Joe Bell, tratto da una tragica storia vera di bullismo ed omofobia (leggete qui). 


 

Rilevante in tale direzione è anche una lucida citazione di Aldous Huxley, che riporto di seguito accompagnata dal suggestivo dipinto Inferno realizzato dalla Prof.ssa Annarita Ruberto, aka Nereide.


Riprendendo come esempio i robot, immaginate che noiosa sarebbe la società umana se fossimo tutti delle macchine fotocopia delle altre, senza alcuna diversità caratteristica (o comunque con una gamma ristretta di differenze), qualcosa che ci fa riconoscere, nel bene e nel male, immediatamente per quel che siamo.
Pensate a quanto la diversità sia per esempio essenziale in ambito musicale. Ogni strumento musicale ha il suo timbro caratteristico, che ci permette di riconoscere un pianoforte da un violino e da un sassofono, per non parlare della voce umana, che è ancora più variegata nelle sue sfumature.
E proprio con la musica al centro dell'attenzione parte Pluto!