domenica 15 luglio 2012

PERCHÉ IL PEPERONCINO "BRUCIA" LA LINGUA?

Spesso, nei nostri piatti, facciamo uso di una particolare spezia, il peperoncino, che crea un "bruciore", un pizzicore sulla nostra lingua!













Ma perché ciò accade?
Una risposta soddisfacente e rigorosa la può fornire la Chimica!
Infatti, i composti chimici responsabili della sensazione di bruciore innescata dal peperoncino sono i cosiddetti capsaicinoidi, con particolare riferimento alla capsaicina.
La formula bruta della capsaicina è C18H27NO3.
La sua formula di struttura è invece la seguente:















Come si può ben constatare, la sua struttura presenta un atomo di azoto (N) accanto a un atomo di carbonio (C), quest'ultimo unito mediante un doppio legame con un atomo di ossigeno (O).
Inoltre, vi è un singolo anello aromatico (o anello benzenico, che è la struttura esagonale in cui ogni vertice corrisponde a un atomo di carbonio legato ad un atomo d'idrogeno, e con 3 legami doppi C=C alternati!) al quale è collegata una catena di atomi di carbonio.
Possiamo peraltro asserire che questo tipo di struttura è consonante anche con un altro composto chimico, la piperina, tipica del pepe nero e di quello bianco.
Infatti, la formula bruta della piperina è C17H19NO3, mentre la formula di struttura è:











Molti potrebbero essere curiosi di sapere se esiste un indice, una scala che misuri la piccantezza di un peperoncino o di una tipologia di pepe.
Voglio creare un po' di suspance e dunque andrò a svelare tra poco la risposta alla suddetta curiosità; ora andiamo invece a scoprire brevemente l'interessante storia del pepe e del peperoncino.
Il pepe viene ricavato dalla pianta tropicale Piper nigrum, originaria dell'India, che si presenta alla stregua di una liana robusta, sublegnosa, la quale può raggiungere i 6 metri di altezza.
Quando questa pianta ha un'età compresa tra 2 e 5 anni, essa inizia a produrre piccoli frutti di colore rossastro, che assumono una conformazione pressoché sferica.
Nelle giuste condizioni, un Piper nigrum può continuare la sua attività produttiva per circa 40 anni e, durante ogni stagione, può produrre ben 10 kg di pepe!
Circa 3/4 di tutto questo pepe prodotto viene venduto come pepe nero, il quale si ottiene tramite una fermentazione fungina di bacche di pepe non ancora mature.
Anche il pepe bianco, il quale è ottenuto dai frutti maturi essiccati a cui viene tolto il cosiddetto pericarpo, ovvero la polpa e la buccia, riscuote un notevole successo commerciale.
Una percentuale decisamente più esigua di pepe viene venduta alla stregua di pepe verde.
Le minuscole bacche verdi, raccolte non appena incominciano a maturare, vengono poste in salamoia.
Al contrario, ulteriori tipologie di colore di un pepe non si trovano direttamente in natura, ma vengono prodotte colorando artificialmente il normale pepe oppure cogliendo "frutti" da altre specie di piante (ne costituisce un esempio il pepe rosa, detto anche falso pepe, derivante dall'albero sempreverde Schinus molle).














Oggi, i maggiori produttori di pepe, oltre la già citata India, sono il Brasile, l'Indonesia e la Malaysia.
È opinione comune il fatto che il pepe sia stato introdotto in Europa da mercanti arabi, e che vi sia giunto passando per le antiche vie delle spezie, cioè per Damasco e per il mar Rosso.
Nel V secolo a.C., i Greci conoscevano il pepe e lo utilizzavano per scopi medici piuttosto che gastronomici, spesso come antidoto per i veleni.
Secoli dopo, invece, i Romani sfruttarono tale spezia, in cucina, per 2 motivi principali:

1) per conservare il cibo: a quel tempo non esistevano ovviamente i frigoriferi; dunque, usavano il pepe e altre spezie per coprire il sapore di cibi guasti e per rallentare l'ulteriore deterioramento;
2) per esaltare i sapori: il pepe veniva utilizzato specialmente per fornire maggiore sapore ai cibi essiccati, affumicati e salati.

Durante il Medioevo la maggior parte dei traffici dell'Europa con l'Oriente si verificava attraverso Baghdad e Costantinopoli (l'attuale Istanbul), in cui le merci orientali pervenivano seguendo la riva meridionale del mar Nero.
Da Costantinopoli le spezie venivano imbarcate per Venezia, la quale, nel Basso Medioevo e nel Rinascimento, esercitò un dominio quasi assoluto sugli scambi commerciali.
Nel Quattrocento il monopolio veneziano del commercio delle spezie era così incredibile da spingere altri Paesi a prendere in considerazione la possibilità di rinvenire vie alternative per l'India e, in particolare, una rotta marittima che circumnavigasse l'Africa.
Tra questi "altri Paesi" c'era pure la Spagna, la quale aveva iniziato ad interessarsi al commercio delle spezie e, soprattutto, del pepe.
Nel 1492, come ben noto, il navigatore genovese Cristoforo Colombo, sicuro di una via alternativa probabilmente più corta per raggiungere il confine orientale dell'India navigando verso occidente, riuscì a convincere i sovrani Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia a finanziare una spedizione verso l'India.
Sappiamo benissimo che Colombo riuscì a sbarcare in un "nuovo mondo", ma non era l'India, bensì l'America!
Egli, strenuamente convinto di essere arrivato in India, denominò (erroneamente!) quelle terre Indie occidentali e i suoi abitanti indiani.
La cosa interessante sta nel fatto che, nel corso del viaggio verso le Indie occidentali, Colombo trovò ad Haiti un'altra spezia piccante, il peperoncino rosso, e decise di riportarla con sé in Spagna.
La nuova spezia avrebbe, in seguito, viaggiato verso est con i portoghesi attorno all'Africa, fino alla vera India e ancora oltre.
In meno di 50 anni il peperoncino si diffuse in tutto il globo, tanto che oggi molte persone non possono farne a meno nella loro cucina!
A differenza del pepe, il peperoncino rosso non è prodotto da una singola specie di pianta, bensì da diverse tipologie del genere Capsicum.
Bene, è venuto il momento di rispondere al quesito lasciato in sospeso!
Sì, esiste un'apposita scala atta a misurare la piccantezza dei vari tipi di spezie.
Colui che la ideò fu il farmacista statunitense Wilbur Scoville nel 1912 ed essa assunse quindi la denominazione di Scala organolettica Scoville.
Per dar vita a tale scala, Scoville riunì un comitato di bravi giudici, educandoli a diluire gradualmente estratti di pepi piccanti fin quando la sensazione di piccantezza fosse divenuta non più percepibile.
Il pepe più piccolo da loro misurato, quello dell'Avana (habanero), risultò essere compreso tra 200.000 e 300.000 unità Scoville (SHU).
Essi rinvenirono anche il valore:
  • del pepe di Caienna, il quale risultò essere pari a 35.000 SHU;
  • del popolare peperoncino jalapeño (Capsicum annuum), che prende il nome dalla città di Xalapa, il quale risultò essere pari a circa 4000 SHU.
Pensate al peperoncino più piccante con cui vi siate mai imbattuti; il suo valore in unità Scoville non è niente in confronto al valore della capsaicina pura, che vanta un eccezionale punteggio pari a 16 milioni di unità Scoville!
Ma qual è il peperoncino più piccante del mondo?
Esso è il cosiddetto "Scorpione di Trinidad" ("Trinidad Scorpion Butch Taylor"), originario del distretto di Moruga in Australia.
Lo ha identificato, nel febbraio 2012, il Chili Pepper Institute dell'Università del New Mexico.
Il motivo della particolare denominazione deriva in parte dal nome del suo produttore, appunto Butch Taylor, e in parte dalla sua particolare forma simile a quella del pungiglione di uno scorpione.
Il suo grado di piccantezza è stato stimato corrispondente all'incredibile valore di 1.463.700 SHU!
Per immaginare l'elevatissima piccantezza del suddetto peperoncino, basti pensare che un normale peperoncino usato nelle nostre cucine ha un valore SHU pari a circa 5000 (anche se la piccantezza di un peperoncino calabrese è stimata eguale a circa 15.000 SHU)!
Non vi consiglio pertanto di masticare lo "Scorpione di Trinidad", se non volete "andare a fuoco"!






  
 







Come ciliegina sulla torta, vi lascio 2 video concernenti delle intepretazioni al piano di brani dei Red Hot Chili Peppers:




 

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