martedì 26 luglio 2011

IL LATO NOTO E IGNOTO DI ENRICO FERMI

Mi accingo a rielaborare il saggio breve (affrontato realmente all'esame di maturità di quest'anno, conseguendo il punteggio massimo di 15/15) sulla figura di Enrico Fermi.
Prima di tutto, fornisco di seguito le 4 fonti assegnate per redigere il suddetto saggio breve o articolo di giornale all'esame di stato 2011:

1) "Due dati ci permettono di valutare l’importanza del campo di ricerca aperto da Enrico Fermi con il suo lavoro. Il primo riguarda i premi Nobel, una misura rozza ma efficace dell’importanza di un determinato settore della ricerca scientifica e dei progressi in esso conseguiti: più di dieci Nobel per la fisica sono stati attribuiti a scoperte relative alle interazioni deboli. Se Fermi non avesse ottenuto il Nobel per le sue ricerche sui neutroni ne avrebbe ben meritato uno per la scoperta delle interazioni deboli. Una seconda valutazione dell’importanza della scoperta di Enrico Fermi si può dedurre dal fatto che oltre la metà degli esperimenti attualmente in corso o in preparazione con acceleratori di particelle — al CERN di Ginevra, al Fermilab di Chicago, a Stanford come a Frascati come a Tsukuba in Giappone o a Novosibirsk in Russia — sono dedicati a studiare vari aspetti delle interazioni deboli. La stessa prevalenza degli studi sulle interazioni deboli si riscontra nei programmi sperimentali dei grandi laboratori sotterranei, come quello italiano del Gran Sasso, quello giapponese di Kamioka, ed altri ancora nel Canada e negli Stati Uniti. La teoria di Fermi delle interazioni deboli è ormai confluita nella più generale teoria delle particelle elementari che va sotto il nome di “Modello Standard”. [...] È però importante ricordare che la teoria di Fermi mantiene ancora oggi il suo valore, sia per la validità delle soluzioni proposte sia come stimolo per una serie di ricerche che hanno impegnato i fisici per quasi settant’anni, e che ancora li impegneranno nei decenni a venire. In questa teoria si riflette la grandezza di Fermi, la firma di un grande maestro."
Nicola CABIBBO, Le interazioni deboli, in Carlo BERNARDINI - Luisa BONOLIS (a cura di), Conoscere Fermi nel centenario della nascita 29 settembre 1901 - 2001, Editrice Compositori, Bologna 2001

2) "Enrico Fermi nasce a Roma nel 1901. La sua produzione scientifica inizia nel 1921 e termina con la sua morte nel 1954. All’inizio della sua attività, la fisica conosce due sole forze fondamentali della natura, la gravitazione e l’elettromagnetismo, e due sole particelle elementari costituenti la materia, i nuclei di idrogeno (protoni) e gli elettroni. A metà degli anni Cinquanta le forze fondamentali sono diventate quattro, con l’aggiunta delle interazioni nucleari forte e debole, e le particelle elementari note sono ormai una trentina. In poco meno di trent’anni la concezione della materia subisce un mutamento così radicale e inusitato da rendere tale periodo, per la rapidità e la quantità delle conoscenze acquisite, forse unico nella storia del pensiero scientifico occidentale. Le ricerche di Fermi segnarono profondamente questo trentennio, non solo per la quantità e l’importanza dei risultati ottenuti ma soprattutto per il loro ruolo storico. Esistono infatti traguardi scientifici di enorme valore che giungono al termine di lunghe e pazienti ricerche e che coronano un ben definito progetto iniziale, ma ci sono anche scoperte apparentemente meno straordinarie che obbligano a inattese risistemazioni del sapere acquisito, scardinano principî metodologici e conoscenze unanimemente accettate e imprimono alla ricerca direzioni nuove e del tutto impreviste. Nel suo itinerario di scienziato [...] Fermi raggiunse entrambi gli obiettivi."
Giuseppe BRUZZANITI, Enrico Fermi. Il genio obbediente, Einaudi, Torino 2007

3) "Dalla lettura dei giornali di qualche settimana fa avrai probabilmente capito a quale genere di lavoro ci siamo dedicati in questi ultimi anni. È stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l’aver contribuito a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione. Noi tutti speriamo che l’uso futuro di queste nuove invenzioni sia su base ragionevole e serva a qualche cosa di meglio che a rendere le relazioni internazionali ancora più difficili di quello che sono state fino ad ora. I giornali hanno pubblicato un certo numero di dettagli sul lavoro di questi ultimi anni e tali dettagli, naturalmente, non sono più segreti. Ti interesserà sapere, se non lo sai già dai giornali italiani, che verso la fine del 1942 abbiamo costruito a Chicago la prima macchina per produrre una reazione a catena con uranio e grafite. È diventato d’uso comune chiamare queste macchine «pile». Dopo la prima pila sperimentale molte altre ne sono state costruite di grande potenza. Dal punto di vista della fisica, come ti puoi immaginare, queste pile rappresentano una ideale sorgente di neutroni che abbiamo usato tra l’altro per molte esperienze di fisica nucleare e che probabilmente verranno usate ancora di più per questo scopo ora che la guerra è finita."
Lettera di Enrico Fermi a Edoardo Amaldi del 28 agosto 1945 (in Edoardo AMALDI, Da via Panisperna all’America, Editori Riuniti, Roma 1997)
4) "Vorrei discutere con voi la crisi che la scienza attraversa da due anni a questa parte. In larga misura questa crisi è dovuta all’improvvisa consapevolezza, di parte dell’opinione pubblica e del Governo, del tremendo ruolo che la Scienza può avere nelle cose umane. L’importanza di questo ruolo era già nota. Ma il drammatico impatto portato dalla costruzione della bomba atomica lo ha portato nella pubblica consapevolezza in maniera così vivida che gli scienziati si sono trovati, inaspettatamente e talora contro la propria volontà, ad essere sotto i riflettori [...] C’è una grande penuria di uomini di scienza ben preparati [...] Ora le iscrizioni di studenti nei dipartimenti scientifici sono tornate a essere abbondanti. Spero che ben pochi di questi studenti siano attratti dal nuovo fascino che la scienza ha acquistato. La professione del ricercatore deve tornare alla sua tradizione di ricerca per l’amore di scoprire nuove verità. Poiché in tutte le direzioni siamo circondati dall’ignoto e la vocazione dell’uomo di scienza è di spostare in avanti le frontiere della nostra conoscenza in tutte le direzioni, non solo in quelle che promettono più immediati compensi o applausi."
Discorso tenuto da Enrico Fermi nel 1947 (in Giulio MALTESE, Ritorno a Chicago: Enrico Fermi e la nascita della fisica delle alte energie nel secondo dopoguerra (1946-1954), in Atti del XXI Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astronomia, Dipartimento di Fisica, Università della Calabria, Arcavacata di Rende (CS), 6, 7 e 8 giugno 2001)


COMMENTO ALLE FONTI FORNITE ALLO STUDENTE

A mio giudizio, le fonti fornite allo studente per redarre il saggio breve su Fermi sono sufficienti solo nel caso in cui esso abbia buone conoscenze dei principi fondamentali della fisica moderna e conosca almeno i tratti salienti della biografia e delle scoperte di Fermi.
Il tema proposto può essere svolto in maniera accurata, dunque, solamente da chi è appassionato di fisica e di materie scientifiche in generale, o comunque abbia una preparazione adeguata in tali discipline.
Ad esempio, il saggio non si può svolgere se non si è a conoscenza di cosa siano le interazioni deboli, visto che nelle fonti fornite non c'è alcuna spiegazione di cosa siano esattamente.
Vengono citati il perché la teoria sulle interazioni deboli sia una scoperta fondamentale di Fermi, per la quale avrebbe meritato un secondo Nobel per la fisica, e il fatto che essa fa parte del più onnicomprensivo Modello Standard.
Si può pertanto affermare che si trattava di un saggio dalla tematica estremamente interessante ma purtroppo destinato a pochi studenti.
Tra l'altro, nella scuola italiana, molto spesso la fisica moderna non si arriva nemmeno a svolgerla nel programma o nel migliore dei casi viene parzialmente accennata.

PREMESSA

In questo contesto ho intenzione di risvolgere il saggio su Enrico Fermi, ma, questa volta, senza limitazioni di tempo, spazio e fonti e soprattutto con la possibilità di introdurre leggi matematiche rigorose a supporto della descrizione!
Perchè il titolo del saggio è "Il lato noto e ignoto di Enrico Fermi"?
Ho scelto tale titolo in quanto le 4 fonti riportate sopra forniscono 2 aspetti chiave delle ricerche di Fermi:

1) la fissione nucleare: l'aspetto noto, che bene o male, tutti quanti conoscono;
2) le interazioni deboli: un aspetto ignoto, ossia noto solamente agli addetti ai lavori o agli appassionati di fisica e scienze in generale.

In mezzo a queste 2 tematiche se ne inserisce una terza: il vero ruolo della scienza.
Infatti, il tema nucleare porta Fermi a discutere su cosa debba fare effettivamente la scienza e a biasimare, per certi versi, le ricerche che hanno portato a distruzioni di massa (basti pensare a Hiroshima e Nagasaki) o ad un intensificarsi del clima di tensione internazionale (guerra fredda).
Vi auguro pertanto una buona lettura!

IL LATO NOTO E IGNOTO DI ENRICO FERMI
Le ricerche sulla fissione nucleare e gli studi sull'interazione debole

Enrico Fermi nasce a Roma il 29 settembre 1901 da genitori di origine piacentina.
Sin da giovane si appassiona alla matematica e alla fisica, arrivando ad acquistare un imponente trattato di fisica matematica in 2 volumi di circa 900 pagine scritto dal gesuita professore Andrea Caraffa, avente titolo: Elementorum Physicae Mathematicae.
Pertanto, Fermi, ancora adolescente, già studia a fondo argomenti di matematica e fisica inusuali per i ragazzi della sua età.
Infatti, negli anni in cui Fermi frequenta il liceo, mediante l'appoggio dell'ingegner Adolfo Amidei, amico e collega del padre, appassionato di matematica e fisica, egli comincia uno studio estremamente approfondito delle suddette discipline.
L'ingegnere, avendo riscontrato le singolari capacità del ragazzo, non ci ha pensato due volte a fornirgli trattati matematici di livello universatario, da cui Fermi apprese, fra i 14 e i 17 anni, settori della matematica tra cui:
  • geometria analitica;
  • geometria proiettiva;
  • analisi algebrica;
  • calcolo differenziale e integrale;
  • meccanica razionale.
Detto ciò, appare chiaro che Fermi, superato il liceo, non ha alcuna difficoltà ad entrare alla prestigiosa Scuola Normale Superiore di Pisa, dove poteva accedere ad un programma di studi più approfondito sulle materie in cui era ferrato e appassionato.
Egli, per l'esame di ammissione alla Normale, scrive un tema, conservato ancora negli archivi della scuola, dal titolo Caratteri distintivi dei suoni e loro cause, nel quale sfoggia non una conoscenza liceale, bensì universitaria, tanto da partire dall'equazione differenziale della verga (una lamina/sbarra) vibrante e risolverla tramite lo sviluppo in serie di Fourier!
Stacchiamoci allora per un momento da Fermi e andiamo a vedere cos'è una serie di Fourier e soprattutto chi è Fourier!
Joseph Fourier (1768-1830), figlio di un sarto di Auxerre, fu educato in un collegio dell'Ordine dei Benedettini, visto che per un certo tempo aveva avuto intenzione di vestire l'abito di quell'ordine.
Tuttavia, alla fine, divenne insegnante di matematica, prima nella scuola militare della città natale e successivamente all'École Normale e all'École Polytechnique.
Egli è famoso soprattutto per la sua nota opera Théorie analytique de la chaleur ("teoria analitica del calore") del 1822.
La suddetta opera, definita da Lord Kelvin come "un grande poema matematico", sviluppava sistematicamente alcune idee e intuizioni che 10 anni prima gli avevano consentito di vincere il premio bandito dall'Académie per un saggio sulla teoria matematica del calore.
Lagrange, Laplace e Legendre, che componevano la commissione giudicatrice, avevano criticato il saggio di Fourier per lo scarso rigore delle argomentazioni.
Gli sforzi che Fourier fece successivamente per cercare di chiarificare e rendere rigorose le proprie idee ci fanno comprendere il motivo per cui il XIX secolo sia stato definito "l'età del rigore" per la matematica.
Il contributo fondamentale di Fourier è dato dall'idea, già presente nella mente di un altro importante studioso Daniel Bernoulli, diventata in seguito un concetto chiave della matematica, che qualsiasi funzione y = f(x) può essere rappresentata tramite una serie di questa forma:




Tale espressione è appunto la serie di Fourier.
Tale rappresentazione ci permette di studiare numerosi tipi di funzioni.
Infatti, anche se in molti punti non esista la derivata o la funzione non risulti continua, la funzione potrà sempre essere sviluppabile in una serie di Fourier.
Lo sviluppo in serie può essere facilmente trovato considerando che:







Dopo questo breve excursus squisitamente matematico, ritorniamo al nostro Enrico Fermi.
Lo avevamo lasciato alle prese con il test d'ammissione alla Normale di Pisa, che passò brillantemente!
La produzione scientifica di Fermi comincia nel 1921 e il 4 luglio 1922 egli discute la sua tesi sulla diffrazione dei raggi X, laurendosi magna cum laude.
Fermi, successivamente, fonda a Roma il noto gruppo dei ragazzi di via Panisperna, comprendente scienziati del calibro di Edoardo Amaldi ed Ettore Majorana, giovane dotato di un talento straordinario nel campo della matematica, scomparso poi misteriosamente nel 1938.
Gli studi di tale squadra di promettenti fisici erano rivolti soprattutto alla fisica nucleare.
Fermi vince il premio Nobel per la fisica nel 1938 proprio per le scoperte relative alle reazioni di fissione nucleare tramite i neutroni lenti!
Per una descrizione dettagliata di tali argomenti vi rimando all'articolo "Reazioni Nucleari".
Ricordando che Fermi, insieme ad alcuni suoi colleghi, realizzò il primo reattore a fissione nucleare (la cosiddetta "pila") nel 1942 all'Università di Chicago (infatti, Fermi dal 1938 aveva deciso di abbandonare l'Italia e di sciogliere quindi il gruppo dei ragazzi di via Panisperna), vorrei adesso soffermarmi sull'aspetto più negativo degli studi sulle reazioni nucleari, ossia sullo sviluppo della famigerata bomba atomica.
Il meccanismo della bomba atomica è praticamente uguale a quello dei reattori a fissione, con l'unica differenza che mentre la prima libera un'imponente quantità di energia immediatamente, le centrali nucleari rilasciano questa energia più lentamente nel corso del tempo.
La realizzazione della bomba atomica e l'utilizzo di essa sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki aveva mostrato il potere distruttivo che la scienza può avere.
Ma il ruolo della scienza è quello di sviluppare armi di distruzione di massa oppure migliorare le condizioni di vita dell'umanità e scoprire i segreti dell'Universo?
Riscontriamo che lo stesso Fermi, nella lettera ad Edoardo Amaldi del 28 agosto 1945, auspica affinché lo sviluppo prossimo della scienza "serva a qualcosa di meglio che a rendere le relazioni internazionali ancora più difficili di quello che sono state fino ad ora".
Ricordiamo che, a seguito della Seconda guerra mondiale, proprio la tematica bombe atomiche scatenerà il periodo di "Guerra Fredda" (guerra di carattere prettamente psicologico e strategico, giocata proprio sul possedimento di ordigni nucleari che in qualsiasi istante potevano recare danni inimmaginabili a destinazione), che si era delineato a causa della contrapposizione fra le 2 superpotenze vincitrici, non altri che gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica.
Negli anni '60, poi, si arriverà a una sorta di "coesistenza pacifica" per mano del presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy e del capo dell'Unione Sovietica Nikita Kruscev, i quali si resero conto che una guerra nucleare non avrebbe comportato la sconfitta di una nazione e la vittoria di un'altra, bensì la totale distruzione del mondo, l'Armageddon!
Nessuno avrebbe avuto via di scampo, in quanto le radiazioni nucleari si diffondono per lunghe distanze e permangono per tanto, tantissimo tempo (si pensi al Giappone!).
Dunque, tale confronto tra le 2 superpotenze si spostò dal piano militare a quello di sviluppo economico e tecnologico (ricordiamo la "sfida" su chi avrebbe messo per primo piede sulla Luna"), anche se delle guerre vere e proprie si manifestarono in regioni periferiche come la Corea e il Vietnam.
Ritornando al nostro racconto, Fermi, in un discorso tenuto nel 1947, parla di una "crisi che la scienza attraversa da 2 anni a questa parte", dovuta soprattutto, a detta sua, "dal tremendo ruolo che la Scienza può avere nelle cose umane".
Egli pone in evidenza il fatto che questo ruolo "negativo" della scienza non era noto finché non si è manifestato nella maniera più tragica con la bomba atomica.
Ma purtroppo anche esso sussiste, soprattutto nel caso in cui la scienza si faccia condizionare dalla politica!
Fermi si auspica pertanto che le nuove generazioni di scienziati non siano attirate "dal fascino che la scienza ha acquistato" in quei tempi, ma inseguino, al contrario, il vero amore per la scienza, ossia un amore per la ricerca di nuove verità, la risoluzione di misteri inerenti l'Universo che ci circonda e non per la guerra o altri misfatti che un cattivo utilizzo della scienza può comportare!
Ma se questo era il lato noto al grande pubblico di Enrico Fermi, cioè la ricerca sul nucleare, tema ancora oggi al centro di accesi e infuocati dibattiti, qual'è il lato ignoto, quello noto solo agli addetti ai lavori, quello che ci evidenziano alcune fonti riportate?
Stiamo parlando della ricerca sulle interazioni deboli!
Come afferma Nicola Cabibbo nell'opera Conoscere Fermi, "più di 10 Nobel per la fisica sono stati attribuiti a scoperte relative alle interazioni deboli; se Fermi non avesse ottenuto il Nobel per le sue ricerche sui neutroni ne avrebbe ben meritato uno per la scoperta delle interazioni deboli".
Ma cosa sono le interazioni deboli?
Esse rappresentano una delle 4 forze (o interazioni) fondamentali della natura, insieme a quella gravitazionale, elettromagnetica e nucleare forte.
Giuseppe Bruzzaniti nell'opera Enrico Fermi, Il genio obbediente, ci specifica che all'inizio dell'attività di Fermi, "la fisica conosce 2 sole forze fondamentali, la gravitazione e l'elettromagnetismo". Tuttavia, "a metà degli anni '50 le forze fondamentali sono diventate 4" e sono state scoperte diverse decine di particelle che compongono la materia!
Il concetto antico di atomo (risalente a Democrito di Abdera) visto come un'entità indivisibile è stato di gran lunga superato!
Per questo motivo "in poco meno di 30 anni la concezione della materia subisce un mutamento così radicale e inusitato da rendere tale periodo, per la rapidità e la quantità delle conoscenze acquisite, forse unico nella storia del pensiero scientifico occidentale".
Ricordiamo che, negli anni '70, la forza elettromagnetica e quella nucleare debole sono state unificate nell'interazione elettrodebole.
Inoltre, all'inizio dell'Universo, pochi attimi dopo il Big Bang, presumibilmente le 4 interazioni erano assemblate insieme in un'unica "superforza", che successivamente si è divisa nelle sopracitate 4 forze.
Nello specifico la forza nucleare debole (quella che ci interessa in tale contesto!):
  • agisce sia sui quark che sui leptoni;
  • interviene nel decadimento beta dei nuclei atomici. Il decadimento beta coinvolge i nuclei attraverso i suoi componenti, i neutroni e i protoni, e si svolge con 2 modalità:
1) decadimento beta meno (β), in cui il neutrone decade trasformandosi in un protone ed emettendo un elettrone: n → p + e
2) decadimento beta più (β+), in cui il protone decade mutandosi in un neutrone ed emettendo un positrone: p → n + e+
  • ha un ruolo significativo anche nelle reazioni di fusione nucleare che sussistono nel Sole e nelle altre stelle.
La spiegazione del decadimento beta data da Fermi nel 1933 si può considerare il prototipo dell'interazione debole.
In analogia con la forza elettromagnetica, Fermi descrive il processo debole come un'interazione puntiforme di 4 fermioni, con costante di accoppiamento G, chiamata costante di Fermi. Le transizioni delle particelle sono descritte in termini di correnti vettoriali, alla stregua di come avviene per l'elettromagnetismo, con la differenza che nel caso debole esse hanno una variazione di carica elettrica. La costante G non è adimensionale ma possiede le dimensioni di [energia]-2.
Andiamo ad osservare però la prospettiva storica di questa scoperta.
Nell'ottobre 1933, a Bruxelles, Fermi prese parte al settimo Congresso Solvay, al quale vi parteciparono tutti i più importanti fisici nucleari del mondo, da Chadwick a Blackett, da Rutherford a Lise Meitner, dai coniugi Joliot-Curie a Ernest Lawrence, e alcuni fisici teorici che avevano contribuito allo sviluppo della Meccanica Quantistica come Bohr, Heisenberg, Pauli, Dirac e Gamow.
In tale occasione Wofgang Pauli presentò (nuovamente) la sua idea sull'esistenza del neutrino, che accese diverse discussioni.
Stimolato proprio dalle discussioni al congresso di Bruxelles, in meno di 2 mesi Fermi completò il suo lavoro sulla teoria del decadimento beta, pubblicato col titolo Tentativo di una teoria dei raggi β.
Nella sua teoria Fermi riprese la supposizione di Pauli sull'esistenza del neutrino (particella con massa nulla ed elettricamente neutra) e utilizzò l'idea che protone e neutrone fossero 2 stati differenti dello stesso "oggetto fondamentale", ma aggiunse un'ipotesi radicale per spiegare la provenienza dell'elettrone emesso nel decadimento beta: quest'ultimo non preesisteva nel nucleo prima di essere espulso, bensì veniva generato, assieme al neutrino, nel processo di decadimento inerente la trasformazione di un neutrone in un protone.
Per mettere a punto la teoria di un processo come il decadimento β in cui il numero di particelle leggere (neutrino ed elettrone) non si conserva, Fermi fece ricorso ad un formalismo elaborato precedentemente da Dirac nella sua teoria quantistica della radiazione relativa all'interazione dell'elettrone con il campo elettromagnetico.
La teoria di Dirac sfruttava i cosiddetti "operatori di creazione e distruzione", che consentivano di descrivere in maniera rigorosa processi in cui vi sono particelle (nel caso di Dirac, le coppie elettrone-positrone) che vengono create, o annichilite, nell'interazione con il campo.
Fermi trasferì il formalismo di Dirac all'interazione responsabile del decadimento radioattivo: allo stesso modo in cui l'interazione elettromagnetica produce la conversione di un fotone in una coppia elettrone-positrone (o, in modo simmetrico, la loro annichilazione, ossia la scomparsa di una coppia con la contemporanea creazione di un fotone), così l'interazione debole (o interazione di Fermi) è responsabile della trasformazione di un neutrone in protone (o viceversa) accompagnata dalla generazione di un elettrone (o positrone) e un neutrino.
La probabilità con cui il processo avviene e le modalità secondo cui si svolge dipendono dalle proprietà dell'interazione responsabile, e queste possono essere riassunte in una grandezza, la cosiddetta funzione Hamiltoniana.
In generale, nel decadimento beta il numero di massa A non cambia, mentre il numero dei protoni Z aumenta di un'unità nel decadimento beta meno e diminuisce di un'unità nel decadimento beta più.
Pertanto, Fermi ha dato un grande scossone alla fisica moderna con le sue intuizioni, tanto che oggi si è delineato il famoso Modello Standard, teoria che descrive tutte le particelle e tutte le forze fondamentali, tranne la gravità.
Per quest'ultima, è stata ipotizzata una particella mediatrice di forza, il cosiddetto gravitone, che tuttavia, non è stato ancora rinvenuto in alcun esperimento con gli acceleratori di particelle!
Quindi, pur essendo una teoria molto preziosa per spiegare la natura delle forze fondamentali e le particelle, essa non risulta completa!
In altre parole, non sussiste ancora l'unificazione tra le forze che il Modello Standard riesce a spiegare (elettromagnetica, nucleare forte e debole) attraverso la Meccanica Quantistica e quella che invece, anche essendo la più nota al grande pubblico, è la più sfuggente: la gravità, descritta dalla Relatività Generale di Einstein.
Inoltre, c'è un altro problema che va a minare il Modello Standard: non riesce a spiegare perché le particelle in esso descritte hanno proprio quei valori precisi di massa e carica elettrica che conosciamo.
Per ovviare a questo inconveniente, si cerca disperatamente il celebre "Bosone di Higgs", denominata "Particella di Dio", quella particella, in quanto portatrice di forza del Campo di Higgs, il cui compito sarebbe conferire la massa alle particelle.
Ma questa è un altra storia!
Bene, dopo questo viaggio esplorativo nella vita di Fermi e nelle numerose implicazioni scientifiche a lui annesse, vi propongo per un ulteriore approfondimento alcuni video molto interessanti inerenti la sua vita, le sue scoperte e così via.
Particolarmente significativo risulta il primo filmato proposto, che ci fa vedere anche la figura del giovane genio Ettore Majorana alle prese con una sfida matematica proprio con Fermi stesso!
Buona visione!







IL TEOREMA DI BERNOULLI E IL GIOCO DEL CALCIO

La fisica e la matematica vengono spesso ritenute materie inutili, fuori dal mondo, aride, che non servono ad un bel niente e che non hanno nulla a che spartire con la vita quotidiana.
Tutto il contrario: la fisica e la matematica stanno dappertutto, anche se non tutti lo sanno.
Un primo esempio: il computer.
I giovani non potrebbero accedere a Facebook, Twitter, Youtube e chi più ne ha più ne metta, se non ci fosse stato lo sviluppo della matematica e della fisica!
Il computer, la televisione, il cellulare, l'iPod e in generale tutti i dispositivi elettronici moderni si basano su leggi matematiche e fisiche ben precise.
Ma la fisica non sta alla base soltanto del mondo tecnologico, sarebbe riduttivo per essa!
Scendiamo in un campo sempre interessante per i giovani: lo sport.
Giocare a pallone, per esempio, secondo le concezioni comuni, dovrebbe essere qualcosa di completamente distante dalla fisica.
Le cose non stanno così: consideriamo ad esempio uno dei momenti più spettacolari di una partita di calcio, trattasi del calcio di punizione.
Per descrivere la fisica alla base della punizione dobbiamo ricondurci a un particolare effetto facente parte della branca della fisica nota come dinamica dei fluidi: l'effetto o spinta di Bernoulli, che prende il nome dal fisico Daniel Bernoulli.
Riporto l'illuminante descrizione che ci dà Andrea Frova nel libro "La scienza di tutti i giorni" riguardo tale effetto e le sue applicazioni:

"La cosiddetta spinta di Bernoulli sta alla base della portanza delle ali nel volo, dello sventolio delle bandiere, della spinta sulla vela, della forza che pone in oscillazione le corde vocali, o anche della semplice forza che agisce su una mano esposta fuori dal finestrino dell'auto. Un classico esperimento che dimostra cosa avviene su una superficie in contatto con un fluido in moto rispetto a essa si può fare con il tubo di Venturi (Giovanni Battista Venturi è stato un fisico italiano del Settecento). Se nel tubo, che ha una zona di sezione ristretta, viene sospinto un fluido, sia esso un gas o un liquido, si osservano 2 fatti. Primo, per la costanza della portata in un tubo senza perdite, la velocità del liquido risulta maggiore dove il tubo si restringe (è l'effetto che dà luogo alla formazione di rapide nei fiumi). Secondo, la pressione esercitata dal fluido sulle pareti del tubo è più grande là dove la velocità è minore".

Adesso possiamo illustrare l'equazione alla base di tale principio, detta appunto equazione o teorema di Bernoulli!
Siano h1 ,v1 e p1 rispettivamente l'altezza, la velocità e la pressione del fluido quando entra dall'estremità sinistra di un tubo e h2, v2 e p2 le corrispondenti quantità per il fluido che esce dall'estremità destra.
Sia inoltre ρ la densità del fluido.
Applicando il principio di conservazione dell'energia al fluido riscontriamo che le suddette quantità sono legate dalla relazione:



Tale relazione si può riscrivere in tal modo:



Nel caso in cui il condotto sia orizzontale, la quantità ρgh, dove g è l'accelerazione di gravità sulla Terra (9,8 m/s²), è costante e pertanto l'equazione precedente si riduce a:



Come già notiamo nella descrizione di Frova, la pressione e la velocità del fluido cambiano quindi solo se cambia la sezione del tubo: dove questa è maggiore la velocità è minore e maggiore è la pressione!
La velocità e la pressione risultano inversamente proporzionali: se v diminuisce, p deve aumentare e viceversa.
Questo fenomeno è chiamato effetto Venturi.
Ora, che c'entra tutto questo con il gioco del calcio?
Come ci spiega sempre Frova:

"A una combinazione di spinta di Bernoulli e di attrito si deve la traiettoria incurvata di una palla in volo, effetto che gioca ruoli fondamentali in molti sport, dal tennis al calcio, dal ping-pong al golf, dalla pallavolo al baseball....Proviamo ad applicare il criterio della pura spinta di Bernoulli alla palla in volo e avremo delle sorprese. Infatti, se la rotazione impressa alla palla, vista da sopra, è in senso orario, essa dovrebbe piegare verso sinistra. Ciò perché la velocità dell'aria rispetto alla superficie della palla è maggiore sul lato di sinistra che su quello di destra, in quanto nel primo caso si somma a quella di rotazione, mentre nel secondo si sottrae. La pratica mostra che le cose vanno esattamente al contrario: per far curvare la palla a sinistra occorre una rotazione antioraria! La ragione è che nel discorso fatto viene trascurato l'attrito fra l'aria e la superficie della palla, il quale qui GIOCA invece un ruolo cruciale. Per effetto dell'attrito, la superficie della palla, nel suo moto rotatorio, trascina con sé uno strato d'aria. I moti dell'aria, allora, sono 2: quello dovuto al volo in linea retta della palla, che darebbe luogo a linee di flusso identiche sui 2 lati, e quello dovuto alla rotazione, le cui linee di flusso sono cerchi e si sommano alle prime alla destra della palla, rendendole più fitte, e si sottraggono a sinistra, rendendole più rade. Quindi pressione maggiore sul lato sinistro e spinta di Bernoulli diretta a destra. Per far piegare la palla occorre una rotazione antioraria".

L'effetto descritto da Frova è denominato Effetto Magnus, dal nome del fisico e chimico tedesco Heinrich Gustav Magnus, a cui si deve la scoperta.
Giusto per dimostrare ancora una volta la presenza della fisica nel gioco del calcio e in tutti i vari sport, consideriamo un pallone da calcio che rotola sul terreno.
Esso è soggetto a una forza di attrito volvente o di rotolamento, che risulta sempre di entità inferiore rispetto all'attrito radente (quello che si esercita fra 2 superfici, come la suola della scarpa e il terreno) .
Sperimentalmente si trova che la forza di attrito volvente è direttamente proporzionale al peso e inversamente proporzionale al raggio del corpo che rotola.
In simboli matematici si può esprimere tale concetto come:

Fv = kv P/r

dove:
  • Fv = forza di attrito volvente;
  • kv = coefficiente di attrito volvente;
  • P = componente perpendicolare al piano del peso del corpo;
  • r = raggio del corpo.
Tale forza diventa considerevole nel caso di una palla da bowling.
Essa, infatti, ha generalmente un peso molto elevato in rapporto alle sue piccole dimensioni.
Proprio per ovviare all'inconveniente della forza di attrito volvente, in genere, le piste da bowling vengono condizionate con oli per permettere alla palla di scivolare meglio!

mercoledì 20 luglio 2011

LA PILA: UN'IMPORTANTE APPLICAZIONE A CAVALLO TRA CHIMICA E FISICA

Le pile o celle elettrogalvaniche sono sicuramente oggetti con cui abbiamo a che fare quotidianamente.
Esse, infatti, fanno funzionare telecomandi, telefoni cellulari, calcolatrici tascabili, mouse di alcuni pc, controller di videogiochi, ecc.
Potremmo affermare che esse si trovano a cavallo tra la chimica e la fisica, in quanto entrambe sono necessarie per descrivere il funzionamento di tali oggetti.
Più precisamente, esse sono studiate da quella branca denominata elettrochimica, che si occupa delle trasformazioni di energia chimica in energia elettrica e viceversa.
Tuttavia, prima di procedere nella trattazione di questi fondamentali apparecchi, risulta necessario richiamare alcune nozioni di fisica inerenti l'elettromagnetismo.
Innanzitutto, l'energia elettrica è l'energia trasportata dalla corrente elettrica, e come qualsiasi energia, si misura in joule.
La corrente elettrica è un moto ordinato di cariche elettriche (elettroni) in conduttori.
Per indicare quanto è "grande" la corrente elettrica dobbiamo introdurre una grandezza, l'intensità di corrente elettrica, data dalla formula:

i = ΔQ/Δt

Tale equazione ci dice quindi che l'intensità di corrente (i) è pari alla quantità di carica (ΔQ) che attraversa la sezione di un conduttore in un certo intervallo di tempo (Δt).
Tuttavia, richiamando la 1° legge di Ohm, l'intensità di corrente può essere anche definita come:

i = ΔV/R

La 1° legge di Ohm afferma dunque che nei conduttori ohmici (ampia classe di conduttori comprendente i metalli e le soluzioni di acidi, basi e sali per la quale la curva caratteristica nel diagramma corrente-tensione è data da una retta passante per l'origine) l'intensità di corrente elettrica (i) è direttamente proporzionale alla differenza di potenziale o tensione (ΔV) e inversamente proporzionale alla resistenza elettrica.
L'unità di misura dell'intensità di corrente elettrica è l'ampere (A).
Ma cosa sono la differenza di potenziale (d.d.p.) e la resistenza elettrica?
La d.d.p. rappresenta il "dislivello elettrico" tra corpi che è alla base della corrente elettrica, cioè il moto delle cariche tra conduttori a diverso potenziale.
Infatti, le cariche positive "scendono" lungo la d.d.p., ossia passano spontaneamente da punti a potenziale più alto verso punti a potenziale minore.
Viceversa, le cariche negative "risalgono" la d.d.p., cioé passano spontaneamente da punti a potenziale più basso verso punti a potenziale più alto.
Considerati 2 punti A e B a diverso potenziale, la definizione matematica rigorosa della differenza di potenziale è questa:



dove:

- q = carica puntiforme presa in considerazione, fissa in un punto P;
- ε₀ = costante dielettrica del vuoto;
- ra = distanza del punto A da P;
- rb = distanza del punto B da P.

La resistenza è invece definita dalle 2° legge di Ohm:



dove:

- ρ = resistività: essa dipende dal particolare materiale con cui è fatto il filo e dalla sua temperatura.
- l = lunghezza del filo conduttore;
- A = area trasversale.

Ma per avere nella realtà la corrente elettrica c'è bisogno di un apparecchio detto "generatore di corrente elettrica" costituito di 2 zone separate, chiamate poli.
Il primo è il polo negativo o catodo, dove si accumulano gli elettroni di conduzione, mentre l'altro polo, essendo privato di elettroni, acquisisce carica positiva e viene denominato anodo o polo positivo.
In accordo con ciò che abbiamo descritto prima, nel momento in cui si collegano tra loro i 2 poli tramite un filo conduttore esterno, gli elettroni, spinti dalla d.d.p. sussistente fra i poli, escono dal polo negativo per dirigersi lentamente verso quello positivo.
Man mano che gli elettroni pervengono all'anodo, il generatore provvede a trasportarli nuovamente sul catodo, passando al suo interno, così da mantenere costante la d.d.p. fra i 2 poli.
In tal modo si chiude il circuito percorso dagli elettroni.
Sussiste un'analogia tra la definizione di corrente elettrica che riscontriamo in fisica e quella di reazione di ossido-riduzione (redox) spontanea che troviamo in chimica.
Infatti, una reazione redox spontanea consiste nel passaggio di elettroni da un elemento riducente a uno ossidante, durante il quale si libera energia.
Causa del passaggio di elettroni è la differenza di potere riducente fra gli elementi.
Presa tale definizione, se agli elementi riducenti/ossidanti sostituiamo i poli e alla differenza di potere riducente sostituiamo la d.d.p. otteniamo praticamente la definizione di corrente elettrica!
Ma cosa sono esattamente le reazioni redox?
Esse rappresentano reazioni chimiche in cui avvengono contemporaneamente l'ossidazione di un elemento e la riduzione di un altro.
Cosa significano ossidazione e riduzione?
Un elemento si ossida quando cede elettroni e di conseguenza aumenta il suo numero di ossidazione.
Viceversa, un elemento si riduce quando acquista elettroni e pertanto diminuisce il suo numero di ossidazione.
Dunque, le reazioni redox comportano il fatto che, durante lo scambio di elettroni tra 2 elementi, un elemento si riduce a spese dell'altro che si ossida!
Ritornando adesso alla pila, essa non è altro che un generatore che trasforma l'energia chimica in energia elettrica e basa il suo funzionamento su una reazione redox spontanea.
La prima pila si deve ad Alessandro Volta, il quale, nel 1799, si rese conto che, mettendo a contatto tra loro 2 metalli differenti, si stabiliva fra essi una differenza di potenziale e che l'effetto aumentava in presenza di una soluzione acquosa di un sale o di un acido.
Ma chi era Alessandro Volta?
Volta era nato nel 1745 a Como, in una ricca famiglia di stretta osservanza cattolica.
Suo padre, che aveva ben 3 fratelli sacerdoti, era stato per 11 anni novizio nei Gesuiti, prima di sposare una nobildonna, anch'essa estremamente religiosa.
Dei loro 9 figli, 5 scelsero la vita religiosa.
Alessandro nutrì sempre un profondo rispetto nei confronti del fratello arcidiacono, ma dopo essere stato educato da Gesuiti, preferì la vita secolare.
Egli convisse per numerosi anni con una cantante, e poi si sposò con un'altra donna solo all'età di circa 50 anni!
Sua moglie viene descritta come una donna bruttina, molto nobile, ricca e saggia.
Volta era stato educato soprattutto allo studio di materie umanistiche come il latino, le lingue e la letteratura: era infatti capace di comporre sonetti in francese e italiano, oppure odi in latino, ma senza alcun talento poetico!
La sua inclinazione scientifica sembra che sia nata e cresciuta in modo spontaneo.
Infatti, ad un certo punto della sua vita, il giovane Volta iniziò a compiere esperimenti nel campo dell'elettricità, lesse vari libri inerenti tale argomento e cominciò a nutrire una profonda passione nei confronti di tali studi.
Un prete amico, il canonico G.C. Gattoni, lo aiutò, fornendogli apparecchi e spazi per lavorare a casa sua.
La passione per l'elettricità condusse Volta, già a 16 anni, a scrivere lettere a diversi esperti in tal settore come l'abate Nollet a Parigi e Giambattista Beccaria a Torino.
Beccaria a quel tempo era uno studioso di elettricità affermato e internazionalmente noto.
Egli suggerì a Volta di dedicarsi quasi esclusivamente allo studio sperimentale e tralasciare sostanzialmente lo studio teorico.
Infatti, le opinioni teoriche del giovane risultavano assai meno importanti dei suoi esperimenti.
Con il passare degli anni, Volta approfondì la sua conoscenza relativa all'elettricità statica, giungendo così a raggiungere un livello paritario rispetto a quello dei migliori studiosi del suo tempo, e iniziò a costruire strumenti originali.
Un perfetto esempio di strumento voltiano è l'elettroforo.
Una piastra metallica conduttrice, poggiata su una "focaccia" isolante, innanzitutto viene portata "a terra", cioè a potenziale zero, dopodiché viene isolata e sollevata dalla focaccia.
La piastra diviene in tal modo carica a potenziale elevato e l'operazione può essere ripetuta indefinitamente.
L'invenzione risultava estremamente ingegnosa e venne successivamente sviluppata in un'intera serie di macchine elettrostatiche.
Volta, inoltre, si era reso conto che aveva bisogno di misurare quantitativamente le grandezzze elettriche.
A tal fine inventò un elettrometro, il precursore di tutti gli elettrometri assoluti elettrostatici, che era in grado di misurare le d.d.p. in modo riproducibile.
Egli mise a punto una scala per il suo apparecchio e, dalla descrizione che egli stesso ne fece, possiamo capire che la sua unità di potenziale era pari a 13350 dei nostri volt (unità di misura che ha simbolo V e prende il nome appunto da Volta!).
L'invenzione dell'elettroforo consentì a Volta di ottenere un incarico di professore di fisica nelle scuole di Como (1775).
Intanto, il suo nome cominciò a diventare famoso anche fuori dall'Italia, tanto che la Società di Fisica di Zurigo lo nominò suo membro.
All'età di 32 anni fece un viaggio in Svizzera durante il quale incontrò Voltaire e parecchi fisici svizzeri.
Al suo ritorno in Italia, fu nominato professore di fisica all'Università di Pavia, che, a quel tempo, rappresentava la più importante università della Lombardia.
Poco dopo aver compiuto i 45 anni, Volta lesse i lavori di un altro importante studioso di elettricità: si trattava di Luigi Galvani.
I lavori di quest'ultimo influenzarono profondamente Volta.
Bisogna dire che però si generò una disputa fra i 2 studiosi.
Nel 1791 Galvani, nell'opera De viribus electricitatis in motu musculari commentarius, pubblicò i risultati degli esperimenti che per una decina di anni aveva ripetutamente compiuto sulle rane scorticate.
Posti nelle vicinanze di una macchina elettrostatica, i corpi delle rane subivano contrazioni muscolari, se toccati con una lama metallica, negli stessi istanti in cui dalla macchina spuntavano fuori scintille.
Le carcasse delle rane si contraevano allo stesso modo se appesi a una ringhiera, in concomitanza con scariche elettriche.
Galvani aveva verificato, infine, che le contrazioni potevano essere provocate stabilendo un contatto metallico fra i muscoli delle zampe e i nervi lombari, e che risultavano più violente se il contatto avveniva per mezzo di un arco bimetallico.
Quando Volta venne a conoscenza della pubblicazione di Galvani, ripeté l'esecuzione degli esperimenti constatando con un certo stupore la veridicità dei fenomeni descritti.
Sulla loro interpretazione nacque, come detto, un'accesa disputa, che coinvolse anche altri studiosi.
La domanda cruciale che scatenò tale contesa è: il corpo della rana si comporta come un elettrometro così sensibile da rispondere persino alle piccole differenze di potenziale prodotte tra le sue estremità dalla scarica di una macchina elettrostatica, da un fulmine o da un arco bimetallico, oppure è esso stesso una sorgente di "fluido elettrico"?
Galvani propendeva per la seconda ipotesi, mentre Volta sosteneva la prima.
Il fatto che le contrazioni più intense si osservassero quando la rana scorticata veniva toccata con un arco bimetallico aveva convinto Volta che a generare la tensione, in questo caso, fosse la giunzione tra i 2 metalli, così come negli altri casi erano il fulmine e la macchina elettrostatica.
La disputa si concluse quando egli riuscì, come visto in precedenza, a costruire un elettrometro metallico sensibile alle piccole tensioni.
Poté in tal modo dimostrare che, in effetti, le estremità delle giunzioni fra metalli hanno potenziali elettrici differenti (effetto Volta) e fu allora chiaro che i muscoli della rana non sono un generatore elettrico, bensì un rilevatore.
Dopo l'invenzione della pila, Volta scomparve praticamente dalla scena e lo sfruttamento della sua scoperta fu lasciato ad altri.
Probabilmente era troppo vecchio per competere con forze più giovani e fresche, ed è anche possibile che fosse psicologicamente bloccato dalla stessa grandezza dei suoi precedenti risultati.
Passò gli ultimi 8 anni della sua vita quasi in isolamento nella sua villa di Camnago nei pressi di Como dove morì il 5 marzo 1827, all'età di 82 anni.
Dopo questo excursus biografico sulla vita di Alessandro Volta, ritorniamo al nocciolo della questione, ossia la trattazione della pila e delle reazioni redox, e constatiamo che una reazione di ossidoriduzione spontanea è anche esotermica (cioè libera energia) mettendo in una provetta una soluzione acquosa di solfato di rame e un po' di zinco in polvere.
La provetta, inizialmente di colore azzurro a causa della presenza degli ioni Cu2+, in pochi minuti si decolora (segno dimostrante il fatto che gli ioni del rame sono spariti) e, al posto della polvere grigio-biancastra di zinco, riscontriamo un precipitato bruno-rossastro di rame.
Che cosa è successo?
Lo zinco è passato in soluzione ossidandosi da Zn a Zn2+ e a sua volta ha ridotto il rame da ione Cu2+ a rame metallico Cu.
Nella provetta, a seguito della reazione, c'è una soluzione incolore di solfato di zinco e un precipitato rosso bruno di rame.
Toccando la provetta, essa risulta calda!
Pertanto, la seguente reazione redox che si determina

Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu

appare spontanea ed esotermica!
Ciò ci fa comprendere che il passaggio degli elettroni dallo zinco agli ioni Cu2+ del rame, situati nella soluzione, libera energia e, siccome le 2 semireazioni avvengono all'interno della medesima soluzione, allora quest'ultima si riscalda!
Ma come è possibile trasformare in energia elettrica l'energia liberata in una reazione redox?
Consideriamo la conservazione dell'energia: per far sì che l'energia chimica si muti in energia elettrica, bisogna pertanto fare attenzione che essa non si trasformi in energia termica.
La soluzione si riscalda in quanto offre una considerevole resistenza al passaggio degli elettroni.
Dunque, è necessario evitare che gli elettroni scambiati attraversino la soluzione.
Come si può fare a conseguire tale obiettivo?
Ad esempio, si può far passare gli elettroni da un elemento all'altro mediante un conduttore metallico che garantistica una minima resistenza al loro passaggio ed eviti la dispersione di calore.
Per fare ciò, sussistono 2 condizioni fondamentali:
  • le 2 semireazioni devono aver luogo il più lontano possibile l'una dall'altra, per esempio, in 2 recipienti diversi, pur collegati fra loro;
  • i 2 metalli devono essere collegati tramite un conduttore esterno.
In questa maniera, gli elettroni liberati dal metallo che si ossida vanno ugualmente a ridurre gli ioni presenti nell'altro recipiente, tuttavia passando attraverso il conduttore esterno che offre, come detto, meno resistenza e minimizza quindi la dispersione di energia sotto forma di calore!
Inoltre, percorrendo il filo, i suddetti elettroni, vanno a determinare una corrente elettrica continua, che può essere sfruttata.
Ecco dunque che c'è la mitica pila, utile proprio ai fini di un'operazione di questo tipo!
Nella pila, i 2 metalli utilizzati per la reazione redox vanno a costituire i 2 poli (anodo e catodo).
Abbiamo visto come le reazioni di ossidoriduzione, argomento fondamentale della chimica, siano quindi alla base di un processo utile per produrre energia elettrica e per far funzionare svariati strumenti elettronici.
Adesso vogliamo valutare la differenza di potenziale sussistente fra i 2 elettrodi (= i poli) della pila, detta anche forza elettromotrice (f.e.m.).
Essa dipende da 2 fattori chiave:

1) temperatura;
2) concentrazione della soluzione ionica.

Esiste perciò una particolare equazione che tenendo conto delle suddette variabili, ci permette il calcolo della f.e.m: l'equazione di Nernst:



dove:

- E° = f.e.m. della pila in condizioni standard = E°catodo - E°anodo;
- R = costante universale dei gas = 8,31 J/K mol;
- T = temperatura assoluta espressa in K;
- n = numero di elettroni coinvolti nella reazione;
- F = carica di 1 mole di elettroni ≅ 96500 C/mol;
- [Ox] = concentrazione molare del sistema ossidante (polo +) elevata al proprio coefficiente stechiometrico;
- [Red] = concentrazione molare del sistema riducente (polo -) elevata al proprio coefficiente stechiometrico
Un'ultima importante cosa da dire riguardo alle pile è che esse, dopo un po' di tempo, si scaricano e vanno gettate via.
Oggi, tuttavia, per ovviare a tale problema esistono anche le batterie ricaribili, come quelle dei cellulari, in cui, fornendo energia elettrica dall'esterno, avvengono reazioni inverse, ripristinando la pila.
Un ulteriore esempio di batteria ricaricabile è dato da quella usata per le automobili, chiamata accumulatore o batteria piombo-acido, inventata nel 1859 dal fisico francese Gaston Planté.
L'accumulatore è una pila reversibile, un dispositivo costituito da più celle collegate in serie, che possiede una duplice funzione:

1) si carica se è sottoposta a un'opportuna d.d.p., trasformando l'energia elettrica in energia chimica;
2) all'occorenza si scarica, trasformando l'energia chimica precedentemente accumulata in energia elettrica, comportandosi alla stregua di una pila.

Ogni cella fornisce la d.d.p. di 2 V.
Ne consegue che, un comune accumulatore per auto, essendo costituito di 6 celle collegate in serie, è in grado di fornire una d.d.p. pari a 12 V.
Ogni cella è formata da:
  • una piastra di piombo ricoperta di piombo spugnoso, che agisce da elettrodo negativo;
  • una piastra ricoperta di ossido di piombo PbO2 che rappresenta l'elettrodo positivo.
Le suddette piastre sono separate l'una dall'altra da un setto e immerse in una soluzione acquosa di acido solforico al 20%.
Nella fase di scarica avvengono le seguenti reazioni:

anodo: Pb (s) + SO42− (aq) → 2e+ PbSO4 (s)
catodo: PbO2 (s) + 4H
+ (aq) + SO42− (aq) + 2e → PbSO4 (s) + 2H2O (I)

Nella reazione, pertanto, gli elettrodi si ricoprono di solfato di piombo a spese dell'acido solforico e si forma acqua, cioè la soluzione dell'elettrolita si diluisce.
Per un approfondimento sugli elettroliti e sull'elettrolisi vi rimando all'articolo "Faraday e l'elettrolisi".
Ritornando alla trattazione, nella fase di carica avvengono le reazioni inverse e agli elettrodi si riformano rispettivamente piombo metallico e diossido di piombo.
La soluzione, inoltre, si concentra nuovamente a causa della presenza degli ioni SO42−.
Dunque, si ha la seguente reazione complessiva:

Pb (s) + PbO2 (s) + 4H+ (aq) + 2SO42− (aq) ⇄ 2PbSO4 (s) + 2H2O (I)
In conclusione, un video inerente i concetti chiave dell'elettrostatica e della pila: