Venne mostrato che il modello più prossimo alla realtà era quello proposto da Rutherford, ma esso non era esente da problemi.
Infatti il suddetto modello, che era basato sulla fisica classica, soffriva di una pesante instabilità. L'elettrodinamica classica stabilisce che quando una particella accelera, essa rilascia energia sotto forma di onde elettromagnetiche.
Dunque, siccome l’elettrone, nel suo girare intorno al nucleo positivo, è sottoposto a un’accelerazione, esso irraggia energia elettromagnetica della stessa frequenza del proprio moto di rivoluzione, il che comporta una perdita della sua energia e la sua caduta sul nucleo con un moto a spirale nel suddetto modello atomico.
Per risolvere la questione, Niels Bohr propose nel 1913 un modello atomico basato sulla recente teoria quantistica e, in particolare, ipotizzò che gli atomi avessero una struttura a livelli energetici discreti.
In sostanza, l’emissione di energia veniva spiegata in termini di “salti” degli elettroni da un livello energetico a quello inferiore.
La conferma sperimentale di tale ipotesi avvenne proprio con l’esperimento che James Franck e Gustav Ludwig Hertz presentarono nel 1914 e per il quale vinsero il Nobel per la fisica nel 1925.
Nello specifico, ciò che i due scienziati si proposero di verificare erano i seguenti punti:
a) che fosse possibile eccitare gli atomi mediante un bombardamento con elettroni a bassa energia;
b) che l’energia trasferita dagli elettroni agli atomi avesse sempre valori discreti;
c) che i valori così ottenuti per i livelli energetici fossero in accordo con i risultati spettroscopici.
La loro idea fu quella inviare una sonda avente una certa energia sull’atomo di mercurio (Hg) e vedere quanta energia questa sonda perdesse nell’interazione con l’oggetto dell’indagine.
Franck e Hertz hanno a tal proposito sparato degli elettroni all’interno di un vapore di mercurio e ipotizzato la presenza di urti anelastici con gli atomi di Hg; supponendo ci siano dei livelli energetici discreti, l’atomo potrà cedere energia solamente nel momento in cui la propria energia sia almeno uguale (o superiore) a quella che separa i due livelli.Se ciò accade, si può avere uno scambio di energia tra l’elettrone (che la perde) e l’atomo che la acquisisce. Naturalmente l’energia totale del processo si conserva.
L’utilizzo del mercurio si deve al fatto che esso può vantare le buone peculiarità di essere monoatomico (se infatti l’esperimento venisse condotto con un vapore molecolare, sarebbe possibile per gli elettroni trasferire energia ai livelli energetici molecolari che formano quasi un continuo), di presentarsi liquido a temperatura ambiente e di manifestare un equilibrio liquido-vapore con densità del vapore ben modulabile a temperature facilmente ottenibili.
In particolare, l’ultima caratteristica si può ottenere specialmente se si considera un recipiente chiuso con all’interno del mercurio in cui viene fatto il vuoto al fine di minimizzare le interazioni con le molecole gassose presenti nell’aria.
Nell’esperimento gli elettroni vengono emessi da un filamento caldo e vengono accelerati verso un elettrodo griglia G posto ad un potenziale V_G.
Bisogna infatti ricordare che uno dei modi con cui produrre un flusso di elettroni è quello di sfruttare il cosiddetto effetto termoionico (o termoelettronico), cioè il fatto che una temperatura elevata (solitamente dell'ordine di 1000-2000 K) possa provocare il rilascio di elettroni da parte di un materiale.
Questo effetto venne studiato da Owen Willans Richardson (1879-1959) e poi da Enrico Fermi (1901-1954).
In particolare, nel 1901, Richardson pubblicò i risultati dei suoi esperimenti, notando che la corrente elettrica emessa da un filo metallico riscaldato dipende esponenzialmente dalla temperatura del filo in una forma matematica simile all'equazione di Arrhenius, che illustra la dipendenza esponenziale della velocità di reazione chimica dall'inverso della temperatura e di cui abbiamo parlato qui.
Si arrivò perciò a quella che oggi chiamiamo legge di Richardson-Fermi, la quale ci dice come possiamo calcolare la densità di corrente di emissione J da parte di una lamina metallica:
dove A₀ è una costante universale, T denota la temperatura, k la costante di Boltzmann e W è il lavoro di estrazione (per saperne di più cliccate qui).
La più semplice tra le valvole termoioniche (dispositivi che si basano appunto sull'effetto termoionico) è il diodo a vuoto, costituito da 2 elettrodi:
La più semplice tra le valvole termoioniche (dispositivi che si basano appunto sull'effetto termoionico) è il diodo a vuoto, costituito da 2 elettrodi:
1) un catodo, che emette elettroni;
2) un anodo, che li riceve.
Lo strumento utilizzato nell'esperimento di Franck-Hertz ricorda tuttavia una valvola più complessa, il triodo, il quale oltre ai 2 elettrodi sopracitati è dotato di un ulteriore elettrodo, la griglia, il cui nome deriva proprio dal fatto che esso è costituito da una griglia, cioè da una maglia metallica che va ad imporre un certo potenziale V_G rispetto al catodo.
Trattasi, in particolare, di una maglia "semitrasparente", ossia abbastanza fitta per rappresentare una superficie equipotenziale ma avente abbastanza fori per far sì che gli elettroni possono attraversarla.
Gli elettroni emessi dal catodo possono dunque attraversare la griglia e giungere all'anodo. Se si pensa al catodo e alla griglia come a delle lastre piane idealmente infinite orientate verticalmente (il che permette di poter, in prima approssimazione, trascurare gli effetti di bordo), il campo elettrico accelerante che si stabilisce tra i due è uniforme.
Ad ogni distanza gli elettroni hanno un’energia cinetica derivante dalla posizione e dal potenziale elettrico a cui sono sottoposti.
Alcuni di essi passano attraverso i fori della griglia e giungono sull'anodo purché la loro energia cinetica sia sufficiente a superare un piccolo potenziale ritardante applicato tra griglia ed anodo.
Alcuni di essi passano attraverso i fori della griglia e giungono sull'anodo purché la loro energia cinetica sia sufficiente a superare un piccolo potenziale ritardante applicato tra griglia ed anodo.
Il tutto è posto, nell'esperimento di Franck-Hertz, entro un’ampolla riempita da vapori di mercurio a bassa pressione.
Inizialmente I cresce al crescere di V_G, ma una volta che quest’ultimo raggiunge i 4.9 V (primo massimo nella curva di Franck-Hertz) si ha una rapida riduzione della corrente.
Riportiamo infatti da Wikipedia il grafico delle curve di Franck-Hertz:
Quanto detto si interpreta in termini di un’interazione tra gli elettroni e gli atomi di Hg, a seguito della quale una frazione significativa degli elettroni eccita gli atomi di Hg e nel far ciò perde totalmente l’energia cinetica posseduta.
Se V_G è di poco superiore a 4.9 V, il suddetto processo avviene appena prima della griglia G: dopo l’eccitazione gli elettroni non possono acquisire energia cinetica sufficiente a superare il potenziale ritardante e giungere sull'anodo; dunque la corrente va teoricamente a 0, assumendo il modello ideale di avere sezione d’urto infinita, il che significa un’interazione da parte di TUTTI gli elettroni.
Nel caso di sezione d’urto finita (quello consistente con la realtà sperimentale), invece, interagisce soltanto una frazione degli elettroni, con la conseguenza del mantenimento di un valore sempre diverso da 0 della corrente elettronica (infatti nel grafico riportato sopra potete vedere chiaramente che la curva parte da 0 ma non torna mai a 0).
Per valori maggiori di V_G il processo di eccitazione avviene parecchio prima della griglia, il cui potenziale è in grado di accelerare ancora gli elettroni che riescono così a pervenire sull'anodo, e la corrente comincia a risalire. Viene raggiunto un secondo massimo che corrisponde ad un’energia di circa 9.8 eV.
La netta diminuzione prima sottolineata della corrente rende evidente il fatto che elettroni aventi energia minore di 4.9 eV non riescono a trasferire la loro energia ad un atomo di Hg, il che è consistente con l’esistenza in tale atomo di stati con energia discreta.
Assumendo che il primo livello eccitato dell’atomo Hg si trovi 4.9 eV al di sopra dello stato fondamentale, allora si conclude che un atomo di Hg non possa assorbire energia dal fascio elettronico a meno che gli elettroni posseggano appunto 4.9 eV di energia.
Inoltre, se la separazione tra stato fondamentale e primo livello eccitato è 4.9 eV, allora nello spettro di emissione di Hg si deve teoricamente trovare una linea corrispondente a questa energia come conseguenza della transizione dal livello eccitato allo stato fondamentale.
Franck ed Hertz riscontrarono in effetti che bombardando il gas con elettroni aventi meno di 4.9 eV di energia, i vapori di mercurio presenti nell’ampolla non emettevano alcuna linea spettrale, mentre aumentando l’energia del fascio al di sopra di tale soglia, compariva una singola linea con λ = 2536 Å (riga di risonanza), corrispondenti proprio a 4.9 eV.
Tirando le fila del discorso, l’importanza dell’esperimento di Franck e Hertz si deve al fatto che non solo fornì una notevole evidenza sperimentale della quantizzazione dell’energia negli atomi prevista da Bohr, ma costituì pure un metodo per la misura diretta della differenza di energia tra i vari livelli atomici ottenibile dalla semplice lettura di un voltmetro.
Se V_G è di poco superiore a 4.9 V, il suddetto processo avviene appena prima della griglia G: dopo l’eccitazione gli elettroni non possono acquisire energia cinetica sufficiente a superare il potenziale ritardante e giungere sull'anodo; dunque la corrente va teoricamente a 0, assumendo il modello ideale di avere sezione d’urto infinita, il che significa un’interazione da parte di TUTTI gli elettroni.
Nel caso di sezione d’urto finita (quello consistente con la realtà sperimentale), invece, interagisce soltanto una frazione degli elettroni, con la conseguenza del mantenimento di un valore sempre diverso da 0 della corrente elettronica (infatti nel grafico riportato sopra potete vedere chiaramente che la curva parte da 0 ma non torna mai a 0).
Per valori maggiori di V_G il processo di eccitazione avviene parecchio prima della griglia, il cui potenziale è in grado di accelerare ancora gli elettroni che riescono così a pervenire sull'anodo, e la corrente comincia a risalire. Viene raggiunto un secondo massimo che corrisponde ad un’energia di circa 9.8 eV.
La netta diminuzione prima sottolineata della corrente rende evidente il fatto che elettroni aventi energia minore di 4.9 eV non riescono a trasferire la loro energia ad un atomo di Hg, il che è consistente con l’esistenza in tale atomo di stati con energia discreta.
Assumendo che il primo livello eccitato dell’atomo Hg si trovi 4.9 eV al di sopra dello stato fondamentale, allora si conclude che un atomo di Hg non possa assorbire energia dal fascio elettronico a meno che gli elettroni posseggano appunto 4.9 eV di energia.
Inoltre, se la separazione tra stato fondamentale e primo livello eccitato è 4.9 eV, allora nello spettro di emissione di Hg si deve teoricamente trovare una linea corrispondente a questa energia come conseguenza della transizione dal livello eccitato allo stato fondamentale.
Franck ed Hertz riscontrarono in effetti che bombardando il gas con elettroni aventi meno di 4.9 eV di energia, i vapori di mercurio presenti nell’ampolla non emettevano alcuna linea spettrale, mentre aumentando l’energia del fascio al di sopra di tale soglia, compariva una singola linea con λ = 2536 Å (riga di risonanza), corrispondenti proprio a 4.9 eV.
Tirando le fila del discorso, l’importanza dell’esperimento di Franck e Hertz si deve al fatto che non solo fornì una notevole evidenza sperimentale della quantizzazione dell’energia negli atomi prevista da Bohr, ma costituì pure un metodo per la misura diretta della differenza di energia tra i vari livelli atomici ottenibile dalla semplice lettura di un voltmetro.
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