sabato 11 novembre 2023

PLUTO, L'ODIO-AMORE E L'EFFETTO PELTIER

Dopo Berserk e Banana Fish, ritorniamo nel mondo degli anime con un'analisi di alcuni dei temi presenti nell'opera in 8 episodi intitolata Pluto (di recente pubblicata su Netflix), tratta dall'omonimo manga di Naoki Urasawa (autore di altri capolavori fumettistici tra cui Monster), a sua volta ispirato da un altro celebre manga di Osamu Tezuka, ovvero Astro Boy.




















Infatti Urasawa riprende una porzione della storia creata dal collega per narrarla come se fosse un intenso thriller (un marchio di fabbrica delle sue produzioni).
Una caratteristica particolare che sin da subito si può constatare riguardo all'anime Pluto è la durata degli episodi: non hanno il caratteristico minutaggio di poco più di 20 minuti, ma arrivano a durare intorno ad un'ora ciascuno.
Nonostante ciò, la narrazione scorre piuttosto bene, con svariati picchi di pathos nel corso dell'arco narrativo.
Ad una lettura semplicistica Pluto potrebbe sembrare semplicemente un thriller ambientato in un mondo dove coesistono umani e robot. Beh, è molto di più!
Un po' come accade più in breve nel meraviglioso film del 1999 L'uomo Bicentenario (interpretato dal mitico Robin Williams e tratto dall'omonimo racconto di Isaac Asimov), il tema principale non è tanto lo sviluppo incredibile del mondo della robotica (comunque ovviamente presente), ma una riflessione sul concetto di umanità, nel senso più profondo possibile della parola.
Cercheremo dunque, riducendo al minimo i possibili spoiler, di analizzare alcune delle tematiche presenti (mi concederò delle considerazioni personali, che potete condividere o meno, ma che spero vi invitino a riflettere seriamente sulle tematiche affrontate) e nel finale del post osserveremo anche come la fisica e la matematica facciano capolino all'interno del suddetto anime. 
Iniziamo sottolineando come un termine che sentirete/avete sentito ripetuto molte molte volte nel corso degli 8 episodi è "odio".
L'odio è un sentimento tipico degli esseri umani. Tutti prima o poi tendiamo a provarlo in maniera più o meno grande.
Possiamo "odiare" delle cose stupide, come per esempio una giornata di pioggia, un esame andato non come volevamo, una disconnessione durante una partita di un videogame online, il grosso ritardo di un mezzo di trasporto e così via.
Incrementando il grado di intensità di questo "odio", si potrebbe odiare la rottura di una relazione amorosa, la comparsa improvvisa di una grave malattia, la perdita del lavoro o in generale un serio evento spiacevole nella propria vita.
Ma ancora non ci siamo; l'odio profondo di cui narra Pluto è quello che nasce nei confronti dell'altro, verso il diverso (in questo caso i robot), verso ciò che non capiamo, o da una rabbia così divampante che offusca ogni tipo di razionalità e sensibilità, un odio spesso dettato da pregiudizi dannatamente ancorati, quello stesso odio che, nel caso più estremo, contribuisce a scatenare guerre, a scapito degli innocenti civili.
La seguente scena di circa 30 secondi sintetizza in pieno questo scomodo argomento.


Bastano infatti questi 30 secondi per richiamare immediatamente alla nostra mente l'attuale situazione di guerra, devastazione e sofferenza tra Israele e la Palestina, drammatico scenario in cui si aprono distanti e comode tifoserie sui media, come se stessimo assistendo ad una partita di calcio tra due squadre contrapposte, ma dove nel mezzo invece muoiono civili da ambo le parti, inclusi tanti bambini.
In guerra alla fine non vince mai veramente nessuno, sono solo tanti a perdere, è solo tanto il dolore che si accumula giorno dopo giorno. Sarebbe auspicabile che se proprio una parte dell'umanità non riuscisse a fare a meno di farsi la guerra, se la facesse sui videogame, non a scapito spesso di innocenti!   
Un tema questo che ritroviamo anche nella famosissima serie anime (in particolare nella quarta stagione) di Hajime Isayama L'attacco dei giganti (titolo originale Shingeki no kyojin, anche noto col titolo inglese Attack on Titan), ove c'è una stupida e radicata demonizzazione di popoli basata su atti compiuti in un remoto passato e spesso su pregiudizi scambiati ed inculcati per generazioni come certezze indiscutibili.
Riporto di seguito una citazione molto significativa da Attack on Titan in tal prospettiva.





 









E tornando nel concreto, è sufficiente spingersi indietro di circa un secolo per ritrovare nella nostra storia il culmine di questo odio accecante con l'avvento del nazifascismo.
Ogni categoria di persona, come ebrei, omosessuali, disabili (emblematica e dilaniante la scena, dal film Il pianista, dove un anziano sulla sedia a rotelle, impossibilitato ad alzarsi in piedi all'arrivo degli ufficiali tedeschi, viene gettato direttamente e freddamente fuori dalla finestra della sua abitazione). ecc. da ritenere inferiore, su cui scatenare l'odio sociale, su cui perpetrare le peggiori torture o uccidere senza alcun rimorso veniva contraddistinta da uno specifico simbolo (si trova qualcosa di simile pure nell'Attacco dei Giganti) all'interno dei campi di concentramento (cliccate qui per vedere la lista dei simboli dell'orrore nello specifico).

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Notiamo dunque che talvolta è sufficiente una semplice diversità (caratteristica intrinseca non solo dell'essere umano, ma della natura stessa) a innescare la discriminazione e l'odio, che sia per ragioni religiose, razziali, di cultura, di orientamento sessuale o altro non importa, la non contemplazione della diversità è uno dei meccanismi che innescano la propagazione dell'odio negli esseri umani.
Tutto ciò non è mai scomparso (e probabilmente mai scomparirà), anzi persino oggi certi personaggi pubblici si arrogano il "diritto di odiare", più precisamente di diffondere gratuitamente odio sociale, giustificandosi con considerazioni a loro parere "logiche", "statistiche" e "naturali" (come il fatto che una "minoranza", in quanto tale, non debba godere degli stessi diritti di una "maggioranza"), ma spesso fondate sulla più totale ignoranza e su una visione fredda e cinica della realtà.
A questi personaggi risponde indirettamente la splendida canzone di Brandi Carlile intitolata The Joke, che poi è anche parte della colonna sonora del film Joe Bell, tratto da una tragica storia vera di bullismo ed omofobia (leggete qui). 


 

Rilevante in tale direzione è anche una lucida citazione di Aldous Huxley, che riporto di seguito accompagnata dal suggestivo dipinto Inferno realizzato dalla Prof.ssa Annarita Ruberto, aka Nereide.


Riprendendo come esempio i robot, immaginate che noiosa sarebbe la società umana se fossimo tutti delle macchine fotocopia delle altre, senza alcuna diversità caratteristica (o comunque con una gamma ristretta di differenze), qualcosa che ci fa riconoscere, nel bene e nel male, immediatamente per quel che siamo.
Pensate a quanto la diversità sia per esempio essenziale in ambito musicale. Ogni strumento musicale ha il suo timbro caratteristico, che ci permette di riconoscere un pianoforte da un violino e da un sassofono, per non parlare della voce umana, che è ancora più variegata nelle sue sfumature.
E proprio con la musica al centro dell'attenzione parte Pluto!

venerdì 8 settembre 2023

IL MODELLO DI DRUDE: UNA BREVE SPIEGAZIONE DIVULGATIVA

Oggi parliamo di un modello molto importante per spiegare la conduzione elettrica: il modello di Drude.
Ho intenzione di presentarlo in una maniera puramente divulgativa, senza dunque approfondire nozioni e formule estremamente tecniche, in modo che anche il lettore non esperto di fisica possa farsi un'idea generale circa l'interessante argomento.
Prima di tutto specifichiamo che nella nostra breve narrazione ci soffermeremo sui metalli.
Tutti più o meno abbiamo un'idea di cosa sia un metallo, ma sareste in grado di darne una definizione fisicamente rigorosa in una singola frase?
Ve la fornisco io: i metalli sono materiali altamente riflettenti (della radiazione elettromagnetica) che presentano una banda elettronica parzialmente occupata.
Ok, cerchiamo di capire un po' meglio.
Innanzitutto osservate il seguente grafico, relativo nello specifico all'argento, tratto dal testo Optical Properties of Solids di Mark Fox.




Potete constatare come nella zona dell'infrarosso (dello spettro elettromagnetico) la riflettività sia altissima (quasi il 100%) e pure nella luce visibile essa resti elevata (sopra l'80%), mentre improvvisamente cala notevolmente nell'ultravioletto.
Ed attenzione perché questo andamento della riflettività non si riscontra solo nell'argento, ma è un andamento generale caratteristico di tutti i metalli convenzionali.
Benissimo, ma cosa significa invece banda elettronica parzialmente occupata?
Beh, quando entriamo nel contesto della fisica della materia condensata, siamo soliti classificare i materiali in 3 fondamentali categorie in base alla loro struttura in bande elettroniche: 

1) metalli;
2) isolanti;
3) semiconduttori.

Grazie a Wikipedia osserviamo a tal proposito la seguente immagine illustrativa.


Potete vedere chiaramente che negli isolanti e nei semiconduttori abbiamo uno spazio vuoto tra le bande (il cosiddetto "band gap") più o meno ampio; la banda più in basso (detta banda di valenza) è totalmente occupata da elettroni, mentre quella più in alto (banda di conduzione) potrebbe venir occupata grazie a meccanismi di eccitazione (non entreremo nei dettagli tecnici di questo fenomeno).
Nei metalli, al contrario, non abbiamo alcun band gap e, nello specifico, abbiamo una banda che si ritrova ad essere parzialmente piena di elettroni e parzialmente vuota!
Ottimo, ora potete dire ai vostri amici di sapere cosa sia davvero un metallo secondo la fisica!
Specifichiamo che l'elettrodinamica dei metalli è dovuta a 2 meccanismi diversi di transizione:

1) transizioni intrabanda: transizioni di elettroni che interessano solo la banda parzialmente occupata;
2) transizioni interbanda: transizioni di elettroni che interessano bande diverse.

Il modello di Drude è intimamente legato alla prima categoria di transizioni, che sono anche, in generale, le più rilevanti per un metallo, mentre le transizioni interbanda sono più interessanti quando parliamo di semiconduttori ed isolanti.
Altra cosa che va specificata sin da subito è che il modello di Drude è un modello classico, nel senso che non fa uso della meccanica quantistica! 
In verità una sua importante estensione, il cosiddetto modello di Drude-Sommerfeld, introdotto dal fisico tedesco Arnold Sommerfeld nel 1927, coinvolge la fisica quantistica (in particolare la statistica di Fermi-Dirac e il concetto di superficie di Fermi).
L'altro grande modello classico che cerca di illustrare concetti come la conducibilità elettrica e la funzione dielettrica (in particolare nel contesto delle transizioni interbanda) è il modello di Lorentz, proposto dal fisico olandese Hendrik Antoon Lorentz in un articolo del 1909, basato sulla fantasiosa ma efficace idea di considerare gli elettroni alla stregua di oscillatori armonici smorzati (insomma molle!). 
Si guardi a tal proposito la seguente immagine illustrativa tratta da Wikipedia.


Ma torniamo al protagonista del nostro post, il modello di Drude.
Esso venne proposto dal fisico tedesco Paul Drude in un anno decisamente memorabile: il 1900.
Nel suddetto anno egli pubblicò infatti l'articolo denominato Zur Elektronentheorie der Metalle, pubblicazione che avvenne sulla prestigiosa rivista scientifica Annalen der Physik, sì proprio quella ove 5 anni dopo Einstein avrebbe rivoluzionato il mondo della fisica (e non solo) con magistrali contributi, tra cui l'introduzione della teoria della relatività ristretta.
Ma qual è l'ipotesi fondamentale alla base del modello di Drude?
Se per il modello di Lorentz tale ipotesi consiste nel considerare gli elettroni come molle, con Drude assumiamo invece che il nostro metallo sia un gas pieno di elettroni liberi e visti come particelle classiche, perfettamente distinguibili. 
Tali elettroni si muovono in modo casuale con una certa velocità lungo linee rette fino a quando non avvengono collisioni. Per semplicità il modello va ad ignorare qualsiasi altro tipo di interazione.

Immagine tratta da Wikipedia



Adesso viene il bello: immaginiamo di sottoporre il nostro gas di elettroni all'azione di un campo elettrico esterno.
Cosa succede? Innanzitutto abbiamo una variazione della quantità di moto (chiamata anche momento lineare) $\vec{p}$ del singolo elettrone nel sistema (ricordiamo che la quantità di moto è il prodotto della massa per la velocità del corpo) dovuta al campo elettrico applicato $\vec{E}$.
Ma abbiamo pure un importante meccanismo di dissipazione di $\vec{p}$ dovuto alle collisioni di questi elettroni con impurezze/difetti cristallini, fononi, altri elettroni, ecc.
Volete un modo sintetico per esprimere tutto ciò? "Facile", basta ricorrere ad un po' di matematica.
Osserviamo infatti attentamente la seguente equazione del moto alla base del modello di Drude:



Chi è abituato al formalismo matematico tipico di questo blog sa bene che a sinistra dell'uguale abbiamo la derivata del momento lineare $\vec{p}$ rispetto al tempo.
Per chi non è avvezzo al calcolo infinitesimale, possiamo semplificare la questione asserendo che si tratta di una variazione nel tempo del momento lineare di un singolo elettrone che stiamo prendendo in considerazione.
A destra dell'uguale abbiamo innanzitutto la forza (nello specifico il termine $-e \vec{E}$, dove $e$ è la carica elettrica fondamentale, cioè quella dell'elettrone) che agisce sul nostro elettrone dovuta al campo elettrico esterno; poi abbiamo un altro termine, ossia $- \frac{\vec{p}}{\tau}$, che rappresenta una forza di attrito viscoso.
In particolare, $\tau$ è il cosiddetto tempo di rilassamento, cioè il tempo medio che intercorre tra 2 collisioni o, in altre parole, la quantità che governa il rilassamento del sistema verso l'equilibrio (condizione in cui la quantità di moto media è 0), dopo che è stato rimosso il nostro fattore perturbativo esterno (cioè il campo elettrico).
E chiaramente l'introduzione di un campo elettrico esterno ha conseguenze pure sulla velocità delle particelle.
Infatti si va a definire la cosiddetta velocità di deriva


dove $m$ indica la massa dell'elettrone.
La cosa importante da notare è che la suddetta velocità mantiene la direzione del campo elettrico $\vec{E}$ ma presenta verso opposto (specificato da quel segno $-$ nell'ultima equazione).
Con un po' di passaggi matematici, tra cui assumere il campo elettrico come alternato e ricordare la celebre legge di Ohm (generalizzata), grazie a tutte queste considerazioni uno può giungere alla quantità fisica protagonista del modello di Drude: la conducibilità elettrica $\tilde{\sigma}$.
Di seguito l'espressione matematica che la definisce:



Notiamo immediatamente che tale quantità è fornita dal prodotto della cosiddetta conducibilità in corrente continua, $\sigma_{dc}$, e di un termine frazionario che coinvolge la frequenza angolare $\omega$ relativa al campo $\vec{E}$, il tempo di rilassamento $\tau$ e l'unità immaginaria $i$ (cliccate qui per dettagli sull'unità immaginaria e i numeri complessi).
Nota per il lettore non esperto: a sinistra dell'uguale le parentesi tonde con dentro $\omega$ non indicano una moltiplicazione, ma semplicemente il fatto che la conducibilità $\tilde{\sigma}$ ha una dipendenza esplicita dalla frequenza $\omega$.
Tuttavia l'aspetto essenziale è il seguente: $\tilde{\sigma}$ è una quantità complessa, dunque scomponibile in una somma di una parte reale $\sigma_1$ e di una parte immaginaria $\sigma_2$, ovvero in simboli:



Ora chiaramente $\sigma_1$ e $\sigma_2$ possono essere espresse da precise relazioni matematiche, ma l'aspetto più interessante è osservare il comportamento di tali quantità rispetto alla frequenza.
A tal proposito guardate la seguente figura.

Fonte immagine: bit.ly/44Kk5yA 


Potete notare come la parte reale ed immaginaria della conducibilità elettrica siano rappresentate da curve diverse e, in particolare, se andiamo a vedere cosa succede quando la frequenza tende a 0, possiamo constatare che $\sigma_1$ tende ad un certo valore che è nient'altro che $\sigma_{dc}$, mentre $\sigma_2$ tende a 0.
Ottimo, ora avete un'idea generale di come si comporta la conducibilità elettrica nei metalli assumendo un modello ideale come quello di Drude.
Dovrebbe poi essere cosa nota che i metalli che sono buoni conduttori di elettricità siano pure buoni conduttori di calore (pensate per esempio all'utilizzo delle pentole con fondo in rame nella cucina).
Ebbene, grazie al modello di Drude-Sommerfeld è possibile dimostrare matematicamente (state tranquilli, non lo faremo qui) una legge sperimentale, scoperta nel 1853, che mette in relazione la conducibilità elettrica $\sigma$ e la conducibilità termica $\kappa_T$: la legge di Wiedemann-Franz.
Nella sua forma più semplice e compatta essa si presenta nel modo seguente:

$\frac{\kappa_T}{\sigma} = LT$

Qui $T$ denota ovviamente la temperatura, mentre $L$ è il cosiddetto numero di Lorenz (scoperto da Ludvig Lorenz nel 1872), una quantità indipendente dal tipo di metallo che viene considerato nelle misurazioni.
A mo' di conclusione, vorrei far notare come nel 2006 un duo di scienziati, Martin Dressel e Marc Scheffler, abbia condotto un'interessante verifica moderna della validità del modello di Drude.
Di seguito l'abstract dell'articolo, pubblicato non a caso su Annalen der Physik




Cerco di riassumervi in poche e semplici parole gli aspetti cruciali del suddetto articolo.

Innanzitutto i 2 scienziati hanno osservato come in un regime di frequenza bassa (il nome rigoroso è regime di Hagen-Rubens) misure di riflettività siano state eseguite solamente nei cosiddetti "metalli cattivi", come l'acciaio inossidabile.
La caratteristica essenziale dei "metalli cattivi" è il fatto che presentino un valore basso di $\sigma_{dc}$  ed un valore elevato del rapporto $\frac{1}{\tau}$.
Ne consegue sostanzialmente che la loro riflettività devia molto dal 100% persino in un regime di bassa frequenza; andate per favore a rivedervi all'inizio del post cosa succedeva nel caso dell'argento, ove invece la riflettività era elevatissima nelle basse frequenze (o, equivalentemente, nelle larghe lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico).
Dressel e Scheffler hanno poi riscontrato un problema spinoso: solo nel regime delle microonde e di frequenze di pochi terahertz è possibile misurare la parte reale e la parte immaginaria di $\tilde{\sigma}$ in modo indipendente, tuttavia per i metalli convenzionali il fondamentale rapporto $\frac{1}{\tau}$ è ben al di sopra di tali frequenze!
Una possibile soluzione iniziale è stata quella di osservare cosa succede in semiconduttori moderatamente drogati.
No, non stiamo incentivando all'uso delle sostanze stupefacenti; il termine "drogato" (o, volendo, "doping") nell'ambito dei semiconduttori significa semplicemente che stiamo applicando un certo meccanismo che aumenta il numero di portatori di carica di quel semiconduttore, rendendolo così più simile ad un metallo in termini di conducibilità elettrica di quanto lo fosse originariamente.
Ed effettivamente l'uso del doping ha fornito (nel caso specifico dell'articolo si è fatto riferimento al silicio leggermente drogato) risultati sperimentali in accordo col modello teorico di Drude!
Ma non è finita qui, perché i 2 scienziati hanno giustamente evidenziato che se volessimo dati migliori dovremmo lavorare nel range di frequenze delle microonde.
E per far ciò si sono dovuti attenere ad una teoria più complessa, la teoria del liquido di Fermi, introdotta dal famoso fisico russo Lev Landau nel 1956.
Senza entrare nei complicati dettagli, ciò che è rilevante sapere è che tale teoria si applica stupendamente a particolari materiali intermetallici, i cosiddetti composti di fermioni pesanti.
Dressel e Scheffler hanno pertanto considerato uno di questi composti, chiamato $\mathrm{UPd_2Al_3}$, compiendo analisi in un range di frequenze vastissimo, nello specifico da 50 MHz a 40 GHz, focalizzandosi su temperature vicine allo zero assoluto, in particolare sopra 1.6 kelvin.
Il finale della storia forse è scontato, ma non toglie nulla alla meraviglia di un'importante rilevazione scientifica: anche nel suddetto caso i dati sperimentali hanno confermato un'ottima corrispondenza con il modello teorico di Drude!
Insomma, il duo di scienziati, poco più di 100 anni dopo la formulazione originaria del modello di Drude, ha dimostrato che tale modello, per quanto basilare, è ancora molto buono, in certi regimi di frequenza, nel descrivere il comportamento generale della conducibilità elettrica in metalli e materiali che si avvicinano alle caratteristiche dei metalli.
Ovviamente moderne tecniche più sofisticate fondate sulla meccanica quantistica, come l'approccio a molti elettroni sviluppato dal danese Jens Lindhard nel 1954 basandosi sulla cosiddetta Random-Phase Approximation, portano a risultati più rigorosi in generale.
I lettori esperti interessati possono trovare, cliccando qui, un interessantissimo articolo di Andrade-Neto in cui si mette a diretto confronto il modello di Drude con il più avanzato modello di Lindhard.    

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Fonti essenziali:

- Optical Properties of Solids di M. Fox
- Electrodynamics of Solids di M. Dressel e G. Grüner
- Verifying the Drude Response di M. Dressel e M. Scheffler

martedì 9 maggio 2023

666: IL NUMERO DI "DIABLO"!

Oggi parliamo di un numero famoso: il 666, spesso chiamato "Numero della Bestia" o "numero del diavolo".
Infatti al versetto XIII,16-18 dell'Apocalisse di Giovanni (l'ultimo libro del Nuovo Testamento, ossia la conclusione della Bibbia) si legge:

Faceva sì che tutti, grandi e piccoli, ricchi e poveri, liberi e schiavi, venissero marchiati sulla mano destra e sulla fronte. E che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della Bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha in­telligenza interpreti il numero della Bestia: esso rappresenta un nome d'uomo, e il numero è 666.

Mi piace celebrare così l'uscita a breve dell'attesissimo videogame Diablo IV, che sarà rilasciato in modo ufficiale in una data particolare: il 6.6.23 (e, dato che 2 per 3 fa 6, potete ben immaginare il perché sia stata scelta tale data).

Lilith in Diablo IV














Ecco un paio di spettacolari cinematic introduttive del game, in cui fa capolino la misteriosa ed affascinante figura di Lilith, nel game figlia di Mephisto (demone "signore dell'odio") e madre di Sanctuary (ovvero il mondo dei mortali), ma che ritroviamo già nel III millennio a.C. nelle antiche religioni mesopotamiche, come potete leggere su Wikipedia



I riferimenti numerici e geometrici nel game già non mancano in questi spezzoni di storia, ma ora concentriamoci sul protagonista del post, il 666.
Generalmente, nella blogosfera scientifico-matematica italiana, siamo abituati a presentare in dettaglio i vari numeri interi positivi in occasione dei Carnevali della Matematica.
Tuttavia, siccome manca ancora molto molto tempo al Carnevale della Matematica n.666 (pensate che la prossima edizione, che verrà pubblicata il 14 maggio da Dioniso (cioè Flavio Ubaldini), sarà "solamente" la n.169), mi permetto di introdurre il suddetto numero come se compissi un gigantesco salto in avanti nel futuro e avessi l'onore di ospitare qui, in questo momento, il Carnevale n.666.



 















666 è un numero pari composto da 12 divisori: 1, 2, 3, 6, 9, 18, 37, 74, 111, 222, 333 e 666.
Provate a sommarli (non includendo il 666). Fatto? Il risultato è 816, che è maggiore di 666.
Ergo 666 è un numero abbondante!
Ma è pure un numero che "sfiora la perfezione matematica"! Ma che diavolo significa?
No, non sono impazzito soggiogato dall'immenso potere di Lilith, semplicemente 666 è un numero semiperfetto.
Per capire, dovete ricordare che numeri come il 6, il 28 e il 496 sono detti perfetti perché se sommiamo assieme tutti i loro divisori (tranne, ovviamente, il numero in questione) li otteniamo "magicamente".
Per esempio 6 = 1 + 2 + 3, e così via per tutti gli altri numeri perfetti.
Bene, appurato ciò, possiamo dire che un numero si definisce semiperfetto se è uguale alla somma di alcuni (ma volendo anche tutti) suoi divisori.
Giusto per capire meglio, proviamo ad analizzare il numero semiperfetto 12. I suoi divisori sono 1, 2, 3, 4, 6, 12.
Per esempio possiamo costruire 12 come la seguente somma: 12 = 1 + 2 + 3 + 6.
Lo stesso discorso vale per il 666; potete trovare somme tra alcuni dei suoi divisori che restituiscono come totale 666.
Molto suggestivo è anche il fatto che 666 sia un numero triangolare, nel senso che se, in questo caso specifico, prendete TUTTI i numeri interi tra 1 e 36 e li sommate ottenete 666.
Ciò implica che 666 è anche la somma dei numeri presenti in una roulette: una sorta di collegamento del "diavolo" col gioco d'azzardo!













Nel sistema numerico decimale 666 è poi un numero di Smith, poiché se provate a sommare le sue cifre (cioè 6 + 6 + 6 = 18) e a sommare quelle della sua scomposizione in fattori (666 = 2 × 3 × 3 × 37 e, sommando le cifre, 2 + 3 + 3 + 3 + 7 = 18) potete constatare che ottenete il medesimo risultato (ovvero 18).
Sempre restando nel sistema numerico digitale, 666 è un numero di Harshad, nel senso che risulta divisibile per la somma delle sue cifre. Infatti 666/18 = 37.
Per di più 666 corrisponde alla somma di due numeri palindromi consecutivi: 313 e 353.
Il "numero della bestia" è anche un numero pratico e nontotiente (cliccate sui link per capire cosa ciò significhi). 
Molto curioso è poi il fatto che, passando ai numeri romani, 666 si scriva come DCLXVI, ovvero utilizzi tutti i simboli esistenti nel sistema di numerazione romano tranne la M (che corrisponde a 1000).
Altra peculiarità notevole consiste nel fatto che 666 è nientemeno che la somma dei quadrati dei primi sette numeri primi:



 

Insomma dal punto di vista numerico 666 nasconde molte curiosità.
Sussiste poi un meme online basato sulla radice quadrata di 666, cioè 25.80697... (un numero irrazionale), il quale afferma: "se 666 è considerato malvagio, allora, tecnicamente, 25.80697 è la radice di tutti i mali?". 
Usciamo ora dall'ambito prettamente matematico e osserviamo dove possiamo ritrovare il numero 666:
Immagine realizzata da Donald Pelletier, tratta da qui

















  • Sempre in astronomia, 666 Desdemona è un asteroide della fascia principale del sistema solare.
  • 666 Fifth Avenue (attualmente ridenominato 660 Fifth Avenue) è un imponente edificio di New York che è stato acquistato nel 2007 per 1.8 miliardi di dollari, divenendo così l'affare immobiliare più costoso nella storia della città statunitense "che non dorme mai". Di seguito una bella immagine dell'edificio tratta da Wikipedia





















In conclusione non può mancare la musica e non possiamo non segnalare il brano (che dà il nome pure all'omonimo album), datato 1982, del gruppo heavy metal britannico Iron Maiden, intitolato The Number of the Beast.


Abbiamo iniziato il post con riferimenti a Diablo IV, dunque trovo giusto terminarlo con la meravigliosa colonna sonora del videogame stesso, in particolare quella che fa da sottofondo all'importante città Kyovashad, presente nell'atto I della storia (che è stato giocabile nella versione beta).
 

All hail mother Lilith! 😈

mercoledì 12 aprile 2023

JOHN VENN E I SUOI DIAGRAMMI

Se doveste chiedere ad un passante di parlare almeno 30 secondi riguardo ad Einstein, Pitagora, Newton o Gauss ci sarebbe una discreta probabilità che qualche minima parola su un aneddoto biografico, citazione o contributo più particolare che li riguarda venga fuori.
Se, invece, chiedeste di parlare di John Venn sono abbastanza convinto che nel migliore (e forse raro) dei casi, a meno che non becchiate un vero appassionato di matematica, la risposta sarebbe "Ah Venn, forse quello dei diagrammi con gli insiemi" e stop!
Trovo abbastanza singolare che di un matematico (ma anche logico e filosofo) che abbia introdotto un concetto così essenziale e semplice (almeno nelle sue fondamenta), tanto da essere studiato ancora oggi generalmente sin dalla prima media, si sappia, ad eccezione degli esperti o patiti di storia della matematica, praticamente nulla.
Questo post sarà incentrato dunque sulla biografia di Venn e poi su qualche aspetto più particolare riguardante i celebri diagrammi.
Innanzitutto, per chi non ricordasse molto riguardo i diagrammi di Venn e le operazioni insiemistiche basilari, ecco di seguito un buon video riassuntivo presente sul canale YouTube di Agostino Perna


Siamo ora pronti per tornare nell'Inghilterra del XIX secolo e scoprire la vita di Venn.
John Venn nacque il 4 agosto 1834 nella città portuale inglese Kingston upon Hull (o semplicemente Hull). Aveva una sorella, Henrietta, nata quasi 2 anni prima, nello specifico l'8 ottobre 1832.
La madre, Martha Sykes, morì nel 1840, quando il bimbo era ancora molto piccolo. 
Per quanto concerne il padre, il reverendo Henry Venn, questi era il rettore della parrocchia di Drypool, vicino a Hull, ai tempi della nascita del figlio.
È interessante notare come la famiglia Venn provenisse da una lunga eredità gemella di natura clericale ed evangelica.
Infatti il nonno paterno, anch'esso chiamato John Venn, fu ministro alla famosa confraternita nota come Clapham Sect; un altro Henry Venn, suo bisnonno, fu l'autore di The Complete Duty of Man, un trattato del XVIII secolo che per molte generazioni costituì un manuale pratico fondamentale per il sistema evangelico dei valori cristiani.
Più o meno all'epoca della nascita del futuro matematico, suo padre Henry Venn aggiunse due sermoni alla biografia del proprio nonno (scritta da John Venn di Clapham, ma lasciata incompiuta), sermoni che hanno ulteriormente stabilito l'importanza della religione di famiglia e le responsabilità religiose reciproche di tutti i membri della famiglia.
Con una premessa del genere è lecito aspettarsi che il nostro John ricevette un'educazione molto rigorosa ed indirizzata in prospettiva di un futuro percorso sacerdotale
Egli frequentò prima la Sir Roger Cholmley's School di Highgate, poi la Islington Preparatory School, una scuola privata.
Durante la prima metà dei suoi circa 6 anni trascorsi a scuola, ossia tra il 1846 e il 1853, Venn non fu proprio uno studente modello: era inattivo, aveva cattivi compagni, non mostrava nessun interesse per nessuna materia e restò in una classe bassa nonostante il livello di rendimento della scuola fosse tutt'altro che alto.
In un giorno d'estate del 1850 Venn cominciò ad interessarsi all'algebra e ben presto fece straordinari progressi in matematica, arrivando a leggere una quantità di testi decisamente fuori dal comune per un normale studente.
Tuttavia gli stimoli esterni per continuare in tale direzione non furono molti, giacché non aveva concorrenti che sfidassero il suo talento matematico e nessuno degli alunni più grandi sembrava mostrare alcun interesse per la materia.
Il suo nuovo zelo accademico non passò però inosservato. Ne conseguì infatti un suo trasferimento alle classi superiori, ove strinse peraltro amicizie durature.
Per completezza va detto che, accanto all'istruzione formale appena descritta, Venn ricevette anche una notevole "istruzione informale", a casa, da parte di insegnanti privati.
Quando Venn fu ammesso al Gonville and Caius College il 25 giugno 1853, e immatricolato a Cambridge nell'ottobre dello stesso anno, rappresentò l'ottava generazione della dinastia dei Venn a conquistare l'accesso all'università.
Dopo aver vinto una borsa di studio in matematica al secondo anno di studi, si laureò (a seguito di una prova che consistette in circa 27 ore di risoluzione di 113 problemi) come "sixth Wrangler" nei Mathematical Tripos del 1857, ovvero si classificò al sesto posto tra quegli studenti che avevano conseguito una laurea di prima classe in matematica.
Durante i suoi anni universitari le simpatie evangeliche di Venn, coltivate all'interno della casa di famiglia e ancorate dal timore reverenziale e dal rispetto che provava nei confronti di suo padre, rimasero saldamente al loro posto.
Alla fine degli anni '50 Venn apparteneva ancora al partito evangelico anche se a quel tempo si era fatto altri amici al di fuori delle loro fila, con i quali era solito trascorrere molto tempo.
Inoltre, poco dopo essersi laureato, venne eletto Fellow del Gonville and Caius College, dopodiché, nei 2 anni successivi, fu ordinato sacerdote. 
Già nel 1858 era stato ordinato diacono a Ely, poi, dopo la sua ordinazione sacerdotale, aveva prestato servizio dapprima come curato a Cheshunt, nell'Hertfordshire, e successivamente per un anno come curato a Mortlake, Surrey.
E giungiamo così al 1862. È sicuramente curioso notare come, a differenza di alcuni dei suoi contemporanei più prodigiosi che produssero i loro primi articoli da studenti, all'età di 27 anni Venn non aveva scritto nulla, né per uso privato né per la pubblicazione, a parte lettere settimanali e sermoni.
Tuttavia, ad un certo punto, nel 1861, Venn decise di approfondire circa una questione che lo aveva colpito due anni prima durante la lettura del libro VI ("Sulla logica delle scienze morali") dell'opera, datata 1843, Sistema di logica raziocinativa e induttivain cui John Stuart Mill discuteva della "possibilità astratta di una scienza della sociologia, e in particolare di predire il corso delle azioni umane".
Tale ricerca si concretizzò appunto nella prima opera pubblicata, proprio nel 1862, da Venn, cioè Science of History.
Sempre in quell'anno lo studioso fece ritorno all'Università di Cambridge come docente di scienze morali, studiando e insegnando logica e teoria della probabilità.
Oltre al sopracitato trattato di Mill, Venn si era interessato in quegli anni alla logica, filosofia e metafisica, leggendo le opere pure di De Morgan, Boole (di lui abbiamo parlato qui) e John Austin.
Nel primo periodo da docente universitario Venn era preoccupato di non riuscire ad attirare studenti verso le sue lezioni sulle scienze morali e dubitava delle proprie abilità nell'insegnamento.
Ma presto, in particolare a partire dal 1867, le cose cambiarono in suo favore, ottenendo addirittura il permesso di accettare studenti di altri college alle sue lezioni.
Nel 1867 anche la vita privata del matematico ricevette un bello scossone: sposò infatti Susanna Carnegie Edmonstone, la figlia del reverendo Charles Edmonstone.
La coppia ebbe un figlio, John Archibald Venn (1883-1958), che divenne presidente del Queen's College di Cambridge nel 1932 e collaborò col padre alla redazione dell'opera in 10 volumi (pubblicati tra 1922 e 1953) Alumni Cantabrigienses, ossia un registro biografico degli ex membri dell'Università di Cambridge.

giovedì 9 febbraio 2023

LA SCOPERTA DEI BOSONI W e Z

Solo pochi giorni fa, il 25 gennaio, si celebrava il quarantennale della scoperta del bosone W (qui il relativo post celebrativo del CERN).
Nel presente post vorrei dunque provare a presentare in maniera accessibile per tutti un pochino più in dettaglio la scoperta dei bosoni W e Z, mediatori dell'interazione debole.
Ovviamente la prima questione da chiarire è cosa sia l'interazione debole.
Dovreste ben sapere che in natura esistono 4 interazioni fisiche fondamentali: gravitazionale, elettromagnetica, forte e debole.
La gravità è allo stesso tempo quella più conosciuta anche ai profani e quella più problematica per i fisici.
Infatti la teoria moderna della gravità non solo è molto complessa (trattasi della relatività generale di Einstein, matematicamente fondata sul calcolo tensoriale sviluppato da Ricci Curbastro e Levi-Civita), ma è difficile da far conciliare con l'altro grande pilastro della fisica moderna, ovvero la meccanica quantistica.
Al momento una teoria della gravità quantistica sperimentalmente verificata non esiste!

Immagine presa da: https://bit.ly/40Kpd52

Poi abbiamo l'interazione elettromagnetica, che riunisce insieme tutti i fenomeni elettrici e magnetici grazie alle note e fondamentali equazioni di Maxwell.

Equazioni di Maxwell
in assenza di sorgenti.

L'interazione forte è invece quella che, per esempio, fa da "collante" tra protoni e neutroni e dunque tiene assieme i nuclei atomici. Come suggerisce il nome stesso, è la più intensa tra le 4 interazioni fondamentali.

Immagine tratta da: https://bit.ly/3HL4hCw














Ultima, ma non per questo meno importante, è l'interazione debole.
In parole povere, è quel tipo di "forza" che è responsabile dei decadimenti radioattivi degli atomi.
La seguente immagine, tratta da Wikipedia, illustra per esempio il decadimento beta di un neutrone dovuto proprio all'interazione debole.














Per capire meglio, sottolineiamo immediatamente che nell'ambito della fisica delle particelle esistono 3 tipologie fondamentali di reazioni:

1) reazioni di scattering elastico: lo stato iniziale della reazione coincide con lo stato finale. Un esempio è dato da: $e^{-} + p \rightarrow e^{-} + p$. Ciò significa che l'interazione tra un elettrone $e^{-}$ ed un protone $p$ ha prodotto un elettrone $e^{-}$ ed un protone $p$. 

2) reazioni di tipo inelastico: le particelle prodotte nello stato finale non coincidono con quelle iniziali. Ad esempio: $\nu_{e} + n \rightarrow e^{-} + p$. Tradotto in parole significa che l'interazione tra un neutrino elettronico $\nu_{e}$ ed un neutrone $n$ va a produrre un elettrone $e^{-}$ ed un protone $p$. Notate bene la conservazione della carica elettrica sussistente tra lo stato iniziale (neutrino e neutrone entrambe particelle con carica nulla) e quello finale (elettrone con carica negativa e protone con carica positiva, e dunque complessivamente il sistema ha carica nulla).

3) decadimenti: qui abbiamo una singola particella come stato iniziale che decade in varie particelle nello stato finale. Per esempio $n \rightarrow p + e^{-} + \bar{\nu}_e$, che denota il fatto che un neutrone $n$ può decadere producendo un protone $p$, un elettrone $e^-$ ed un antineutrino elettronico $\bar{\nu}_e$ (come illustrato dall'immagine di cui sopra).

Ovviamente un modo davvero utile di rappresentare le interazioni fra particelle è costituito dai famosi diagrammi di Feynman e dalle relative regole di Feynman che consentono di comprendere immediatamente, dalla sola osservazione dei diagrammi, alcune delle grandezze essenziali in gioco, specialmente per il calcolo dell'ampiezza di probabilità e del suo modulo quadro, che consente di comprendere un'altra grandezza fondamentale come la sezione d'urto.
Non entreremo tuttavia nei dettagli di questi aspetti, che dal punto di vista teorico possono essere ricavati esplicitamente grazie alla teoria quantistica dei campi.

Illustrazione di alcuni diagrammi di Feynman e
processi in fisica delle particelle nella serie tv "The Big Bang Theory".

















Ora che abbiamo chiarito brevemente la questione interazioni fondamentali e reazioni, dobbiamo per forza di cosa aggiungere che ciascuna delle interazioni fondamentali è mediata da delle particelle note come bosoni di gauge.
Per quanto riguarda la gravità il corrispettivo bosone resta ancora ipotetico ed è chiamato gravitone (e si ipotizza abbia spin 2). 
Le restanti 3 interazioni fondamentali sono mediate da bosoni aventi spin 1 (avevamo dato un'introduzione molto basilare al concetto di spin, insieme ad altre cose, qui).
Nello specifico l'interazione elettromagnetica è mediata dal famoso fotone, l'interazione forte dal gluone, mentre per quanto concerne l'interazione debole abbiamo proprio i bosoni W e Z.
C'è un dettaglio non da poco che subito distingue tali bosoni: la massa!
Infatti mentre fotoni e gluoni non hanno massa, i bosoni W e Z sono particelle massive.
E tutto ciò ha delle implicazioni notevoli anche per quanto concerne il cosiddetto "range" $R$ di tali interazioni, che possiamo definire come

$R = \frac{1}{M_X}$

in cui $M_X$ rappresenta la massa della particella mediatrice dell'interazione, e in cui abbiamo assunto, per semplicità, l'uso delle unità di misura naturali, ovvero abbiamo considerato sia la velocità della luce $c$, sia la costante di Planck ridotta $\hbar$ pari ad 1, dunque non esplicitamente presenti nella formula sopra riportata.
È pertanto facile notare che se assumiamo che $M_X = 0$ (come nel caso del fotone e del gluone) otteniamo delle interazioni aventi range infinito (almeno teoricamente), mentre se $M_X$ è diversa da 0 l'interazione ha un range finito, che è proprio il caso dell'interazione debole.
Nello specifico il range della suddetta interazione è pari a circa $2 \times 10^{-3}$ fm, ove con fm indichiamo i femtometri (1 fm = $10^{-15}$ m).
Aggiungiamo poi che la scoperta dei bosoni W e Z è stata una vera e propria pietra miliare a conferma del modello teorico dell'unificazione elettrodebole per cui Glashow, Salam e Weinberg vinsero il Nobel per la fisica nel 1979.
Questi prodigiosi fisici mostrarono che, almeno ad elevate energie, l'interazione elettromagnetica e quella debole non sono altro che due facce della stessa medaglia, ossia l'interazione elettrodebole, un po' come (principalmente) Faraday e Maxwell dimostrarono sperimentalmente e matematicamente che fenomeni elettrici e magnetici potessero essere descritti complessivamente grazie alla teoria dell'elettromagnetismo. 
L'idea primordiale di indagare sull'esistenza dei bosoni W e Z risale al 1976, anno in cui David Cline, Peter McIntyre e Carlo Rubbia proposero di convertire gli esistenti acceleratori di protoni in collisori protoni $p$ ed antiprotoni $\bar{p}$, nella speranza di produrre appunto i bosoni massivi predetti dalla teoria elettrodebole.
Chi fosse rimasto sino ad ora confuso da concetti come quello di antiprotone appena menzionato, ovvero l'antiparticella del protone, legga (cliccando qui) il recente post che abbiamo pubblicato riguardo all'emergere teorico del concetto di antiparticella dall'equazione di Dirac e alla scoperta sperimentale della prima antiparticella nota, il positrone, cioè l'antiparticella dell'elettrone.
Specifico ora che quelli che finora ho chiamato bosoni W e Z sono complessivamente 3:

1) bosone $Z^0$, avente carica elettrica nulla;
2) bosone $W^+$, avente carica elettrica positiva;
3) bosone $W^-$, avente carica elettrica negativa.

Oggi sappiamo che tali particelle sono altamente instabili e vennero prodotte grazie alle seguenti reazioni:

$p + \bar{p} \rightarrow W^{+} + X^{-}$
$p + \bar{p} \rightarrow W^{-} + X^{+}$
$p + \bar{p} \rightarrow Z^0 + X^0$,

in cui $X^{\pm}$ e $X^0$ denotano stati adronici arbitrari permessi dalle leggi di conservazione.
Per chi se lo stesse chiedendo, un adrone è ovviamente una particella, ma non è una particella elementare (ovvero senza una struttura interna), bensì una particella composta da altre particelle, che possono essere quark (che invece sono particelle elementari) ed antiquark. 
Nello specifico, esistono 2 famiglie fondamentali in cui dividiamo gli adroni:

1) i barioni, composti da almeno 3 quark (e comunque sempre aventi un numero dispari di particelle costituenti). Di questa categoria fanno parte anche i protoni ed i neutroni.
2) i mesoni, formati da un quark e da un antiquark. Esempi famosi sono i pioni e i kaoni.

 

 












Come già detto all'inizio del post, sono passati 40 anni dal rilevamento sperimentale, nel 1983, dei bosoni mediatori dell'interazione debole.
Vennero sfruttati i seguenti corrispondenti decadimenti (molto generali) in leptoni:

$W^+ \rightarrow l^+ + {\nu}_l$
$W^- \rightarrow l^- + \bar{\nu}_l$
$Z^0 \rightarrow l^+ + l^-$

Specifichiamo che i leptoni sono una famiglia di particelle elementari (ed osservabili) che comprendono il ben noto elettrone, il muone, il tauone e i corrispettivi neutrini. Dunque nelle reazioni qui sopra $l$ può denotare indifferentemente $e, \mu, \tau$.  
2 esperimenti indipendenti vennero allestiti al CERN a partire dal 1981: UA1 e UA2, acronimi che provengono da "underground area", cioè "area sotterranea".
In entrambi gli esperimenti, fasci di protoni ed antiprotoni furono condotti insieme in una zona di intersezione che giace al centro di un gigantesco e molto complesso sistema di rilevamento.
Nello specifico, tenendo a riferimento UA1, i componenti principali di questo apparato erano:

1) un "tracking detector" centrale: usato al fine di osservare le particelle cariche e misurare il loro momento a partire dalla curvatura delle tracce in un campo magnetico applicato;
2) una serie di contatori di cascata elettromagnetica: assorbono e rivelano sia elettroni (osservati anche dal rivelatore centrale) che fotoni (non osservati dal rivelatore centrale); 
3) una serie di calorimetri adronici: assorbono e rivelano adroni sia carichi sia neutri;
4) una serie di contatori per l'identificazione dei muoni: questi sono le uniche partielle cariche che riescono a penetrare i calorimetri adronici.

Di seguito una rappresentazione schematica di quanto appena illustrato tratta dal testo Particle Physics di B.R. Martin e G. Shaw.

Alla fine è chiaro che le uniche particelle in grado di scappare dalla rivelazione del sofisticato apparato sono stati i neutrini, a volte noti comunemente come "particelle fantasma" giacché molto difficili da rilevare.
Infatti i neutrini presentano la caratteristica peculiare di essere sensibili soltanto all'interazione debole (e non alle altre interazioni) ed essere caratterizzati da una sezione d'urto assai piccola, il che significa che per tentare di rilevarli si ha bisogno di rivelatori molto grandi e di un enorme flusso di particelle.
Dopo questo breve inciso sui neutrini, torniamo all'esperimento UA1.
Uno dei problemi principali che gli scienziati dovettero affrontare fu il fatto che, per ogni evento in cui un bosone $W^{\pm}$ o $Z^0$ viene prodotto (decadendo poi in leptoni), esistono più di $10^{7}$ eventi nei quali vengono prodotti solo adroni.
L'estrazione del "segnale" di presenza dei suddetti bosoni in questo immenso "background" di adroni è stato reso possibile solo perché i leptoni che scaturiscono dal decadimento dei bosoni W e Z posseggono momenti elevati e sono spesso emessi ad ampi angoli rispetto alle direzioni iniziali del fascio.
Detto in altri termini, i leptoni si manifestano spesso con grandi "momenti trasversi".
Al contrario, gli adroni, prodotti nelle collisioni protone/antiprotone, e i leptoni derivanti dai loro decadimenti presentano raramente dei così elevati momenti trasversi.
Questa analisi permette pertanto di avere un modo efficace di distinguere ciò che è stato prodotto dagli adroni (cioè la maggioranza degli eventi) e ciò che invece è il risultato del decadimento delle nostre "prede", ossia i bosoni W e Z.
Concludendo, grazie ad analisi di questo tipo, gli esperimenti condotti al CERN produssero il risultato sperato e, nel 1984, Carlo Rubbia e Simon van der Meer furono insigniti del Nobel per la fisica per il loro fondamentale contributo nell'ambito di tale scoperta. 

van der Meer (a sinistra) e Rubbia (a destra).
Immagine tratta da: https://nyti.ms/3jDURRf















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Fonti essenziali:

- Particle Physics di B.R. Martin e G. Shaw