venerdì 11 gennaio 2019

ANALISI COMPLESSA: RESIDUI

Continuiamo la nostra serie di post relativi all'analisi complessa.
Prima di cominciare, vediamo l'elenco delle puntate precedenti:

- puntata 1: "Primi elementi di analisi complessa: le condizioni di olomorfismo di Cauchy-Riemann";
- puntata 2: "Introduzione all'integrazione complessa";

Bene, iniziamo subito ricordando che il residuo di una funzione analitica f(z), in un suo punto singolare isolato z = z₀, è il valore dell'integrale di f(z), esteso ad una curva γ contenente il punto z = z₀ (ma non altre singolarità di f(z)) e tutta contenuta nella regione di olomorfismo di f(z), moltiplicato per il fattore 1/2πi.
Tutte queste astruse parolone si traducono semplicemente in simboli come segue:

Esso coincide peraltro con il coefficiente d-1 della potenza (z - z₀)-1 nello sviluppo in serie di Laurent di f(z), valido nell'intorno del punto z = z₀.
Osserviamo che la più semplice funzione che possegga singolarità al finito, cioè f(z) = 1/z, ha, nel suo unico polo situato in z = 0, residuo pari a 1, come si vede immediatamente dal fatto che tale funzione coincide col proprio sviluppo di Laurent e in accordo con la formula

che moltiplicata per 1/2πi porta appunto al risultato 1.
Per chi se lo stesse chiedendo, la formula di prima si ricava semplicemente compiendo la sostituzione z = ei𝜑 nell'integrale iniziale.
Naturalmente sarebbe possibile definire il residuo di una funzione pure in un punto di regolarità, tuttavia esso risulterebbe banalmente nullo, come stabilito dal teorema di Cauchy e sarebbe dunque irrilevante.
Viceversa, la considerazione del residuo di una funzione in un punto singolare è di estrema importanza ed utilità.
Si potrebbe asserire che il valore del residuo di una funzione in un punto singolare determina, in un certo senso, l'importanza di tale singolarità!
Consideriamo ora una funzione f(z), olomorfa in una regione R, tranne che in un certo numero di singolarità isolate.
Sussiste un teorema che consiste in un'affermazione praticamente auto evidente, ma allo stesso tempo importantissima.

Esso prende il nome di teorema dei residui e afferma quanto segue:

"L'integrale esteso ad una curva chiusa γR, semplicemente connessa e non passante per alcuna singolarità di f(z), è uguale alla somma dei residui di f(z) nei punti singolari interni a γ, moltiplicata per il fattore 2πi".

In altre parole, il teorema dei residui ci dice che, se z₁, z₂,..., zn sono i punti singolari di f(z) che cadono all'interno del contorno γ, allora vale l'identità:

Sul suddetto teorema si basa la possibilità di valutare un grandissimo numero di integrali definiti, i quali sarebbero praticamente impossibili da risolvere con i metodi elementari del calcolo integrale.
La valutazione del residuo di una funzione in una singolarità di tipo polare è sostanzialmente immediata.
Se infatti il punto z = z₀ è un polo di ordine n di una funzione f(z), allora, nell'intorno di tale punto, f(z) si può considerare rappresentabile nel seguente modo

 
ove g(z) è una funzione regolare non nulla in z = z₀.
Dalla definizione di residuo si ha allora:

Ricordando ora la rappresentazione integrale di Cauchy per la derivata kappesima di una funzione analitica g(z), ossia

la formula descrivente il residuo si può riscrivere come

 e pertanto, riutilizzando l'espressione

 per esprimere g(z) in termini di f(z), si ha in definitiva:

Questo risultato consente quindi la valutazione dei residui, relativi a singolarità polari, tramite semplici operazioni di derivazione e di limite.
Nel caso in cui il punto z₀ sia un polo semplice di f(z), l'ultima formula si riduce poi alla semplice relazione:

Abbiamo già detto che il residuo di f(z), in un suo punto singolare isolato z = z₀, coincide pure con il coefficiente d-1 della potenza (z - z₀)-1 nello sviluppo di Laurent di f(z), valido nell'intorno del punto z = z₀, ossia in simboli

Una volta noto lo sviluppo in serie di Laurent di una funzione, valido nell'intorno di un suo punto singolare isolato, la conoscenza del suo residuo in tale punto è perciò immediata.
Va sottolineato che mentre la formula in rosso fornisce il valore dei residui solamente per singolarità di tipo polare, quella in verde appena riportata può essere sfruttata pure nel caso in cui z = z₀ sia una singolarità essenziale isolata.
Vediamo adesso un semplicissimo esempio di calcolo di un integrale grazie al teorema dei residui.

Innanzitutto effettuiamo (come abbiamo avuto modo di fare anche prima) la sostituzione 

e determiniamo il differenziale dθ scritto in termini del nuovo differenziale dz:

Fatto ciò, ricordando che 
 
possiamo scrivere il nostro integrale come:

Attraverso qualche banale passaggio algebrico, il tutto si può esprimere come

dove c designa la circonferenza di raggio unitario, centrata nell'origine z = 0.
Si constata facilmente che la funzione integranda risulta singolare per

ovvero quando

Notiamo che il polo semplice in z = 2 - √3 cade all'interno di c (infatti tale differenza è inferiore a 1), mentre il polo z = 2 + √3 risulta chiaramente esterno a c.
È arrivato finalmente il momento di applicare il teorema dei residui, naturalmente solo in relazione al polo semplice interno alla circonferenza c.
Abbiamo pertanto che l'integrale in questione vale (e stavolta mostriamo tutti i passaggi significativi, per rendere tutto maggiormente chiaro):


RESIDUO NEL PUNTO ALL'INFINITO

Il residuo può essere introdotto pure per il punto all'infinito.
La valutazione del residuo di f(z) nel punto z = ∞ è legata a quella dell'integrale di f(z) esteso ad una curva γ contenente al suo interno tutte le singolarità al finito di f(z).
In pratica si può assumere che γ sia un cerchio, centrato nell'origine, di raggio R sufficientemente grande.
Infatti, questo cerchio, percorso in senso orario, è tale da contenere al suo interno (porzione di piano lasciata sempre alla sinistra percorrendo una curva chiusa) come unica eventuale singolarità di f(z) proprio il punto all'infinito.
Si ha dunque
essendo C un cerchio di raggio R, percorso in verso antiorario, che contenga al suo interno tutte le singolarità al finito di f(z).
Il modo più semplice di valutare il 2° membro della suddetta relazione è quello di effettuare una trasformazione conforme.
Cerchiamo di capire velocemente di cosa si tratta.
Prendiamo

che sono 2 funzioni (di variabili reali) di classe (continue con le loro derivate parziali prime) tali che, al variare del punto P(x,y) in una certa regione A del piano xy, esse definiscano in modo univoco un punto P' (u,v) (chiamato immagine di P) nel piano uv, variabile in una regione A'.
Le equazioni scritte vanno a definire una trasformazione continua (o mapping) dei punti di A nel piano xy nei punti di A' nel piano uv.
Poiché la trasformazione è continua, ad ogni curva continua γA corrisponderà una ben definita curva continua γ'A'.
Una trasformazione del tipo descritto dalle equazioni riportate è detta regolare se lo jacobiano (cioè il determinante della matrice jacobiana) della trasformazione è diverso da 0.
In simboli:





In tal caso la trasformazione risulta invertibile, cioè le nostre equazioni si possono risolvere rispetto a x ed y, ottenendo:

 
e la corrispondenza tra i 2 piani è biunivoca.
Il significato geometrico di uno jacobiano è proprio quello di rapporto di aree di domini infinitesimi corrispondenti.
Diciamo ora che una trasformazione del tipo

è denominata conforme se 2 curve γ₁ e γ₂ intersecantisi nel piano xy in un punto (x₀, y₀), e qui formanti un angolo θ (o meglio, le tangenti alle curve formano un angolo θ), hanno per immagini, nel piano uv, 2 curve γ₁' e γ₂' intersecantisi nel punto (u₀, v₀) (cioè l'immagine di (x₀, y₀)) ed ivi formanti il medesimo angolo θ.
In parole povere, una trasformazione è detta conforme quando essa conserva gli angoli.
Vediamo a tal proposito la seguente immagine tratta da Wikipedia

 
La trasformazione si dice inoltre conforme diretta se conserva pure l'orientazione degli angoli.
Se invece l'orientazione risulta opposta nei 2 piani, la trasformazione viene chiamata conforme inversa.
Ritornando alla discussione circa il residuo nel punto all'infinito, la trasformazione conforme in questione è in particolare

con la quale il punto z = ∞ ha per immagine il punto t = 0, mentre il cerchio C di raggio R nel piano z viene trasformato, nel piano t, nel cerchio c, di raggio 1/R, centrato nell'origine.
Usando tale trasformazione, la formula del residuo prima riportata diventa:

Poiché nel caso specifico si ha
ne consegue perciò:

Risulta necessario aggiungere che esistono inoltre delle funzioni le quali, pur essendo regolari all'infinito, posseggono tuttavia un residuo non nullo nel punto z = ∞.
Osserviamo un'ultimissima cosa relativa ai residui: se una funzione analitica f(z) ha solo singolarità isolate, allora la somma di tutti i residui (tenuto conto pure dell'eventuale residuo non nullo all'infinito) è pari a 0.
Per rendersene conto, basta considerare, nel piano z, una generica curva chiusa γ che non passi per alcuna singolarità di f(z).
Naturalmente, ne consegue che parte delle singolarità si troverà all'interno di γ e parte all'esterno.
Il teorema dei residui ci dice pertanto, da un lato, che

e, dall'altro, che

in quanto la curva γ può sempre pensarsi alla stregua di una curva chiusa, percorsa in verso negativo, che circonda la parte esterna del piano, includente il punto all'infinito.
Per immaginare meglio la situazione, si pensi che il piano complesso è equivalente a una sfera complessa, la sfera di Riemann (con polo sud coincidente con l'origine del piano z e il polo nord corrispondente al punto all'infinito).

Immediata conseguenza è:

come asserito in precedenza!
Per il momento la narrazione si conclude qui; la prossima volta scopriremo cosa è il valore principale di Cauchy.

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