Il tema del prossimo Carnevale della Matematica, che si svolgerà sul sito MaddMaths! con la solita attenta supervisione di Roberto Natalini, è “l’orgoglio matematico” o, se volete, in inglese, “Mathematics pride”.
Viene richiesto in sostanza perché essere fieri di occuparsi di matematica, di averla studiata, letta o addirittura sognata ed immaginata.
Vi racconterò in breve perché io mi ritengo fiero della matematica.
Sin da bambino ho sempre adorato il mondo dei numeri; mi divertivo a fare operazioni più complesse di quelle che generalmente vengono studiate a scuola.
Alle scuole medie tendevo ad andare avanti sugli esercizi di matematica, facendone molti più di quelli assegnati in classe, dato che quelli troppo semplici mi annoiavano.
Una parte della passione la devo anche al mio prozio, che era un insegnante di matematica bravissimo e con la battuta sempre pronta.
Quelle volte in cui ci veniva a trovare a casa ne approfittavo per ricevere lezioni da lui e spingermi avanti con la conoscenza matematica.
Mi introdusse le equazioni (di primo grado) ben prima che le affrontassi ufficialmente nell’ultimo anno di scuola media e rimasi affascinato da questo argomento.
Ormai la matematica non era più soltanto numeri e semplice geometria, ma si presentava come un linguaggio vero e proprio.
Al liceo scientifico tutto ciò si è reso ancora più evidente. La passione crebbe così tanto che arrivai a studiarmi i rudimenti di argomenti avanzati come la trigonometria, i limiti, le derivate e gli integrali ben prima del regolare tempo scolastico. Iniziai a capire che la matematica, oltre a possedere una bellezza intrinseca, è anche quel linguaggio che ci permette di descrivere ciò che ci circonda.
Nutrivo già una forte passione per i fenomeni naturali terrestri e l’astronomia, ma capì presto che la matematica e la fisica (il cui linguaggio è la matematica stessa) consentivano di indagare sui fenomeni più affascinanti dell’Universo, tra cui ciò che accade nel mondo degli atomi e delle particelle sino a oggetti misteriosi come i buchi neri.
Una delle peculiarità più incredibili della matematica è dunque quella di essere allo stesso tempo un linguaggio di pura astrazione, in cui possiamo fare persino riferimento, per esempio, ad un numero imprecisato n di dimensioni (mentre fisicamente quelle che concretamente avvertiamo sono 3 spaziali ed una temporale), ed un linguaggio concreto, mediante il quale la scienza evolve.
Questa dualità tra astratto e concreto si manifesta anche in quelle che forse sono l’emblema della matematica avanzata stessa: le dimostrazioni.
Le dimostrazioni sono spesso un processo di pura astrazione coadiuvate dal ragionamento deduttivo.
Pensate per esempio che per dimostrare il famoso ultimo teorema di Fermat, su cui per secoli brillanti menti matematiche hanno dibattuto senza arrivare ad un risultato definitivo, il britannico Andrew Wiles dovette far riferimento a robe complicatissime come geometria algebrica, teoria di Galois, teoria delle curve ellittiche e delle forme modulari.
Insomma costui sfruttò tutte queste nozioni per molti astruse al fine di dimostrare (nel 1994) un’affermazione apparentemente elementare come
se n > 2.
D’altro canto la solidità di una dimostrazione sta nel fatto che quando un enunciato matematico viene dimostrato la validità di questo rimane per sempre!
Questo è in un certo senso l’aspetto concreto delle dimostrazioni: ci consentono di apprezzare a pieno il lavoro svolto dai matematici anche centinaia e migliaia di anni fa.
Basti pensare che gran parte della comune geometria che viene studiata nella scuola dell’obbligo altro non è che la geometria illustrata e dimostrata da Euclide nella sua monumentale opera Elementi del 300 a.C. circa.
In altre parole, la geometria euclidea è ancora oggi, nel 2021, validissima. È chiaro che nel corso del tempo abbiamo assistito ad una sua evoluzione, come la geometria analitica cartesiana, e ad una sua estensione, nel senso che si è provato che possano esistere delle geometrie non euclidee, ma ciò non toglie che l’opera di Euclide sia ancora un caposaldo nel contesto appropriato.
Per chi fosse interessato, nel post “Di Elementi e ponti degli asini” (cliccate qui per leggerlo) abbiamo analizzato un po’ tale aspetto, fornendo anche la dimostrazione della proposizione n.5 del libro I degli Elementi.
Molto spesso è facile sentire che esista nelle persone una certa avversione nei confronti della matematica, considerata arida, difficile, persino inutile e non è raro trovare qualcuno che si fa addirittura vanto di non sapere nulla di matematica!
Talvolta si dice pure che ogni formula matematica presente in un libro di divulgazione scientifica ne riduca drasticamente il numero di potenziali lettori.
Preciso qui che nessuno nega che, ad un certo livello, la matematica non abbia un suo grado di complessità elevato e che magari non sia per tutti (d’altronde esistono persino diversi problemi irrisolti talmente intricati la cui risoluzione porterebbe ad un premio di 1 milione di dollari oltre che alla fama eterna), però trovo che partire dal pregiudizio che la matematica, in generale, sia difficile sia un atteggiamento sbagliato.
Proseguendo infatti nei miei studi mi sono sempre più accorto che sebbene il formalismo matematico diventasse man mano più complicato, in realtà tutto questo, in certi contesti, comporta una semplificazione di ciò che si sta facendo.
Si pensi per esempio alla notazione bra-ket di Dirac. Inizialmente può sembrare strana, bizzarra, ci si potrebbe chiedere per quale ragione si debba conoscere.
Tuttavia non appena si inizia a studiare seriamente la meccanica quantistica e ad applicare più concretamente la suddetta notazione, si può constatare la sua grande semplicità ed eleganza.
Molto spesso capita d'altronde che strumenti matematici a primo impatto complicati rendano poi le cose molto più semplici da studiare e da capire.
Altro aspetto essenziale per cui sono fiero della matematica è la sua universalità e la sua trascendenza dai pregiudizi sociali e culturali.
La matematica (insieme alla musica, che poi sostanzialmente anch’essa è matematica!) è infatti l’unico linguaggio che può accomunare senza alcun tipo di problema di traduzione una persona che vive in Italia con una che vive negli Stati Uniti con una che vive in Giappone e così via.
La matematica è poi al tempo stesso qualcosa di estremamente razionale ed artistico.
Studiare, leggere, lavorare in presenza della matematica è equiparabile a comporre musica, dipingere, scrivere poesie; l’eleganza ermetica della matematica è indiscutibile.
Su una “banale” formula come E = mc² o addirittura su dei singoli simboli matematici come π si potrebbero scrivere interi libri (anzi è stato già fatto!).
Provate solo ad immaginare cosa significherebbe spiegare a parole ogni singolo aspetto che il linguaggio matematico sintetizza nel suo formalismo e rende leggibile per chiunque.
Ecco questa è la bellezza della matematica!
Se poi vogliamo spingerci oltre, la stessa storia della matematica presenta un fascino immenso.
È davvero un peccato che quasi sempre la matematica venga presentata in contesto scolastico totalmente svincolata dal suo sviluppo storico.
Alla base di certe formule, certi teoremi, certe dimostrazioni c’è tutto un lavoro dietro non compiuto solo dal singolo individuo geniale, ma risultato di un processo storico di ampliamento continuo della conoscenza, mattoncino dopo mattoncino.
Ci sono state storie così affascinanti da meritare persino la rappresentazione cinematografica, come quelle di Alan Turing, di Srinivasa Ramanujan, di John Nash. Il fascino della matematica e di tutto ciò che le è affine ha influenzato e continua ad influenzare inoltre una vastità immensa di produzioni culturali (e non solo) che apparentemente non avrebbero nulla a che spartire con essa. Persino nei videogame e negli anime, come abbiamo potuto constatare pure nell’ultimo post su Banana Fish (cliccate qui), è possibile ritrovare riferimenti matematici.
Insomma la matematica è qualcosa di meraviglioso e chi la odia per pregiudizio o per colpa di qualche insegnante che non ha saputo trasmetterla nel modo corretto dovrebbe fornire una seconda chance a tale disciplina, poiché non sa cosa si sta perdendo! Non serve giungere ad un livello tale per comprendere la dimostrazione di Andrew Wiles per poter apprezzare la bellezza della matematica; la matematica (e la sua storia) mostra sempre la sua bellezza nei tanti livelli di complessità in cui è ripartita.
Vorrei concludere questo post con una splendida citazione di una mia cara amica, la Prof.ssa Annarita Ruberto, che qualche giorno fa su Twitter (cliccate qui per vedere l’intera discussione da cui è nato il tutto) è riuscita nell’impresa di sintetizzare in modo perfetto, in pochissime righe, perché la matematica è da amare e ci rende fieri:
"I simply love #math. There are various reasons: math is abstraction, method, commitment. Math is charm, art, music. It's an ongoing challenge giving you the shiver down your spine. Math makes you dream with a piece of paper and a pen. Math is universal."
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