giovedì 9 febbraio 2023

LA SCOPERTA DEI BOSONI W e Z

Solo pochi giorni fa, il 25 gennaio, si celebrava il quarantennale della scoperta del bosone W (qui il relativo post celebrativo del CERN).
Nel presente post vorrei dunque provare a presentare in maniera accessibile per tutti un pochino più in dettaglio la scoperta dei bosoni W e Z, mediatori dell'interazione debole.
Ovviamente la prima questione da chiarire è cosa sia l'interazione debole.
Dovreste ben sapere che in natura esistono 4 interazioni fisiche fondamentali: gravitazionale, elettromagnetica, forte e debole.
La gravità è allo stesso tempo quella più conosciuta anche ai profani e quella più problematica per i fisici.
Infatti la teoria moderna della gravità non solo è molto complessa (trattasi della relatività generale di Einstein, matematicamente fondata sul calcolo tensoriale sviluppato da Ricci Curbastro e Levi-Civita), ma è difficile da far conciliare con l'altro grande pilastro della fisica moderna, ovvero la meccanica quantistica.
Al momento una teoria della gravità quantistica sperimentalmente verificata non esiste!

Immagine presa da: https://bit.ly/40Kpd52

Poi abbiamo l'interazione elettromagnetica, che riunisce insieme tutti i fenomeni elettrici e magnetici grazie alle note e fondamentali equazioni di Maxwell.

Equazioni di Maxwell
in assenza di sorgenti.

L'interazione forte è invece quella che, per esempio, fa da "collante" tra protoni e neutroni e dunque tiene assieme i nuclei atomici. Come suggerisce il nome stesso, è la più intensa tra le 4 interazioni fondamentali.

Immagine tratta da: https://bit.ly/3HL4hCw














Ultima, ma non per questo meno importante, è l'interazione debole.
In parole povere, è quel tipo di "forza" che è responsabile dei decadimenti radioattivi degli atomi.
La seguente immagine, tratta da Wikipedia, illustra per esempio il decadimento beta di un neutrone dovuto proprio all'interazione debole.














Per capire meglio, sottolineiamo immediatamente che nell'ambito della fisica delle particelle esistono 3 tipologie fondamentali di reazioni:

1) reazioni di scattering elastico: lo stato iniziale della reazione coincide con lo stato finale. Un esempio è dato da: $e^{-} + p \rightarrow e^{-} + p$. Ciò significa che l'interazione tra un elettrone $e^{-}$ ed un protone $p$ ha prodotto un elettrone $e^{-}$ ed un protone $p$. 

2) reazioni di tipo inelastico: le particelle prodotte nello stato finale non coincidono con quelle iniziali. Ad esempio: $\nu_{e} + n \rightarrow e^{-} + p$. Tradotto in parole significa che l'interazione tra un neutrino elettronico $\nu_{e}$ ed un neutrone $n$ va a produrre un elettrone $e^{-}$ ed un protone $p$. Notate bene la conservazione della carica elettrica sussistente tra lo stato iniziale (neutrino e neutrone entrambe particelle con carica nulla) e quello finale (elettrone con carica negativa e protone con carica positiva, e dunque complessivamente il sistema ha carica nulla).

3) decadimenti: qui abbiamo una singola particella come stato iniziale che decade in varie particelle nello stato finale. Per esempio $n \rightarrow p + e^{-} + \bar{\nu}_e$, che denota il fatto che un neutrone $n$ può decadere producendo un protone $p$, un elettrone $e^-$ ed un antineutrino elettronico $\bar{\nu}_e$ (come illustrato dall'immagine di cui sopra).

Ovviamente un modo davvero utile di rappresentare le interazioni fra particelle è costituito dai famosi diagrammi di Feynman e dalle relative regole di Feynman che consentono di comprendere immediatamente, dalla sola osservazione dei diagrammi, alcune delle grandezze essenziali in gioco, specialmente per il calcolo dell'ampiezza di probabilità e del suo modulo quadro, che consente di comprendere un'altra grandezza fondamentale come la sezione d'urto.
Non entreremo tuttavia nei dettagli di questi aspetti, che dal punto di vista teorico possono essere ricavati esplicitamente grazie alla teoria quantistica dei campi.

Illustrazione di alcuni diagrammi di Feynman e
processi in fisica delle particelle nella serie tv "The Big Bang Theory".

















Ora che abbiamo chiarito brevemente la questione interazioni fondamentali e reazioni, dobbiamo per forza di cosa aggiungere che ciascuna delle interazioni fondamentali è mediata da delle particelle note come bosoni di gauge.
Per quanto riguarda la gravità il corrispettivo bosone resta ancora ipotetico ed è chiamato gravitone (e si ipotizza abbia spin 2). 
Le restanti 3 interazioni fondamentali sono mediate da bosoni aventi spin 1 (avevamo dato un'introduzione molto basilare al concetto di spin, insieme ad altre cose, qui).
Nello specifico l'interazione elettromagnetica è mediata dal famoso fotone, l'interazione forte dal gluone, mentre per quanto concerne l'interazione debole abbiamo proprio i bosoni W e Z.
C'è un dettaglio non da poco che subito distingue tali bosoni: la massa!
Infatti mentre fotoni e gluoni non hanno massa, i bosoni W e Z sono particelle massive.
E tutto ciò ha delle implicazioni notevoli anche per quanto concerne il cosiddetto "range" $R$ di tali interazioni, che possiamo definire come

$R = \frac{1}{M_X}$

in cui $M_X$ rappresenta la massa della particella mediatrice dell'interazione, e in cui abbiamo assunto, per semplicità, l'uso delle unità di misura naturali, ovvero abbiamo considerato sia la velocità della luce $c$, sia la costante di Planck ridotta $\hbar$ pari ad 1, dunque non esplicitamente presenti nella formula sopra riportata.
È pertanto facile notare che se assumiamo che $M_X = 0$ (come nel caso del fotone e del gluone) otteniamo delle interazioni aventi range infinito (almeno teoricamente), mentre se $M_X$ è diversa da 0 l'interazione ha un range finito, che è proprio il caso dell'interazione debole.
Nello specifico il range della suddetta interazione è pari a circa $2 \times 10^{-3}$ fm, ove con fm indichiamo i femtometri (1 fm = $10^{-15}$ m).
Aggiungiamo poi che la scoperta dei bosoni W e Z è stata una vera e propria pietra miliare a conferma del modello teorico dell'unificazione elettrodebole per cui Glashow, Salam e Weinberg vinsero il Nobel per la fisica nel 1979.
Questi prodigiosi fisici mostrarono che, almeno ad elevate energie, l'interazione elettromagnetica e quella debole non sono altro che due facce della stessa medaglia, ossia l'interazione elettrodebole, un po' come (principalmente) Faraday e Maxwell dimostrarono sperimentalmente e matematicamente che fenomeni elettrici e magnetici potessero essere descritti complessivamente grazie alla teoria dell'elettromagnetismo. 
L'idea primordiale di indagare sull'esistenza dei bosoni W e Z risale al 1976, anno in cui David Cline, Peter McIntyre e Carlo Rubbia proposero di convertire gli esistenti acceleratori di protoni in collisori protoni $p$ ed antiprotoni $\bar{p}$, nella speranza di produrre appunto i bosoni massivi predetti dalla teoria elettrodebole.
Chi fosse rimasto sino ad ora confuso da concetti come quello di antiprotone appena menzionato, ovvero l'antiparticella del protone, legga (cliccando qui) il recente post che abbiamo pubblicato riguardo all'emergere teorico del concetto di antiparticella dall'equazione di Dirac e alla scoperta sperimentale della prima antiparticella nota, il positrone, cioè l'antiparticella dell'elettrone.
Specifico ora che quelli che finora ho chiamato bosoni W e Z sono complessivamente 3:

1) bosone $Z^0$, avente carica elettrica nulla;
2) bosone $W^+$, avente carica elettrica positiva;
3) bosone $W^-$, avente carica elettrica negativa.

Oggi sappiamo che tali particelle sono altamente instabili e vennero prodotte grazie alle seguenti reazioni:

$p + \bar{p} \rightarrow W^{+} + X^{-}$
$p + \bar{p} \rightarrow W^{-} + X^{+}$
$p + \bar{p} \rightarrow Z^0 + X^0$,

in cui $X^{\pm}$ e $X^0$ denotano stati adronici arbitrari permessi dalle leggi di conservazione.
Per chi se lo stesse chiedendo, un adrone è ovviamente una particella, ma non è una particella elementare (ovvero senza una struttura interna), bensì una particella composta da altre particelle, che possono essere quark (che invece sono particelle elementari) ed antiquark. 
Nello specifico, esistono 2 famiglie fondamentali in cui dividiamo gli adroni:

1) i barioni, composti da almeno 3 quark (e comunque sempre aventi un numero dispari di particelle costituenti). Di questa categoria fanno parte anche i protoni ed i neutroni.
2) i mesoni, formati da un quark e da un antiquark. Esempi famosi sono i pioni e i kaoni.

 

 












Come già detto all'inizio del post, sono passati 40 anni dal rilevamento sperimentale, nel 1983, dei bosoni mediatori dell'interazione debole.
Vennero sfruttati i seguenti corrispondenti decadimenti (molto generali) in leptoni:

$W^+ \rightarrow l^+ + {\nu}_l$
$W^- \rightarrow l^- + \bar{\nu}_l$
$Z^0 \rightarrow l^+ + l^-$

Specifichiamo che i leptoni sono una famiglia di particelle elementari (ed osservabili) che comprendono il ben noto elettrone, il muone, il tauone e i corrispettivi neutrini. Dunque nelle reazioni qui sopra $l$ può denotare indifferentemente $e, \mu, \tau$.  
2 esperimenti indipendenti vennero allestiti al CERN a partire dal 1981: UA1 e UA2, acronimi che provengono da "underground area", cioè "area sotterranea".
In entrambi gli esperimenti, fasci di protoni ed antiprotoni furono condotti insieme in una zona di intersezione che giace al centro di un gigantesco e molto complesso sistema di rilevamento.
Nello specifico, tenendo a riferimento UA1, i componenti principali di questo apparato erano:

1) un "tracking detector" centrale: usato al fine di osservare le particelle cariche e misurare il loro momento a partire dalla curvatura delle tracce in un campo magnetico applicato;
2) una serie di contatori di cascata elettromagnetica: assorbono e rivelano sia elettroni (osservati anche dal rivelatore centrale) che fotoni (non osservati dal rivelatore centrale); 
3) una serie di calorimetri adronici: assorbono e rivelano adroni sia carichi sia neutri;
4) una serie di contatori per l'identificazione dei muoni: questi sono le uniche partielle cariche che riescono a penetrare i calorimetri adronici.

Di seguito una rappresentazione schematica di quanto appena illustrato tratta dal testo Particle Physics di B.R. Martin e G. Shaw.

Alla fine è chiaro che le uniche particelle in grado di scappare dalla rivelazione del sofisticato apparato sono stati i neutrini, a volte noti comunemente come "particelle fantasma" giacché molto difficili da rilevare.
Infatti i neutrini presentano la caratteristica peculiare di essere sensibili soltanto all'interazione debole (e non alle altre interazioni) ed essere caratterizzati da una sezione d'urto assai piccola, il che significa che per tentare di rilevarli si ha bisogno di rivelatori molto grandi e di un enorme flusso di particelle.
Dopo questo breve inciso sui neutrini, torniamo all'esperimento UA1.
Uno dei problemi principali che gli scienziati dovettero affrontare fu il fatto che, per ogni evento in cui un bosone $W^{\pm}$ o $Z^0$ viene prodotto (decadendo poi in leptoni), esistono più di $10^{7}$ eventi nei quali vengono prodotti solo adroni.
L'estrazione del "segnale" di presenza dei suddetti bosoni in questo immenso "background" di adroni è stato reso possibile solo perché i leptoni che scaturiscono dal decadimento dei bosoni W e Z posseggono momenti elevati e sono spesso emessi ad ampi angoli rispetto alle direzioni iniziali del fascio.
Detto in altri termini, i leptoni si manifestano spesso con grandi "momenti trasversi".
Al contrario, gli adroni, prodotti nelle collisioni protone/antiprotone, e i leptoni derivanti dai loro decadimenti presentano raramente dei così elevati momenti trasversi.
Questa analisi permette pertanto di avere un modo efficace di distinguere ciò che è stato prodotto dagli adroni (cioè la maggioranza degli eventi) e ciò che invece è il risultato del decadimento delle nostre "prede", ossia i bosoni W e Z.
Concludendo, grazie ad analisi di questo tipo, gli esperimenti condotti al CERN produssero il risultato sperato e, nel 1984, Carlo Rubbia e Simon van der Meer furono insigniti del Nobel per la fisica per il loro fondamentale contributo nell'ambito di tale scoperta. 

van der Meer (a sinistra) e Rubbia (a destra).
Immagine tratta da: https://nyti.ms/3jDURRf















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Fonti essenziali:

- Particle Physics di B.R. Martin e G. Shaw   

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