giovedì 27 ottobre 2011

6 FAMOSI ESPERIMENTI DELLA STORIA DELLA FISICA

La vera Fisica, fin dalle sue origini con i contributi di Galileo Galileo, si basa, oltre che sulle idee di menti geniali come quelle di Einstein, Newton, Maxwell, Feynman, ecc. e sulla Matematica, anche sugli esperimenti.
Infatti, proprio Galileo aveva introdotto il metodo scientifico, una serie di passi fondamentali che lo scienziato deve compiere affinché voglia realmente dimostrare che la sua ipotesi concorda con la realtà.
L'ultimo passo risiede proprio nell'esperimento.
Esso può riguardare qualunque branca della fisica, dalla meccanica alla termodinamica, dall'elettromagnetismo alla relatività e così via.
I più importanti esperimenti oggi condotti sono quelli fatti per mezzo degli acceleratori di particelle, al fine indagare al meglio il mondo microscopico e cercare di svelare gli arcani misteri che lo contraddistinguono.
Basti pensare all'esperimento OPERA sui neutrini, che avrebbe (uso il condizionale perchè la situazione è ancora da verificare e chiarire) mostrato tali particelle superare la fantomatica velocità della luce!
Per quanto concerne l'esperimento sui neutrini vi rimando all'articolo "Neutrini: più veloci della luce?"
In questo contesto andremo quindi ad analizzare alcuni famosi esperimenti che sono occorsi nella storia della Fisica.
Nello specifico, parleremo di 6 esperimenti.
Perché ho scelto di trattarne esattamente 6?
Perchè 6 è il vero "numero perfetto"!
La gente che ignora la Matematica generalmente attribuisce al 3 il ruolo di "numero perfetto" e portandoci indietro nel passato, i Pitagorici ritenevano che fosse invece il 10 il "numero perfetto", in quanto asserivano che esso incarnasse tutti i presupposti della perfezione.
Infatti, tra 1 e 10 erano compresi tanti numeri primi (2,3,5,7) quanti non primi (4,6,8,9) e il 10 era il numero più piccolo a possedere tale singolare proprietà.
Euclide fu il primo a considerare la definizione adottata ancora oggi di "numero perfetto": un numero che è pari alla somma di tutti i suoi divisori.
Facciamo qualche prova: consideriamo il 3, quello che comunemente viene designato come "perfetto"; il suo unico divisore è l'1: non è un numero perfetto.
Prendiamo il 4; i suoi divisori sono 1,2, ma 1 + 2 = 3: non è "perfetto".
Prendiamo il 5: il suo unico divisore è l'1 (alla stregua del 3 è un numero primo): non "perfetto".
Arriviamo finalmente al 6: i suoi divisori sono 1,2,3; 1 +2 + 3 = 6: ecco finalmente il primo "numero perfetto": il 6!
Volete sapere quale numero assume il ruolo di secondo "numero perfetto": il 28.
Infatti, i suoi divisori sono 1,2,4,7,14; 1 + 2 + 4 + 7 + 14 = 28.
Ora, dopo questa breve divagazione matematica, passiamo al nocciolo della questione: i 6 esperimenti a cui ho accennato sopra.
Visto che ho parlato di velocità della luce in precedenza, colgo l'occasione per iniziare la trattazione dall'Esperimento di Michelson-Morley.

1) ESPERIMENTO DI MICHELSON-MORLEY

Le prime proposte per determinare la velocità della luce risalgono al 1629, dovute all'olandese Isaac Beeckman.
Poi, nel 1676, Ole Rømer compì la prima determinazione quantitativa, per mezzo di osservazioni astronomiche.
Spostandoci avanti di circa 2 secoli, arriviamo negli anni '50 del XIX secolo, in cui 2 fisici francesi, Fizeau (prima) e Foucault (dopo), realizzarono i primi esperimenti a terra.
Ci troviamo quindi in un arco temporale precedente alla rivoluzione stabilita dalla Relatività Speciale introdotta da Einstein a partire dal 1905.
Pervenendo al nocciolo della questione, nel 1887 Albert Abraham Michelson e Edward Morley eseguirono uno degli esperimenti più noti e importanti della fisica di tutti i tempi.
Ricordiamo che Maxwell aveva scritto 4 equazioni sintetizzanti l'intero elettromagnetismo e in accordo con tali leggi, il campo elettromagnetico è descritto da un'equazione in cui appare una costante universale stabilente la velocità di propagazione di ogni onda elettromagnetica (e quindi anche della luce) nel vuoto.
La cosa singolare è però che tale velocità (indicata comunemente con c) è una velocità "assoluta", cioè non dipende dal sistema fisico che prendiamo come riferimento: rimane sempre la stessa: 299.792.458 m/s.
Generalmente, quando stiamo in moto e lanciamo ad esempio una pallina, la velocità di quest'ultima, in accordo con le leggi della Meccanica Classica, sarà pari alla somma tra la nostra velocità e quella del lancio.
Ma la tendenza generale nel mondo scientifico (prima di Einstein) era quello di rinunciare al principio di relatività (introdotto da Galileo per le leggi meccaniche) supponendo l'esistenza di un mezzo impalpabile, detto etere, che riempiva uniformemente lo spazio vuoto, e individuava tra i sistemi di riferimento inerziali uno che fosse privilegiato, non altri che quello in quiete rispetto all'etere stesso.
Dopo queste brevi precisazioni, ci poniamo una domanda: cosa ci ha fatto scoprire l'esperimento di Michelson-Morley?
Esso ha portato alla conclusione che l'ipotesi dell'etere non è realistica, servendo così (18 anni dopo) "su un piatto d'argento" la strada ad Einstein per implementare la sua Relatività.
In cosa consiste però il suddetto esperimento?
Vi riporto la descrizione che fornisce Richard Feynman nelle sue famosissime "Lectures on Physics":

























"L'esperimento di Michelson fu eseguito con un dispositivo [detto interferometro che] consiste essenzialmente di una sorgente di luce A, una lastra di vetro parzialmente argentato B, e 2 specchi C ed E, il tutto montato su una base rigida. Gli specchi sono posti a uguali distanze l da B. La lastra B divide un fascio di luce che arriva, e i 2 fasci risultanti proseguono in direzioni fra loro perpendicolari, fino agli specchi, dove sono riflessi indietro verso B. Ritornando a B, i 2 fasci sono ricomposti come 2 fasci sovrapposti D e F. Se il tempo impiegato dalla luce per andare da B a E e ritorno è lo stesso del tempo impiegato per andare da B a C e ritorno, i fasci emergenti D e F saranno in fase e si rinforzeranno l'un l'altro, ma se i 2 tempi sono lievemente diversi, i fasci saranno lievemente sfasati e si avrà l'interferenza. Se il dispositivo è "immobile" nell'etere, i tempi dovrebbero essere esattamente uguali, ma se esso è in movimento verso destra con velocità v, dovrebbe esserci una differenza nei tempi. Vediamo perché. Prima di tutto, calcoliamo il tempo necessario alla luce per andare da B a E e ritorno. Diciamo che il tempo perché la luce vada dalla lamina B allo specchio E è t1 e il tempo per il ritorno è t2. Ora, mentre la luce viaggia da B allo specchio, il dispositivo si muove di un tratto vt1, così la luce deve percorrere una distanza l + vt1 alla velocità c. Possiamo anche esprimere questa distanza come ct1, così abbiamo:

ct1 = l + vt1,          o        t1 = l/(c-v)

In un modo simile può essere calcolato il tempo t2. Durante questo tempo la lamina B avanza di un tratto vt2, così il tratto di ritorno della luce è l - vt2. Così abbiamo:   

ct2 = l - vt2,          o        t2 = l/(c+v)

Quindi il tempo totale è:
t1 + t2 = 2lc/(c² - v²).

Per convenienza in un futuro confronto dei tempi, scriviamo questo come:





Il nostro secondo calcolo sarà per il tempo t3 che la luce impiega ad andare da B allo specchio C. Durante il tempo t3 lo specchio C si sposta a destra di un tratto vt3, nella posizione C'; nello stesso tempo, la luce percorre una distanza ct3 lungo l'ipotenusa di un triangolo che è BC'. Per questo triangolo rettangolo abbiamo:

(ct3)² = l² + (vt3

ovvero:



da cui otteniamo:



Per il viaggio di ritorno da C' la distanza è la stessa, come si può vedere dalla simmetria della figura; quindi anche il tempo di ritorno è lo stesso, e il tempo totale è 2t3.
Con una piccola risistemazione della forma possiamo scrivere:





Siamo ora in grado di confrontare i tempi impiegati dai 2 fasci di luce. Nelle espressioni


i numeratori sono identici, e rappresentano il tempo che sarebbe impiegato se il dispositivo fosse immobile. Nei denominatori, il termine v²/c² sarà piccolo, a meno che v non sia di grandezza paragonabile a c. I denominatori rappresentano le modifiche nei tempi causate dal moto del dispositivo. Queste modifiche non sono le stesse - il tempo per andare a C e ritorno è un po' minore del tempo per andare a E e ritorno, anche se gli specchi sono equidistanti da B, e tutto quello che dobbiamo fare è misurare con precisione tale differenza. Supponiamo che le 2 lunghezze l non siano esattamente uguali. In effetti non possiamo di sicuro renderle esattamente uguali. In tal caso ruotiamo semplicemente l'apparecchiatura di 90°, cosicché BC sia lungo la linea del moto e BE perpendicolare al moto. Qualsiasi piccola differenza di lunghezza diviene allora priva di importanza, e ciò che cerchiamo è uno slittamento nella frange di interferenza quando ruotiamo il dispositivo. Nel realizzare l'esperimento, Michelson e Morley orientarono il dispositivo in modo che la linea BE fosse quasi parallela al moto della Terra lungo la sua orbita (in certi momenti del giorno e della notte). Questa velocità orbitale è di circa 18 miglia al secondo, e qualsiasi "velocità dell'etere" dovrebbe essere almeno altrettanto in un qualche momento del giorno o della notte e in un qualche periodo dell'anno. Il dispositivo era ampiamente sensibile per l'osservazione di un tale effetto, ma non fu trovata alcuna differenza di tempo - la velocità della Terra attraverso l'etere non poté essere rilevata. Il risultato dell'esperimento fu NULLO. Il risultato dell'esperimento di Michelson-Morley fu molto imbarazzante e creò estremo turbamento."


Pertanto, riassumendo il tutto in poche e semplici parole, l'esperimento di Michelson-Morley determinò con sicurezza assoluta che la velocità della luce, misurata dalla Terra, era indipendente dalla direzione dei raggi luminosi relativamente al moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole.
Tuttavia, è necessario precisare che, sebbene Michelson, a seguito dell'esperimento, fosse balzato alla conclusione più ovvia e logica, ovvero che l'etere non esisteva, in realtà ciò non rappresentava l'unica soluzione possibile.
Quei risultati avrebbero anche potuto significare che, per qualche motivo sconosciuto, l'etere riusciva a influenzare la misurazione della velocità della luce, in un maniera incompresibile per gli scienziati
Alla fine, la vicenda, come tutti sappiamo, si è conclusa con la sconfitta della teoria dell'etere luminifero e con la vittoria della Relatività Ristretta di Einstein.

2) ESPERIMENTO DI ØRSTED

Nel 1820 il fisico danese Hans Christian Ørsted scoprì un legame inaspettato fra fenomeni elettrici e fenomeni magnetici, attraverso un semplice esperimento.
Infatti, il fisico dispose un filo elettrico, collegato a una batteria, nella direzione nord-sud, sopra un ago magnetico.
Dopodiché, quando faceva passare la corrente nel filo, l'ago ruotava, tendendo a disporsi perpendicolarmente rispetto al filo stesso.
In poche parole Ørsted aveva dimostrato che un filo percorso da corrente elettrica genera un campo magnetico!
La pubblicazione di tale scoperta fu fatta tramite un opuscolo in latino dal titolo Experimenta circa effectum conflictus electrici in acum magneticum.
Il suddetto saggio era soprattutto qualitativo, ma spianò la strada ai successivi sviluppi dell'elettromagnetismo.
La sua importanza venne subito riconosciuta; infatti il saggio fu tradotto in tedesco, francese e inglese, e fu pubblicato sulle riviste scientifiche più rinomate.

3) ESPERIMENTO DI FARADAY

Nel 1821 il fisico inglese Michael Faraday fece un esperimento simile a quello di Ørsted: pose un filo metallico in un campo magnetico, ortogonalmente alle linee di campo.
Diede corrente al filo e ne scaturì il fatto che esso subì l'effetto di una forza perpendicolare sia al filo stesso che alle linee del campo magnetico.
In parole povere: un filo attraversato da corrente, in un campo magnetico, subisce una forza.

4) ESPERIMENTO DI AMPÈRE

L'esperimento condotto dal francese André-Marie Ampère si ricollega direttamente a quelli di Ørsted e di Faraday, generalizzandoli.
Tra l'altro, l'esperimento fu compiuto dallo scienziato francese soltanto una settimana dopo essere venuto a conoscenza di quello del collega danese.
Egli verificò che 2 fili rettilinei e paralleli si attraggono se sono percorsi da correnti elettriche nello stesso verso e viceversa, i 2 fili si respingono se attraversati da correnti elettriche aventi versi opposti.
Eseguendo l'esperimento con 2 fili di gran lunga più lunghi della distanza che li separa, ottenne la legge che prende il suo nome: Legge di Ampère:

[La forza che agisce su una porzione, lunga l, di uno dei fili è direttamente proporzionale alle 2 correnti circolanti e inversamente proporzioanle alla distanza d tra i 2 fili.]

In simboli:





Se immaginassimo di compiere l'esperimento di Ampère nel vuoto, per il Sistema Internazionale (SI) la costante km si può esprimere come:

km = μ₀/2π

dove μ₀ rappresenta la permeabilità magnetica del vuoto, il cui valore è μ₀ = 4π × 10-⁷ N/A².
Ergo, nel SI è comune scrivere la legge di Ampère come:





Ecco le parole di James Clerk Maxwell sul lavoro di Ampère:

"La ricerca sperimentale con la quale Ampère stabilì le leggi dell'azione meccanica tra correnti elettriche è una delle conquiste più brillanti della scienza. Il tutto, teoria ed esperimento, sembra balzare, adulto e armato, dal cervello del "Newton dell'elettricità". Ha una forma perfetta, di precisione assoluta, ed è compendiato in una formula da cui si possono dedurre tutti i fenomeni, e che rimarrà sempre la formula cardinale dell'elettrodinamica."

5) ESPERIMENTO DI YOUNG

Per quanto concerne l'esperimento della doppia fenditura effettuato da Young, desidero riportare la sublime descrizione che ne fa Silvia Arroyo Camejo nel libro Il bizzarro mondo dei quanti:

"L'esperimento della doppia fenditura, proposto nel 1801 dal versatile talento inglese Thomas Young (1773-1829), sembrò deporre definitivamente a favore della teoria ondulatoria della luce. Secondo un aneddoto divertente, l'idea di occuparsi della capacità di interferenza sarebbe venuta in mente a Young in seguito a ingenue osservazioni naturali. Guardando delle anatre che nuotavano sulla superficie dell'acqua di uno stagno, egli notò come le onde causate dai loro corpi in movimento si sovrapponessero indisturbate le une alle altre. Ispirato da questa scoperta, concepì finalmente il suo esperimento delle 2 fenditure con la luce.....Questo importantissimo esperimento è costruito [così]: una sorgente luminosa emette luce, per quanto possibile monocromatica e coerente, su una lastra non trasparente, sulla quale sono state praticate 2 strette fenditure. Alle spalle della doppia fenditura si colloca uno schermo, sul quale verrà proiettata la parte di luce in grado di attraversare le fessure....Immaginiamoci, per prima cosa, che la sorgente non emetta qualcosa di impalpabile come la luce, ma che emetta invece oggetti concreti e tangibili, a noi più familiari, come per esempio (idealmente) palloni da calcio che un pessimo giocatore, arbitrariamente e senza scopo, tira contro la doppia fenditura, a sua volta pensata come un muro con 2 finestre lunghe e strette....Dietro ogni buco si accumulerà una grande quantità di palloni, indipendentemente dal fatto che ci sia o no anche l'altro buco. Detto in termini formali, nel caso dell'esperimento della doppia fenditura con i palloni, vale allora la seguente relazione: 
 
 

cioè la distribuzione di probabilità di arrivo P1+2 in seguito all'apertura di entrambe le fenditure è uguale alla somma delle singole distribuzioni di probabilità P1 e P2, dovute rispettivamente all'apertura della sola fessura 1 o della sola fessura 2....Torniamo adesso al caso della luce e immaginando che questa abbia natura corpuscolare, ci aspettiamo di ottenere sullo schermo di proiezione una distribuzione di probabilità di arrivo dei fotoni simile a quella dei palloni....Se conduciamo l'esperimento aprendo solamente la fenditura 1, teoricamente dovremmo osservare sullo schermo un'unica striscia chiara dietro la fessura, all'incirca della stessa larghezza della fessura stessa. Eseguendo effettivamente questo esperimento, otteniamo sullo schermo esattamente la probabilità di arrivo P1 attesa per i fotoni....Ovviamente, nulla cambia se nell'esperimento apriamo soltanto la fenditura 2....Le nostre riflessioni sull'esperimento della doppia fenditura con palloni da calcio o analoghi oggetti "impacchettabili", ci spingono adesso a supporre che se apriamo contemporaneamente le fessure 1 e 2, la distribuzione di probabilità finale dei fotoni debba eguagliare la somma delle distribuzioni ottenute aprendo solo la fenditura 1 o solo la fenditura 2....Ebbene, eseguendo realmente l'esperimento dobbiamo invece constatare che le cose non stanno così! Conducendo realmente l'esperimento otteniamo un motivo a strisce, a prima vista inspiegabile, nel quale si può riconoscere una successione regolare di striature chiare e scure. Dunque, nell'esperimento con la luce, è ovvio che:

 

I fotoni che attraversano la fenditura 1 e quelli che arrivano dalla fenditura 2 non possono essere semplicemente sommati tra loro."

Quello che Silvia Arrojo ci vuol far comprendere è che aprendo 2 fenditure (e qui sta il bello), si forma una figura, il pattern di interferenza, tipico delle onde.
La conclusione che si può dare a proposito di questo esperimento è pertanto che la luce risulta formata da particelle, i fotoni, ma allo stesso tempo, in alcune circostanze, si comporta alla stregua di un'onda.
In termini più rigorosi si dice che sussiste un dualismo onda-corpuscolo!

6) ESPERIMENTO DI DAVISSON-GERMER

Abbiamo osservato dunque come l'esperimento di Young della doppia fenditura, alla fine, ci conduce alla pazzesca conclusione che la luce, a seconda delle circostanze, si comporta come un'onda o come una particella, ossia sussiste il dualismo onda-corpuscolo.
Ma ciò è vero solo per quanto riguarda la luce?
No: Louis de Broglie aveva ipotizzato che il dualismo onda-corpuscolo interessasse non solo la luce, ma anche le varie particelle, come l'elettrone.
L'esperimento volto a dimostrare questo assunto è appunto l'esperimento di Davisson-Germer del 1927.
Nel suddetto anno, ai Bell Labs, Clinton Davisson e Lester Germer spararono elettroni a velocità ridotta contro un bersaglio di nichel cristallino.
Essi misurarono la dipendenza dall'angolo di incidenza dell'elettrone riflesso, osservando che aveva lo stesso pattern di diffrazione dei raggi X, come previsto da Bragg.
Pertanto, l'ipotesi di de Broglie era stata effettivamente verificata!

CONCLUSIONE

Abbiamo analizzato alcuni importanti e interessanti esperimenti della storia della Fisica.
Ovviamente essi rappresentano una ristretta porzione della totalità di esperimenti compiuti da esimi scienziati all'interno della storia della Fisica.
Anche con una modesta quantità di esperimenti analizzati, però, possiamo constatare come essi siano assolutamente fondamentali allo sviluppo della disciplina.
Come abbiamo visto, Einstein deve in parte all'esperimento di Michelson-Morley l'implementazione della Relatività, Maxwell ha potuto elaborare le sue famose equazioni basandosi sugli esperimenti condotti da Ørsted, Faraday e Ampère, la veridicità dell'ipotesi di De Broglie sul dualismo onda-corpuscolo si deve all'esperimento di Davisson-Germer e così via.
Sintetizzando: per lo sviluppo della Fisica Teorica è necessaria la Fisica Sperimentale e viceversa!

P.S: ecco alcuni video di una pianista, Valentina Lisitsa, la cui velocità di esecuzione tende alla velocità della luce!!! ;)







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