In questo post andremo a scoprire una teoria atomica antica e davvero poco conosciuta: quella dei "minima naturalia".
Il concetto di atomo, introdotto da Leucippo e Democrito, portato poi avanti da Epicuro e Lucrezio, venne totalmente ignorato nel corso del Medioevo.
In effetti, l'idea dell'atomo venne oscurata dalla teoria aristotelica della continuità della materia.
Per Aristotele (384 o 383 a.C. - 322 a.C.) una sostanza poteva essere infatti suddivisa all'infinito in particelle sempre più piccole e identiche fra loro.
Dunque Aristotele rigettava l'idea che la natura si basasse su un qualcosa di indivisibile come l'atomo congetturato dai suoi colleghi Leucippo e Democrito.
Aristotele giustificava la sua idea di continuità della materia sostenendo la non esistenza del vuoto (il cosiddetto horror vacui).
Per il filosofo l'essenza delle cose era data dal movimento: ogni corpo si muoveva perché, attraverso una spinta, veniva messo in moto da un altro corpo, il quale, a sua volta, subiva una spinta da un terzo corpo e così via, sino ad arrivare al primo motore o motore immobile o atto perfetto (entelécheia), rappresentato da Dio.
Dio, nella concezione aristotelica, era la sostanza immutabile ed eterna, il principio supremo dell'universo, il culmine logico su cui affondava le sue radici la macchina cosmica elaborata dal filosofo, e la spiegazione ultima del movimento e del cambiamento.
Un Dio non rappresentabile come una "persona" o un "ente assoluto" che ama il mondo e che con la propria volontà provvede a regolarlo secondo un piano provvidenziale.
Il Dio di Aristotele si discostava quindi da quello delle religioni monoteiste.
Esso era semplicemente il perno essenziale dell'architettura cosmologica aristotelica, una vera e propria chiave di volta, senza la quale l'intero sistema collasserebbe.
Siccome l'essenza delle cose, per il filosofo, era data dal movimento, a sua volta dovuto al primo motore, Aristotele non riusciva a concepire dentro questo sistema la presenza del vuoto.
Sosteneva infatti che la velocità di un corpo variasse con il peso e dipendesse dalla resistenza del mezzo in cui si muoveva; ciò implicava che un corpo, nel vuoto, avrebbe avuto velocità infinita, indipendentemente dal suo peso, fenomeno contrario a quanto mostrava l'esperienza.
Se il vuoto non esisteva, allora la materia doveva essere continua, fatto che portava a concludere che gli atomi non potevano esistere, visto che tra 2 atomi ci sarebbe dovuto essere il vuoto a delimitarli.
La materia risultava dunque divisibile all'infinito, proprio perché era impossibile arrivare a porzioni di materia non più divisibili.
La divisione portava tuttavia a particelle di materia sempre più piccole fino a quando, se ulteriormente divise, perdevano le proprietà della sostanza originaria e non erano più parte di essa.
Le "qualità", ossia le caratteristiche fisiche di un composto chimico, dipendevano pertanto dalla sua "estensione".
Queste idee erano state un punto di riferimento filosofico fino all'inizio del XVI secolo.
Infatti, in cotal secolo si verificò una "battaglia filosofica", che persistette per ben 2 secoli, tra 2 differenti visioni dell'atomismo:
1) una di tipo meccanico (di cui fu promotore nientemeno che Cartesio), ereditata dall'antica filosofia degli empiristi greci;
2) l'altra ispirata alla concezione aristotelica della continuità della materia.
La vera vincitrice di tale confronto intellettuale sarebbe stata la teoria atomica alla base della chimica moderna.
Entrando nei dettagli di questo duraturo scontro filosofico, l'atomismo meccanico era una teoria generale del mondo fisico che si poggiava sull'esistenza di particelle minuscole, gli atomi, in movimento nel vuoto.
Questi atomi erano poi considerati immutabili e indivisibili.
A tale visione "classica" dell'atomo si contrappose appunto la concezione dei minima naturalia (versione latina del termine greco elachista), la quale era basata sia sulle idee di Aristotele prima illustrate, sia sull'idea dell'ilomorfismo, ovvero una concezione metafisica dei corpi visti come combinazione inseparabile di materia e forma.
Nello specifico, i minima naturalia erano le più piccole parti di materia che continuavano a mantenere le proprietà della sostanza originaria.
Abbiamo detto che per gli aristotelici le sostanze potevano essere suddivise infinite volte solo concettualmente, in quanto la divisione fisica di una sostanza portava, alla fine, proprio a minima naturalia, particelle che, se ulteriormente divise, non erano più parte della sostanza iniziale.
Quando le dimensioni della sostanza suddivisa diventavano inferiori a quelle dei minima, la sostanza originaria cambiava proprio la sua natura.
L'idea dei minima naturalia, riscoperta dagli alchimisti arabi e magistralmente riportata nella Summa perfectionis magisterii del frate francescano del XIII secolo Paolo di Taranto, si trasformò lentamente in una teoria atomica applicabile specialmente alle trasformazioni chimiche.
Questa teoria riscosse molto successo grazie all'autorità del nome di Aristotele e alla posizione della Chiesa e dei teologi cristiani, i quali ritenevano blasfemo, eretico ed ateo l'atomismo meccanismo di Democrito ed Epicuro, giacché negava la creazione del mondo da parte di Dio e la rimpiazzava con una materia fatta di atomi non solo esistenti da sempre, ma pure in moto caotico, come ben riassume Dante Alighieri in Inferno, IV, 136: "Democrito che 'l mondo a caso pone".
Se per Aristotele i minima erano oggetti puramente teorici, non esistenti nella realtà, già dal II secolo d.C. la visione di essi iniziò a cambiare radicalmente.
Infatti, essi cominciarono ad assumere una connotazione reale, specialmente attraverso i primi commentatori di Aristotele, tra cui Alessandro di Afrodisia, Temistio e Giovanni Filopono.
Le opere di Aristotele furono poi ampiamente tradotte nella lingua araba.
Nel Medioevo, colui che più di tutti ebbe un ruolo fondamentale nella traduzione e nel commento delle opere aristoteliche fu il filosofo, medico, astronomo, teologo e matematico arabo Abū l-Walīd Muhammad ibn Ahmad Muhammad ibn Rushd, chiamato anche ibn Rushd e, nel mondo occidentale, noto come Averroè (1126-1198).
E fu proprio Averroè colui che diede inizio a una teoria dei minima naturalia perfezionata, ossia non solo una semplice elaborazione del pensiero aristotelico, ma soprattutto un tentativo di risolvere quelle spinose questioni a cui lo stesso Aristotele aveva dato vita con la sua tesi della divisibilità infinita delle sostanze.
La strada aperta da Averroè venne approfondita successivamente da Agostino Nifo (1473-1538), il quale riteneva che i minima fossero vere entità fisiche, parti delle sostanze che giocavano un ruolo chiave nei fenomeni chimici.
Nifo, tra l'altro, pensava che ciascuna tipologia di minima avesse dimensioni fisiche differenti da quelle di un'altra tipologia.
Una visione ancora diversa dei minima naturalia venne sviluppata da Giulio Cesare della Scala, più noto come Scaligero (1484-1558).
Costui scrisse numerose opere ma le pubblicò solamente in età avanzata sotto forma di commentari.
I minima di Scaligero possedevano proprietà che li distinguevano nettamente da quelli congetturati dagli altri aristotelici.
Per Scaligero i minima erano diversi per dimensione a seconda della sostanza originaria.
Questi fornì peraltro una stima circa le dimensioni dei minima degli elementi aristotelici: ritenne infatti che il minimo della terra fosse circa 100 volte maggiore del minimo del fuoco, mentre quello dell'aria risultava intermedio tra i 2.
Pure il celebre Giordano Bruno (1548-1600), sì colui che, per le sue idee all'epoca considerate eretiche, venne arso vivo sul rogo nel 1600, si interessò di minima naturalia.
Bruno, nel corso della sua travagliata vita, scrisse svariate importanti opere.
In particolare, nel 1584, in Inghilterra, elaborò i dialoghi italiani quali La cena delle ceneri, De la causa, Principio et uno, De l'infinito universo et mondi e Lo spaccio de la bestia trionfante, mentre, nel 1591, a Francoforte, pubblicò la trilogia latina costituita da il De magia, il De triplici minimo et mensura e il De vinculis in genere.
I minima di Giordano Bruno subirono un radicale mutamento da una forma astratta a una forma concreta di atomismo nel passaggio dai dialoghi italiani di Londra alla trilogia di Francoforte.
Infatti, mentre nei dialoghi l'atomismo viene presentato alla stregua di strumento virtuale, con la funzione di corollario della cosmologia, nella trilogia gli atomi divennero realtà concreta, atomi che presentavano tutti la medesima conformazione sferica e la stessa dimensione, ma erano "animati" da forze diverse.
Seguendo le orme di Giordano Bruno, anche il fisico e filosofo tedesco Daniel Sennert (1572-1637) sostenne che i minima possedessero una loro realtà fisica e che non fossero diversi dagli atomi di Democrito.
Sennert classificò inoltre i minima parlando di "elementi del primo e del secondo ordine", concetti che richiamano la moderna suddivisione delle sostanze in atomi e molecole.
Per Sennert, gli elementi semplici non potevano, alla stregua dell'atomo democriteo, venire ulteriormente suddivisi, mentre quelli del secondo ordine risultavano composti.
Più o meno nello stesso periodo, il medico e chimico italiano Angelo Sala (1576-1637) professava in Germania idee simili a quelle di Sennert.
Entrambi affrontarono il problema della divisibilità dei corpi poiché si erano resi conto delle difficoltà create dal concetto di divisibilità infinita, applicata al mondo fisico, sulla formulazione di una ragionevole teoria della struttura della materia.
C'era tuttavia troppo animismo e vitalismo nella visione dei 2 filosofi per condividere le posizioni meccanicistiche che caratterizzarono il rifiorire dell'atomismo, soprattutto a partire dal XVII secolo.
In questo periodo un ruolo fondamentale venne assunto dal filosofo francese Pierre Gassendi (1592-1655), grande appassionato di scienze, tanto che condusse un'intensa attività sperimentale.
Eseguì infatti esperimenti per verificare le ipotesi galileiane sulla caduta dei gravi, si interessò al principio di inerzia, studiò le macchie solari, osservò regolarmente il cielo al fine di verificare le teorie di Keplero e molto altro ancora.
Addirittura, nel 1640 verificò sperimentalmente il principio classico di relatività, facendo cadere dall'alto dell'albero di una nave in moto (a velocità costante) una pietra e verificando che essa arrivava ai piedi dell'albero, come se la nave fosse ferma.
Per quanto concerne l'ambito chimico, Gassendi sviluppò una propria teoria della struttura atomica della materia.
C'è da dire che il suo atomismo derivava in parte da quello di Epicuro, ma comunque le novità che egli introdusse furono numerose.
Gassendi fu il primo a criticare un'evidenza che gli aristotelici ritenevano indiscutibile, ovvero il fatto che mediante il fuoco si potesse scindere la materia nei 4 elementi fondamentali.
La visione della struttura della materia di Gassendi partiva innanzitutto dalla definizione dei basilari concetti di spazio e tempo.
A differenza di Cartesio, che sosteneva che le caratteristiche dello spazio fossero materia ed estensione, Gassendi (similmente a quanto sosterrà Newton) riteneva lo spazio alla stregua di un vuoto assoluto e infinito, vacuum separatum, che esiste indipendentemente dagli oggetti in esso contenuti.
A detta del filosofo francese, Dio non ha fatto altro che arredare lo spazio vuoto con gli atomi e le loro combinazioni, dando vita a un mondo di dimensioni finite.
Il vuoto e gli atomi, nella visione di Gassendi, rappresentavano i "principi primi" della struttura del mondo.
Inoltre, egli pensava che esistesse il cosiddetto vacuum disseminatum, ovvero un insieme di piccoli vuoti distribuiti tra gli atomi.
Gli oggetti dovevano poi essere per forza composti di particelle materiali, gli atomi, ciascuno con la proprietà della dimensione, moles, della massa, pondus, e della forma, figura.
Oltre a queste fondamentali, sussistevano altre proprietà tra cui il situs (posizione dell'atomo nell'ambiente ad esso circostante) e l'ordo (modo in cui gli atomi risultavano disposti nei composti).
Per Gassendi, la teoria aristotelica del continuo e la divisibilità all'infinito avevano senso solo per gli oggetti della matematica e della geometria, non certo per gli oggetti del mondo fisico.
Gli atomi dovevano pertanto esistere ed essere di conseguenza indivisibili.
Le teorie di Gassendi furono così rilevanti da influenzare eminenti personalità scientifiche, tra cui Boyle e Newton.
Con le idee di Gassendi si conclude questa trattazione sull'atomismo tra il XVI e il XVII secolo.
Come noto, ci vollero pochi secoli ancora per dimostrare, per via sperimentale, l'esistenza dell'atomo e capire che esso non solo esiste, ma è costituito da particelle ancora più minuscole e responsabili della diversità delle sostanze che troviamo in natura.
L'atomo sarebbe diventato uno dei concetti chiave su cui poggia le fondamenta tutta la scienza moderna.
Come ciliegina sulla torta, vi propongo questo simpatico video sulla storia dell'atomo:
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Fonti principali:
- Storia della Chimica (Volume I) di Salvatore Califano
sabato 21 dicembre 2013
L'ATOMISMO NEL XVI E XVII SECOLO: I "MINIMA NATURALIA"
Commenti: 2
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Chimica,
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Interessantissimo. Grazie.
RispondiEliminaGrazie a te dell'apprezzamento! :)
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