Non è la prima volta che ci occupiamo di curve matematiche in questo blog.
Infatti in passato abbiamo per esempio parlato della curva che congiunge 2 punti nel minor tempo possibile (il problema della brachistocrona), della spettacolare elica cilindrica con le sue fondamentali applicazioni nel mondo dell'arte e di curve cubiche come la versiera di Agnesi e la cissoide di Diocle.
In questo post vogliamo però condurre un discorso più generale relativo alle curve (con particolare riferimento a quelle regolari), che ci porterà a illustrare l'importante concetto di integrale curvilineo (detto pure integrale di linea), almeno nella sua prima forma.
Se avete familiarità con la nozione di integrale definito, osserverete che l'integrale di linea è una semplice estensione del concetto inerente al "magico" mondo delle curve.
Ma procediamo per gradi!
Innanzitutto, partiamo dalle fondamenta: che cos'è una curva?
È facile pensare all'idea di una curva, un insieme di punti nello spazio in cui una particella è libera di muoversi con un singolo grado di libertà; leggermente più difficile è fornire una definizione davvero rigorosa dal punto di vista matematico.
Assumendo di riferirci allo spazio vettoriale ℝn, l'analisi matematica ci definisce una curva come una funzione (vettoriale) continua del tipo
dove I è un generico intervallo.
Di solito quando consideriamo I alla stregua di un intervallo chiuso e limitato (ossia compatto per il teorema di Heine-Borel) [a,b], si parla di arco di curva.
Per chi non ricordasse esattamente cosa significa funzione continua, ne diamo 2 definizioni, una che potrebbe comprendere anche un bambino e l'altra per gli amanti del rigore matematico.
Una funzione è continua (in tutti i punti) quando per tracciarla graficamente su un sistema di riferimento cartesiano non è necessario staccare mai la matita dal foglio!
In termini formali invece una funzione si dice continua in un punto x₀ se vale la seguente uguaglianza:
Se tale uguaglianza risulta valida per qualsiasi punto dell'intervallo [a,b] considerato, allora la funzione è continua in tutto l'intervallo.
Detto ciò, si definisce traccia o sostegno γ* della curva γ l'immagine di γ, ossia, in simboli:
Per farsi un'idea più concreta di cosa sia la traccia è sufficiente pensare alla traiettoria di un moto nello spazio e che racchiude in sé gli aspetti geometrici della curva.
Assumiamo ora che una curva (nello spazio euclideo tridimensionale) venga definita da una generica funzione (vettoriale) continua
Tale funzione vettoriale r si chiama parametrizzazione della curva e contiene le informazioni sul modo in cui la curva viene percorsa.
In particolare, si avrà che
ove la variabile t ∈ [a,b] viene detta parametro della curva e i,j,k sono i classici versori relativi agli assi cartesiani.
In sostanza, al variare di t, r(t) descrive γ, che è il sostegno della curva (trattasi semplicemente di una notazione diversa per esprimerlo).
Una stessa curva può essere parametrizzata in infiniti modi diversi.
Diciamo ora che una curva (o un arco) è chiamata semplice se la funzione r(t) risulta iniettiva.
Un arco
si dice chiuso se
Un arco di curva è poi detto chiuso semplice se la funzione è iniettiva e vale la condizione appena scritta.
Resta il fatto che spesso, specialmente in ambito fisico, è utile pensare ad r(t) come ad una funzione descrivente la posizione all'istante t di una particella che si muove nello spazio euclideo tridimensionale.
In sostanza, si sta assumendo un'interpretazione cinematica della nozione di curva.
Le innumerevoli parametrizzazioni della medesima curva rappresentano, da questo punto di vista, gli infiniti modi diversi (con velocità diverse) di percorrere tale traiettoria.
Diciamo, in particolare, che la funzione vettoriale r è derivabile se tali sono le sue componenti scalari.
Avremo naturalmente che la sua velocità (o derivata) è data da:
mentre la velocità scalare è la norma di tale vettore, cioè
Se poi anche r' risultasse a sua volta derivabile, l'accelerazione (vettore) sarebbe fornita ovviamente dalla formula:
La velocità e l'accelerazione vanno, tra le altre cose, a fornire una classificazione dei moti.
Si ha infatti un moto uniforme quando il modulo della velocità risulta costante; in caso contrario si parla di moto vario.
In quest'ultimo caso, se l'accelerazione risulta costante si parla di moto uniformemente accelerato quando sussiste un incremento (nel tempo) del valore assoluto della velocità, mentre si parla di moto uniformemente ritardato (o decelerato) quando la velocità decresce nel tempo.
sabato 8 febbraio 2020
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