mercoledì 27 febbraio 2019

CAMILLE JORDAN E LA MISURA DI PEANO-JORDAN

Oggi andiamo a scoprire la figura di un matematico francese molto importante vissuto tra il XIX e il XX secolo.

Il giovane Camille Jordan




















Stiamo parlando di Marie Camille Ennemond Jordan (1838-1922), colui a cui si devono notevoli contributi in disparati ambiti della matematica, tra cui:
  • il teorema della curva di Jordan (in topologia);
  • la forma canonica di Jordan (in algebra lineare);
  • il lemma di Jordan (che sarà l'argomento principale della prossima puntata della nostra serie di post dedicata all'analisi complessa);
  • la misura di Peano-Jordan, che osserveremo nel dettaglio a breve.
Camille Jordan nacque a Lione il 5 gennaio 1838.
Suo padre, Esprit-Alexandre Jordan (1800-1888), era un ingegnere che si era istruito al prestigioso École Polytechnique di Parigi, mentre sua madre, Joséphine Puvis de Chavannes, era la sorella del famoso pittore Pierre Puvis de Chavannes, uno dei maggiori rappresentanti della pittura francese del XIX secolo.

La Fantasia di Pierre Puvis de Chavannes

























La famiglia del padre godeva anch'essa di una buona fama: il prozio del matematico, Ennemond-Camille Jordan (1771-1821), ottenne una rispettabile posizione politica e un cugino, Alexis Jordan (1814-1897), era un celebre botanico.
Inizialmente il nostro Jordan studiò al Lycée de Lyon e al Collège d'Olluins.
Successivamente, come il padre, nel 1855 entrò all'École Polytechnique per intraprendere gli studi di matematica.
Qui, tuttavia, Jordan si assicurò di ottenere importanti conoscenze in campo ingegneristico (lavorò a lungo alla stregua di ingegnere nel corso della sua vita), come molti altri matematici del suo tempo, fra cui il grande Cauchy.
Al politecnico francese Jordan si distinse per ingegno, intuizione, ma soprattutto per l'originalità delle sue notazioni, aspetti che si possono ritrovare in tutta la sua attività di matematico come ben documentato dai propri lavori scientifici.
La conclusione dell'attività di studente di Jordan si realizzò con la magistrale tesi (esaminata da Duhamel, Serret e Puiseux) del 1861, costituita da 2 parti:

1) Sur le nombre des valeurs des fonctions, di carattere algebrico;
2) Sur des periodes des fonctions inverses des intégrales des différentielles algebriques, che riguardava gli integrali della forma ∫ u dz, dove u è una funzione la quale va a soddisfare l'equazione algebrica f (u, z) = 0.

A seguito della discussione della tesi, Jordan continuò a lavorare per un po' di tempo come ingegnere, prima a Privas, poi a Chalon-sur-Saône ed infine a Parigi.
Nel 1862 convolò a nozze con Marie Isabelle Munet, figlia del vicesindaco di Lione, dalla quale ebbe ben 8 figli.
Nel 1873 Jordan divenne esaminatore all'École Polytechnique e, sempre qui, il 25 novembre 1876 gli fu affidata la cattedra di analisi.
Qualche anno dopo, precisamente nel 1883, diventò pure professore al Collège de France e il suo Cours d'analyse de l'École Polytechnique (pubblicato per la prima volta in 3 volumi tra il 1882 e il 1887) si impose come un testo di riferimento in quel periodo.
Come abbiamo già anticipato, Jordan si interessò ad un'ampia gamma di ambiti matematici, a cui apportò significativi contributi, tra cui, per citarne alcuni, la teoria dei gruppi finiti, l'algebra lineare e multilineare, la teoria dei numeri, la topologia dei poliedri, le equazioni differenziali e la meccanica.
Nel 1912 Jordan abbandonò la carriera accademica, tuttavia continuò a dirigere fino alla sua morte il Journal de Mathématiques Pure et Appliquées, fondato nel 1836 da Liouville (incarico che aveva assunto nel 1885).
Il Journal rappresentava uno dei principali giornali di matematica del tempo e giocò una notevole importanza nello sviluppo della matematica del XIX secolo.
Fra gli onori conferiti a Jordan annoveriamo la sua elezione all'Académie des Sciences nel 1881; nel 1890 divenne poi ufficiale della Légion d'honneur.
Fu inoltre presidente onorario del Congresso Internazionale dei Matematici a Strasburgo nel 1920.
Jordan esalò l'ultimo respiro a Parigi il 22 gennaio 1922.
In suo onore sono stati intitolati l'asteroide 25593 Camillejordan e l’Institute Camille Jordan.
Va assolutamente sottolineato che Camille Jordan non deve essere confuso con il geodeta tedesco Wilhelm Jordan (1842-1899), da cui prende il nome il metodo di eliminazione di Gauss-Jordan (di cui abbiamo parlato qui) e con il fisico matematico tedesco Pascual Jordan (1902-1980) a cui si deve l'algebra di Jordan.
Prima di andare a scoprire cosa sia la misura di Peano-Jordan, leggiamo cosa scrive il bravissimo Ian Stewart, nel libro Domare l'infinito, a proposito di Jordan e gruppi (per una prima leggera "infarinatura" sulla nozione matematica di gruppo, vedere qui e qua):

"Il concetto di gruppo fu introdotto esplicitamente per la prima volta nel lavoro di Galois, anche se alcuni primi accenni si trovano nell'opera epica di Ruffini e nelle eleganti ricerche di Lagrange. Nell'arco di un decennio dalla diffusione delle idee di Galois, per opera di Liouville, la matematica poté contare su una teoria dei gruppi ben formata. L'artefice principale di questa teoria fu Camille Jordan, la cui opera in 667 pagine, Traité de substitutions et des équations algébrique, fu pubblicata nel 1870. Jordan sviluppò tutto l'argomento in una maniera sistematica ed esauriente. L'interesse di Jordan per la teoria dei gruppi aveva avuto inizio nel 1867, al tempo in cui ne aveva mostrato in maniera esplicita il profondo collegamento con la geometria, classificando i tipi fondamentali di movimento di un corpo rigido nello spazio euclideo. Un contributo ancora più importante venne dal suo ottimo tentativo di classificare la maniera di combinare questi movimenti in gruppi. Lo stimolo principale gli veniva dal lavoro di Auguste Bravais, che aveva intrapreso uno studio matematico delle simmetrie cristalline, e in particolare del reticolo atomico sottostante. Gli articoli di Jordan generalizzavano le ricerche di Bravais: egli annunciò la sua classificazione nel 1867, e ne pubblicò i particolari negli anni 1868-1869. Dal punto di vista tecnico, Jordan trattava soltanto gruppi chiusi, in cui il limite di qualunque successione di movimenti nel gruppo è anche un movimento nello stesso gruppo. Questi comprendono tutti i gruppi finiti, per ragioni banali, e anche gruppi come tutte le rotazioni di una circonferenza attorno al suo centro. Un tipico esempio di gruppo non chiuso, che non fu preso in considerazione da Jordan, potrebbe essere quello di tutte le rotazioni di una circonferenza attorno al suo centro per multipli razionali di 360°. Questo gruppo esiste, ma non soddisfa la proprietà del limite (perché, per esempio, non include la rotazione per 360 × √2 gradi, dal momento che √2 non è razionale). I gruppi di movimenti non chiusi sono incredibilmente vari e quasi certamente vanno oltre ogni classificazione ragionevole. Quelli chiusi sono trattabili, ma difficili. I principali movimenti rigidi nel piano sono le traslazioni, le rotazioni, le riflessioni e le glissoriflessioni (riflessioni con scorrimento). Nello spazio tridimensionale, incontriamo anche il movimento a vite, come quello di un cavatappi: l'oggetto trasla lungo un asse fissato e simultaneamente ruota attorno allo stesso. Jordan iniziò con i gruppi di traslazioni, e ne elencò 10 tipi, tutti combinazioni di traslazioni continue (di una distanza a piacere) in certe direzioni e traslazioni discrete (per multipli interi di una distanza fissata) in direzioni diverse. Elencò anche i principali gruppi finiti di rotazioni e riflessioni: ciclico, diedrale, tetraedrale, ottaedrale e icosaedrale. Distinse il gruppo O(2) di tutte le rotazioni e riflessioni che lasciano fissa nello spazio una retta, l'asse, e il gruppo O(3) di tutte le rotazioni e riflessioni che lasciano fisso nello spazio un punto, il centro.  In seguito divenne chiaro che il suo elenco era incompleto. Per esempio, Jordan non aveva considerato alcuni dei più particolari gruppi cristallografici nello spazio tridimensionale. Il suo lavoro rappresentò comunque un importante progresso verso la comprensione dei movimenti rigidi euclidei, che sono importanti in meccanica, come anche nel corpus principale della matematica pura. Il libro di Jordan è davvero di vasta portata. Parte dall'aritmetica modulare e i campi di Galois, i quali oltre a fornire esempi di gruppi rappresentano anche il requisito fondamentale per ogni altro argomento contenuto nell'opera. La parte centrale tratta i gruppi di permutazioni, che Jordan chiama sostituzioni. Espone i concetti fondamentali dei sottogruppi normali, cioè quelli usati da Galois per dimostrare che il gruppo di simmetria dell'equazione di 5° grado è incoerente con una soluzione per radicali, e dimostra che questi sottogruppi possono essere usati per scomporre un gruppo generale in parti più semplici. Dimostra che le dimensioni di queste parti non dipendono dal modo in cui è scomposto il gruppo originario. Nel 1889 Otto Hölder migliorò questo risultato, interpretando le parti come gruppi a sé, e dimostrò che la loro struttura di gruppo, non soltanto la loro dimensione, è indipendente dal modo in cui è scomposto il gruppo. Oggi questo risultato è noto come teorema di Jordan-Hölder. Un gruppo è semplice se non si scompone in questo modo. Il teorema di Jordan-Hölder di fatto ci dice che i gruppi semplici hanno con i gruppi generali la stessa relazione che gli atomi hanno con le molecole in chimica. I gruppi semplici sono i costituenti atomici di tutti i gruppi. Jordan dimostrò che il gruppo alternante An, che comprende tutte le permutazioni di n simboli che cambiano un numero pari di coppie di simboli, è semplice per n ≥ 5. Questa è la principale motivazione della teoria di gruppi per cui l'equazione di 5° grado non è risolvibile per radicali."

Dopo questa esemplare spiegazione, la quale ci ha fatto comprendere, senza entrare in un tecnicismo esagerato, i principali contributi di Jordan nell'ambito della teoria dei gruppi, ora avviciniamoci al concetto protagonista del post, ovvero quello di misura (di Peano-Jordan).

Se in fisica misurare significa, in parole povere, andare a determinare il valore di una certa grandezza, mediante uno strumento di misura, rispetto a un certo riferimento, che è l'unità di misura (ricordandosi che le misure fisiche sono SEMPRE affette da errore, per quanto piccolo possa essere), in analisi matematica la nozione di misura è un po' più articolata.
Storicamente l'introduzione della teoria della misura nasce come esigenza nello studio degli integrali doppi.
Il primo a estendere la definizione fornita da Riemann (cioè, in parole povere, quella dell'integrale definito visto come limite di una certa sommatoria, che si ottiene grazie alla partizione dell'intervallo chiuso su cui si sta valutando la funzione) agli integrali doppi fu, nel 1876, Carl Johannes Thomae.
Tale estensione, che in simboli possiamo indicare così

 




porta a considerare somme del tipo





ove a(Rij) designa l'area di un rettangolo ottenuto da una "quadrettatura" dell'insieme A, attraverso un generico numero finito di rette arbitrarie, parallele all'asse x e all'asse y, un po' come avviene nella splendida figura che segue.



















Il problema sta nel fatto di capire quali rettangoli prendere in considerazione nella formazione delle somme di Riemann: quelli formati esclusivamente dai punti dell'insieme A oppure quelli che contengono almeno un punto del dominio di integrazione?
Nelle prime generalizzazioni del concetto di integrale alla Riemann non venne prestata molta attenzione a questi particolari.
Le 2 tipologie di rettangoli (quelli interni ad A e quelli, più numerosi, che contengono almeno un punto di A) furono infatti inizialmente confuse.
La differenza risiede nei rettangoli che intersecano la frontiera (cioè il contorno) di A, quelli che contengono dei punti di A ma anche del suo complementare.
Si pensava, pertanto, che questi ultimi rettangoli fossero di poca rilevanza, nel senso che la loro area diventa trascurabile man mano che si procede con quadrettature maggiormente "fini".
Tuttavia, nel 1890, il matematico italiano Giuseppe Peano (1858-1932) fornisce il celebre esempio della sua curva che passa per tutti i punti di un assegnato quadrato (in altre parole, "ricopre" interamente il quadrato), una curva che è peraltro un frattale.
Da Wikipedia osserviamo la seguente splendida rappresentazione della curva di Peano:
















L'esistenza della curva di Peano ci fa constatare che una curva continua non può dunque sempre essere racchiusa in un insieme di "misura" piccola a piacere!
In altri termini, i rettangoli che intersecano la frontiera di un insieme A, pure che sia "regolare", non sono necessariamente trascurabili.
Il primo ad accorgersi di tutto ciò e della necessità di isolare gli insiemi la cui frontiera ha misura nulla fu proprio Camille Jordan.
Ma già nell'articolo Sull'integrabilità delle funzioni datato 1883 Peano specificò che:

"Molti autori dimostrano l'esistenza dell'integrale con considerazioni geometriche; ma...i ragionamenti non sono del tutto soddisfacenti. Nevvero in essi si suol considerare l'area della figura senza definirla; e parmi che l'area, considerata come quantità, d'una figura piana curvilinea sia appunto una di quelle grandezze geometriche, che, come la lunghezza d'un'area di curva, ecc., spesso la nostra mente concepisce, o crede di concepire, chiaramente, ma che hanno bisogno, prima d'essere introdotte in analisi, d'essere ben definite."

Il suddetto articolo venne seguito, nel 1887, dalle Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, sempre di Peano.
Qui rinveniamo, strettamente legata all'esigenza di fornire un'interpretazione geometrica dell'integrale definito






la prima definizione di misura come funzione addittiva d'insieme, tale cioè che, comunque si prenda una coppia di insieme disgiunti A₁ ed A₂, si abbia il seguente risultato:




dove la generica notazione m(A) indica la misura dell'insieme A.
Si parla, in particolare, di misura di Peano-Jordan poiché la medesima rigorosa definizione sviluppata dal matematico italiano comparve, nel 1892, pure in un lavoro di Jordan.
In verità, pure nell'attenzione mostrata verso il problema della misurabilità del dominio di integrazione, Jordan fu preceduto da un matematico italiano, ovvero Rodolfo Bettazzi (1861-1941).
Bettazzi fu autore di 2 magistrali Note, nelle quali vennero stabiliti o riformulati i principi fondamentali del calcolo per le funzioni di più variabili reali.
A proposito in particolare del concetto di integrale, Bettazzi seguì la definizione riemanniana a solo pochi anni di distanza dal notevole contributo di Thomae.
Quello del matematico italiano fu comunque il primo vero intervento che pose la questione della misurabilità del dominio d'integrazione in termini consapevoli ed espliciti.
Dopo aver dimostrato la condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione sia integrabile, prendendo a riferimento i «medesimi concetti svolti dal prof. Volterra e dal dott. Peano per dimostrare il teorema di Riemann sugli integrali semplici», Bettazzi andò oltretutto a provare che è possibile ridurre il calcolo di un integrale doppio a 2 successivi integrali semplici, indipendentemente dall'ordine di integrazione! 
Bene, dopo questo doveroso excursus storico sulla nozione di misura e sullo stretto legame con l'integrale doppio, ora cerchiamo di introdurre brevemente, in maniera tecnica, gli aspetti essenziali riguardanti la misura di Peano-Jordan.
Consideriamo innanzitutto un intervallo I superiormente semiaperto dell'insieme Rn (cioè lo spazio vettoriale di dimensione n sull'insieme dei numeri reali R):




con




Ricordiamo che l'operazione designata con × è il prodotto cartesiano.
Viene definita misura (elementare) di I [la indichiamo con m(I), anche se spesso si utilizza pure la lettera greca μ per esprimerla] il numero positivo (considerando I non vuoto)




Altrimenti, per convenzione, si pone m(I) = 0, cioè si parla di misura nulla.
Definiamo adesso plurintervallo superiormente semiaperto un'unione finita di intervalli superiormente semiaperti.
A questo punto segue naturalmente la definizione di misura (elementare) del plurintervallo superiormente semiaperto P come il numero non negativo






ove {I₁, I₂,...,Ih} è una partizione di P, formata da intervalli superiormente semiaperti.
Se inoltre {J₁, J₂,...,Jk} è un'altra partizione di P, costituita da intervalli superiormente semiaperti, risulta:






Ne consegue che la definizione di m(P) è ben posta, giacché indipendente dalla particolare partizione scelta per rappresentare P.
Indicato con 𝒫 l'insieme dei plurintervalli superiormente semiaperti di Rn, la formula della misura m(P) va a definire una funzione m: 𝒫 → [0, +∞) che è finitamente addittiva su 𝒫, ossia (come abbiamo già visto prima) verifica la seguente condizione:




per ogni coppia di plurintervalli P, P' di Rn, con PP' = (insieme vuoto).
Sia ora X un sottonsieme limitato di Rn.
Si definiscono rispettivamente la misura interna mi(X) e la misura esterna me(X) di X, secondo Peano-Jordan, come segue:

mi(X)= sup {m(P): P ∈ 𝒫, PX}

me(X) = inf {m(P): P ∈ 𝒫, PX}

dove i simboli "sup" ed "inf" vanno ad indicare rispettivamente l'estremo superiore e l'estremo inferiore.
In generale si ha:




Si dice poi che l'insieme X ⊂ Rn è misurabile secondo Peano-Jordan se risulta:




In tal caso il valore comune della misura interna e di quella esterna, indicato con m(X), prende il nome di misura di X secondo Peano-Jordan.
Si noti che se P è un plurintervallo superiormente semiaperto, la sua misura secondo Peano-Jordan coincide con quella già definita in precedenza.
Spingendoci maggiormente nei dettagli, se X è un insieme limitato e misurabile, la sua misura m(X) rappresenta l'unico elemento di separazione tra:
  • l'insieme delle misure elementari dei plurintervalli contenuti in X e
  • l'insieme delle misure elementari dei plurintervalli contenenti X
In altri termini, X è misurabile se e solo se, ∀ε > 0, esistono 2 plurintervalli superiormente semiaperti P' e P'' tali che:




con




A tal proposito si veda la seguente immagine tratta da Wikipedia:






















Siano ora X e Y insiemi limitati e misurabili secondo Peano-Jordan.
Allora pure XY, XY e X - Y (analogamente Y - X) risultano misurabili e valgono le seguenti uguaglianze:







Inoltre, la misura è crescente, nel senso che:




La misura elementare di Peano-Jordan in Rn risulta poi invariante per traslazioni; in simboli:




per ogni elemento a di Rn.
Diciamo inoltre che un sottoinsieme limitato A di Rn è chiamato trascurabile se m(A) = 0.
Vale a tal proposito il seguente fondamentale teorema sulla caratterizzazione degli insiemi misurabili secondo Peano-Jordan: "A è misurabile se e solo se la sua frontiera ∂A è trascurabile".
Concludiamo con un semplice esempio di insieme, in R, non misurabile secondo Peano-Jordan:




dove ℚ designa l'insieme dei numeri razionali.
Esso non è misurabile poiché l'unico plurintervallo P' contenuto in X è il vuoto, mentre un qualunque plurintervallo superiormente semiaperto P'' contenente X contiene [0,1) e perciò ha misura m(P'') ≥ 1, il che va a cozzare con la condizione inerente alla misurabilità secondo Peano-Jordan, ossia




con ε considerato appunto piccolissimo!
In realtà, sussiste una generalizzazione del concetto di misura, ossia la misura di Lebesgue, secondo cui tale insieme risulta invece misurabile.
Tuttavia, di misura di Lebesgue e del corrispondente concetto di integrale alla Lebesgue parleremo magari in futuro.
Per il momento ci fermiamo qui, segnalando nuovamente che tra pochi giorni seguirà un post riguardante un altro fondamentale contributo dovuto a Camille Jordan, ossia il lemma di Jordan in analisi complessa.
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Fonti essenziali:

- http://www-groups.dcs.st-and.ac.uk/history/Biographies/Jordan.html
- Storia del calcolo di Carl B. Boyer
- Domare l'infinito di Ian Stewart
- Analisi matematica due di Fusco, Marcellini e Sbordone

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